Enciclopedia di Storia
venerdì 1 dicembre 2017
Enciclopedia di Storia: il Medioevo tra 500 e 1500
da sola il potere, in quanto le usanze dell'epoca
non prevedevano tale opportunità per le donne.
Sposò allora l'ultimo discendente maschio della
famiglia di Teodorico, Teodato, ma questi la fece
rinchiudere e poi uccidere. Poco dopo, Teodato
fu a sua volta assassinato da un generale, Vitige,
che divenne re.
Giustiniano, nel frattempo, stava mettendo in atto
i suoi piani di riconquista dell'Occidente. Come
pretesto, poteva sostenere che la delega a governare
l'Italia conferita dall'imperatore Zenone a
Teodorico era personale e che dunque non valeva
per i suoi successori. Ir:iviò quindi un corpo di
spedizione al comando del valoroso e abile generale
Belisario. La prima tappa di Belisario fu in
realtà l'Africa settentrionale, dove abbatté il Regno
dei Vandali e lo incorporò nei domini bizantini
(534). Sbarcò poi in Sicilia e risafi l'Italia, occupando
Roma e Ravenna; Vitige venne condotto
prigioniero a Costantinopoli.
. Dopo questa vittoria Giustiniano, ritenendo ormai
chiusa la partita con i Goti in Italia, richiamò
in patria Belisario affinché bloccasse le iniziative
di guerra dei Persiani. Ma i Goti non si rassegnarono
alla perdita del potere e, sotto la guida del
nuovo re Totila, riaccesero presto le ostilità. Totila,
tra il 541 e il 546, riconquistò Roma, Napoli e
tutta l'Italia meridionale; per assicurarsi il favore
della popolazione, liberò i contadini dalle tasse e
dall'obbligo di prestare servizi gratuiti ai loro padroni,
sicché molti contadini presero le armi e
combatterono al suo fianco.
La guerra, con successi alterni, si trascinò per più
di dieci anni. Fu un conflitto tremendo, che devastò
la penisola causando danni immensi: grandi
città come Milano e Napoli vennero distrutte e gli
abitanti trucidati, Roma fu assediata e presa per
tre volte dai Goti, grandi carestie spopolarono ulteriormente
le città [ ooc. P. 84]. Roma, che all'apogeo
dell'Impero aveva circa un milione di abitanti,
nel 561 non ne contava più di ventimila.
Giustiniano, infine, inviò in Italia il generale Narsete,
che nel 552 sconfisse i Goti a Gualdo Tadino, in
Umbria (dove trovò la morte anche Totila) e l'anno
seguente li batté definitivamente presso Napoli.
L'Italia entra a far parte dei
territori dell'Impero d'Oriente
Nel 554 Giustiniano emanò la Prammatica Sanzione
[ DOC. p. 86], una costituzione imperiale formulata
allo scopo di stabilire provvedimenti eccezionali
e con la quale l'imperatore decretava il nuovo
assetto politico e amministrativo dell'Italia.
La Prammatica Sanzione segnò la riduzione della
penisola italiana a una provincia dell'Impero romano
d'Oriente e stabili la sua capitale a Ravenna;
con tale costituzione Giustiniano ripristinava
d'autorità la situazione anteriore alla guerra gotica,
stabilendo, tra l'altro, la revoca di tutte le concessioni
fatte da Totila ai contadini, la restituzione ai
vecchi proprietari romani dei terreni espropriati
e degli schiavi liberati.
Anche in Italia, a Ravenna, in particolare si sentì
l'influenza della politica culturale di Giustiniano,
che cercò di annullare tutti i segni della precedente
dominazione gotica e abbeID la città con
monumenti che dovevano celebrare la rinnovata
unità imperiale. Le chiese di San Vitale e di Sant'
Apollinare in Classe, con i loro splendidi mosaici,
sono la testimonianza della dominazione bizantina
e dell'arte bizantina in Italia.
Di particolare interesse è la chiesa di San Vitale, (oriente e Occidente. La situazione finanziaria
costruita vicino al mausoleo di Galla Placidia: è ! peggiorò rapidamente, la minaccia persiana toruna
chiesa a pianta centrale, ottagonale, che ri- i nava a incombere e gli Arabi si facevano sempre
chiama la contemporanea architettura bizantina, i più pericolosi; l'esercito non era in grado di consoprattutto
nella cupola monumentale. L'interno, ! trollare tutti i territori conquistati. Nella primavemolto
decorativo, è uno sfavillio di mosaici e di 1j ra del 569 l'Italia subì l'invasione dei Longobardi
marmi preziosi. Fra i mosaici di particolare mae- 1
] che si riversarono nella penisola senza un piano di
stosità sono quelli che raffigurano Giustiniano e :! occupazione preciso; fu così che diverse regioni
Teodora con i loro seguiti. ' italiane (la Romagna, le Marche, l'Umbria, la Pu-
::, glia, la Calabria e la Sicilia) rimasero sotto il con-
:1 trollo dell'imperatore d'Oriente.
Eraclio e lo scontro !i Una figura importante tra i successo ,r df Giustitra
Bizantini e Persiani \i niano fo--Eradio. l!ll._generale di,é>figine romano- -=-=---~=--==-="---=-"--=.c.c'-=-=-~~ --=-.c.--=-..c~~------ ~ · african( che resse il tronàYa:i" 610 al 641. Con
Giustiniano morì nel 565 e con lui anche il sogno !: questo imperatore, abba&lonat;;ra·-rutto le mire
di creare un Impero che tornasse ad abbracciare !\ in Occidente, naq _1u6 0 una nuova civiltà e un
norme per il riassetto
dell'Italia che è ricordato
con il nome di Prammatica
Queste norme avevano lo
scopo di ristabilire l'autorità
del potere imperiale
sull'Italia e in particolare
manda del Senato da
Atalarico, da Amalasunta
regal madre e da Teodato
siano inviolabilmente osservate,
come pure vogliamo
che integralmente
restino in vigore quelle
fatte da noi e da Teodora
di pia memona, nostra
consorte, non autorizzandi
reintegrare i maggiori
proprietari terrieri, e cioè
l'aristocrazia senatoria,
di tutti i beni tolti loro dai
provvedimenti di Totila.
Leggiamo alcuni
dei ventisette articoli
della Sanzione.
do alcuno a derogare da
ciò che dalle predette
persone fu concesso per
qualsivoglia ragione o titolo.
IL Ciò che fu fatto o donato
dal tir::i.nno Totila a
qualsiasi Romano, o ad
alcun altro, non sarà conI
~
/
.:... .. ,
\
servato nella sua validità,
e prescriviamo che tali
cose vengano dai detentori
restituite agli antichi
proprietari; poiché ciò
che da lui fu fatto in tempo
di tirannide non si deve
riguardare come legittimo
nei nostri tempi.
IV. Nel caso in cui taluno
avesse di propria autorità
invaso i beni di un
assente o di un prigioniero,
per esempio le
greggi, o li avesse trattenuti
rivendicandoli a sé,
ritornato l'assente o liberato
il prigioniero, egli
dovrà restituire tali cose
senza dilazione alcuna al
medesimo o agli eredi
suoi. Che se questo tale
fosse morto, l'autorità
della legge porta che la
restituzione venga fatta
ai suoi eredi.
VII. Siamo venuti a conoscenza
che, mentre i nemici
assediavano Roma o
altre città, furono fatti
molti contratti da parte
dei Romani assediati e
che presentemente si rescindono
tali contratti.
Quindi prescriviamo che
nessuno abbia facoltà di
rescindere, cessata l'incursione
dei nemici, i documenti
sottoscritti, dovendo
tutti i contratti fat-
• LA SOCIETÀ E LE ISTITUZIONI
L'organizzazione sociale
dei Germani
La struttura fondamentale della società germanica
era il clan (sippe), formato dall'unione di più
famiglie patriarcali imparentate fra loro. Il clan
costituiva un'unità economica, militare e politica
del tutto autonoma e autosufficiente. I capi-clan
dei Visigoti e dei Burgundi,
destinate esclusivamente
alle popolazioni romane dei
due Regni barbarici,
l'editto viene imposto
da Teodorico alla
rigorosa osservanza
sia dei Romani
sia dei Goti.
Proponiamo la traduzione
delle più interessanti tra le
154 norme di cui consta
l'editto.
Si può notare come
Teodorico e i suoi
successori mostrino
ancora un sostanzia/e
rispetto nei confronti della
tradizione romana: essi,
infatti, si esprimono con
editti e non con leggi,
perché le leggi erano
prerogativa dei soli
imperatori, mentre
gli editti erano di
competenza dei magistrati.
diedero vita, probabilmente già in età molto antica,
a periodiche riunioni assembleari.
Sostanzialmente democratica, la società germanica
conobbe forme di monarchia elettiva entro le
quali l'assemblea degli uomini liberi, che veniva
periodicamente riunita (thing), manteneva di fatto
tutti i poteri, compreso quello giudiziario.
Queste assemblee - che si svolgevano nelle notti
di novilunio o di plenilunio, secondo un calendario
costruito sulle fasi lunari e non solari - esprie
i sono giunte frequenti
lamentele
che nelle province
c'è chi calpesta le leggi.
E benché nessuno, là dove
la legge è sovrana, possa
sostenere l'ingiustizia,
noi tuttavia, solleciti della
pace di tutti, prospettandoci
i casi che potrebbero
verificarsi, per risolvere
questi casi abbiamo voluto
pubblicare il presente
editto, affinché, salvo il rispetto
del diritto pubblico
e la devozione da tutti
dovuta a tutte le leggi,
Barbari e Romani sappiano
dal presente editto come
comportarsi secondo
gli articoli qui elencati.
Sulla corruzione
dei giudici
I. Stabiliamo in primo
luogo che, se un giudice si
lasci corrompere con denaro
per giudicare a danmevano
le decisioni
del "popolo", che
quindi consisteva nell'unione
libera e volontaria
di diversi clan
[ DOC. P. 70].
In caso di guerra, l' assemblea
nominava come
comandanti alcuni
Il Una corona votiva, proveniente
dal tesoro di Guarrazar
(621-672), capolavoro
dell'oreficeria visigota.
no di un innocente contro
le leggi e le disposizioni
del diritto pubblico, sia
condannato a morte.
Sulla legittima difesa
XV. Chi respinge a mano
armata un aggressore,
non è da ritenersi omicida
in quanto, quale difensore
della sua vita, non risulta
colpevole in nulla.
Sui rapimenti
XVII. Il rapitore di una
donna libera o di una vergine,
con i suoi complici e
manutengoli, dopo provata
la sua colpa, sia messo
a morte; e se la rapita
era consenziente sia parimenti
uccisa.
Sui delatori
XXXV. Chi adducendo a
pretesto l'utilità pubblica
per giustificare il suo
comportamento, si fa de-
Erano la forza e l'arbitrio
a governare il mondo
medioevale. I signori feudali
si arrogavano ogni
diritto sui loro sudditi,
pretendevano tasse odiosamente
alte in denaro o
in natura, e chiedevano
sacrifici ancora più infami,
come lo ius primae
noctis, il diritto di passare
la prima notte con
ogni nuova sposa del feudo.
La vita in campagna
era miserabile, i contadini
vivevano come schiavi
e potevano subire dure . . pumz10m, per esempio
se avevano cacciato di
frodo nel territorio dei
loro signori. Imperversavano
tra gli uomini terribili
malattie come la peste
e la lebbra, le carestie
rendevano ancor più penosa
una vita che per
giunta era accompagnata
da un'ossessiva paura
della morte, come dimostra
il tema della danza
macabra ricorrente nella
letteratura e nella pittura.
Dietro tutto ciò vi era almeno
una profonda vita
religiosa? Per niente. Le
generali convinzioni religiose
erano fortemente
influenzate da residui pagani,
che la diffusa ignoranza
alimentava ulteriormente.
[ .. .]
Abbiamo cercato di riassumere
i più diffusi luoghi
comuni sul Medioevo.
In questo breve saggio
non possiamo confutarli
uno per uno, ma vogliamo
almeno cercare di
mettere a nudo alcune lacune
e contraddizioni
che possono relativizzare
alcune concezioni, e stupire
chi vi rifletta. Per
prima cosa diciamo che
in questo suolo oscuro
sono le radici della nostra
civiltà europea. [ .. .]
Nel Medioevo è facile
trovare, accanto a una
data realtà o situazione, il
suo contrario. Un Medioevo
bellicoso, governato
dalle armi, nelle mani
dei cavalieri? Certo.
Ma anche un Medioevo
pacifico, un'epoca ampiamente
smilitarizzata.
Così, per esempio, ai
guerrieri del "Medioevo
feudale" non interessava
tanto uccidersi a vicenda,
quanto prendere prigionieri
e liberarli poi dietro
il pagamento di un riscatto.
E proprio dal mondo
medioevale sono usciti
alcuni dei più accaniti
pacifisti cristiani di tutti i
tempi.
Un Medioevo dominato
dalla mistica, in cui l'economia
e la società avevano
soltanto un valore secondario?
Può essere. Ma
poi incontriamo il fatto
che le comunità religiose
[ ... ] rivolgevano la massima
attenzione all' economia,
organizzavano dissodamenti
e bonifiche, rendevano
coltivabile la terra,
davano da mangiare
nelle loro abbazie a innumerevoli
lavoranti, fondavano
manifatture, costruivano
strade, proteg- .
gevano mercati. La più
bella lode all'utilizzo artigianale
e tecnico dell' energia
idrica è stata scritta
da Bernardo di Chiaravalle,
uno dei più grandi
mistici fra gli spiriti religiosi
diquel tempo."
Un Medioevo dogmatico,
caratterizzato dal tenebroso
potere dell'Inquisizione?
Per niente,
perché l'Inquisizione pontificia
nacque solo alla fine
del dodicesimo secolo come
tribunale ecclesiastico,
che non avrebbe mai potuto
esercitare un potere
se i governi mondani non
gli avessero fornito il loro
appoggio. Il suo compito
era decidere su casi di eresia,
e tuttavia nella stessa
epoca la discussione teologica
era libera e vivace:
per esempio san Bernardo,
il grande devoto di
Maria, fu un awersario
della dottrina dell'Immacolata
Concezione di Maria.
Non fu il Medioevo
che visse i tempi più duri
del dogma e dell'Inquisizione,
ma lo splendente
rinascimento.
Un Medioevo irrazionale,
guidato soltanto dalla
fede e dalla superstizione,
e che rimaneva chiuso
alla logica, alla razionalità
e alla tecnica? Fu
anche così, ma allo stesso
tempo il Medioevo fu
uomini di particolare valore o autorità: questi, che
erano soltanto "primi fra pari", dovevano sempre
rispondere del loro operato all'assemblea. Solo in
epoca più tarda i comandanti militari eletti cominciarono
ad assumere caratteri di sovrano e,
con la formazione dei Regni romano-barbarici,
dopo la fine dell'Impero romano d'Occidente, si
affermarono stirpi reali prestigiose. In ogni caso,
le figure dei sovrani germanici furono sempre limitate
nel loro potere dall'assemblea.
Dopo gli uomini liberi (hariman), la minoranza
che possedeva l'intero potere, venivano gli aldii,
uomini semiliberi legati alla terra quasi come servi
della gleba. Infine c'erano gli schiavi, quasi
sempre prigionieri di guerra o individui catturati
durante le razzie.
Interessante era l'uso del comitatus, cioè l'abitudine
di aggregare i giovani delle famiglie meno in
vista a quelli delle famiglie più importanti, facendoli
diventare compagni (comites) inseparabili in
pace e in guerra. Questo modello di fedeltà personale
avrebbe influenzato, tramite le legislazioni
romano-barbariche, le istituzioni feudali del Medioevo,
divenendone anzi una delle caratteristiche
salienti.
latore - che noi proclamiamo
senz'altro persona
esecranda - anche se dice
il vero, non deve per legge
essere ammesso a testimoniare;
se poi fosse comunque
portato in giudizio
e non riuscisse a provare
quanto dichiara al-
1' autorità costituita, sia
bruciato vivo.
Sull'adulterio
XXXVIII. Adulteri e
adultere, convinti in sede
di giudizio, non sfuggano
alla pena capitale; e parimenti
siano puniti mezzani
e complici dello stesso
delitto.
XXXIX. Chi ha favoreggiato
un adulterio mettendo
a disposizione la
sua abitazione, oppure ha
fatto pressione sulla donna
perché acconsentisse
ali' adulterio sia condannato
a morte.
Sul divorzio
LN Non tolleriamo indiscriminati
scioglimenti di
matrimoni. Pertanto mogli
e mariti non rescindano
il vincolo coniugale se
non per i giusti motivi
previsti dalla legge. Le
cause legittime di divorzio
sono: se il marito sarà
stato in giudizio dimostrato
dalla moglie omicida,
malefico o violatore
di tombe. Il marito hà il
diritto di ripudiare la moglie
se l'avrà potuta dimostrare
m giudizio
adultera, malefica o an-
èhe come volgarmente si
dice, ruffiana. Il marito si
tenga la dote e i doni nuziali,
che però gli imponiamo
di conservare a favore
dei figli comuni.
Analogamente la moglie
riabbia la sua dote e i doni
nuziali: questi ultimi
conservi a~ch'essa per i
Il diritto germanico
Per i Germani non esistevano delitti e pene, ma
solo offese personali e vendette. Quando una famiglia
o un clan subiva un'offesa, la vendetta (o
faida) costituiva non un diritto ma un obbligo; le
faide potevano durare molti anni e provocare lo
sterminio di intere generazioni.
In epoca successiva, si introdusse la possibilità di
lavare l'offesa con il pagamento di una somma,
detta guidrigildo (dal germanico widregild, "ricompensa"),
commisurata all'importanza della ,
persona o della famiglia colpita. Per gli atti contro _
la comunità interveniva invece un magistrato,
eletto dall'assemblea degli uomini liberi, che infliggeva
pene severe [ DQC. P. 68]. Per questioni gravi
era ammesso il duello per risolvere la contesa.
In età medievale, poi, il diritto germanico prevedeva
il ricorso ali' ordalia, una prova fisica il cui esito
avrebbe manifestato il giudizio infallibile di Dio. I
due contendenti, infatti, dovevano affrontare terribili
dimostrazioni di coraggio (come immergere un
braccio nell'acqua bollente o camminare sui carboni
ardenti) e chi riusciva a superarle era considerato
innocente.
figli comuni. La facoltà
per essa di risposarsi o no
è regolata dalle precedenti
leggi.
Sui sacrifici pagani
CVIII. Chi venga colto a
sacrificare secondo il rito
pagano, nel caso si tratti
di ministri del culto o
stregoni, dopo accurata
inchiesta, siano condannati
a morte; coloro che
assistono ai sacrifici, nella
loro qualità di complici,
se sono di condizione sociale
elevata, abbiano i
beni confiscati e siano
condannati all'esilio perpetuo;
se sono di umile
condizione, siano condannati
a morte.
Sui servi della gleba
CXLII. Sia lecito a ciascun
padrone trasferire
dai fondi, che possiede
legittimamente, i coloni
di ambo i sessi, anche se
originari, ad altri luoghi
di sua proprietà oppure
adibirli a servizi in città,
di modo che siano acquisiti
a quei fondi nei quali
risulti che essi si sono trasferiti
per volontà del padrone
oppure siano registrati
nel personale di servizio
utilizzato in città.
Sia anche lecito ai padroni
alienare gente di tale
condizione, anche senza
terra o parte di essa, purché
vi sia atto scritto, oppure
cederla, venderla o
donarla a chi vogliono.
Sugli Ebrei
CXLIII. Circa i Giudei si
conservino i privilegi loro
concessi dalle leggi: dato
che vivono secondo costumanze
proprie, in caso
di lite, essi hanno il diritto
di avere come giudici i
loro rabbini.
Tacito scrive la Germania
nel 98. È un'opera che si
sofferma a descrivere
minuziosamente nella
prima parte gli usi e i
costumi dei Germani, nella
seconda le varie tribù
germaniche.
vivono su un territorio ferace
di messi, inadatto
agli alberi da frutta, ricco
di bestiame, per lo più di
piccola taglia.
Gli dei hanno negato ai
Germani l'argento e l'oro.
Neppure il ferro abbonda,
a giudicare dal tipo di
armi. Infatti in guerra pochi
usano spade e lance
d'una certa lunghezza:
portano delle aste o, per
dirla col loro nome, delle
framee. Pochi indossano
corazze, pochissimi poi
un elmo di cuoio o di metallo.
Così si organizzano
Con questo studio sui
Germani Tacito si oppone
alla retorica imperiale della
sua epoca, nella quale i
barbari erano rappresentati
soltanto come i rozzi
nemici che Roma affrontava
vittoriosamente.
nella vita civile: scelgono i
re per nobiltà di sangue, i
comandanti in base al valore.
I re non hanno potere
illimitato o arbitrario e
i comandanti contano per
l'esempio che danno [. .. ].
Sulle questioni di minore
importanza decidono i
capi, su quelle più importanti,
tutti; comunque anche
quelle di cui è arbitro
il popolo subiscono un
preventivo esame da parte
dei capi.
da Tacito, Germania, trad. M.
Stefanoni, Garzanti, Milano 1991
La vita quotidiana dei Germani
I Germani vivevano in piccole comunità o insediamenti
sparsi. Le costruzioni erano di legno e
abbastanza semplici.
Le scoperte archeologiche testimoniano tuttavia
che nelle zone occupate da Germani esistevano
luoghi fortificati, i burga, da cui derivano i nomi
delle città che terminano in -burg (come Wiirzburg,
in Germania) o -bury (come Canterbury, in
Gran Bretagna).
Presso le tribù germaniche non esisteva la proprietà
privata dei terreni: le terre via via occupate
venivano spartite tra i clan, ciascuno dei quali
provvedeva a sua volta a suddividere la propria
parte tra le famiglie che lo componevano. L' agricoltura,
del resto, era primitiva e tendeva semplicemente
a sfruttare il più possibile, nell'immediato,
il terreno strappato alla foresta.
Proprio l'arretratezza delle tecniche agricole, che
non consentiva di sfruttare a lungo gli stessi terreni,
spiegherebbe la grande mobilità dei Germani.
Successivamente le migrazioni furono provocate,
come abbiamo già visto, dalla forte spinta da
est da parte di popolazioni asiatiche.
Durante le migrazioni centinaia di migliaia di
persone, compresi donne, vecchi e bambini, si
spostavano con tutti i loro averi e il bestiame. Le
donne, con i bambini, assistevano da vicino alle
battaglie e, in caso di sconfitta, si suicidavano e
uccidevano i propri figli per sfuggire alla prigionia
e alla schiavitù: questo spiega perché alcuni
esiti rovinosi di guerre locali o contro i Romani
segnarono la fine di intere tribù.
Il loro abbigliamento risultò singolare per i Romani,
dal momento che gli uomini indossavano
una sorta di calzoni con un corto mantello sulle
spalle. L'uso delle "brache" si diffonderà poi velocemente
in tutto il mondo occidentale.
L'economia nei primi secoli
dell'Alto Medioevo
Dopo il crollo dell'Impero romano d'Occidente la
terra apparteneva soprattutto ai ricchi signori della
classe sociale dei potentes, per la maggior parte
senatori, magistrati o alti ufficiali venuti alla ribalta
nel III e nel IV secolo.
La loro potenza era il prodotto della ricchezza, dei
grandi latifondi, che erano organizzati in aziende
chiamate villae.
I patrimoni dei potentes crescevano continuamente,
perché i piccoli proprietari si affidavano a loro
per trovare protezione e difesa dalle continue
scorrerie dei barbari e anche dalla pressione fiscale;
in cambio della protezione cedevano ai potentes
la loro terra. Dei beni ceduti potevano avere
il godimento pieno per un certo tempo secondo
un patto dell'antico diritto romano (precarium,
da cui precariato). Al protettore dovevano
prestazioni e servizi gratuiti e parte del raccolto.
La società altomedievale era una società rurale e
quindi l'agricoltura era l'asse portante dell' economia.
Ma nei primi secoli dell'Alto Medioevo le invasioni
e le guerre misero a dura prova il sistema
economico: chi seminava non aveva la certezza di
poter raccogliere e, se anche il raccolto veniva
portato a termine, il rischio di perderlo a causa di
una razzia era molto alto. La fame, il freddo e la
paura erano gli inseparabili compagni del contadino,
costretto a vivere su una terra poco fertile,
circondata dalle foreste.
La sua dieta era a base di pane, ma poiché spesso
mancava, si nutriva di erbe, radici e di quello che
trovava nel bosco. Quando il clima impediva l' aratura
o distruggeva le messi, alla consueta povertà
si aggiungevano le carestie e le pestilenze.
Anche i proprietari subivano questa situazione,
ma con conseguenze meno drammatiche. In un
tale contesto, venute meno le grandi vie di comunicazione
romane e sparita la monetazione, l'economia
si ridusse sostanzialmente a un livello primario
e cioè alla produzione per uso strettamente
personale, con forme di baratto per procurarsi i
beni mancanti.
La religione nella società
dell'Alto Medioevo
La cultura medievale nacque dall'incontro-scontro
tra cultura classica e concezione religiosa cristiana.
Queste due visioni del mondo e dell'uomo
risultavano incompatibili soprattutto su un punto,
cioè il destino dell'uomo dopo la morte. I cristiani
lo ritenevano un problema fondamentale, i
pagani sostanzialmente secondario. A questo problema
è strettamente collegato il carattere più rilevante
della civiltà cristiana altomedievale: il suo
essere essenzialmente antimondana, volta alla trascendenza,
convinta che la vera vita sia quella che
l'anima affronta dopo la morte.
La vita terrena era vista come una prova, una faticosa
preparazionè alla vita vera, quella dell' aldilà,
dove il premio della felicità eterna era concesso
soprattutto a coloro che più avevano sofferto
nella vita terrena.
La storia degli uomini nel suo insieme era considerata
come la proiezione di un disegno della
provvidenza. Ogni individuo, per così dire, recitava
solo una parte di cui ignorava le ragioni e le
finalità, che restavano imperscrutabili perché
scritte da Dio. L'uomo era insomma un pellegrino
cui interessava la meta (cioè la salvezza), non il
viaggio (cioè la vita mortale).
A livello popolare, per tutto il Medioevo (e a maggior
ragione nell'Alto Medioevo), la religiosità cristiana
rimase intrisa di riti e credenze che affondavano
le loro radici nel paganesimo. La presenza di
tante tribù germaniche sul territorio dell'Impero
aveva finito con l'aggiungere a questa singolare
commistione tra religione cristiana e paganesimo
anche i culti germanici.
Soprattutto nelle campagne, la popolazione passava
disinvoltamente dalla celebrazione della
messa a riti di propiziazione delle forze naturali,
talvolta di origine antichissima e che nulla avevano
di cristiano. La Chiesa percepiva questo problema
e per cristianizzare più profondamente le
masse favorì il culto dei santi e delle loro reliquie.
Il Cristianesimo non può sussistere se si nega la
divinità di Cristo o il dogma della Trinità, mentre
il culto dei santi non ha affatto questa stringente
necessità teologica. In altre parole, esso si innestò
sul Cristianesimo come una specie di elemento
accessorio: da un lato i santi offrivano un efficace
modello di vita cristiana, dall'altro potevano soddisfare
certe inclinazioni della religiosità popolare.
Infatti, i santi potevano intercedere presso Dio
e soprattutto compiere miracoli; a loro, quindi, ci
si rivolgeva per i problemi di tutti i giorni (avere
un buon raccolto, guarire da una malatti_a, ottenere
in genere una protezione) e si poteva sperare in
risultati pratici.
Nel Medioevo, insomma, i santi rappresentarono
per certi aspetti la versione cristiana di un antichissimo
senso del magico, che credeva necessario
propiziarsi l'azione dei vari spiriti e delle forze che
influiscono sulla vita quotidiana dell'uomo.
Riti magici, spiriti e folletti
Nel contesto religioso che abbiamo descritto,
erano ovviamente diffuse molte credenze di tipo
genericamente magico. Costituivano una parte
importante della mentalità popolare
e, spesso, si intrecciavano con la religione
cristiana.
L'antica fiducia che alcuni uomini potessero
indovinare il futuro era rimasta ben
salda tra i ceti più umili. Come nell'antichità,
le tecniche divinatorie erano le più varie: i magi
esaminavano le stelle; i negromanti evocavano
i morti o i demoni versando sangue umano
nell'acqua; gli idromanti scrutavano l'acqua
per trarre auspici; gli arioli ottenevano risposte
recitando formule e invocazioni attorno agli
altari di idoli pagani; gli aruspici esaminavano le
interiora delle bestie; gli àuguri osservavano il
volo e il canto degli uccelli; i genetliaci stabilivano
il destino di un uomo basandosi sulla posizione
degli astri nel giorno della sua nascita; i sortilegi
traevano indicazioni sul futuro dalla lettura
delle Sacre Scritture.
La Chiesa condannava soprattutto i sortilegi;
rispetto agli altri, invece, si mostrò piuttosto tollerante.
Era, inoltre, diffusissima la credenza che i morti
potessero tornare nel mondo dei vivi. Particolarmente
temuti erano i morti suicidi, i criminali rimasti
insepolti, i bambini nati morti (quindi rimasti
senza battesimo) e le donne morte di parto. Si
- pensava che questi spiriti non riuscissero a trovare
pace nell'aldilà e che quindi sfogassero la loro
ira sui vivi; per questo motivo tutti, fin da bambini,
imparavano riti e formule che servivano a tenere
lontani i morti malvagi.
Nell'Alto Medioevo, tutti i villaggi erano circondati
da immense foreste, interrotte da piccole radure
strappate faticosamente dall'uomo alla vegetazione.
Il bosco era considerato un luogo abitato da
spiriti, malvagi o buoni: una credenza antica di millenni,
risalente ai primi culti degli elementi naturali
(gli alberi, i fiumi, le sorgenti). I folletti, personificazioni
dello spirito della vegetazione, diventeranno
poi protagonisti di mille fiabe e leggende.
Il millenarismo
Un tema ricorrente nell'Alto Medioevo fu la fine
del mondo, il dies irae (cioè il giorno del giudizio).
Si tratta ovviamente di un tema che aveva a
che fare con la concezione religiosa, ma si mescolava
in misura notevole con una lettura simbolica
e fantastica di alcuni testi e del mondo naturale. Il
Venerabile Beda, un erudito benedettino inglese
vissuto fra il VII e l'VIII secolo, fissò le date dei
principali avvenimenti storici e giunse alla conclusione
che l'umanità avrebbe avuto la sua fine
nell'anno Mille. Ansie millenaristiche, attese di
immani disastri, ma anche del ritorno di Cristo
sulla Terra, si diffusero quindi sia tra i dotti sia a
livello popolare. Si parlava anche dell'Anticristo
(una figura dell'Apocalisse) che avrebbe regnato
sul mondo prima della sua fine.
• LA CULTURA
L'istruzione e la cultura
Le istituzioni scolastiche romane erano prevalentemente
pubbliche, ma lo sgretolarsi dell'Impero le
aveva cancellate. Nel Medioevo fu la Chiesa ad assumere
integralmente il compito della trasmissione
della cultura e dell'istruzione. Gli elementi del sapere,
del resto, si erano ridotti notevolmente e l'educazione,
anche quella dei signori, si fondava soprattutto
su contenuti religiosi e precetti morali.
Poiché la Chiesa rimase l'unica istituzione dell'Occidente
capace di istruire ed educare, la conseguenza
fu la clericalizzazione del sapere: tutta la
cultura divenne espressione e prodotto degli uomini
di Chiesa, praticamente gli unici a conoscere
la lettura e la scrittura. Tuttavia va anche considerato
che gli uomini colti erano a loro volta una ristretta
minoranza fra gli uomini di Chiesa. Nei primi
secoli del Medioevo, infatti, il basso clero, cioè
la maggioranza dei religiosi che operavano nelle
sperdute parrocchie di campagna, aveva una preparazione
culturale scarsissima. Questi uomini di
Chiesa condividevano molto spesso le credenze e
le superstizioni dei contadini, in bilico, come abbiamo
visto, fra Cristianesimo e paganesimo. La
quasi totalità della popolazione era analfabeta, e
l'analfabetismo riguardava anche i gruppi dirigenti
non clericali. Pare che lo stesso imperatore Carlo
Magno, promotore di una politica culturale di
grande respiro e di una riforma dell'istruzione,
avesse imparato a scrivere solo in tarda età.
L'incontro-scontro fra la Chiesa
e la cultura classica
I veri maestri della cultura altomedievale furono i
padri della Chiesa, le cui opere (la cosiddetta
"patristica") costituivano la base di ogni conoscenza
e, insieme, la mediazione più sicura con la
cultura classica. Fra gli autori pagani che venivano
letti, troviamo Cicerone, Virgilio, Orazio e
Ovidio, che costituivano esempi per l'apprendimento
di grammatica e retorica, ma che subivano
una severissima censura dei contenuti.
La tradizione classica era riconosciuta superiore
dal punto di vista formale, anzi offriva un modello
di perfezione che si pensava non superabile. Ma,
ovviamente, il problema stava nel fatto che questi
testi non erano stati toccati dalla rivelazione, non
contenevano la verità cristiana. Nella mutata concezione
del mondo il sapere non veniva più considerato
un valore in sé ma era subordinato alla rivelazione,
alla "vera" conoscenza. Perciò l'atteggiamento
della Chiesa nei confronti della tradizione
classica fu di rifiuto in termini dottrinali, ma di
costante assimilazione nella pratica: da un lato si
studiavano i classici per potersene servire, dall' altro
si rifiutavano i loro valori filosofici e morali.
Per le ragioni che abbiamo detto, gli intellettuali
medievali non rispettavano l'integrità dei testi pagani,
ma estrapolavano materiali da utilizzare nelle
più svariate occasioni, isolando, le opere dal loro
contesto storico e culturale. E chiaro che in
questo modo potevano accadere grossolani travisamenti,
perché ci si ostinava a cercare nelle opere
classiche valori e significati vicini al Cristianesimo,
presentimenti e prefigurazioni della verità
cristiana. Soprattutto la poesia si prestava a una
lettura di questo tipo e il caso più significativo fu
l'interpretazione di certi passi di Virgilio. Per
esempio, l'età dell'oro preannunciata dal poeta
nella IV Egloga delle Bucoliche fu interpretata
come l'avvento dell'era cristiana attraverso lanascita
del Cristo (in realtà Virgilio intendeva esaltare
la futura nascita del figlio di Ottaviano).
Fu san Paolo che iniziò questo procedimento applicandolo
alle Sacre Scritture con la definizione
dei quattro significati del linguaggio biblico:
letterale (il testo significa esattamente ciò che
dice);
allegorico (l'autore esprime e il lettore individua
un significato nascosto, diverso da quello
letterale);
morale (i significati morali del testo);
anagogico (si cercano nel testo significati spirituali
o mistici).
!' .,,": :,:;
... - r. -... ~ ~=""~ ,.... - o- ...- 'lo- ....... .........
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.. . 'k ~ ... ',:J';..- ...... .>- <><= .... \ .... .
·'· X J J lì
La lettura allegorica non fu applicata solo ai libri,
ma anche al mondo e alla natura. A questo proposito
si parla di allegorismo medievale, che si
fonda sull'idea religiosa e filosofica che ogni cosa
che ricade sotto i nostri sensi è permeata di soprannaturale
ed è segno di una realtà divina, in
quanto l'universo visibile è solo una sorta di maschera.
Era infatti molto diffuso spiegare i fenomeni
naturali o gli avvenimenti storici ricorrendo
alla magia o alla religione.
L'organizzazione della scuola
medievale
A partire dall'anno Mille, presso monasteri e cattedrali
furono create delle scholae dove gli insegnanti
(scholastici) elaboravano le proprie dottrine.
Dalla tradizione classica la scuola ecclesiastica
medievale ricavò interessi, strumenti, metodi e
ordinamento degli studi. Esistevano due livelli di
istruzione: il primo prevedeva l'insegnamento
della scrittura e la lettura, il far di conto e il canto.
Il livello superiore era organizzato intorno a
sette discipline, o "arti", divise in due gruppi:
il trivio, che comprendeva grammatica, retorica
e dialettica;
il quadrivio, che comprendeva aritmetica, geometria,
astronomia e musica.
_ Privilegiate nell'insegnamento erano le arti del
~-trivio, ritenute indispensabili per la comprensio-
_ ne dei testi sacri. Per queste materie si utilizzavano
testi di autori classici, accuratamente selezionati
e, naturalmente, epurati dai contenuti non in
linea con la dottrina cristiana.
La lin ua e la scrittura
Un caso rappresentativo dei mutamenti dell'Alto
Medioevo è quello della lingua. Nessuna delle popolazioni
germaniche che s'insediarono nell'Impero
riuscì a imporre la propria lingua; in tutte le
regioni di antica e radicata presenza romana (Italia,
Gallia, Spagna, Dacia, coste adriatiche orientali,
fascia costiera dell'Africa settentrionale) la
lingua parlata rimase il latino .
. Comunque, già ai tempi dell'Impero la lingua
parlata non era omogenea: c'era il latino classico,
utilizzato nelle scuole, nei tribunali, nelle opere
letterarie e scientifiche, nei discorsi ufficiali; e
c'era poi un latino colto, che si era evoluto rispetto
al lessico e alla pronuncia del latino classico
e rappresentava la lingua della nobiltà e degli
intellettuali. Da questi due idiomi cominciò a diversificarsi
sempre più, fin dal I secolo a.C., il latino
parlato dalle classi popolari, il cosiddetto latino
volgare (da vulgus, "popolo"). Tutto questo
processo costituiva una delle prime avvisaglie
della trasformazione che avrebbe favorito lanascita
dei diversi dialetti volgari e, successivamente,
delle lingue neolatine (italiano, provenzale,
francese, spagnolo, catalano, portoghese, rumeno
ecc.).
Tra il VI e l'XI secolo, i volgari si arricchirono di
prestiti derivati via via dalle parlate germaniche,
mentre il latino scritto si allontanò sempre più
dalla norma classica, a causa delle intrusioni di
volgarismi lessicali e della progressiva semplificazione
della sintassi. I pochissimi che sapevano
scrivere e avevano una qualche formazione culturale
erano bilingui, cioè scrivevano in un latino
sufficientemente corretto e parlavano in volgare:
si trattava dei chierici, cioè di persone dotte, laici
o ecclesiastici; gli altri, nella quasi totalità analfabeti,
conoscevano solo la lingua con cui si esprimevano:
il volgare.
La letteratura
Non conosciamo nessuna produzione letteraria del
mondo delle tribù germaniche e questo è del tutto
naturale, visto il loro nomadismo. I Germani, comunque,
così come i Greci, tenevano in gran conto
i cantori, i bardi, che, passando di tribù in tribù, e
poi nei vari regni, cantavano le gesta dei loro dèi e
dei loro eroi. Da questa tradizione orale nasceranno
poi le grandi saghe poetiche che si sono tramandate
per iscritto fino a oggi.
nuovo Impero, quello bizantino propriamente
detto: un Impero che aveva come lingua ufficiale
il greco, la cui capitale tornò a essere chiamata Bisanzio,
e i cui costumi si fecero sempre più orientali.
Durante il regno di Eraclio, l'Impero romano
d'Oriente cominciò a perdere i territori italiani,
che passarono sotto la dominazione dei Longobardi.
Mantenne infatti solo la Sicilia e la zona costiera
dell'Adriatico.
Eraclio dovette affrontare i Persiani, che negli anni
precedenti avevano saccheggiato Gerusalemme
( città santa per i cristiani) e avevano minacciato la
stessa Bi3>anzio. Riuscì a spingersi fino alla capitale
Ardashir, dove distrusse il tempio di Zoroastro,
il principale centro di culto persiano; i Persiani
reagirono ponendo l'assedio a Bisanzio, che tuttavia
seppe resistere. La guerra si concluse due an -
ni dopo, nel 628, quando l'imperatore inflisse una
disfatta totale ai Persiani in Assiria e rientrò in
trionfo a Bisanzio.
Eraclio avviò un'importante riforma interna, riorganizzando
il territorio imperiale in temi. Si trattava
di province militari guidate da uno stratega
(di nomina imperiale), sempre pronto ad agire
militarmente nella propria area territoriale e che
si doveva occupare del reclutamento in loco del-
1' esercito. Da quel momento, le milizie imperiali
non furono più composte da mercenari, sgravando
così le casse dello Stato di costi enormi.
Intanto però, sia per l'Impero bizantino sia per
ti al tempo dell'assedio
conservare la loro efficacia
e che nessun pregiudizio
possa derivare ai
proprietari per la perdita
dei medesimi; infatti la
ragione del diritto non
consente che ciò che è
stato fatto legalmente
venga annullato per casi
fortuiti.
X. Prescriviamo che il
pagamento delle contribuzioni
si debba fare formalmente
nei consueti
luoghi e tempi, senza che
il sopravvenire dei nemici
possa produrre alcuna innovazione
al pagamento
dei tributi, dovendo per
l'avvenire farsi ogni pagamento
giusta la consuetudine
e il tenore delle nostre
leggi tanto nella cassa
erariale quanto nella provincia.
XIII. A ciascuno deve restituirsi
la proprietà.
Ci risulta che alcuni,
dopo scacciati i nemici
dalle province coli' aiuto
di Dio, si appropriarono
del bestiame dagli stessi
nemici abbandonato e
che in precedenza apparteneva
a terzi; prescriviamo
quindi che, esaminata
la causa, venga restituito
a ciascuno quanto gli
spetta.
quello persiano, entrambi provati dalla lunga
guerra che avevano combattuto, si profilava un
nuovo' pericolo: l'Islam. Alla metà del VII secolo
Siria, Palestina ed Egitto furono le prime perdite
che l'impetuosa espansione araba inflisse a Bisanzio.
La dinastia isaurica (717-867)
e l'iconoclastia
f.frà l'VIII e il IX secolo, dopo una fase trava~
llta da lotte intestine, regnò a Bisanzio una dina-
Ìstia di imperatori provenienti dall'Isauria (una
Jregione dell'Asia Minore), il cui fondatore fu
!Leone III (717-740). f'A quel tempo gli Arabi erano entrati nell'Egeo e
·~vevano conquistato Creta e Cipro; ormai pun-
'tavano alla conquista della stessa Bisanzio e pro-
'.1~rio nell'anno in cui Leone III salì al trono ten-
'i:arono, come già altre volte, l'impresa ma furono !
respinti. Bisanzio avrebbe resistito all' espansioh
e islamica (prima araba e poi turca) ancora per
sette secoli, e anzi, in certi periodi tornerà temporaneamente
a espandersi a spese dei popoli
confinanti.
La lotta fra Cristianesimo e Islam avrebbe rap-
. presentato uno dei tratti costanti di tutta la storia
medievale dell'Oriente mediterraneo, e in
parte anche dell'Occidente. Ma l'imperatore
Leone III è ricordato soprattutto come colui che
avviò una violenta lotta religiosa, l'iconoclastia,
che dilaniò l'Oriente cristiano per più di un secolo
[ ooc. P. 88].
Gli iconoclasti erano contrari a ogni forma di
culto delle immagini sacre; questa posizione non
era solo religiosa, bensì nascondeva precisi intenti
politici. Il culto delle immagini si era, infatti,
diffuso ampiamente, soprattutto nel mondo
orientale, favorito dai grandi monasteri (vedi p.
92).
Nel 726 Leone III cercò di limitare appunto il
potere dei monasteri (che nel tempo avevano
ammassato grandi ricchezze) con un editto che
proibiva il culto delle immagini della Madonna e
dei santi, ne ordinava l'immediata distruzione, e
prevedeva la confisca di molti terreni per distribuirli
ai piccoli proprietari.
Il conflitto divampò violentissimo, a tratti con i
caratteri di una vera e propria guerra civile, e coinvolse
anche l'Occidente. La Chiesa di Roma si
oppose all'iconoclastia e prese posizione contro
Tra le risoluzioni adottate
dalla Chiesa bizantina per
condannare il culto delle
immagini spicca quella
presa alla fine del concilio
di Costantinopoli del 754.
Gesù, fonte per noi di salvezza,
così come un tempo
aveva inviato i suoi discepoli
e apostoli, per annientare
i nostri errori, allo
stesso modo ha fatto sì
che i nostri pii imperatori
si opponessero alla nuova
idolatria. Poiché non poteva
ammettere che la
Chiesa fosse più a lungo
tormentata dalla malizia
dei demoni, ha convocato
la santa riunione dei vescovi.
[. .. ]
Dopo aver esaminato le
decisioni dei sei concili
ecumenici, ci siamo con -
vinti che l'arte colpevole
I lavori di questo concilio,
al quale non parteciparono
i vescovi della Chiesa
occidentale, furono guidati
dal vescovo Teodosio di
Efeso.
della pittura costituiva un
sacrilegio contro il dogma
della nostra salvezza. [. . .]
Cristo significa Dio e uomo;
ne consegue che in
quell'immagine di Dio e
dell'uomo, egli ha contaminato
con audacia insensata
la natura divina
con la carne creata, in una
fusione che non deve mai
avvenire. Egli si è dunque
reso colpevole di un doppio
sacrilegio: aver preteso
di rappresentare la natura
divina, che non deve
mai essere rappresentata,
e aver mescolato la natura
divina all'umana.
l'imperatore, condannandolo nel 731. Il VII
concilio ecumenico di Nicea (787) condannò
nuovamente l'iconoclastia che riprese tuttavia
con gli imperatori Barda e Teofilo. La Chiesa di
Roma domandò aiuto ai Franchi ed ebbe inizio
così una nuova fase della storia dell'Occidente
sotto la guida del regno dei Franchi e del papato:
l'incoronazione di Carlo Magno a imperatore
d'Occidente da parte del papa, nell'800, fu il gesto
che indicò, fra l'altro, la fine dell'obbedienza
papale agli imperatori bizantini.
Nell'843, un editto dell'imperatrice Teodora segnò
la definitiva sconfitta degli iconoclasti e
reintrodusse il culto delle immagini.
La dinastia macedone
(867-1081)
Con la dinastia macedone l'Impero riacquistò una
notevole solidità interna e tornò a essere la potenza
egemone del mondo orientale, contrattaccando
gli Arabi, il cui Impero si era nel frattempo
frammentato in diversi regni indipendenti, e riconquistando
la Siria e l'isola di Creta.
La figura più importante della dinastia macedone
fu Basilio II (976-1025). Durante il suo lungo
regno si risolsero i conflitti con le popolazioni
barbariche che premevano da tempo ai confini
balcanici. Basilio sconfisse i Bulgari ma, dopo
la vittoria, preferì pacificare la regione, concedendo
alla Bulgaria l'autonomia religiosa, culturale
e amministrativa. Intanto, all'interno dell'Impero,
aumentava il potere dell'aristocrazia
terriera: essa si impadroniva sempre più dei possedimenti
della piccola proprietà contadina -
che per secoli aveva costituito una delle forze
più solide dell'Impero - inglobandoli nei grandi
latifondi.
Nell'XI secolo, mentre i problemi alle frontiere
si aggravavano nuovamente, si consumò la frattura
definitiva con l'Occidente cristiano. Nel
1054, infatti, la Chiesa cattolica romana e la
Chiesa d'Oriente, che si proclamava "cristiana
ortodossa", si scomunicarono a vicenda (una
scomunica ritirata formalmente solo nel 1965).
Le motivazioni religiose dello scisma riguardavano
il modo di concepire il rapporto fra le persone
della Trinità, da tempo materia di contrasti
fra i teologi, e il diritto del vescovo di Roma
(cioè il papa) al primato su tutti i cristiani, primato
che la Chiesa orientale negava. Natural-
mente, però, la questione implicava anche la rivalità
politica tra Roma e Bisanzio.
La dinastia dei Comneni
(1057-1185)
I Comneni erano una grande famiglia aristocratica
di proprietari terrieri. Sotto la dinastia a cui
diedero vita, l'Impero godette di grande splendore
e prosperità, ma all'esterno si crearono le situazioni
che l'avrebbero condotto alla rovina: i
Turchi, che avevano spodestato gli Arabi alla guida
del mondo islamico, aumentavano infatti la loro
pressione e i popoli slavi minacciavano la ribellione.
Nel 1096 la prima crociata della cristianità occidentale
partì per la Terra Santa; giunta a Bisanzio,
fu accolta con sospetto dalle genti dell'Impero,
che vi vedevano, non a torto, un atteggiamento
ostile nei loro confronti.
Nel 1204, in occasione della quarta crociata, Bisanzio
cadde addirittura nelle mani dei crociati.
Protagonisti dell'evento furono i Veneziani, che
ambivano a sostituirsi a Bisanzio nelle rotte commerciali
per l'Oriente, i quali s'impadronirono di
un grandioso tesoro custodito ancora oggi nella
basilica di San Marco a Venezia.
La dinastia dei Paleologi
(1261-1453.,__ _____ _
La conquista di Bisanzio da parte dei crociati nel
1204 e la salita al trono addirittura di uno straniero,
il conte di Fiandra, costituirono una svolta determinante
nella storia dell'Impero bizantino. Nel
1261 i Bizantini riconquistarono il potere e si affermò
la dinastia dei Paleologi, ma ormai il territorio
dell'Impero si era ridotto esclusivamente alla
regione circostante la capitale. Intanto, in Asia Minore,
prendeva il sopravvento la potenza dei Turchi
Ottomani: le incessanti guerre civili interne favorirono
la loro avanzata e, il 29 maggio 1453, dopo
una strenua difesa, Bisanzio cadde nelle loro
mani.
L'imperatore Costantino XI Paleologo morì combattendo
in difesa della capitale e con lui ebbe fine
il lungo percorso dell'Impero romano d'Oriente e
della civiltà bizantina.
Le origini del monachesimo
cristiano in Oriente
Un aspetto importante della cultura bizantina fu
rappresentato dalla diffusione del monachesimo
[ DOC. P. 97].
Nell'epoca delle invasioni barbariche, di fronte
alla caduta delle istituzioni romane e alla perdita
di ogni fiducia nel futuro, molti cittadini cristiani
si ritirarono in luoghi appartati, per vivere la propria
esistenza nella contemplazione e nella preghiera.
Questo fenomeno è stato definito monachesimo
ed ebbe origine da pratiche di vita eremitica
[ LETTURA P. 91] diffuse in Medio Oriente anche
in epoche precedenti.
Nel II secolo a.C., per esempio, alcuni gruppi di
Il Le grotte di Qumran, nei pressi del mar Morto, in cui sono
stati trovati antichi manoscritti di carattere religioso.
Ebrei si stabilirono nella zona del mar Morto, in
completo isolamento dal mondo. Conosciamo
questa esperienza perché, tra il 1947 e il 1956, in alcune
grotte della zona sono stati trovati numerosi
manoscritti di carattere religioso. Si trattava di una
comunità che lavorava, studiava e scriveva, vivendo
in povertà. Su questo esempio nacque, secoli
più tardi, il monachesimo cristiano orientale: nel
III secolo gruppi sempre più numerosi di persone
si avventurarono in zone desertiche dell'Egitto, dove
vissero in solitudine, povertà e preghiera.
Fra i motivi che generarono questo fenomeno vi
fu il desiderio di seguire integralmente l'esempio
di Cristo, che era rimasto quaranta giorni nel deserto
e che aveva detto: «Va', vendi quello che hai
e dallo ai poveri». L'ideale, quindi, era di una vita
vissuta nella rinuncia totale alle soddisfazioni corporali,
nel controllo delle passioni, nell'assoluta
povertà e castità. Il monachesimo orientale prescriveva
ai monaci di vivere in solitudine, separati
dal mondo: con la nascita del monachesimo occidentale
(vedi p. 134), invece, anche la Chiesa
contribuì alla creazione di un mondo nuovo in cui
preghiera e lavoro, contemplazione e vita in comunità
avevano uguale dignità.
Le soluzioni estreme:
gli eremiti e gli stiliti
Fin dall'inizio, il monachesimo cristiano assunse
varie forme.
La soluzione estrema fu l' eremitismo ( dal greco
eremos, "solitario"), cioè la scelta di una vita vissuta
in rigorosa solitudine e in luoghi spesso inaccessibili.
Alcuni di questi eremiti -
o anacoreti ( dal greco
anachorein, "ritirarsi") -
divennero famosi. Erano
venerati per la loro saggezza
e alle loro grotte o
capanne convenivano folle
di fedeli per sentirli parlare,
per confessare i propri
peccati, per avere un
consiglio. ,
Assai diffuse tra gli eremiti
furono diverse forme di
mortificazione del corpo:
così si metteva in atto una
pratica penitenziale e, allo
stesso tempo, purificatriI.'
eremita. una scelta
alternativa
John Gordon Davies, uno
studioso inglese della
Chiesa primitiva, partendo
dall'analisi della vicenda
del primo monaco Antonio,
analizza alcune delle cause
della diffusione della
pratica ascetica in Oriente.
L' ideale di una vita
mortifi~ata non
era mai stato assente
nel Cristianesimo,
fin dal suo inizio, e nel II
e III secolo molte comunità
avevano un gruppo
interno di vergini e di
asceti. Nella seconda metà
del III secolo, numerosi
uomini adottarono la
vita anacoretica e tra questi
va ricordato soprattutto
Antonio.
Antonio nacque nel 251
circa nel villaggio di Conias
nel Medio Egitto, da
genitori benestanti. Poco
dopo la loro morte, quando
aveva ancora diciotto
anni, rinunciò a tutta la
sua eredità per mettere in
pratica il messaggio del
Vangelo «Vendi ciò che
hai», e si mise sotto la tutela
di un vecchio asceta,
che viveva alla periferia
del villaggio; là egli lavorò
manualmente, pregò e
lesse la Bibbia. Per trentacinque
anni, durante i
quali visse un po' in una
tomba e un po' in un castello
abbandonato, si dedicò
alle pratiche ascetiche,
finché la sua fama di
ce, che doveva consentire un più diretto contatto
spirituale con Dio.
Una di queste forme, tra le più estreme, fu quella
degli stiliti [ LETTURA P. 92], ossia persone che vivevano
anche per lunghi periodi sopra alte colonne
(dal greco stylos, "colonna"). Lo stilita più famoso
fu Simeone il Vecchio, un siriano vissuto nella prima
metà del V secolo; l'agiografia cristiana racconta
che egli visse per tre anni
nel deserto su una colonna, in
digiuno e quasi sempre ritto
in piedi.
Naturalmente anche gli stiliti
divennero oggetto di venerazione
e sotto le loro colonne si
radunavano folle numerose,
che pregavano, chiedevano benedizioni
o addirittura profezie.
D Gli stiliti, diffusi soprattutto in
Oriente, erano circondati dalla venerazione
popolare. In un rilievo
dell'epoca è rappresentato uno
stilita sulla sua colonna mentre riceve
del cibo.
santità non attrasse tali
folle che egli, in cerca di
una maggiore solitudine,
si ritirò nel deserto. Molti,
tuttavia, lo seguirono e,
costruendo delle celle vicino
alla sua, vissero una
vita semi-eremitica, sotto
la sua guida. A parte due
visite in Alessandria, rimase
in un relativo isolamento
e morì il 17 gennaio
356.
Mentre sarebbe peccare
di eccessivo semplicismo
considerare Antonio come
il fondatore del monachesimo
cristiano, non ci
può essere dubbio che l' esempio
della sua vita esercitò
una notevole attrazione
su molti che erano portati,
per le circostanze del
tempo, a volgere le spalle
al mondo.
La pace della Chiesa aveva
praticamente chiuso la
lista dei martiri, all'interno
dell'Impero, e i monaci
vennero fuori in gran
numero, presentandosi, in
un certo senso, come eredi
del loro esempio eroico
di virtù. La crescente secolarizzazione
della Chiesa,
dovuta alle incursioni
di opportunisti e di pagani
semi-convertiti, portò
molti a protestare. I padri
del deserto in realtà non
fuggirono tanto dal mondo
in se stesso quanto dal
mondo all'interno della
Chiesa. Ci furono, naturalmente,
altre influenze a
favorire il movimento monastico.
Fra l'altro la persecuzione
aveva spinto a rifugiarsi
nel deserto molti cristiani
e una volta là, essi si erano
accorti che era possibile
I cenobiti e i primi monasteri
Il termine cenobita viene dal greco koin6s, "comune"
e bios, "vita", quindi indica il membro di
una comunità. Esempi di vita associata tra cristiani,
in luoghi isolati dalla civiltà, sorsero già nel III
secolo (vedi p. 90).
A quanto sappiamo, il primo monastero vero e
proprio fu fondato nel 320, in Egitto. La comunità
eleggeva una sua guida, l'abate, che fissava tutte
le norme della vita in comune.
Pochi decenni più tardi, nella seconda metà del
IV secolo, il vescovo Basilio di Cesarea (città delS
alendo sulla sua
colonna, lo Stilita
faceva / in qualche
modo voto lli stabilità.
Non si tratta di un voto
f li . I atto esp c1tamente, ma,
come mostri no le storie
degli Stiliti,! sono tutti
ben decisi a non discendere,
e la loro costanza
contrasta ~tranamente
con lo spirito errabondo
di cui prima hanno talvolta
dato prova.
Si resta stupiti nel vedere
la costanza di questi asceti
nelle torture inaudite
che infliggono loro l'immobilità,
il rigore delle
stagioni e i pericoli che
corrono durante le tempeste.
[ ... ] Gli Stiliti stavano
generalmente in
piedi. Tale posizione è
per così dire la parte essenziale
della loro rude
penitenza. E pare che esla
Cappadocia) dettò le regole del monachesimo
orientale. Evidentemente, dunque, esso doveva
essersi già diffuso. Basilio rafforzò moltissimo il
potere dell'abate, regolamentò il digiuno e stabilì
come colonne portanti della comunità monacale
l'ubbidienza (il dovere principale del monaco), il
lavoro, la povertà e la castità.
All'inizio, nel III e nel IV secolo, il monastero non
era altro che un insieme di ripari naturali o di rozze
capanne in cui i monaci vivevano quasi sempre
soli. Nel V secolo cominciarono a essere costruiti
in Siria e in Egitto edifici di pietra, protetti da
mura e addossati a una basilica. Nel XII secolo i
monasteri orientali erano ormai simili a un castello,
tanto che venivano usati anche per funzioni
militari di difesa del territorio.
Nel millennio di vita dell'Impero bizantino, i monasteri
aderenti alla riforma di Basilio ebbero
un'importanza eccezionale, sia per la grande preparazione
culturale dei monaci sia per la loro vicinanza
alla vita e alle esigenze del popolo.
Dopo l'invasione turca, nel X:V secolo, questa importanza
venne meno, ma ancor oggi in Grecia e
nel mondo slavo esistono monasteri che si ispirano
al pensiero di Basilio. Fra i più celebri vi è
quello sul monte Athos, in Grecia.
si non abbiano preso altra
posizione se non perché
costretti da malattia.
Il cibo degli Stiliti, si capisce,
era dei più semplici,
era quello della maggior
parte degli eremiti,
con questa differenza che
il loro approvvigionamento
dipendeva maggiormente
dagli amt1
esterni. Gli Stiliti la cui
fama attirava grande concorso
di popolo o che stavano
in prossimità di un
grande centro popolato,
erano sicuri di non mancare
del necessario; ma
nei luoghi poco frequentati
il loro isolamento li
esponeva a morire di fame.[
.. . ]
Noi comprendiamo difficilmente
che questi pii
uomini abbiano potuto
agire in tal modo senza
tentare la Provvidenza.
La semplicità è la loro
grande attenuante.
Una delle più dure penitenze
che alcuni Stiliti si
imponevano era la privazione
di sonno. Il loro
breve riposo gli Stiliti lo
prendevano senza dubbio
appoggiati contro il
parapetto.
La difficoltà di farsi sentire
dalla folla dipendeva
molto dall'altezza della
colonna e dai polmoni
dello Stilita. La grande
colonna di Simeone il
Vecchio era alta da 16 a
18 m. Si capisce come i
biografi abbiano avuto ·
cura di annotare che egli
era obbligato a gridare
non soltanto per dominare
il tumulto che talvolta
si produceva, ma anche
per dare il benvenuto a
quelli che aspettavano il
loro turno di salire.
• LA SOCIETÀ E LE ISTITUZIONI
La società bizantina
La società bizantina aveva una struttura gerarchica
rigidamente piramidale.
Al vertice stava l'imperatore che, dopo avere sottratto
al Senato la maggior parte dei poteri, era
ormai divenuto un monarca assoluto di stampo
orientale [ LETTURA P. 94].
Sotto di lui vi erano la corte, i funzionari, i militari
e le autorità ecclesiastiche che, con Giustiniano,
assunsero un grande potere;· in cambio
questi ceti privilegiati offrivano un appoggio quasi
incondizionato all'imperatore.
La società era divisa in varie fasce. Ceti privilegiati
erano senza dubbio gli artigiani e i mercanti,
che traevano grandi vantaggi dal fatto che Bisanzio
era al centro dei più importanti traffici internazionali.
Nelle campagne i contadini si dividevano
tra piccoli proprietari e affittuari. Vivevano
quasi tutti in piccoli villaggi e gli abitanti erano legati
tra loro da un vincolo di responsabilità comune.
Se un contadino, per esempio, non riusciva
a pagare le tasse, l'intera comunità ne rispondeva
davanti ali' erario.
[ ... ] Dall'alto della loro
colonna questi solitari
esercitavano un vero apostolato
[. .. ]. Certo la folla
è attirata dallo spettacolo
strano che lo Stilita offre
al suo sguardo. Ma essa
non subisce meno la seduzione
che esercita sugli
animi la carità unita alla
più completa rinuncia.
Ed è quello il segreto della
fiducia che questi uomini
ispirano [ ... ].
Si è detto degli Stiliti che
essi costituivano una "deviazione"
del monachesimo.
Perché deviazione?
Sarebbe più giusto considerarli
come una branca
del ramo orientale dell'istituzione
monastica. È
fiorita in condizioni che
non esistono più, e, aggiungeremo
francamente,
il cui ritorno non è del
tutto auspicabile.
La Chiesa occidentale,
che non si è mostrata favorevole
a essi, s'ispirava
a una visione più elevata
della vita monastica. Il fine
supremo della vita spirituale,
in effetti, non è di
perseguitare i corpi. Si
può rendere omaggio alle
buone intenzioni di questi
uomini che hanno cercato
di realizzare in se
stessi qualcosa di una tale
esistenza sovrumana; ma
dispiace che molti abbiano
tenuto a riprodurne
quasi soltanto il tratto
meno essenziale, e che il
loro istinto religioso non
li abbia aiutati a scartare
ciò che si prestava precisamente
alle critiche.
da H. Delehaye,
I santi stiliti, Picard, Parigi 1923
La rifondazione del diritto
L'ambito al quale Giustiniano si dedicò con maggior
cura, quello al quale ancora oggi in tutto il
mondo civile è accostato il suo nome, fu senza
ombra di dubbio quello giuridico-legislativo.
Egli, infatti, si propose di dare avvio alla riorganizzazione
dell'intero corpo legislativo che Roma
aveva approntato in nove secoli della sua storia a
partire dalle Leggi delle Dodici Tavole del 451 a.C.
Scelse così un esperto giurista, Triboniano, al
quale affidò il compito di rivisitare, riorganizzare,
sistemare l'imponente materiale giuridico e legislativo
che la civiltà romana aveva prodotto per
«fare delle leggi certe e indiscutibili» perché sulla
legge si fonda la società degli uomini. Questo
compito era il compito dello Stato, che allora si
incarnava nell'imperatore voluto da Dio. Il risultato
fu la creazione del Corpus iuris civilis, un vero
e proprio ripensamento del sistema legislativo
ereditato dai Romani, in cui l'antica tradizione romana
venne rispettata, ma anche riletta alla luce
delle nuove esigenze dell'Impero bizantino. Ne è
una prova il fatto che le prime tre delle quattro
parti in cui è diviso il Corpus furono scritte in latino,
la quarta in greco, in omaggio alla lingua che
dalla metà del VI secolo divenne la lingua ufficiale
dell'Impero.
Queste sono le quattro parti del Corpus iuris civilis:
1. il Codice, che raccolse tutte le costituzioni imperiali
promulgate da Adriano in poi;
2. il Digesto (dal latino Digesta, cioè "cose raccolte
ordinatamente") o Pandette (dal greco
Pandéktai, cioè "che accolgono, comprendono
tutto"), che raccolse i pareri dei più illustri giuristi
di tutti i tempi;
3. le Istituzioni, una specie di manuale che descriveva
i princìpi generali del diritto privato;
4. le Novelle, l'insieme delle leggi imperiali emanate
dallo stesso Giustiniano dopo il 534, anno
in cui l'intero Corpus fu emanato.
Giustiniano, in questo suo ambizioso progetto,
voleva rendere evidente la diretta continuità fra il
suo Impero e quello romano e contemporaneamente
dimostrare che solo il diritto poteva essere
il garante della stabilità dell'Impero. Con Giustiniano
entrò dunque nella storia del pensiero, e
pertanto della civiltà, l'idea dello Stato fondato
sul diritto.
Tale immensa opera giuridica fu il risultato di più
culture, che vennero così a sommarsi. Fondamentale
fu il recupero del diritto romano, al quale
Alexander Kazhdan, storico
russo, in questo passo
puntualizza la funzione e il
significato del ruolo
de/l'imperatore nella
società bizantina.
L a prima funzione
dell'imperatore
era quella rappresentativa:
egli impersonava
l'Impero bizantino,
simbolizzava, incarnava
in forma materiale e sensibile
la sua implicita potenza.
La dottrina politica
bizantina presentava 1'imperatore
come una divinità
terrestre. Imitare Dio
era il primo dovere d~ll'imperatore
e tutto il rituale
· della vita di corte
era destinato a ricordare
il legame segreto tra il basileus
e il re del cielo. Durante
le udienze ufficiali
l'imperatore sedeva su un
trono a due posti: nei
giorni feriali sedeva sul
trono di destra e nei giorni
festivi su quello di sinistra,
lasciando libero
quello di destra per Crin.\;.
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f~~~~::K~;~:~~~{~~~!!~~:~tLW. - ~ ....... UUHltn,.,u~-itur-.t'(;t . .
1\1 Una pagina miniata del Digesto in cui un giudice, circondato
da giuristi, esprime il suo giudizio.
sto, simbolicamente rappresentato
da una croce
che veniva posta sul trono.
L'imperatore era trattato
come una entità cosmica
e veniva spesso
chiamato con l'epiteto
«sole». [. .. ]
Il basileus era una figura
sacrale; la sua abitazione
era un palazzo sacro, i
suoi vestiti, come il palazzo,
erano sacri. L'oro e soprattutto
la porpora erano
il simbolo della grandezza
dell'imperatore;
egli sedeva su cuscini di
porpora, firmava con inchiostro
rosso e soltanto
lui poteva indossare calzari
di porpora. La comparsa
in pubblico dell'imperatore
si trasformava in
un rito: si stabiliva inanticipo
quali cittadini potevano
incontrarlo e con
quali parole dovevano riverirlo.
Il culto dell'imperatore
costituiva uno degli
elementi della religione
di Stato.
Ma anche nel culto dell'imperatore,
la divinizzazione
del sovrano era accompagnata
da una ostentata
umiliazione. Coperto
da un mantello di seta ricamato
di perle l'imperatore
teneva nelle mani
non soltanto la «potenza»,
il simbolo del potere
terreno, ma anche l' akakia,
un sacchetto pieno di
polvere che ricordava la
caducità del suo essere.
Appena salito al trono il
sovrano doveva scegliere
il marmo per il proprio
sarcofago. Dopo una vittoria
egli rientrava in città
a piedi, mentre sul suo
cocchio che marciava da-
Giustiniano volle ispirarsi, che si arricchì dell'influenza
del diritto greco-ellenistico, in vigore in
tutte le comunità ellenizzate. A tutto ciò si sommò
una forte impronta cristiana: al di là del fatto che
Giustiniano ritenesse che l'ordine giuridico derivasse
dalla teologia, tanto da invocare l'aiuto di
Dio per la sua opera, rilevanti furono anche le interpretazioni
di alcune istituzioni, come il matrimonio,
che divenne un legame di natura divina.
L'economia
Per Costantinopoli passava, e continuò a passare
per molti secoli, la strada dell'economia bizantina,
un'economia floridissima che rappresentò una
delle leve della stabilità dell'Impero bizantino. La
città fu, infatti, primo emporio dell'Impero, principale
luogo di scambi e di commerci, che avvenivano
per mare e per terra, luogo dove fiorì anche
una ricca e varia produzione artigianale, che forniva
manufatti pregiati e oggetti di lusso da esportare.
Dall'India i mercanti bizantini importavano
spezie, profumi e avorio; dalla Cina seta; dalla
Persia gioielli e pietre preziose; dall'Egitto, almeno
fino al VII secolo, grandi quantità di grano;
vanti tirato da cavalli
bianchi veniva posta l'icona
della Madre di Dio che
veniva venerata come la
vera imperatrice. Il basileus
doveva chinare la sua
testa non solo davanti a
Dio e alla morte: secondo
una tradizione consolidata,
a imitazione di Cristo
il sovrano doveva, una
volta l'anno, lavare i piedi
ad alcuni poveri di Costantinopoli.
Il carattere rappresentativo
è un indice del fatto
che non veniva divinizzato
il singolo imperatore o
una famiglia imperiale
ma il potere in1periale in
quanto tale; e questo appare
con particolare evidenza
nella convinzione
dei bizantini che l'incoronazione
purificasse tutti
i peccati, anche quello
gravissimo dell'omicidio.
Il culto dell'imperatore
alimentava la fiducia nel-
1' eternità dell'Impero.
Spesso però la funzione
rappresentativa trasformava
il sovrano in un manichino
da parata. La sua
giornata era regolata da
un severo cerimoniale di
ingressi e di uscite dalla
sala del trono e i pesantissimi
abiti che indossava
rendevano queste cerimonie
delle vere torture. La
funzione rappresentativa
incatenava l'imperatore
alla capitale: egli doveva
mostrarsi al balcone in
determinati giorni, passeggiare
sulla strada principale
di Costantinopoli,
presenziare alle cerimonie
religiose celebrate nella
basilica di Santa Sofia.
Altra funzione dell'impedalla
Siria e dall'Asia Minore cotone e zucchero.
Costantinopoli divenne così il grande mercato
dell'Impero, dove ruotavano enormi interessi gestiti
da ricchi e potenti mercanti.
Proprio durante il regno di Giustiniano finì il monopolio
cinese della seta: durante la metà del VI
secolo, secondo lo storico Procopio, fu introdotta
la coltivazione del baco da seta per merito di alcuni
monaci, il che rappresentò una "svolta" di grande
rilievo nell'economia bizantina [ ooc. P. 96].
Se il commercio rappresentò l'attività primaria
dell'economia bizantina, non va sottovalutata
l'agricoltura, che vide la presenza di grandi latifondi
e di numerose piccole proprietà agricole,
le quali riuscirono a mantenersi autonome grazie
a interventi di sostegno da parte dell' autoriratore
era quella di giustiziare.
Gli imperatori bizantini
fecero largo uso
delloro diritto di condannare
a morte o alla mutilazione
o all'esilio i propri
sudditi; egli poteva anche
confiscare i loro beni e
sostituirli negli incarichi
che ricoprivano nell' amministrazione
dello Stato.
Nei confronti del singolo
suddito i poteri del basileus
erano illimitati, indipendentemente
dalla posizione
sociale del suddito.
1.:illimitato diritto dell'imperatore
a fare giustizia
non venne mai messo
in discussione a Bisanzio.
La terza e certamente la
più importante funzione
dell'imperatore può essere
definita come funzione
amministrativa e legislativa.
1.:imperatore non era
soltanto il giudice, l'amministratore
e il legislatore
supremo: egli era l'incarnazione
del diritto. Secondo
il diritto romanobizantino
tutto ciò che
voleva il sovrano aveva
valore di legge. Il basileus
era al di sopra della legge.
Solo raramente troviamo
nella pubblicistica bizantina
idee che contraddicono
questo principio e
quindi soltanto di rado
troviamo l'affermazione
che il re debba osservare
le leggi e in particolare
quelle fissate. dalle Sacre
Scritture, le regole del
concilio ecumenico e infine
le norme del diritto romano.
da A.P. Kazhdan,
Bisanzio e la sua civiltà, trad.
G. Arcetri, Laterza, Bari 1955
tà centrale, soprattutto per opera di Giustiniano
e di Eraclio. La protezione imperiale salvaguardò
sempre la piccola proprietà, dove i contadini
sapevano trasformarsi, all'occorrenza, in valenti
soldati, pronti a difendere la loro terra, e
perciò l'Impero, dalle invasioni nemiche.
Sintomo della floridezza economica dell'Impero fu
la sua moneta, il solido, una moneta d'oro, di buona
lega, che dominò i mercati fino al X-XI secolo.
Lo storico Procopio di
Cesarea nella Guerra gotica
racconta come, per opera
di alcuni monaci, fu
introdotta a Bisanzio la
coltivazione del baco da
appreso con quale mezzo
sarebbe possibile che la
eta si producesse sul suoo
romano. All'imperatore,
che insistentemente li
interrogava e chiedeva loro
se dawero così fosse, risposero
i monaci che la seta
è prodotta da certi bachi
ai quali la natura è
maestra e li obbliga costantemente
a tal lavoro;
che sarebbe bensì impossibile
trasportar costà viventi
quei bachi, ma facile
e spedito trasportare la loro
semenza; da ciascun seme
nascono uova mnumerevoli,
le quali uova molto
tempo dopo la loro nascita
vengono dagli uomini
ricoperte di stabbio [conseta,
che fino a quel
momento era stata
monopolio della Cina e
della Persia.
cime] e così, riscaldate per
tempo bastevole, producono
animali. All'udir ciò
l'imperatore, fatta promessa
a coloro di grandi
donativi, li incitò a confortare
le loro parole con l' opera.
Ed essi, recatisi nuovamente
in Serinda, portarono
poi le uova a Bisanzio,
e fattele nel modo che
abbiam detto tramutare in
bachi, questi nutrirono
con foglie di gelso, e quindi
per opera loro cominciò
nell'Impero romano la
produzione della seta.
da Procopio di Cesarea,
La guerra gotica, IV, 17, trad. D.
Comparetti, TEA, Milano 1994
m Il recto e il verso di un solido coniato durante il regno di
Giustiniano.
La religione ufficiale e le eresie
Nel 529 Giustiniano chiuse l'Accademia di Atene,
accusata di paganesimo. Da quel momento
l'Impero romano d'Oriente divenne cristiano e
iniziò anche una lotta violenta contro le eresie.
In particolare la Chiesa aveva dovuto affrontare le
gravi controversie sorte sulla natura di Cristo, che
avrebbero potuto minare l'essenza stessa e la peculiarità
della religione cristiana.
La più rilevante eresia fu quella di Ario, prete
alessandrino, vissuto nel IV secolo, che nell'impegno
di corroborare l'aspetto monoteistico della
religione cristiana, sostenne che Cristo era dinatura
umana, la prima creatura di Dio padre, suo
creatore.
La sua affermazione andava, però, a stravolgere il
fondamento primo del Cristianesimo, cioè la natura
divina di Gesù. Scomunicato dal vescovo di
Alessandria, fu costretto a fuggire-dalla città, ma
trovò l'appoggio di molti vescovi d'Oriente e
d'Occidente, il che gli procurò molti seguaci, fra
i quali il missionario Ulfila, che diffuse le idee di
Ari o fra i Germani. L'arianesimo fu condannato
ufficialmente dal concilio di Nicea, presieduto
dallo stesso Costantino.
Nonostante la condanna, l'arianesimo continuò a
diffondersi, soprattutto fra i Goti, i Burgundi e i
Vandali e questo rese più difficile l'integrazione
fra Germani e Latini.
Accanto ali' arianesimo sorse nel V secolo un'altra
eresia, il monofisismo, che sosteneva la natura
esclusivamente divina di Cristo negando la sua
natura umana. Questa "soluzione" alla questione
cristologica si diffuse soprattutto in Egitto.
Nella stessa Bisanzio esistevano gruppi che proclamavano
apertamente la loro condizione di ere-
tici e questo creò una serie di conflitti sanguinosi
che Giustiniano riuscì a eliminare con l'uso della
forza. La tensione era tale che nel VII secolo gli
Arabi, che avevano occupato Bisanzio, vennero
accolti come liberatori.
La religione bizantina, pur nell'ambito cristiano,
assunse due aspetti fondamentali: il culto delle reliquie
e delle immagini.
Nelle basiliche, ma anche nella chiesa del villaggio
più sperduto, venivano esposte le reliquie più
incredibili, come le bende che avevano fasciato
Gli intellettuali pagani . . e I monaci
Nel primo brano
incontriamo l'opinione sui
monaci di una certa parte
I Cristiani introdussero
ne' sacri luoghi i
così detti monaci,
uomini alla forma, ma
porci nel vivere: i quali
anche in pubblico pativano
e facevano infinite turpitudini
da non dirsi [forse
allude al fatto che i monaci
non si lavavano].
di intellettuali pagani, ostili
alla diffusione del
monachesimo.
Il secondo brano è tratto
da una lettera di Libanio,
scrittore pagano e filosofo
greco, vissuto nel IV
secolo. In questo passo
scrive all'imperatore
Teodosio denunciando i
Ma a loro sembrava già
un compito encomiabile
il prendere a giuoco
quanto v'ha di più sacro;
perché ogni uomo che
portasse l'abito nero poteva
fare tutto ciò che voleva
come un tiranno e fare
in pubblico ogni sconcezza:
a tal punto di virtù
Gesù neonato, la spugna con l'aceto usata dal soldato
romano, la lancia che aveva trafitto il costato
di Gesù, naturalmente la croce della passione e
poi una quantità infinita di ossicini, brandelli di
veste, di pelle, falangi o mascelle di ogni genere di
santi.
Il culto delle immagini, poi, divenne talmente ossessivo
da trasformarsi in idolatria: per questo
motivo nell'VIII secolo la Chiesa bizantina tentò
di proibire queste forme di religiosità, scatenando
una lotta durissima che terminò solo nell'843.
monaci come distruttori
dei templi pagani.
Nel terzo brano leggiamo
che cosa pensa dei monaci
Rutilio Namaziano, un
poeta latino di origine
gallica, vissuto tra il IV e il
V secolo, che nel 415 lasciò
Roma e attraversò l'Italia
per raggiungere la Gallia.
avevano costoro condotta
l'umanità! E codesti monaci
si cacciarono in Canopo
[città egiziana famosa
per i suoi templi pagani];
costringendo gli
uomini a comportarsi non
da seguaci di intellettuali
divinità, ma di schiavi, e
schiavi non buoni [allude
al fatto che Gesù era morto
sulla croce come uno
schiavo].
da Eunapio di Sardi, storico
del IV secolo
Q uesti uomini vestiti
di nero che
mangiano pm
degli elefanti, e che, a furia
di bere, stancano le
mani degli schiavi che loro
servono il vino fra i
canti; questi uomini che
nascondono i loro disordini
sotto un pallore procuratosi
con taluni artifizi.
Sì, sono costoro, o imperatore,
che, a dispetto
della legge sempre in vigore,
muovono guerra ai
templi.
Essi portano legna per appiccarvi
il fuoco, pietre e
ferro per rovinarli: coloro
che non ne hanno, si servono
delle loro mani e dei
loro piedi. Abbattono i
tetti, demoliscono i muri,
rovesciano le statue, strappano
di terra gli altari.
Quanto ai sacerdoti, bisogna
che tacciano o periscano!
Distrutto un tempio,
si corre a un altro,
poi a un terzo, e così di
seguito. Essi accumulano
trofei su trofei, a dispetto
della legge.
da Libanio, Lettera alt' imperatore
Teodosio
• LA CULTURA
Una cultura multietnica
A Costantinopoli nel V e nel VI secolo a.C. si parlava
latino: il latino era la lingua ufficiale dell'Impero
proprio lì nel cuore dell'Oriente greco, dove
anche i Greci parlavano e scrivevano in latino, in
ossequio alla romanità. Solo alla fine del VI secolo
il latino fu soppiantato dal greco, che rimase la
lingua dell'Impero.
A Costantinopoli parlavano latino anche tutti coloro
che lì giungevano dai luoghi più lontan;: dalla
Siria, dall'Egitto, dalle città greche, dall'Occidente.
La capitale era un crogiolo di etnie che
conferivano alla città l'aspetto di una metropoli
internazionale, anzi di una città multietnica.
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La letteratura popolare
In campo strettamente letterario i Bizantini non
mostrarono grande originalità. Divennero molto
popolari numerosi romanzi che ricalcavano gli
schemi del romanzo ellenistico. Questi romanzi
avevano un impianto quasi sempre uguale e potrebbero
essere definiti una "soap opera" dell'antichità.
Si cominciava sempre con lo sbocciare
dell'amore tra un giovane plebeo povero e una
giovane nobile e ricca, o viceversa. L'amore veniva
subito contrastato e i giovani, mostrando sempre
una sfortuna incredibile, si dovevano separare,
andando incontro ad avventure e sventure a
ripetizione. Pirati, mercato degli schiavi, lavoro
nelle miniere di sale, stragi efferate erano alcuni
dei normali inconvenienti in cui venivano coinvolti.
Dopo tutto questo, i due giovani si ritrovavano
e si scopriva che il plebeo, il più povero tra
i due, era invece ricchissimo e di alta nobiltà.
A questi schemi si ispirarono parecchi autori dell'Ottocento
e del Novecento, anche importanti,
che, per campare, scrivevano sui giornali romanzi
a puntate di scarso valore. Ovviamente, per tener
desta l'attenzione dei lettori, ogni puntata doveva
terminare con un mistero da risolvere: queste
opere dell'Ottocento furono chiamate in francese
Jeuilletons o romanzi d'appendice, perché venivano
pubblicate, appunto, in dispense, come appendice,
sui quotidiani.
Gli epigrammi
Più dignitosa, invece, è stata la produzione poetica,
incentrata sull'epigramma, una forma di poesia
ridotta ali' essenziale con caratteristiche satiriche
o moralistiche. I due epigrammisti più famosi
furono: Agatia di Mirrina, retore, poeta e storico;
è andato perso il suo poema in 9 libri Dafniache,
mentre ci sono arrivati 98 suoi epigrammi e
un'opera storica in 5 libri sul regno di Giustiniano;
Paolo Silenziario che era un funzionario di
Giustiniano; di lui abbiamo 78 epigrammi e alcuni
poemetti.
Successivamente gli epigrammi vennero inseriti in
varie raccolte, fino a quando alla fine del X secolo,
Costantino Cefala fece redigere un'amplissima
raccolta, che, dal manoscritto in cui ci è pervenuta,
conservato a Heidelberg, nella Biblioteca Palatina,
prende appunto il nome di Antologia Palatina.
Testimonio principe della poesia greca, l'Antologia
copre poco meno di un millennio e contiene
3500 epigrammi ripartiti in 15 libri, divisi per argomenti.
I filologi bizantini
La cultura bizantina si caratterizzò per il forte
amore per l'erudizione: per molti aspetti, si trattò
di una cultura di dotti, accademica, che trovò il
suo centro nell'ambiente dell'università di Costantinopoli,
creata da Costantino nel 330 e rimasta
per tutta la storia dell'Impero il fulcro della vita
intellettuale, dell'insegnamento e della trasmissione
del sapere. La solida formazione scolastica
di una classe dirigente competente e organica al
regime rappresentò uno dei punti di forza nella
storia dell'Impero, e gli permise di non venire travolto
nei periodi di crisi.
Di fondamentale importanza fu l'attività di recupero
e salvataggio delle principali opere della cultura
greca. Questi testi furono studiati, analizzati
e commentati nelle biblioteche delle principali
città dell'Impero, sorte e fiorite durante l'ellenismo,
come Alessandria e Pergamo, e soprattutto
nell'università di Costantinopoli, dopo che Giustiniano
decretò la chiusura della Scuola di Atene,
in quanto pagana e ritenuta poco in sintonia con
il potere politico e religioso dell'Impero. Per secoli
i dotti bizantini si impegnarono nella trascrizione
e nel commento di opere classiche e profane,
oltre che ecclesiastiche e religiose. La maggior
parte dei manoscritti più belli di opere classiche
fu eseguita a Costantinopoli e, se non ci fosse stata
l'opera dei copisti bizantini del IX e del X secolo,
non sapremmo quasi nulla di Platone, di Sofocle,
di Tucidide.
L'arte
La tendenza allo specialismo e ali' erudizione ha
originato, in seguito, l'accezione negativa del termine
"bizantino", diventato sinonimo di un modo
di discutere o ragionare inutilmente contorto e
cavilloso. Così non era in origine e la cultura bizantina
non soltanto ha salvato l'ingente patrimonio
classico, ma ha saputo anche elaborare risultati
artistici estremamente originali e creativi nel-
1' ambito dell'architettura e della decorazione. I
palazzi reali fondevano la tradizione classica con
quella orientale, ma di loro è rimasto ben poco.
Rimangono invece le chiese, con la tipologia del
tutto nuova della pianta a croce con i bracci uguali
e l'enorme cupola che le sovrasta al centro.
Nella decorazione, il mosaico raggiunse vertici di
perfezione mai più toccati. Gli esempi più famosi
si trovano a Ravenna, soprattutto nelle chiese di
San Vitale e di Sant' Apollinare in Classe, fatte costruire
da Giustiniano.
Le scuole e gli insegnanti
Grande rilievo ebbe l'intellettuale laico predisposto
all'insegnamento in una società, dove la Chiesa
non aveva il monopolio sull'istruzione.
Molte scuole elementari sorgevano nei centri di
provincia e spesso nei villaggi, anche se la città rimaneva
il centro culturale primario e, fra le città,
Costantinopoli. Nella capitale vi erano una scuola
superiore e, nell'XI secolo, due facoltà distinte,
quella giuridica e quella filosofica. Qui insegnavano
docenti laici, come laici erano i responsabili
delle scuole; essi godevano pari dignità dei magistrati
dello Stato e potevano conferire personalmente
con l'imperatore. Percepivano un buon stipendio,
un abito di seta l'anno e beni in natura.
Essi potevano restare in carica a vita, ma, se negligenti
o incompetenti, potevano essere allontanati
dal loro incarico. L'insegnante nella scuola studiava
e preparava le lezioni. C'erano anche scuole
private, dove spesso insegnavano dotti famosi e
dove venivano istruiti i figli delle famiglie aristocratiche.
Frequentavano le scuole dei monasteri i
giovani che si accingevano a diventare monaci.
A Costantinopoli esisteva inoltre una scuola superiore
del patriarcato, frequentata da persone
adulte che studiavano in gruppo anche questioni
scientifiche, soprattutto di medicina, scienza particolarmente
fiorente nella cultura bizantina.
li, la "regina delle città"
~-································· .....•.••..•.•.••..•..•.••.........••..•........................................
a loro capitale "re-
é qostantinopoli
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gli imponenti ruassata
grandezza.
ecolo, Costantinonilione
di abitanti,
ccidente non suclima
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raramente molto
ano possibilità di
gricole e orticole,
sce; pesce, verdure
e pane costituivano la dieta fondamentale
di gran parte della popolazione per
l'intero periodo della storia bizantina. Per
i cibi freschi, la città era quasi del tutto autosufficiente
e si doveva importare solo il
grano. All'interno dell'area cintata dalle
mura, una serie di collinette permetteva
varietà di coltivazione ed esperimenti nella
sistemazione del terreno, lasciando contemporaneamente
spazio sufficiente per
giardini e per la raccolta dell'acqua, elementi
ugualmente essenziali per la vita,
specialmente in tempo di assedio. L'acqua
giungeva alla città mediante una serie di
acquedotti in parte sotterranei, in parte
superficiali, ma, in caso di rottura o di altro
incidente che interrompesse la distribuzione,
erano state costruite moltissime
cisterne, alcune aperte, simili a laghetti, altre
sotterranee, coperte da tetti sostenuti
da innumerevoli colonne e archi. Oggi restano
circa quaranta cisterne coperte; una
delle più imponenti è conosciuta dai Turchi
come "la cisterna delle mille e una colonne",
e un'altra, ancora piena d'acqua,
come "il palazzo sotterraneo". Esse sono,
insieme a molte altre, strutture architettoniche
di singolare bellezza. Con l'aggiunta
dell'acqua piovana, esse avrebbero rifornito
d'acqua la popolazione per il più lungo
assedio, mentre gli acquedotti che portavano
acqua alla città erano un lusso per la
fornitura di acqua fresca e abbondante,
più che una vera necessità».
I DIVERSI VOLTI DELLA CAPITALE
A Costantinopoli convissero diverse città:
quella politica, quella produttiva e commerciale,
quella religiosa, quella militare,
quella intellettuale e artistica e quella dei
divertimenti, del lusso sfrenato e del piacere.
La città offriva ai visitatori un colpo
d'occhio incomparabile per la bellezza dei
suoi monumenti, nei quali era ancora presente
lo stile greco classico, per l'enorme
quantità di statue collocate nelle piazze e
nei fori, per le sue larghe strade ornate di
portici splendidamente decorati, per il lusso
delle sue case e per le sontuose decorazioni
delle chiese. Era attraversata da una
via principale, la Mesé, che portava dalla
Porta d'Oro alla piazza dell' Augusteon,
dove si trovavano l'Ippodromo, la chiesa
di Santa Sofia e il Palazzo imperiale, composto
da vari edifici costruiti sul declivio
della collina che digradava verso le rive del
mar di Marmara.
A corte vivevano artisti di ogni genere: pittori,
mosaicisti, architetti, letterati, poeti,
tutti dediti all'esaltazione dell'imperatore
in carica e della sua gloria. Oltre a questi,
sotto Giustiniano, Costantinopoli contò
sulla presenza dei massimi studiosi di diritto
romano, impegnati nella gigantesca
opera di riordino e di sintesi di tutta la
giurisprudenza latina.
L'ippodromo era il più importante centro
di divertimento e di spettacolo. Si diceva
che a Costantinopoli «si trovavano tutti gli
spettacoli che potevano rallegrare le orecchie
e gli occhi», e gli imperatori, sempre
alla ricerca del favore del popolo, come
nella Roma dei secoli passati, organizzavano
spettacoli gratuiti di ogni tipo: corse di
carri, cacce di animali, combattimenti tra e
con belve feroci, rappresentazioni comiche
da circo. A queste si aggiungevano le
rappresentazioni teatrali: erano particolarmente
richieste le farse e le pantomime,
piuttosto che le tragedie classiche.
D Sopra, una veduta di Istanbul nei pressi del
Ponte di Galata. A fianco, l'acquedotto romano. La
città, eretta a capitale dell'Impero romano d'Oriente
da Costantino con il nome di Costantinopoli, assunse
il nome attuale nel 1760.
SANTA SOFIA: IL FIRMAMENTO
AL POSTO DEL TETTO
Simbolo dell'Impero e della cultura bizantina,
la chiesa di Santa Sofia sorse per volere
di Costantino, ma fu riedificata da
Giustiniano, che chiamò alla direzione dei
lavori Artemio di Traile, architetto geniale,
che fece della chiesa il monumento della
città e della Chiesa ortodossa.
La chiesa presenta una originalissima soluzione
architettonica, perché concilia l'impianto
a tre navate, tipico della basilica cristiana
(vedip. 17), con un tipo di copertura
estroso, orientale nella sua magnificenza
monumentale. Domina la copertura,
un'enorme cupola che si amplia in due semicupole
alle estremità, il che le conferisce
un'imponenza unica e nuova. Così la descrisse
un funzionario di corte:
«Chiunque alza gli occhi allo splendido
firmamento del tetto, osa a mala pena fissare
con lo sguardo la sua circolare distesa,
cosparsa delle stelle del cielo, ma volge
gli occhi al marmo verde tenero al di sotto
[. . .]. Chiunque mette piede dentro al sacro
tempio vorrebbe vivere lì per sempre, e
dai suoi occhi sgorgano lacrime di gioia.
Così per consiglio divino, sotto la sorveglianza
degli angeli, il tempio fu costruito
di nuovo».
La basilica a cupola rappresentò la manifestazione
di un profondo mutamento spirituale
e intellettuale: è il trionfo della cultura
orientale che vince sull'anima apollinea
greca; la cupola di Santa Sofia, oltre a
celebrare la vittoria sui nemici esterni e interni,
documenta il progressivo orientalizzarsi
dell'Impero.
Capolavoro della tecnica, vide l'impiego
di 10 000 operai; venne usato il marmo
bianco del Proconneso, quello verde dell'Eubea
e quello rosa di Sunnada. Dall'Egitto
arrivò il porfido, dalla Tessaglia e dalla
Laconia la breccia; oro, argento, pietre
preziose dalle altre zone dell'Impero.
Uno dei mosaici di cui è abbellita la chiesa
raffigura Costantino e Giustiniano con
al centro la Vergine, patrona della città:
Costantino tiene in mano un modello della
città con le mura da lui edificate, Giustiniano
un modello di Santa Sofia. La scena
è altamente simbolica, perché rappresenta
l'ideale continuità fra l'Impero romano
e la nuova realtà, rappresentata dall'Impero
di Giustiniano.
Il 25 dicembre 537, dopo cinque anni di
lavori, la chiesa fu consacrata. Giustiniano
arrivò in carrozza insieme a una folla in
delirio; quando ammirò il capolavoro pare
che abbia esclamato: «Dio sia lodato! Salomone,
ti ho superato». Il Una veduta ester
ccessione a Maometto
uerra santa, la jihad
mayyadi
e e l'inizio della
a, con particolare
'Occidente
lla religione araba nel
a, del diritto e dei
i Stati
ente il patrimonio
dagliAraçi
onseguenze che
to nella cultura
ndo la tradizione religiosa musulmata
dell'Egira (622), gli Arabi diventaella
storia mondiale nel 634. È sotto
e inizia la prima fase di espansione
ico con l'occupazione della Siria,
una parte del territorio dell'Impero
ta della città di Gerusalemme. Una
spansione si registra con il califfato
661 -750), mentre con la dinastia
750 -1258) l'Impero musulmano
e poi entra in una crisi profonda
isgregazione. l:espansione islamica
n la dinastia dei Tu rchi Selgiuchidi
570
Nascita di
Maometto
(Muhammad)
622
L:imperatore bizantino
Eraclio marcia contro i
,.Sintesi dell'unit!, _EJ p. 212 i
Granada: un versetto
del Corano in un
rilievo su una parete
dell'Alhambra.
622 Egira (migrazione)
a Medina di Maometto
630 Maometto entra
trionfante a La Mecca
643
Rotari emana un
editto in cui si
cerca di conciliare
gli usi germanici
con il diritto latino
632-634 684
Inizia la guerra In Cina
sa nta (jihad)
750-1258
Dinastia
degli
Abbasidi
ALTO MEDIOEVO
788-809
Califfato
726
Leone 111 lsaurico a
Bisanzio proibisce
il culto delle
immagini
732
di Harun
al-Rashid
Carlo Martello
All'inizio del VII secolo gran
parte del territorio arabo apparteneva
all'Impero bizantino
e a quello persiano, anche
se la regione era controllata
dai capi tribù arabi e dai mercanti
più agiati. Questo frammentato
mondo tribale fu
unificato da Maometto, che
estese la sua influenza sull'Arabia.
Già prima del 650 risultavano
sottomessi l'Egitto, la Siria, l'Iraq
e le regioni occidentali
della Persia.
Con la dinastia degli Omayyadi
la capitale dell'Impero fu
spostata a Damasco e iniziò
L i 6 i a
o Augila
N
ESPANSIONE MUSULMANA NEL VII-IX SECOLO
"Egira": nel 622 Maometto
~ si reca a Medina
un nuovo periodo di espansione.
Furono assoggettate le
regioni comprese tra il Marocco
e l'Afghanistan, la Spagna
e l'Asia centrale.
Alla fine del X secolo partirono
dall'Afghanistan altre spedizioni
militari che raggiunsero
la valle dell'Indo e riusciroD
Impero romano d 'Oriente
all'inizio dell'espansione araba
Conquiste arabe
Territori unificati
da Maometto (622-632) .....J Conquiste dei califfi
omayyadi (634-750)
Dinastia dei Fatimidi
nell'Africa
settentrionale
999
Il vichingo Leif Eriksson
approda sulle coste del I; Labrador I,
_J Unificazione
dell'Arabia con
Conquiste dei califfi
abbasidi (750-850)
Abu Bakr (632-634)
1055
BASSO MEDIOEVO
1258
Il selgiuchide
Tughrul Beg assume
il potere a Baghdad
1099 1 Conquista della città di
Gerusalemme da parte dei
crociati l 1122
A Worms si sta bilisce un
concordato tra il papa e
l'imperatore
I Mongoli
conquistano
Baghdad
Tra l'VIII e il X secolo, durante la dinastia degli Abbasidi, Baghdad divenne la capitale
dell1Impero arabo e, come vedremo in questa unità, raggiunse il massimo splendore.
Fino a pochi decenni fa, la città conservava ancora numerose testimonianze di questo suo
glorioso passato, ma gli aspri conflitti militari promossi e subiti dall1Iraq, tra la fine del XX
e gli inizi del XXI secolo, hanno irrimediabilmente compromesso molte delle splendide
testimonianze del suo passato. Nell'arco di meno di quindici annz~ infatti~ Baghdad è stata
sottoposta a centinaia di bombardamenti. Oggi nulla rimane della sua grandiosità passata.
Perfino il Museo di Arte Antica, uno dei più importanti del mondo perché racchiudeva
i capolavori artistici dell'antica Mesopotamia, è stato saccheggiato.
I: organizzazione dello Stato si sta ora faticosamente ricostituendo: si cerca di creare una
nuova forma di istituzioni e di superare le difficoltà create dalla guerra e dal terrorismo.
Chi è stato a Baghdad parla di una città morta, con le vie ridotte a sentieri colmi di macerie, che
ha perso perfino la struttura di una città, per ridursi a un insieme di quartieri~ ognuno dei quali
funziona come una piccola comunità di paese. Tutti gli impianti di irrigazione che, in qualche
modo, avevano funzionato fino a poco tempo fa, sono stati abbandonati e ora il Tigri e l1Eu/rate
scorrono senza alcun controllo: la loro acqua, comunque, a poco servirebbe, perché gran parte
della popolazione è fuggita dalle campagne e l'agricoltura, già povera e tecnologicamente
arretrata, ora viene praticata pochissimo. La popolazione vive ormai, per larga parte,
di sussidi~ perché ogni/orma di lavoro è gravemente ostacolata, o resa impossibile, dalla
situazione di guerra.
L'Islam
L'Islam - che assieme al Cristianesimo è oggi la
fede religiosa più seguita al mondo, con oltre un
miliardo di fedeli- rappresentò, seicento anni dopo
la nascita di Gesù, una gigantesca rivoluzione
religiosa, culturale e politica che, partendo dalla
penisola arabica, si diffuse con incredibile rapidità
in immensi territori, dall'Oriente fino alla Spagna.
Esso costituì il punto d'incontro di popoli di
vari continenti, di diversissime culture e tradizioni,
i quali, pur conservando la propria individualità,
trovarono nell'Islam il fondamento delle loro
strutture civili, sociali e politiche, oltre che una
fonte d'ispirazione e di condizionamento nella
cultura, nell'arte e nelle scienze.
L a fonte più importante e
completa per lo studio della
vita di Maometto e della fondazione
dell'Islam è senza dubbio
il Corano. In questo testo sacro
troviamo una serie di norme di
comportamento, spesso anche minute,
che ci permettono di tracciare
un quadro preciso anche della
società e dei costumi.
Nella storia dell'Islam, poi, sono
numerosissimi gli storici che hanno
descritto gli eventi più importanti
come le crociate, le guerre di
conquista e i rapporti con i paesi
Gli Arabi prima di Maometto
La penisola arabica, quasi interamente desertica,
fra il VI e il VII secolo era abitata da tribù nomadi,
i beduini, che costituivano la maggioranza destranieri.
Prima dell'XI secolo ricordiamo
studiosi insigni come alTabari
e al-Bahadhuri e nel Xlii secolo
compare il dizionario biografico
dell'Islam, un'opera monumentale,
con migliaia di voci, compilato
da lbn Khallikan.
Altre fonti interessanti sono i cronisti
al servizio dei vari califfi, incaricati
di scrivere la biografia del loro
padrone ma anche la storia del regno.
Dalla parte opposta, grande interesse
rivestono le cronache regionali
e cittadine dei luoghi che furono
invasi o saccheggiati dagli Arabi.
Non mancano in campo cristiano
storici che si sono interessati alla
storia degli Arabi, anche se le loro
opere risentono di un'impostazione
religiosa che li porta ad attribuire
agli Arabi solo caratteristiche
negative.
Ma le fonti più significative della
storia e della cultura araba sono i
grandiosi monumenti che ancora
oggi esistono in Europa e in Oriente.
Basterà citare, per tutti, gli
splendidi palazzi di Granada, di Siviglia,
di C6rdoba, esempi eclatanti
di una civiltà raffinatissima.
gli abitanti, e da comunità sedentarie, riunite nelle
città carovaniere. Alla base di questa società vi
erano i clan, che riunivano i discendenti da uno
stesso antenato comune ed erano guidati da uno
sheykh (termine che nella lingua locale significava
"vecchio" , "signore"). Ogni clan era composto da
diverse famiglie "allargate", sottoposte all' autorità
del padre che guidava i suoi discendenti maschi
e le loro famiglie. Il clan era fondato sulla primogenitura
maschile, mentre le donne svolgevano un
ruolo subalterno. L'Arabia appariva quindi un
mosaico di tribù disperse e l'organizzazione politica
non si fondava su una struttura statale formata
da istituzioni, ma sull'orgoglio, la saggezza e
l'astuzia dei capi tribù. Le tribù si combattevano
fra loro in un clima di perenne rivalità, costituendo
di volta in volta alleanze sempre provvisorie.
La religione dell'antica Arabia era frantumata come
il suo popolo. Era politeistica, a base animistica
( concezione secondo cui ogni cosa e ogni fenomeno
dell'universo sono dotati di anima e vivono
una vita divina), con una moltitudine di esseri
potenti, i ginn, che dominavano la vita degli
uomini tentandoli e ispirandoli. Essi si annidavano
ovunque, nelle pietre, negli alberi, negli animali
ecc. Alcune divinità vere e proprie si collocavano
al di sopra dei ginn: ogni tribù se ne attribuiva
diverse ed era dotata di luoghi di devozione
specifici. Erano divinità di origine mesopotamica
e semitica, divinità astrali, come la triade
Venere, Luna e Sole, a cui, alla Mecca, era unito
il culto del Dio Abramo, in ebraico Elohim, in
arabo Allah. Le divinità erano adorate con forme
di idolatria, i santuari e i luoghi dei loro culti erano
meta di pellegrinaggi di natura non solo religiosa
ma anche commerciale. Era una religione
elementare, ed è possibile affermare che il mondo
arabo sentisse l'esigenza di una religiosità più
profonda, sulla scia della diffusione, anche se limitata,
dell'Ebraismo e del Cristianesimo, che
esercitarono grande influenza sulle origini dell'Islamismo
e sull'elaborazione dei suoi princìpi.
Tuttavia comune in tutte le tribù era il culto per
un particolare santuario, la Kaaba della Mecca.
La Mecca era uno dei principali centri commerciali
sulle coste del mar Rosso; alla fine del VI secolo
la città era dominata da poche famiglie di
commercianti che possedevano ricchezze immense,
mentre aumentava continuamente il numero
dei nullatenenti. La miseria cresceva, il traffico
commerciale e religioso arricchiva solo pochi mercanti
già ricchi, a cui la febbre del guadagno aveva
fatto dimenticare le leggi di solidarietà che regolavano
la vita delle tribù arabe, e questo aveva
modificato profondamente la società. La tradizione
narra infatti che non si proteggevano più le vedove
e gli orfani, non si assistevano i poveri, non si
dava più importanza alla solidarietà familiare e tribale.
Il disordine sociale era tale che anche le donne,
tradizionalmente escluse dalle attività, si dedicavano
al commercio. Si trattava di uno sconvolgimento
totale delle leggi della tradizione, che provocò
un profondo disagio nella società araba: in
tale contesto si affermò la figura di Maometto.
L La storia del mondo islamico
inizia nell'anno 622, quando
Maometto lascia La Mecca ed
emigra a Yathrib, che da allora in
poi sarà chiamata Medina, cioè la
città del profeta e città sacra dell'Islam,
ed è scandita in quattro grandi
momenti.
L'età degli Arabi, che va dai primi
del VII secolo alla prima metà dell'VIII
secolo. È una fase di grande
espansione in cui l'Islam è "patrimonio"
degli Arabi. In questo periodo
si assiste all'unificazione di tutte
le tribù arabe e all'avanzata dei
loro eserciti in Siria (636), in Persia
(637), in Egitto (641) e in Cirenaica
(641).
L'età dell'incontro fra tradizioni
arabe e culture straniere, che va
dalla seconda metà dell'VIII secolo
fino al 1050 circa.
Questo è il periodo della conquista
della Spagna a ovest (711) e delle
terre poste alla foce dell'Indo a est,
è il periodo in cui si affermano i califfi
Omayyadi, gli eserciti islamici
assediano Bisanzio (718) e vengono
respinti dai Franchi in Europa,
con la battaglia di Poitiers (732).
Nel 750 la dinastia degli Omayyadi
venne sostituita da quella degli Abbasidi,
sostenuta dai Persiani; la
capitale fu spostata da Damasco a
Baghdad (fondata nel 762). L'Islam
si stabilizzò sul piano territoriale e
l'elemento persiano sottrasse agli
Arabi la guida del mondo musulmano
(deriva da mus/im, cioè "seguace
dell'Islam").
Una terza fase può essere denominata
l'età dell'egemonia turcomongola
e va dalla metà dell'XI secolo
fino al 1800 circa.
In questo periodo l'Islam entra nel-
Il L'arcangelo Gabriele appare a Maometto in una grotta del
monte Hira, nei pressi de La Mecca, e gli comunica la primarivelazione:
«Maometto, tu sei l'eletto di Allah».
Maometto e la rivelazione
Muhammad, che attraverso la forma turca Mehemet
è stato italianizzato in Maometto, nacque in
Arabia nella città carovaniera e commerciale di
La Mecca intorno all'anno 570, da un ramo minore
della potente tribù dei Coreisciti ( Quraish),
custodi del santuario della città.
La tradizione ha ammantato la sua nascita di mistero
e di prodigi, ma le uniche notizie storiche
sull'infanzia di Maometto ci tramandano il fatto
che quando nacque era già orfano di padre e che
la madre, Amina, morì pochi anni dopo. L'orfano
visse per qualche tempo nella numerosa famiglia
del nonno e, alla morte di questi, presso lo zio,
la vita delle popolazioni dell'Asia
centrale, dei Mongoli e, soprattutto,
dei Turchi.
Grazie alla potenza degli eserciti
dell'Impero turco-ottomano il mon- ,
do musulmano si espande in Euro- ,
pa, Africa, Asia centrale, India e Malesia.
Vi è infine l'età dell'imperialismo e
del rinascimento arabo, che va dalle
campagne di Napoleone al fondamentalismo
del XIX e XX secolo.
In questo periodo l'Islam si confronta
con la modernità e il mondo ·
occidentale.
Abu Talib, commerciante, al cui seguito si recò in
Siria, in Palestina e in Mesopotamia. Da questi
viaggi egli riportò suggestioni e influenze profonde
riguardo al mondo cristiano e giudaico.
La tradizione sostiene che in una notte dell'anno
611, il ventisettesimo giorno di quello che sarebbe
poi diventato il mese di Ramadan ( considerato
sacro perché in quel mese fu rivelato il Corano, il
libro sacro dell'Islam), mentre era intento a pregare
e a meditare, a Maometto apparve "il compagno
sommo", identificato poi con l'arcangelo
Gabriele, che gli comunicò la prima rivelazione
di Allah. Gli tese infatti una pergamena coperta
di segni, inducendolo a recitare quelli che poi sarebbero
divenuti i primi versetti del Corano: «Nel
nome di Dio, clemente e misericordioso! Grida in
nome del tuo Signore, che ha creato l'uomo da un
grumo di sangue! Grida! Perché il tuo Signore è
il Generosissimo, Colui che ha insegnato l'uso del
calamo, ha insegnato all'uomo ciò che non sapeva».
Fu la rivelazione. Nei tre anni successivi,
Maometto, che nel frattempo si era convinto di
essere stato scelto come profeta, non si dedicò alla
predicazione pubblica e fece proselitismo solo
fra gli intimi.
Il periodo della predicazione
In seguito a una nuova rivelazione, Maometto
iniziò a predicare in pubblico nella sua città, La
Mecca, scatenando subito le prime tensioni religiose
in seno alla sua stessa tribù.
La tribù dei Coreisciti, quella di Maometto, dominava
La Mecca, città che era emersa sulle altre
dell'Arabia centrale per una serie di felici coincidenze,
quali la sua collocazione nel punto nodale
dei ricchi traffici mercantili, l'abilità dei suoi
commercianti, ma soprattutto la presenza del santuario
della Kaaba, meta di pellegrinaggi, che
aveva conseguito una certa preminenza sugli altri
luoghi sacri dell'Arabia.
Il gruppo dirigente di La Mecca vedeva nella nuova
religione predicata da Maometto una minaccia
ai propri interessi e ai propri dèi, adorati nella Kaaba:
se il culto tradizionale avesse perso importanza,
sarebbero infatti cessati quei pellegrinaggi che portavano
ingenti ricchezze alla città e alla tribù.
L'Egira e la lotta tra Medina
e La Mecca
Alla fine, nel 622, contestato, ostacolato in ogni
modo e perseguitato, il profeta ruppe con quelli
del suo clan e migrò a Yathrib (chiamata in seguito
Medina) con un piccolo gruppo di seguaci e
compagni: è questo l'anno dell'Égira, che gli islamici
per tradizione hanno stabilito come inizio
della loro era (allo stesso modo della nascita di
Cristo per i cristiani) [ 51 P. 106]. Giunto a Medina,
Maometto pose le basi del suo potere religioso
e, insieme, politico, proponendo un patto di alleanza
fra i compagni di La Mecca e i medinesi: la
cosiddetta "Costituzione di Medina". Fu questo il
primo passo verso lo spirito dell' Ummah, la comunità
musulmana, l'insieme dei fedeli, senza distinzione
di razza o di censo, uniti nell' accettazione
della parola di Dio rivelata da Maometto.
Il profeta Maometto si stabilì dunque a Medina,
continuando a ricevere transfughi dalla Mecca,
che diventavano ogni giorno più numerosi, finché
arrivarono anche tribù beduine per stringere un
patto con lui. Il suo potere a poco a poco si consolidò
e si estese a tutta l'Arabia.
Pochi mesi dopo l'arrivo a Medina, Maometto e i
suoi seguaci, per assicurarsi la sopravvivenza, ricorsero
all'antica tradizione beduina, la razzia,
aspetto normale della vita del deserto arabo, basata
su un'economia di sussistenza. Le carovane
che si potevano colpire erano quelle dei ricchi
commercianti meccani, in viaggio verso la Siria.
L'occasione si presentò nel marzo del 624: una
grande carovana, costituita da più di mille cammelli
e scortata da decine di mercanti, stava per
transitare di ritorno da Gaza. Questa razzia, che è
ricordata come la battaglia di Badr, è considerata
la prima grande vittoria del profeta, quella che ne
accrebbe enormemente il prestigio in tutto il
mondo arabo. Da questo momento, il prinro in
cui l'Islam trionfò per mezzo delle armi, non si
parlò più di razzia, ma di guerra santa.
La lotta e il trionfo
di Maometto
Nella primavera del 625 i meccani decisero di
vendicare la sconfitta di Badr e marciarono contro
Medina con un esercito di 3000 uomini. Il
profeta e i suoi uomini furono sconfitti. La sconfitta
creò grosse difficoltà a Maometto. Pagani ed
ebrei, che a Medina erano numerosi, ricchi e forti,
si ribellarono alla sua autorità e solo la fedeltà
dei suoi gli consentì di governare la situazione.
Nel 627 i meccani attaccarono nuovamente Medina
con un esercito di 1 O 000 uomini, ma furono
sbaragliati alle porte della città con l'insperato
aiuto di una improvvisa tempesta di sabbia che
sconvolse il campo dei meccani. Dopo la vittoria
Maometto fece i conti con i nemici che si annidavano
nella sua città: gli ebrei, che avevano par-
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-~ ... . , .e, ....
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teggiato per i meccani e non avevano mai accettato
di convertirsi alla predicazione di Maometto,
pagarono il prezzo più caro. Il profeta fece
scavare grandi fosse nel mercato di Medina, fece
portare tutti gli uomini legati sull'orlo delle fosse
e li fece decapitare uno a uno. Le vittime furono
circa mille; le donne e i bambini furono venduti
come schiavi, i loro beni confiscati. Fu in questa
occasione che Maometto decise che la direzione
della preghiera non sarebbe stata più Gerusalemme,
ma La Mecca. Nel gennaio del 630, col
pretesto dell'omicidio di un suo seguace, marciò
su La Mecca con un'armata di 10000 uomini. I
ricchi mercanti della città si convertirono e i meccani
accettarono le sue condizioni.
L'll gennaio 630 Maometto e i suoi entrarono
trionfanti nella città: egli, a dorso di un cammello,
fece sette volte il giro della Kaaba e, dopo
averla purificata dai demoni e dagli altri dèi che
la circondavano, la riconsacrò al culto e proclamò
La Mecca città santa dell'Islam. Alla morte
di Maometto, il paganesimo era ormai scomparso
da La Mecca e la maggior parte della penisola
arabica riconosceva l'autorità religiosa e politica
del profeta.
Gli immediati successori
di Maometto e l'espansione
dell'Islam
L'8 giugno 632 Maometto morì a Medina, dove
venne sepolto, senza lasciare alcuna disposizione
per l'avvenire. Nemmeno il Corano aveva risolto i
problemi istituzionali della comunità, perché le
disposizioni per organizzare la vita politica e religiosa
a Medina venivano prese dal profeta di volta
in volta, ed erano concepite per una comunità che
aveva in lui l'unica guida. Quindi non c'erano state
decisioni riguardo ai vari poteri dello Stato e nemmeno
riguardo alla loro delega. Dopo la morte del
profeta, pertanto, il mondo islamico attraversò un
momento di profonda crisi, in cui scoppiarono gravissime
discordie, problemi e divisioni, che mai
hanno trovato soluzione definitiva. Maometto, in
quanto profeta, non poteva avere successori, ma
qualcuno, almeno nel ruolo di capo dei credenti,
doveva prendere le redini della comunità.
Le discussioni sulla questione della successione
generarono tre "partiti":
i compagni che volevano che il successore fosse
scelto fra i primi seguaci del profeta;
i legittimisti che ritenevano ovvia la successione
per via ereditaria e indicavano Alì, genero e
cugino del profeta, in quanto ritenevano che la
scintilla divina sopravvivesse nelle persone di
famiglia;
i potenti de La Mecca che ritenevano che l' onore
della successione spettasse all'aristocrazia
dei Quraish, alla grande stirpe degli Omayyadi.
che conquistò
Gerusalemme nel 638, e il
patriarca cristiano che
reggeva la città. Si tratta di
un documento importante
per capire l'atteggiamento
degli Arabi nei confronti
delle popolazioni vinte.
ebrei non sarà permesso
di vivere con loro a Gerusalemme.
[ ... ]
Dovranno esigere che bizantini
e ladri lascino la
città. Se costoro se ne andranno,
saranno sicuri
della loro vita e delle loro
proprietà fino a che raggiungeranno
il loro paese.
Ma ai bizantini che preferiranno
restare, verrà data
garanzia se accetteranno
gli stessi impegni di coloro
ai quali, tra gli abitanti di
Aelia, compete il tributo.
[. .. ] Quelli del contado
che si trovavano prima in
città potranno, qualora lo
desiderino, restare con gli
stessi obblighi di coloro
cui s'addice il tributo;
quelli che preferiranno
Prevalse il partito dei compagni. Nei primi
drammatici momenti dopo la morte di Maometto
l'Islam fu salvato da Omar che, secondo un antico
rituale arabo pose le sue mani su quelle di
Abu Bakr, il compagno più fedele del profeta, nominandolo
califfo, cioè successore del profeta dell'Islam
sulla terra: con Abu Bakr nasce il califfato.
l~·.X·~·1IJ.ù0-tf<~;1
'i.}·b'-U~~t1b~l~t:;:.Jl.!Uù1.~L) ,
'""''~ ~ ,v.:~ ~J.-:J'.h.-t;~ lt!r~J~}l;Jl ~ con Carlo Martello, maestro di palazzo
dei Merovingi (vedi p. 156), che a Poitiers li
sconfisse in uno scontro che assurse a simbolo del-
1' eroica resistenza dei paesi cristiani coni:ro l'Islam.
La fine della dinastia
degli Omayyadi
Gli Omayyadi, nonostante i seri dissidi interni,
amministrarono con grande saggezza il loro enorme
Impero: introdussero l'arabo come lingua ufficiale
dell'amministrazione e accelerarono il processo
di fusione della civiltà araba con quelle dei
popoli vinti.
Ciò sollevò contro i califfi omayyadi il risentimento
degli Arabi più tradizionalisti, attivi soprattutto
nella regione della Persia, che si ribellarono
all'ultimo califfo omayyade, Marwan II,
sconfitto nel 750.
A capo dell'opposizione agli Omayyadi fu un discendente
diretto di uno zio di Maometto, Abu alAbbas
che, sterminati i membri della dinastia precedente,
conquistò il califfato (750): alla strage sopravvisse
Abd al-Rahman, che si rifugiò in Spagna
dove fondò l'Emirato degli Omayyadi di C6rdoba.
L'età degli Abbasidi
Il vero capostipite della dinastia degli Abbasidi fu
al-Mansur (754-775), che fondò la città di Baghdad
[ LETTURA p. 114], ma l'età d'oro di questo califfato
coincise con al-Mahadi (775-785), Harun
al-Rashid (788-809) e al-Ma'mun (813-833), califfi
di grande personalità e prestigio.
Sotto al-Mansur e al-Mahadi il califfo, assumendo
i tratti caratteristici di un monarca orientale, si
circondò di una corte numerosissima. Furono
istituite le cariche di visir, che presiedeva un consiglio
di cui facevano parte i capi dei vari ministeri,
quella di berid, capo della polizia segreta, e
quella di qadi, giudice supremo. L'Impero fu diviso
in province soggette a governatori che rispondevano
del loro operato al visir, ma che con
l'andare del tempo agirono con sempre maggiore
indipendenza.
L'avvento della nuova dinastia abbaside rappresentò
per il mondo musulmano l'inizio di una
nuova epoca: gli Arabi persero progressivamente
la loro posizione di privilegio rispetto agli altri
popoli e nell'Impero conquistarono ben presto
ruoli importanti i musulmani di origine non araba
(Persiani, Turchi, Curdi e Spagnoli), che affiancarono
gli Arabi costituendo una nuova e po.
tente classe dirigente dell'Impero.
La capitale dell'Impero abbaside fu spostata da
Damasco a Baghdad (762), una città di nuova
fondazione; l'Islam si trasferì così nel cuore della
Mesopotamia, crogiolo delle culture e delle
tradizioni mediterranee e orientali. Questo trasferimento
di capitale condannò la regione del-
1' Arabia, culla dell'Islam, a una progressiva perdita
d'importanza politica oltre che economica.
Sul piano amministrativo fu particolarmente curata
l'omologazione delle popolazioni vinte alla
cultura e all'amministrazione dei vincitori. Vennero
reclutati su larga scala funzionari di origine
persiana, che portavano con sé il bagaglio di
competenze e di specializzazioni amministrative
acquisito sotto la vinta dinastia sassanide.
L'Impero islamico assunse con la dinastia degli
Abbasidi caratteri sempre più orientali, soprattutto
nei cerimoniali di corte, che divennero
estremamente fastosi.
I sovrani della nuova dinastia furono contemporaneamente
capi politici e imam (guide spirituali),
e difesero in modo intransigente l'ortodossia
sunnita.
Anche l'esercito fu riorganizzato e gradualmente
divenne multietnico e mercenario. Ciò costituì,
alla lunga, un pericolo per lo stesso potere
del califfo, in quanto i capi militari divennero
sempre più potenti e autonomi. Ne derivarono
cpnflitti che portarono l'Impero abbaside, a partire
dalla metà del X secolo, alla disintegrazione.
Il califfato di al-Rashid
Con il califfato di Harun al-Rashid, "il ben diretto",
la dinastia degli Abbasidi raggiunse il massimo
splendore. Contemporaneo di Carlo Magno
(VIII-IX secolo), Harun al-Rashid fu ammirato
da tutto l'Occidente per la ricchezza e il fasto della
sua corte, per la raffinata cultura di cui fu promotore,
ma fu anche molto temuto per la potenza
dei suoi eserciti. Egli è il sovrano nottambulo
di cui si racconta nel famoso libro di novelle Le
mille e una notte.
Gli anni del suo califfato furono caratterizzati da
una crescita economica sia agricola sia commerciale,
che fu favorita anche dall'elaborazione di
· tecniche di pagamento evolute, come la cambiale
e il pagamento differito (shakk, da cui deriva il
termine francese chèque, "assegno").
da, che nella tradizione
divide col marito la gloria
e la raffinatezza attribuite
loro da generazioni successive,
non tollerava sulla
propria tavola altro vasellame
che quello d'oro
o d'argento, tempestato
di gemme. Essa dettava la
moda nel bel mondo, e fu
la prima ad adornare le
sue calzature con pietre
preziose. Si narra che essa
spendesse in un pellegrinaggio
santo tre milioni
di dinari, compresa la
spesa per rifornire d' acqua
la Mecca da una sorgente
situata a 25 miglia
di distanza.
Il fasto e la magnificenza
della corte venivano
ostentati pienamente in
occasione di cerimonie
come l'insediamento del
califfo, le cerimonie nuziali,
i pellegrinaggi e i ricevimenti
in onore degli
inviati stranieri. La cerimonia
nuziale del califfo
al-Ma'mun con la diciottenne
Buran figlia del suo
visir al-Hasan ibn Sahi,
fu celebrata nell'825 con
una spesa talmente favolosa
da rimanere nella letteratura
araba come una
delle indimenticabili bizzarrie
dell'epoca. Sembra
che durante lo sposalizio,
un migliaio di perle di eccezionale
grandezza venissero
fatte cadere da un
vassoio d'oro sulla coppia
che sedeva su una stuoia
dorata tempestata di perle
e zaffiri. Una candela di
ambra grigia del peso di
duecento libbre trasformò
la notte in giorno.
Palle di muschio, ognuna
delle quali conteneva un
biglietto col nome di una
proprietà, di uno schiavo
o di altri doni simili venivano
fatte cadere sul capo
dei principi reali e dei dignitari.
Nel 917 il califfo al-Muqtadir
ricevette a Palazzo
con gran pompa e cerimonia
gli inviati del giovane
Costantino VII, la
cui missione implicava
evidentemente lo scambio
e il riscatto di prigionieri.
Il seguito del califfo
comprendeva 60 000 cavalieri
e fanti, 7000 eunuchi
bianchi e neri e 700
ciambellani. Durante la
parata sfilarono un centinaio
di leoni, e nel palazzo
erano appesi 38 000
tendaggi, dei quali 12500
erano dorati, oltre a
22 000 tappeti. Gli inviati
rimasero così meravigliati
e ammirati, da confondere
in un primo momento
l'ufficio del ciambellano e
poi quello di visir con la
sala reale delle udienze.
Essi furono colpiti in particolare
dalla Sala dell' Albero,
che conteneva un
albero artificiale d'oro e
d'argento che pesava
500 000 dramme, tra i rami
del quale si potevano
ammirare uccelli degli
stessi metalli preziosi, costruiti
in modo da cinguettare
mediante congegni
automatici. Nel giardino
essi rimasero molto
stupiti di fronte agli alberi
di palma il cui sviluppo
era stato arrestato artificialmente,
e che, grazie a
una coltivazione speciale,
producevano datteri di
varietà rare.
Nei bazar della città arrivavano
porcellana, seta e
muschio dalla Cina; spezie,
minerali e tinture dall'India
e dall'arcipelago
Malese; rubini, lapislazzuli,
tessuti e schiavi dai
paesi turchi dell'Asia centrale;
miele, cera, pellicce
e schiavi bianchi dalla
Scandinavia e dalla Russia;
avorio, polvere d'oro
e schiavi neri dall'Africa
orientale. Le merci cinesi
venivano vendute in un
bazar speciale. Le province
dell'Impero stesso inviavano
per mezzo di carovane
o per mare i loro
prodotti domestici: riso,
grano e lino dall'Egitto;
vetro, metalli e frutta dalla
Siria; broccati, perle e
armi dall'Arabia; sete,
profumi e verdure dalla
Persia. Le avventure di
Sinbad il Marinaio, che
formano uno dei racconti
più noti delle Mille e una
notte, sono state a lungo
considerate un ampliamento
dei veri racconti di
viaggi fatti da mercanti
musulmani. I mercanti
ebbero un ruolo molto
importante nella comunità
di Baghdad. I membri
di ogni corporazione e di
ogni gruppo commerciale
avevano i loro negozi nello
stesso mercato come
oggi.
da P.K. Ritti, Storia degli Arabi,
La Nuova Italia, Firenze 1966
Il califfato di al-Ma'mun
Il califfato di al-Ma'mun rappresentò il periodo di
massima fioritura culturale: l'Islam scoprì la filosofia
e la scienza greca in seguito alle traduzioni
promosse dal califfo, che fondò a Baghdad
nell'832 la "casa della sapienza", cui collaborarono
i più eminenti studiosi cristiani e musulmani.
Inoltre al-Ma'mun, per consentire agli scienziati
arabi la verifica delle conoscenze astronomiche,
mediche e fisiche che venivano apprese dalle opere
tradotte, promosse la realizzazione di nuovi osservatori
astronomici, di scuole mediche, di
ospedali e di laborf!-tori di chimica e fisica.
Gli intellettuali musulmani svilupparono anche
elaborazioni scientifiche e filosofiche originali: fra
i tanti ricordiamo il filosofo spagnolo Averroè
(1126-98) e Avicenna (980-1037), medico e filosofo
persiano (vedi pp. 124-25).
Il dominio musulmano fu assai positivo per la Sicilia:
gli Arabi vi importarono nuove colture, come
il cotone e gli agrumi, e dettero impulso alle
attività di tessitura e di lavorazione di lino e seta.
Questa rinascita economica fece della Sicilia una
delle grandi mete dei mercanti delle Repubbliche
marinare (veneziani, amalfitani e genovesi). Anche
da un punto di vista culturale la Sicilia rinacque:
la cultura araba, quella greca, quella berbera
e quella latina si fusero lasciando tracce nei dialetti,
nell'architettura, nella cultura popolare e
nella toponomastica.
L'Impero arabo comincia
a disgregarsi
A partire dalla metà del IX secolo l'autorità del
potere centrale divenne sempre più debole. I primi
Stati autonomi che si costituirono al di fuori
del califfato, dopo la Spagna (756), furono l'Egitto
e la Tunisia. Gli Arabi di Tunisia fra 1'827 e
1'878 si impossessarono di Malta, Pantelleria e
della Sicilia, da cui condussero scorrerie fino in
Provenza. Gli episodi più importanti furono il
saccheggio di Roma nell'846 e la battaglia navale
di Ostia nell'849, nella quale però i Saraceni (come
erano chiamati i musulmani stanziati nel Nord
Africa) furono sconfitti.
Il punto debole dell'Impero abbaside era la sicurezza,
soprattutto a nord-est, in quanto dall'Asia
si spingevano verso i suoi confini numerosi e agguerriti
popoli nomadi. La crisi politica dell'Impero,
la corruzione interna, le spinte centrifughe
delle varie province verso l'indipendenza divennero
sempre più forti.
In poco tempo, a partire dalla metà del IX secolo,
l'esercito sfuggì al controllo del califfo e passò
nelle mani degli alti funzionari (amir) chiamati
emiri. Si estesero le rivolte a carattere religioso e
il governo centrale, troppo debole, non riuscì a
impedire che i movimenti di secessione politica
sfociassero nell'instaurazione di numerose dinastie
ed emirati locali.
La penetrazione turca
Il processo di disgregazione dell'Impero islamico
si manifestò anzitutto nell'Africa settentrionale,
in Spagna, in Egitto e in Sicilia. Ma il colpo di grazia
venne, nel corso dell'XI secolo, dai Turchi Selgiuchidi,
una popolazione originaria delle steppe
dell'Asia poi convertitasi all'Islam.
I Selgiuchidi penetrarono gradualmente nell'Impero
musulmano e vi acquisirono un sempre
maggiore potere, perché il califfo, per difendere
il proprio Stato, era costretto ad accoglierli
come soldati mercenari. Nel 1055, approfittando
della debolezza del califfato, un
condottiero selgiuchide, Toghrul Beg, mise di
fatto fine al potere degli Abbasidi, anche se il
califfato proseguì formalmente per altri due secoli.
Nel 1258 Baghdad venne conquistata dagli
eserciti mongoli, che uccisero l'ultimo califfo
abbaside.
o, in origine la
me luogo di insioni,
per l'ama,
per l'insegnaea:
un cortile
o cosparso di
uro di mattoni;
fila di tronchi a
rgilla e di foglie
piccole fortezze,
o ncoverars1 m
e dei nemici di
hee, come quelsono
ispirate aletta
dai seguaci
: un vasto cortida
portici e galpreghiera,
divisa
archi, il cui muione
de La Meccoperto
da una cupola maggiore e fiancheggiata
da altre minori e circondato al-
1' esterno da numerosi altri edifici.
Accanto alle grandi moschee sorge infatti
la scuola, Madrasa, un edifico destinato al-
1' insegnamento religioso superiore, affiancato
spesso da un centro di ricerca e insegnamento
coranico e dall'Hammam, un
luogo destinato alla cura del corpo e d'incontro
sociale per uomini e donne.
Elemento fisso di una moschea è il minareto,
l'alta torre dalla quale il muezzin ripete
l'appello alla preghiera.
Il I fedeli nel momento della preghiera all'interno
di una moschea del Cairo, in Egitto.
11 n cortile della moschea dell'Imam a Esfahan, in Iran. Da notare le splendide decorazioni che ornano tutte
le pareti dell'edificio.
• LA SOCIETÀ E LE ISTITUZIONI
La società araba
La società araba era dominata dalla figura del califfo,
che aveva diritto di vita e di morte sui suoi
sudditi. In analogia con il governo dello Stato, anche
nella famiglia il regime era decisamente patriarcale.
Il capo famiglia era il depositario di
un'autorità pressoché assoluta, mentre le donne
avevano una posizione sociale subordinata, anche
se a loro era affidata la conduzione della casa e
spesso l'educazione e la crescita dei figli.
I commercianti, i mercanti, gli armatori e gli artigiani
furono incoraggiati e aiutati dal governo nel
loro lavoro e godevano di una buona posizione
sociale, a causa soprattutto del dominio che gli
Arabi si conquistarono su tutte le vie commerciali
del bacino del Mediterraneo e sulle vie terrestri
di comunicazione verso l'Estremo Oriente. In
fondo alla scala sociale stavano i contadini, sempre
in lotta con un terreno spesso arido, e sfruttati
dai grandi proprietari terrieri.
Il libro sacro: il Corano
Il Corano, dall'arabo Qur'an "lettura", "recitazione",
è il libro sacro che contiene la rivelazione
che Dio (tramite l'arcangelo Gabriele) fece al suo
profeta. Gli insegnamenti, prima appresi a memoria
e saltuariamente scritti, furono poi riuniti
in un testo unitario e ufficiale, redatto sotto il terzo
califfo, Uthman (644-656).
Il libro è composto da 114 sure (capitoli), a loro
volta divise in versetti di di~a lunghezza e ordinate
non secondo la cronologia della rivelazione,
ma dalle più lunghe (quelle in cui Maometto,
divenuto ormai capo della comunità musulmana,
enuncia leggi civili, princìpi di fede, esortazioni di
ordine morale e prescrizioni liturgiche) alle più
corte. C'è un'unica eccezione: il testo si apre con
una breve sura di sette versetti, che contiene la
preghiera fondamentale per i musulmani.
Il Corano è tradizionalmente diviso in tre parti:
- i precetti e le leggi (ahkam);
- le storie e le leggende riguardanti soprattutto i
profeti precedenti Maometto (qisas);
- le esortazioni e gli ammonimenti a operare bene
e gli inni alla gloria e alla potenza di Dio
(mawa'Iz).
Dunque il Corano stabilisce i precetti rituali, morali
e giuridici della nuova religione. Non è solo
un testo religioso perché, oltre a un discorso su
Dio e a un insieme di regole morali, contiene un
codice giuridico, alla base della Shari'a ancora
oggi vigente in molti paesi islamici e una serie di
precetti relativi alla vita quotidiana. In seguito al
.testo sacro fu aggiunta la Sunna ("tradizione"),
cioè l'insieme dei detti, delle azioni e dei comportamenti
di Maometto, che devono essere considerati
come modelli per i credenti.
Ecco alcuni passi del
Corano che riguardano
l'atteggiamento che il
marito deve tenere nei
confronti della moglie.
dio ha creato nel loro
ventre, se esse credono in
Dio e nel Giorno del giudizio
Universale. Ché è
più giusto che i loro mariti
le riprendano quando si
trovano in questo stato,
se vogliono rappacificarsi.
Esse agiscano coi mariti
come i mariti agiscono
con loro, con gentilezza;
tuttavia gli uomini sono
un gradino più in alto e
Dio è potente e saggio.
Il ripudio v'è concesso
due volte: poi dovete o ritenerla
con gentilezza
presso di voi, o rimandarla
con dolcezza; e non v'è
lecito riprendervi nulla di
quel che avete loro dato.
[. . .] Dunque se uno ripudia
per la terza volta la
moglie essa non potrà più
lecitamente tornare da lui
se non sposa prima un altro
marito; il quale se a
sua volta la divorzia, non
sarà peccato se i due coniugi
si ricongiungono, se
pensano di poter osservare
le leggi di Dio. [. . .]
Non prendete dunque a
gabbo i segni di Dio, ma
siate grati per la grazia
che Dio v'ha elargito, per
il libro che v'ha rivelato
[Corano], e pei savi preI
punti fondamentali
della dottrina dell'Islam
L'Islam è fondato su cinque obblighi fondamentali
del credente, detti anche "i pilastri dell'Islam":
la testimonianza di fede, che consiste nell' affermazione
di due fondamentali verità: «Non
esiste altro Dio all'infuori di Allah» e «Maometto
è il suo profeta»;
la preghiera, che deve essere recitata cinque volte
al giorno con il capo rivolto a La Mecca (all'alba,
a mezzogiorno, al pomeriggio, al tramonto
del sole e all'inizio della notte), dopo aver
compiuto le abluzioni rituali di purificazione;
il digiuno nel mese del Ramadan;
il pellegrinaggio ai luoghi santi de La Mecca,
che ogni musulmano deve compiere almeno
una volta nella vita. Al centro delle devozioni la
Kaaba e la pietra nera. L'insieme del territorio
de La Mecca è considerato sacro e, per accedervi,
i pellegrini devono indossare un abito
cerimoniale, costituito da due pezzi di stoffa
bianca senza cucitura;
l'elemosina è un dovere, corrispettivo spirituale
delle tradizionali virtù di ospitalità e di generosità
caratteristiche del mondo arabo; una parte
dell'elemosina è lasciata alla volontà dell'incetti
coi quali v'ammonisce,
e temete Iddio e sappiate
che Dio sa tutto. E
quando ripudiate le donne
e sian giunte al termine
fissato pel ripudio, non
impedite di sposare i loro
mariti, se s'accordano fra
loro umanamente.
E le madri divorziate allatteranno
i loro figli per
due anni se il padre vuole
completare l' allattamento,
e il padre è obbligato a
fornir loro gli alimenti e le
vesti, con gentilezza; comunque
nessuno può essere
obbligato a fare più
di quanto può: né la madre
soffra danno per il figlio,
né il padre; e l'erede
ha gli stessi obblighi. [ ... ]
Se qualcuno di voi muore
e lascia delle mogli, queste
attenderanno per
quattro mesi e dieci giorni;
trascorso questo periodo,
non avrete, o tutori,
alcuna responsabilità
di quello eh' esse vorran
fare di se stesse onestamente.
Badate che Dio sa
ciò che fate! [. .. ]
Non c'è nulla di male se
ripudierete le donne prima
di averle toccate o prima
ancora di aver loro fissato
una dote; ma assegnate
loro mezzi per vivere,
ricchi o poveri ciascuno
secondo le proprie
possibilità, in modo umano:
è un dovere, questo,
per colui che è benefico.
dividuo, l'altra parte è istituzionalizzata sotto
forma di contributo del fedele alle spese della
collettività, che oggi, in molti paesi musulmani,
s'identifica con il prelievo fiscale dello Stato.
A questi fondamenti dell'Islam, alcuni aggiungono
la jihad, che significa "lo sforzo per il regno di
Dio", comunemente tradotto con il termine
"guerra santa", cioè partecipazione alla lotta armata
per l'espansione o la difesa dell'Islam; in
realtà, più correttamente, il termine va inteso come
sforzo personale da parte di ciascun fedele
nel contenimento delle pr~prie passioni o come
ricerca di ascesi.
La poligamia e la concezione
della donna
Sul piano etico e sociale il Corano ratificava molti
dei precetti e delle norme preesistenti nei clan patriarcali
arabi, cercando però di controbilanciarli.
Ogni musulmano può sposare fino a quattro mogli,
a patto però che sia in grado di mantenerle provvedendo
a tutte in modo equo [ ooc.l Le disposizioni
che riguardano l'eredità sono particolarmente innovative:
le figlie possono ereditare, anche se la lo-
ro parte è la metà di quella destinata ai maschi. Altrettanto
rivoluzionario è l'atteggiamento di difesa
della dignità della donna e l'affermazione del suo
diritto alla felicità. Questo, pur accompagnandosi
a norme di rigoroso pudore, da cui deriva l'uso del
velo, fa sì che la donna sia protetta contro gli abusi
o contro le conseguenze del ripudio, forma di
divorzio musulmana.
Le norme del Corano
Nei paesi a cultura.araba la religione e il diritto
erano uniti inscindibilmente; per esercitare correttamente
la giustizia occorre, infatti, tenere
conto dei giudizi del giudice supremo, che è Dio.
Questo spiega perché nell'antichità non sono mai
esistiti testi di leggi, ma solo norme comportamentali
desunte dal Corano.
Il Corano presenta un minuzioso diritto penale,
ancora oggi in vigore in alcuni paesi, che prevede
anche punizioni corporali: la lapidazione in caso
di adulterio se è la donna a compierlo, cento colpi
di frusta se è l'uomo, l'amputazione della mano
destra in caso di furto e, se il colpevole ripete
il reato, l'amputazione dell'altra mano. È ammessa
la legge del taglione, occhio per occhio dente
per dente, ma non deve provocare altra vendetta.
Il Corano prescrive anche come un musulmano
debba mangiare e bere: la legge islamica proibisce
il consumo della carne di maiale e degli animali
che non sono stati dissanguati; proibisce gli
alcolici e stabilisce varie altre regole di tipo alimentare.
Non si deve soffiare sul cibo, si devono
evitare l'aglio e la cipolla crudi prima di recarsi alla
moschea e non bisogna dissetarsi da recipienti
d'oro e d'argento.
Anche l'abbigliamento è contemplato nelle norme
del Corano: gli uomini devono portare il turbante,
non possono indossare abiti di seta o di
broccato; è proibito portare gioielli preziosi ma è
consentito l'uso di profumi.
Per le donne è proibito l'uso della parrucca, diffuso
tra le donne ebree. Nelle abitazioni tutti gli
oggetti a forma di croce, gli strumenti musicali e
gli otri di vino sono proibiti, unico lusso consentito
è l'uso dei tappeti.
L'economia
I califfi favorirono i contadini piccoli proprietari
e limitarono le grandi proprietà agricole. Dovunque,
anche nelle terre conquistate, si diffuse un' agricoltura
specializzata, resa più agevole dalle
opere di irrigazione, in cui gli Arabi erano abilissimi.
Vennero coltivati frutteti, agrumeti, canna
da zucchero, palma da dattero, ma anche piante
non alimentari come il lino, il cotone e il gelso,
pianta questa indispensabile per l'allevamento del
baco da seta. Tali prodotti servirono per creare
manifatture tessili, che divennero famose anche
fuori del mondo arabo.
Anche il commercio ebbe un grande sviluppo: periodicamente
le carovane trasportavano merci e
prodotti agricoli per tutto l'Impero. Mar Mediterraneo,
mar Rosso, oceano Indiano videro le loro
acque solcate da numerose flotte mercantili arabe.
Una voce importante nell'economia araba fu la
pirateria contro gli infedeli: nel IX secolo spedizioni
navali arabe giunsero a saccheggiare la stessa
Roma, la Liguria, la Provenza, le coste bizantine
in Italia e in Grecia.
Gli scambi commerciali con paesi lontani diffusero
in Europa molti nuovi prodotti: la canna da
zucchero in Sicilia, il riso in Spagna, il cotone in
Sicilia e in Africa. Dalla Cina gli Arabi appresero
la lavorazione della seta e la fabbricazione della
carta, che trasmisero poi ai paesi europei.
Gli Arabi e la guerra di conquista
Come poterono gli Arabi in così poco tempo
espandersi in territori tanto vasti?
Gli Arabi, innanzi tutto, possedevano un'incredibile
forza d'urto militare sostenuta da una micidiale
tecnica, tipica dei beduini che comparivano
all'improvviso e, dopo aver colpito e depredato
il nemico, scomparivano sui loro velocissimi
cammelli.
Altri elementi fondamentali della conquista furono
l'entusiasmo religioso, l'attrattiva del bottino,
il genio militare dei grandi condottieri arabi
che seppero convogliare le energie dell' espansionismo
beduino.
Ma la spinta ad abbandonare le proprie terre
per occupare quelle degli "infedeli" venne soprattutto
da ragioni di tipo economico: si trattò
essenzialmente di una espansione mercantile.
Le piste commerciali furono il principale obiettivo
dei conquistatori arabi e quella che essi costruirono
fu essenzialmente una civiltà di città, i
centri principali della loro rete di traffici.
Gli Arabi, inoltre, dominarono anche i traffici
marittimi sia nel mar Mediterraneo, che per
molti secoli fu un "lago musulmano", sia nell' oceano
Indiano.
La tolleranza verso i vinti
Il successo dell'Islam fu dovuto anche al fatto che
esso seppe venire incontro alle esigenze delle popolazioni
conquistate, anzitutto di quelle dell'Impero
bizantino. A queste popolazioni maltrattate,
sfruttate, gravate di tasse, gli Arabi sembravano
promettere una maggiore eguaglianza sociale,
predicata dal Corano, la tolleranza religiosa e un
minor carico fiscale: da molti l'Islam fu visto quasi
come una liberazione.
Gli Arabi erano fieri della loro fede, ritenuta superiore
a qualunque altra, e cercavano di convertire
con la forza i pagani. Per quanto riguardava
invece i fedeli delle religioni monoteiste, ebrei e
cristiani, cioè "i popoli del libro" (la Bibbia), i
conquistatori arabi consentirono loro di continuare
a praticare i propri culti dietro pagamento
di una tassa (gizya).
Sul piano amministrativo, i vincitori vissero a spese
dei paesi conquistati, attribuendo a ogni combattente
un regolare stipendio. ly_inti erano soggetti
al pagamento di un tributo, stabilito annualmenie-aal
governatore "a:rabo, gen~ralmente meno
oneroso di--quello -pteté~_i -àaI-Bizantini; erano
inoltre esentati dal servizio militare, onore e onere
riservato ai musulmani. Le amministrazioni
locali f~rono solo -in parte -modificate: gli eserciti
si accampavano fuori dalle città conquistate, più
che altro interessati al pagamento delle imposte.
• LA CULTURA
La difesa della cultura classica
Un grande impulso alla diffusione della cultura fu
dato dall'introduzione della carta, che, sostituendo
la pergamena, troppo costosa, e il papiro, troppo
fragile, consentì la diffusione del possesso del
libro.
La carta, inventata in Cina fra il I e il II secolo, era
rimasta sconosciuta per molto tempo al resto del
mondo. Dopo la battaglia di Talas del 751, alcuni
artigiani cinesi, imprigionati dagli Arabi, svelarono
i segreti della produzione di questo prezioso
materiale in cambio della libertà. A Baghdad, circa
cinquanta anni dopo, sorse la prima manifattura
per la fabbricazione della carta, il cui uso si diffuse
rapidamente nel mondo islamico.
Nel IX secolo la biblioteca del monastero di San
Gallo possedeva 36 volumi, mentre la biblioteca
di Cordoba ne aveva circa 500 000. Fu proprio attraverso
questo importante centro di traduzione
dei testi classici che il mondo musulmano prima, e
l'Occidente europeo cristiano poi, conobbero le
opere dei grandi filosofi e scienziati antichi come
La lingua e la
scrittura arabe
La lingua e la scrittura
arabe sono fra le più
conosciute del mondo
grazie alla grande
diffusione della religione
islamica. Oggi la lingua
araba è parlata da più di
200 milioni di persone.
La lettura sempre identica
del Corano ha conservato
questa lingua intatta per
molti secoli.
Aristotele, Platone, Euclide, Tolomeo, Galeno,
Archimede, Ippocrate, per citare solo i maggiori. I
cristiani europei, che ormai non conoscevano più
il greco, poterono quindi venire a contatto con i
pensatori greci dell'antichità attraverso le traduzioni
dal greco in arabo grazie alla Spagna islamizzata.
G razie all'Islam la
lingua araba ha
potuto arrivare
fino a noi: il Corano, libro
sacro dei musulmani è
scritto in arabo. Questa
lingua, all'origine, era solo
uno dei tanti dialetti semitici
della penisola arabica.
Oggi la lingua araba,
parlata da più di 200
milioni di persone, si colloca
al sesto posto nel
mondo, prima del francese
e del tedesco ed è una
delle lingue ufficiali delle
Nazioni Unite.
Molte lingue non semitiche,
in passato, hanno
usato la scrittura araba: è
il caso del persiano, del
turco e del maltese. Ancora
oggi il persiano e altre
lingue indoeuropee
usano i caratteri arabi per
la loro scrittura.
La lingua araba ha la particolarità
di essere molto
La letteratura
ricca di consonanti e povera
di vocali. Queste vocali
vengono pronunciate
in modo attenuato e talvolta
il n6stro orecchio fa
fatica a distinguerle. Delle
28 lettere ben 17 hanno
un suono assolutamente
diverso rispetto all' alfabeto
italiano. I.: arabo grazie
alla lettura del Corano,
sempre identica nei secoli,
ha conservato intatta
questa ricchezza di suoni
evitando l'usura fonetica
subita generalmente dalle
altre lingue nel corso della
loro evoluzione.
I.:arabo è una scrittura alfabetica
composta da 28
lettere; solo tre vocali (a, i,
u) sono simili a quelle della
lingua italiana; le vocali
brevi non si scrivono. Si
scrive e si legge da destra
a sinistra, quindi per leggere
un libro scritto in
arabo bisogna iniziare
Le più antiche testimonianze della storia della
letteratura araba nascono tra i popoli nomadi del
deserto dell'Arabia settentrionale all'alba del VI
secolo. Sono poesie orali tramandate per secoli
dai cantori (ruwat), raccolte e codificate sotto
l'Islam verso l'VIII secolo e considerate da sempre
espressione dell'antica società araba. Specchio
fedele della vita di quell'epoca, parlano di
amori, di guerre, di diatribe fra tribù, di caccia.
Molte sono le raccolte e anche i poeti; la più famosa
è la collana delle sette Mu' allaqat, che racchiude
le più celebri poesie di autori tra i quali figurano
Nabigha, il poeta della tribù di Dhubyan,
grande viaggiatore, e la poetessa ~-Khansa, famosa
per lè sue elegie per la morte dei due fratelli.
Sotto gli Omayyadi, che resteranno al potere per
un secolo (661-750), la poesia scopre temi diversi,
dettati dal nuovo clima politico e sociale. Così
accanto alla poesia beduina nasce quella cittadina,
quella di corte, quella erotica, quella bacchi- .
ca. Il califfo omayyade Walid Ibn Yasid canta le
passioni, il vino e l'amore, mentre Omar Ibn Abi
Rabia diventa l'esponente principale del filone
erotico. Nel periodo abbaside si afferma soprattutto
la prosa, con l'apporto di storici, geografi,
scienziati, filosofi, biografi e traduttori. Un autore
famoso è, per esempio, Ibn al-Mukaffa, che
scrive racconti in prosa rimata ricchi di fantasia e
invenzioni su episodi di vita realmente accaduti.
L'arte decorativa e l'architettura
Per quanto riguarda l'arte, la proibizione da parte
della religione di rappresentare la figura umana
azzerò la produzione pittorica e statuaria, mentre
ebbero un enorme impulso l'architettura e le arti
decorative, che adottarono motivi geometrici.
I palazzi arabi costruiti in Spagna, a Granada, Siviglia,
C6rdoba, o nello Yemen mostrano un'eccezionale
capacità di fondere la leggerezza dell'edificio
con la natura, in un susseguirsi di giardini lussureggianti,
fontane, grandi piscine e portici, il tutto
decorato con smalti di vivacissimi colori che riproducono
in molti casi frasi del Corano.
1Gli studi scientifici
I f Una volta completate le loro straordinarie conquiste,
gli Arabi svilupparono un grande interesse
per le arti e le scienze e in questo furono molto
aiutati dalla cultura greca e bizantina. Nel 529
Giustiniano chiuse l'Accademia Platonica e molti
intellettuali bizantini si trasferirono in Persia,
portando con sé le opere dei grandi scrittori greci,
in particolare di Aristotele. Dagli autori greci
inoltre essi appresero la geometria, la botanica, la
medicina, la geografia. Lo stesso Almagesto, la più
importante opera araba di astronomia, non è altro
che la traduzione della classica opera di Tolomeo,
il grande geografo di Alessandria d'Egitto.
Tuttavia, in alcuni settori, come l'algebra, la medicina,
la botanica o la chimica, furono proprio
gli Arabi a dare contributi originali con nuove
idee e nuove scoperte, e fu l'Europa occidentale a
riceverli e assorbirli da loro. Il più noto contributo
della cultura araba al mondo occidentale è il sistema
di numerazione decimale; fu introdotto in
Italia e poi nel resto dell'Europa dall'italiano Leonardo
Fibonacci alla fine del XII secolo.
Gli scienziati arabi
Gli scienziati arabi si impadronirono della cultura
scientifica greca e di quella indiana, ma svilupparono
poi contributi originali alla storia della
scienza.
Universalmente riconosciuto come il padre della
chimica, Jabir lbn Haiyan (Geber) svolse la sua
opera nella città di Kufa, in Iraq, dove morì nel-
1' anno 803. Scrisse più di 100 trattati monumentali,
ventidue dei quali trattano di chimica e alchimia.
In questa scienza introdusse investigazioni
sperimentali, creando le basi della chimica moderna.
Studiò principalmente le quantità definite del-
le sostanze coinvolte in reazioni chimiche, per cui
si può dire che aprì la strada alla legge delle proporzioni
costanti. Il suo contributo alla chimica, di
fondamentale importanza, include il perfezionamento
di tecniche scientifiche quali la cristallizzazione,
la distillazione, la calcinazione, la sublimazione
ed evaporazione, nonché la creazione di diverse
appar~cchiature per la conduzione di tali
studi. Il maggiore successo pratico di J abir fu la
scoperta dei minerali e degli acidi, preparati per la
prima volta con l'ausilio di alambicchi, invenzione
che rese il processo di distillazione semplice e sistematico.
J abir fu un pioniere nello sviluppo di
numerosi processi chimici, cui diede nomi che sono
rimasti nel vocabolario scientifico occidentale.
Muhammed Ibn Musa al-Khwarizmi (780-850)
nacque nell'Uzbekistan e si trasferì da bambino a
Baghdad. Fu uno dei più grandi matematici del
tempo e introdusse in questa scienza il concetto di
algoritmo, che da lui prese il nome. Al-Khwarizmi
è universalmente conosciuto come il fondatore dell'algebra:
il nome algebra, infatti, deriva dal suo libro
Al-Jabr wa al-Muqabilah, che presenta un' esposizione
piana ed elementare delle soluzioni di equazioni,
specialmente di secondo grado, e regole per
effettuare operazioni su espressioni binomiali.
Yaqub Ibn lshaq al-Kindi (800-873) è conosciuto
in Occidente come Alkindus e fu filosofo, astronomo,
fisico, matematico e geografo. Nato in
Iraq, fu il primo fisico a determinare sistematicamente
il dosaggio di medicinali e droghe. Contribuì
alla geometria sferica assistendo al-Khwarizmi
negli studi astronomici, e i suoi lavori posero
le basi dell'aritmetica moderna.
Abbas Ibn Firnas (non si conosce la data di nascita,
muore nell'888) è un personaggio curioso
perché realizzò nella Spagna islamica il primo
tentativo di volo umano, secoli prima di Leonardo
da Vinci.
Abul Qasim al-Zahrawi (936-1013) fu il più grande
chirurgo del Medioevo. Conosciuto in Occidente
come Albucasis, fu l'inventore di nuove
tecniche chirurgiche e di strumenti e l'autore di
una famosa enciclopedia medica. Tre volumi della
sua enciclopedia trattano di tecniche chirurgiche,
incluse quelle da lui inventate, e catalogano
con diagrammi e illustrazioni 200 strumenti chirurgici.
I suoi libri costituirono testi di riferimento
nelle università europee per cinque secoli.
Molto conosciuto in Occidente, specialmente
da quando i suoi scritti furono tradotti in latino
durante il Rinascimento, fu Ibn al-Haythan
(965-1039), più noto nel mondo occidentale come
al-Azhen, i cui più importanti contributi sono
nel campo dell'ottica. Ancora oggi si sente
parlare del "problema di al-Azhen", che chiede
di trovare su uno specchio sferico il punto in cui
la luce proveniente da una certa sorgente viene
riflessa verso l'occhio dell'osservatore.
Abu Raihan al-Biruni (973-1048) fu astronomo,
fisico, matematico, geologo. Introdusse per primo
nella scienza il metodo dell'osservazione diretta
ed è considerato per questo uno dei padri della
scienza moderna. Al-Biruni scoprì sette modi differenti
per trovare la direzione del nord e del sud,
e le tecniche matematiche per determinare con
esattezza l'inizio delle stagioni. Scrisse dei movimenti
del Sole e delle eclissi, mettendo a punto
perfezionati strumenti astronomici. Molti secoli
prima rispetto al resto del mondo, al-Biruni scrisse
della rotazione della Terra attorno al proprio
asse e fece calcoli accurati di latitudine e longitudine,
descrisse la Via Lattea e, come fisico, determinò
il peso specifico di diciotto elementi.
Al-Idrisi (1099-1166) è stato uno dei più grandi
geografi di tutti i tempi. Disegnò la prima mappa
del globo ed eseguì mappe geografiche per re
Ruggero II di Sicilia. Nel testo Il libro di re Ruggero,
trattato geografico di tutti i paesi allora conosciuti
adoperò metodi di proiezione, per passare
dalla forma sferica della Terra al planisfero, molto
simili a quelli usati da Mercatore quattro secoli
più tardi.
L'opera medica di Avicenna
Ibn Sina, noto come Avicenna (dalla storpiatura
della pronuncia in Spagna di Ibn Sina, divenuto
Aven Sina, da cui poi Avi Cenna), nacque nel 980
a Kharmaithen (presso Bukhara), in Asia centrale,
nell'attuale Uzbekistan.
All'età di tredici anni intraprese gli studi di medicina,
e già a sedici era padrone della materia. Studiò
poi logica e metafisica fino a diventare l'intellettuale
più famoso del mondo arabo. Visse in un
periodo di grande instabilità politica e le alterne
vicende della potenza araba nella sua terra lo costrinsero
a viaggiare. Di giorno lavorava come medico
e come. amministratore e di notte riuniva intorno
a sé i suoi studenti per discussioni filosofiche
e scientifiche. Morì ad Hamadan, in Persia
(ora Iran), nel 1037.
Avicenna scrisse circa 450 opere, delle quali circa
240 sono arrivate a noi. Di queste, 150 sono di filosofia
mentre 40 sono dedicate alla medicina, i
due campi cui contribuì in misura maggiore.
Scrisse anche di matematica, psicologia, geologia,
astronomia e logica. Le due opere più importanti
di Avicenna sono Il libro della guarigione e Il canone
della medicina.
Il libro della guarigione è un'enciclopedia scientifica
che si occupa di logica, scienze naturali, psicologia,
geometria, astronomia, aritmetica e musica;
contiene una serie di dotte dissertazioni su argomenti
scientifici diversi estrapolati dalle opere
di Aristotele.
Il canone della medicina è il libro più famoso nella
storia della medicina. In Medio Oriente e in
Europa fu il testo di insegnamento e il compendio
di scienza medica più diffuso, tanto che venne
tradotto in latino.
Il filosofo Averroè
Ibn Rushd (il nome Averroè viene dalla storpiatura
in lingua spagnola di Ibn divenuto Aven e
Rushd) nacque in Spagna, a C6rdoba, nel 1126.
La sua famiglia apparteneva a una classe sociale
elevata e quindi ebbe modo di costruirsi una cultura
vastissima.
Durante un viaggio a Marrakech notò una stella
che non si poteva vedere sotto i cieli spagnoli: Canepe;
l'osservazione di questo fenomeno gli permise
di intuire la rotondità della Terra.
Durante un altro viaggio a Marrakech, Averroè
conobbe lbn Tufail, medico del califfo Yussùf ibn
Ya'qùb, e questi lo incaricò di tradurre e com-
1 mentare le opere di Aristotele, perché era troppo
vecchio per questo lavoro e le traduzioni fino allora
esistenti erano troppo oscure. Averroè accettò
e s'impegnò in un lavoro che durò più di 15 anni,
ma l'opera del grande filosofo greco fu quasi
interamente tradotta.
Alla morte del califfo, Averroè mantenne un posto
di primissimo piano come medico di corte e
confidente del successore di quest'ultimo Ya' qub
detto al-Mansur. A causa, però, delle sue tesi filosofiche,
cadde in disgrazia, il sovrano lo esiliò nella
città di Lucena (Elisana), vicino a C6rdoba.
Averroè morì a Marrakech, solo e dimenticato,
nel 1198.
Averroè non si limitò a tradurre le opere del filosofo
greco Aristotele, ma scrisse anche dei lunghi
commenti alle sue teorie, esponendo le proprie
idee filosofiche.
Una di queste suscitò lo scandalo degli intellettuali
arabi di allora e provocò non solo il suo esilio ma
Il posto degli Arabi
nella storia
Lo storico Atiyah presenta
efficacemente in questo
passo la traccia che gli
Arabi hanno lasciato nel
mondo attuale, sia nella
civiltà che nella lingua.
e ome il mondo antico,
all'incirca a
partire dal 600
a.C., fu dominato dai Greci
e dai Romani, e il mondo
moderno è stato dominato
dall'Europa occidentale
e dal nuovo mondo
che da essa è nato, così il
Medio Evo fu dominato
dagli Arabi.
Il posto che gli Arabi hanno
occupato nella storia, o
l'influenza che essi hanno
esercitato sul suo corso,
possono essere valutati
secondo tre diversi criteri.
In primo luogo [. .. ] gli
Arabi hanno lasciato una
traccia indelebile della loro
presenza sulla carta
geografica del mondo, arabizzando
in maniera permanente
la maggior parte
del Medio Oriente e tutta
l'Africa del nord. In queste
regioni complessivamente
circa 70 milioni di
uomini oggi parlano arabo
e in un senso o nell'altro si
definiscono Arabi.
In secondo luogo, gli Arabi
diffusero la religione
musulmana ben oltre le
frontiere del mondo arabo.
Attraverso la conquista
( quando il loro Impero
si stendeva dalla Spagna
alla Cina e aveva un' estens10ne
quasi doppia di
quella che aveva avuto
l'Impero romano) o attraverso
il commercio e l' espansione
culturale, essi
portarono la fede predicata
dal loro Prof eta nel cuoanche
la distruzione delle sue opere e la loro cancellazione
dalla storia della cultura araba.
Averroè, infatti, sosteneva che la realtà ha ricevuto
da Dio una struttura definita e perfetta, compiutamente
comprensibile per la nostra ragione. Le interpretazioni
del Corano possono quindi variare
tra coloro che tramite la riflessione razionale e
scientifica giungono al senso nascosto della rivelazione,
e coloro che ne afferrano solo il senso immediato
ed esterno; i primi sono i filosofi e i secondi
sono i teologi e i credenti. Un eventuale
conflitto apparente tra le diverse interpretazioni
può essere risolto da un'esatta interpretazione filosofica.
Queste tesi, che istituivano una superiorità della
ragione e della filosofia sulla fede religiosa, scatenarono
le ire sia dei teologi arabi sia dei teologi
cristiani. Le opere di Averroè, infatti, vennero bruciate
dagli Arabi, ma nell'Occidente incontrarono
uno straordinario successo, tanto che la Chiesa le
condannò ripetutamente e l'appellativo di "averroista"
divenne sinonimo di "eretico".
re dell'Asia, a sud fino al-
1' estremità sud-orientale
della penisola di Malacca e
al di là del mare fin negli
arcipelaghi delle Indie
Orientali. Il numero dei
Musulmani nel mondo
odierno è di circa 350 milioni,
una grande comunità
monoteistica che s1
estende in tutto l'emisfero
orientale e tuttora vive, essenzialmente,
una vita in
gran parte regolata dai
dogmi e dalle leggi sociali
enunciate nel Corano.
Sebbene sei settimi di coloro
che formano questa
società non siano Arabi o
non parlino arabo, pure
essa rappresenta il prodotto
delle idee e delle iniziative
degli Arabi, contributo,
questo, alla storia non
meno importante della
creazione del più limitato
ma più compatto e omogeneo
mondo arabo.
In terzo luogo, gli Arabi,
all'apice della loro fioritura
creativa, a Damasco e a
Baghdad, come a Toledo e
a C6rdoba, furono alla testa
della civiltà mondiale e,
sia attraverso quello che
essi stessi crearono che attraverso
quanto appresero
dall'antica Grecia, dalla
Persia e l'India e trasmisero
agli altri. [ ... ]
L'inglese ha parecchie centinaia
di parole di origine
araba, molte delle quali
hanno carattere più o meno
internazionale, se non
altro nelle lingue dell'Europa
occidentale.
Le parole arsenale, sloop,
cable, traffic, tariffe monsoon
(in italiano rispettivamente:
arsenale, imbarcazione
da corsa, cavo, traffico,
tariffa e monsone) sono
di origine araba, ulteriore
prova questa del
grande ruolo svolto dagli
Arabi nella navigazione
durante il Medio Evo.
Anche algebra, algorism,
zero, alchemy, chess,
Le mille e una notte
titolo originale in
(in cui il numero
ifra reale, ma è il
come in molte aluantità),
è indub- .
letteratura orienciuto
in assoluto,
e degli occidenta-
. o sunti dell' opee
animano le faincipessa
Shahraaginario
di tanti
me Alì Baba e i
o con la sua lamviaggi
di Sindbad
bini conoscono
'opera originale,
a è animata in tutrande
sensualità.
o la redazione decconti
che hanno
tradizione orale e
a redazione scritra,
formata da una
ollegamento con i
biente indiano e
ra persiana. Con la
a parte degli Arabi
a loro forma quasi
ente la loro redanegli
ambienti culcolo
circolava una
onti intitolata Milin
arabo con il tiI
e il XVI secolo
· one indiano, pernifestano
parti che
greco-bizantino e
e, a testimonianza
bi e queste cultuque,
Le mille e
redazione definialle
parti che ab-
..... . . . ........... ······ ·················· •....••..........•.
biamo detto, anche favole e novelle tratte
dalla letteratura popolare.
LA CORNICE DEI RACCONTI
Il re Shahriyàr, re di un Impero non ben
precisato, che si stendeva dalle Indie fino
alla Cina, deluso e infuriato per il tradimento
della moglie concepisce un odio
mortale per l'intero genere femminile. A
causa di ciò egli ordina al visir, che è anche
il padre di Shahrazàd, di condurgli una
fanciulla ogni notte: avrebbe passato la
notte con lei e la mattina seguente ne
avrebbe ordinato l'esecuzione. La strage
continua per tre anni finché Shahrazàd,
bella, saggia e coraggiosa, non si offre di
passare la notte col re dicendo al padre:
«O rimarrò in vita, o sarò il riscatto delle
vergini musulmane e la causa della loro liberazione
dalle mani del re e dalle tue».
Shahrazàd, per non essere messa a morte
dal vendicativo re, per mille e una notte
tiene desta la curiosità del sovrano con i
suoi racconti straordinari, ora incatenati
l'uno all'altro come anelli di una collana,
ora rinchiusi l'uno nell'altro come in un sistema
di scatole cinesi. Quando Shahrazàd
smette di raccontare, il re Shahriyàr
ormai ha dimenticato per amor suo l'antico
odio per le donne; il tempo e la fantasia
l'hanno riconciliato con la vita. Shahrazàd
ha salvato se stessa e ben più di mille e una
fanciulla.
Questa la storia-cornice: una storia di per
sé straordinaria, che offre Shahrazàd al-
1' ammirazione di lettori, imitatori, poeti e
artisti. Shahrazàd è diventata per l'Occidente
la regina-madre di tutte le odalische
che hanno popolato da secoli le letterature
europee, le gallerie d'arte e i palcoscenici
dei balletti.
Per il mondo arabo Shahrazàd è il simbolo
della forza dell'intelligenza, del fascino
della parola, del potere di seduzione e in
questo senso Shahrazàd rappresenta tutt'altro
che il modello dell'odalisca sensuale
e passiva, caro all'immaginario occidentale.
In realtà essa è una donna attiva, abile,
astuta, artefice della propria salvezza e
di quella delle altre donne, capace di suscitare
amore nel sovrano e di conservare
vivo in lui questo amore.
Proponiamo ora qualche breve estratto di
una delle famose novelle, Le avventure di
Sindbad il marinaio.
L'ISOLA-BALENA
La nave di Sindbad attracca a un'isola coperta
di alberi dai quali pendono /rutti succulenti.
Molti passeggeri scendono a terra,
ma... 1
Mentre ce ne stavamo così, godendoci la
bellezza di quel sito, a un tratto sentimmo
la terra che tremava sotto i nostri piedi e
udimmo il capitano che, sporgendosi dalla
murata della nave, gridava: «Passeggeri,
salvatevi! Fate presto! Risalite subito a
bordo! Lasciate ogni cosa, se tenete alla vita!
Fuggite l'abisso che si spalanca sotto di
voi! Perché l'isola su cui vi trovate non è
un'isola, ma una balena gigantesca, che da
tempo immemorabile si è adagiata in mezzo
al mare. La balena è rimasta così da tanto
tempo che il mare l'ha ricoperta di sabbia,
e le sono cresciuti sul dorso gli alberi
che vedete! Voi, accendendo i fuochi per
cucinare, l'avete risvegliata, ed ecco che
ora si muove e vi trascinerà con sé negli
abissi! Salvatevi, abbandonate tutto!».
Udendo queste parole del capitano, i passeggeri,
presi dal terrore, si misero a correre
verso la nave abbandonando le loro
robe, i fornelli, le pentole. Ma la balena era
già in movimento e la nave stava già levando
le ancore, così che solo alcuni riuscirono
a salire a bordo. Gli altri, quelli che si
trovavano più lontano o che si erano attardati
a raccogliere le loro cose, furono travolti
dalle onde e sommersi nel mare profondo.
Io fui fra questi ultimi. Ma Allah
Altissimo e Misericordioso mi salvò dalla
morte facendomi capitare sotto mano un
grosso mastello di legno, di quelli che si
usano per fare il bucato. Io mi ci misi sopra
a cavalcioni e muovendo disperatamente
i piedi come fossero remi cercai di
raggiungere la nave che si allontanava a
vele spiegate. La seguii per un pezzo, finché
non la vidi sparire all'orizzonte, e mi
ritrovai in mezzo al mare, solo e derelitto,
sicuro ormai di morire. Per una notte e un
giorno, fui sballottato dalle onde e dai
venti. Alla fine le correnti marine mi gettarono
contro un'isola rocciosa. Aiutandomi
con le mani e con i piedi riuscii ad attaccarmi
a dei cespugli e a salire in cima alle
scogliere. Quando toccai terra, mi esaminai
il corpo e vidi che era tutto gonfio -e
martoriato e che i piedi recavano i segni
dei morsi dei pesci. Ma non sentivo alcun
dolore, tanto ero sfinito. Mi gettai a terra e
per la stanchezza svenni.
UN UOVO SCAMBIATO PER UNA CUPOLA
Sindbad viene abbandonato dai compagni
su un'isola e si dispera.
Sentendomi impazzire, quasi in preda a
un sortilegio, cominciai a camminare
avanti e indietro senza sapere dove andassi
né che cosa facessi. Alla fine mi arrampicai
su un albero altissimo e cominciai a
scrutare l'orizzonte, ma non vidi altro che
cielo e mare, alberi e uccelli, isole e sabbia.
Tuttavia, dopo un poco, guarda che ti
riguarda, scorsi in lontananza verso l' estremità
dell'isola una forma biancheggiante.
Scesi dall'albero e mi diressi a
quella volta e, quando fui abbastanza vicino,
mi accorsi che quell'oggetto bianco
era una grande cupola che si levava alta
verso il cielo. Cominciai a girarle intorno,
ma non riuscii a trovare né porte né pertugi.
Cercai di arrampicarmi, ma la cosa
mi riuscì impossibile, perché la cupola era
straordinariamente liscia e non offriva alcun
appiglio. Tracciai un segno per terra
nel luogo in cui mi trovavo e girai attorno
alla cupola constatando che la sua circonferenza
era di buoni cinquanta passi.
Mentre me ne stavo lì a lambiccarmi il
cervello sul modo migliore di entrare in
quella cupola, ecco che d'un tratto il sole
si oscurò, come se una grande nuvola lo
avesse coperto. La cosa mi meravigliò
moltissimo perché eravamo d'estate e il
cielo era limpido e terso; allora levai in alto
gli occhi e vidi un uccello dalla mole
enorme e dalle ali larghissime che, volando
nell'aria, aveva nascosto completamente
il sole all'isola. A quella vista il mio
stupore non ebbe limiti; ma subito ricordai
di aver sentito viaggiatori e pellegrini
raccontare di un uccello e~orme, chiamato
Rukh, che abitava in una certa isola e
che nutriva i suoi piccoli con gli elefanti.
Non ebbi più dubbi che la cupola che
aveva attirato la mia attenzione fosse un
uovo del Rukh. Mentre io non finivo di
meravigliarmi per le opere dell'Onnipotente,
l'uccello si posò sulla cupola e cominciò
a covarla, accovacciandosi con le
zampe tese indietro. In questa posizione
si addormentò, sia lode all'Insonne!
Quando fui sicuro che l'uccello dormiva,
mi avvicinai, sciolsi il turbante e lo attorcigliai
facendone una corda robusta e
molto resistente e me ne legai strettamente
un capo alla \;Ìta; l'altro capo lo assicurai
a una zampa dell'uccello dicendomi:
"Chissà che questo uccello non mi porti
in una terra dove siano uomini e città;
questo sarà meglio che rimanere in un'isola
deserta". Quella notte non dormii
per tema che l'uccello volasse via all'improvviso.
Non appena apparve in cielo il
primo chiarore dell'alba, il Rukh si alzò
dall'uovo, spalancò le enormi ali e, gettando
un grido assordante, si levò in volo
trascinandomi con sé. Salì e salì tanto in
alto che pensai avesse raggiunto il limite
del cielo; poi, a poco a poco cominciò a
discendere fino a che prese terra in cima
a un'alta collina.
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economisa e ,sociale
obardi penetrano in Italia da Oriente e
mente Cividale, Aquileia, Padova e Veespugnano
Pavia che diventerà la capigno.
Nel 576 entrano a Susa e portaccupazione
dell'Italia settentrionale. Il
spansione continua poi verso sud dui
Autari (584-590) e di Agilulfo (590-
i Longobardi hanno ormai occupato la
n parte della Puglia. Durante il regno
652) vengono portate a termine le ul-
. Il regno longobardo si consolida
trono Liutprando (712-744). L'.interei
Franchi (756) metterà fine a un redaile
continue lotte fra duchi.
529
San Benedetto
fonda l'abbazia
di Montecassino
529
Giustiniano fa
chiudere l'Accademia
filosofica di Atene,
accusandola di
paganesimo
In questo bassorilievo è stato
rappresentato un gruppo di
cavalieri longobardi che combatte
durante la battaglia di Pavia.
568 574
I longobardi I longobardi
guidati da Alboino occupano
scendono in Italia Spoleto
600
Conversione al
Cattolicesimo
della corte
longobarda del re
Agilulfo
Et-~
A partire dal 568 i Longobardi
- un popolo
proveniente dalla Pannonia
- penetrarono all'interno
dei confini di
quello che era stato
l'Impero romano. Guidati
dal loro re Alboino,
i Longobardi devastarono
l'Italia settentrionale,
poi l'Umbria e la Toscana.
Spingendosi ancora
a sud, con una serie di
incursioni travolsero le
g1a scarse resistenze
dell'Impero bizantino.
L'.occupazione longobarda
non fu sistematica:
a lungo sfuggirono
al loro controllo zone
del Veneto e della Romagna,
l'area di Roma,
parte della regione appenninica,
della Puglia,
della Calabria e infine le /
isole. /, ,· :1/
MEDIOEVO
754 758
Prima discesa Desiderio
vittoriosa di
Pipino in Italia
-'-'I - n2 747
Gli Arabi giungono Pipino
fino alla valle I detronizza
inferiore dell'Indo Childerico lii
IJ..
MAR
MEDITERRANEO
L'ITALIA LONGOBARDA
1 Conquiste iniziali
:...J (568-590)
1 Conquiste del
=I VII secolo
_J Territori contesi tra
Longobardi e Bizantini
I
Tirreno
Conquiste al tempo di
_J Liutprando (712-744)
Conquiste al tempo di
Astolfo (7 49-756)
_J Dominio bizantino
77Z Il papa Adriano I invoca l'aiuto dei Franchi
m Carlo scende in Italia, sconfigge Desiderio a Pavia
7frl Nuova spedizione in Italia di Carlo
Prime sedi dei 0 duchi longobardi
• Altre sedi del
VII e VIII secolo
Quando si va da Frosinone verso Cassino si vede sul!' alto di una collina un enorme edificio
bianco diventare sempre più imponente mentre si sale verso la cima. È l'abbazia di
Montecassino. Sorta sui resti di due templi dedicati a Giove e ad Apollo e di un presidio
romano, l'abbazia di Montecassino deve la sua fondazione a san Benedetto. Attorno al 529
egli gettò le fondamenta della casa per i monaci e dei due oratori.
Distrutto dall'invasione longobarda, il monastero risorse quando i benedettini tornarono
a Montecassino intorno al 720. La seconda distruzione avvenne per mano dei Saraceni,
ma il monastero risorse ancora nella seconda metà del secolo.
I} ultima distruzione di Montecassino fu la più incredibile e tragica. Durante la seconda
guerra mondiale l'abbazia si trovò a essere lungo la cosiddetta ({linea Gustav", che, secondo i
tedeschi~ avrebbe dovuto bloccare l'avanzata degli alleati. Tra il 15 e il 18 febbraio del 1944,
caddero su Montecassino tonnellate di bombe.
Dopo la totale distruzione, una complessa opera di riedificazione ha ridato al!' abbazia
l'aspetto originario, con la grandiosa basilica a tre navate e la sua pianta rettangolare aperta
sul disegno dei tre chiostri, del XVI e XVIII secolo.
Nel 1950 sono state ritrovate le reliquie di san Benedetto e di santa Scolastica, ora
sistemate nel!' altare maggiore. I} abbazia conserva tuttora la sua famosa biblioteca, pur
gravemente compromessa dalle distruzioni belliche: del ricchissimo patrimonio, /rutto di un
immenso lavoro culturale, oggi si conservano ancora oltre 1000 codici~ 40 000 pergamene e
tutto il fondo delle opere a stampa con 250 incunaboli.
I Longobardi invadono l'Italia
non ritennero strategicamente importante il controllo
della penisola italiana. L'Italia si trovò così
ben presto esposta a una nuova minaccia: l'invasione
dei Longobardi.
Con la guerra gotica, alla metà del VI secolo (vedi
p. 85), l'imperatore d'Oriente Giustiniano aveva
abbattuto il Regno romano-barbarico degli
Ostrogoti e aveva stabilito il suo dominio sull'Italia.
Nel 565 l'imperatore morì e i suoi successori
I Longobardi, un popolo di origine germanica, si
erano stanziati in Pannonia (l'odierna Ungheria)
all'inizio del VI secolo, divenendo federati dell'Impero
d'Oriente. I loro costumi feroci e selvaggi
erano conosciuti da storici come Strabope,
D ue sono le principali fonti
storiografiche per il conflitto
tra Longobardi, papato e
Franchi. Per la storia dei Langobardi
è fondamentale l'Historia Langobardorum
di Paolo Diacono.
Paolo di Warnefrido, detto Paolo
Diacono, nacque a Cividale poco
dopo il 720 da una famiglia longobarda
stanziata nel Friuli. Studiò a
Pavia alla scuola del grammatico
Flaviano e fu alla corte dei re longobardi
Rachi, Astolfo e Desiderio;
fu storico, poeta e scrittore religioso.
Divenuto famoso per le sue
qualità e per la sua cultura (conosceva
anche un po' di greco), fu
nominato precettore di Adelperga,
figlia di Desiderio e moglie del duca
di Benevento. Dopo la caduta
del Regno longobardo, anche per
l'amarezza causatagli da questo ,
avvenimento, Paolo entrò nel mqnastero
di Montecassino.
Il re dei Franchi Carlo Magno, tornato
in Italia nel 781, lo invitò a recarsi
in Francia, per collaborare alla
realizzazione della sua politica
culturale. Paolo lavorò con Alcuino
di York e ritornò in Italia per ritirarsi
dopo quattro anni nuovamente
nell'abbazia di Montecassino. Qui
compose il suo capolavoro, l'Historia
Langobardorum e qui morì
negli ultimi anni dell'VIII secolo.
L'Historia Langobardorum consta
di 6 libri e narra le vicende di quest_o
popolo dalle origini fino al 7 44,
cioè fino al regno di Liutprando,
quando i Longobardi raggiunsero
l'apice della loro potenza.
Per i Franchi la fonte più completa
è l'Historia Francorum di Gregorio
di Tours (538-594). L'opera consta
di 10 libri e l'autore la considera la
prosecuzione naturale della storia
romana. La narrazione è disordinata
e spesso confusa, ma offre
una mole impressionante di dati
per chi voglia documentarsi sui
Franchi. Non manca, in stile tipicamente
altomedievale, il gusto per
il meraviglioso e per il miracolistico,
ma la caratteristica principale
di quest'opera è la ricerca costante
di obiettività e un realismo
spesso impressionante.
Velleio Patercolo e soprattutto Tacito, che narrano
con dovizia di particolari il terrore che incutevano
questi uomini seminudi, dalle lunghe capigliature
e dalle lunghe barbe, usi a combattere
con una ferocia e un coraggio senza pari.
Nel 568 una massa di Longobardi, guidata dal re
Alboino e composta da circa 40 000 uomini (seguiti
da donne, bambini, vecchi, animali e da tutte
le loro masserizie), giunse ai confini nordorientali
della penisola. Dilagò nella pianura padana
senza incontrare alcuna resistenza e poi ancora
verso il centro e il sud della penisola. La popolazione
italica era stremata da tanti anni di
scorrerie e di guerre e i Bizantini non avevano la
forza militare per opporsi in campo aperto agli invasori;
si ritirarono nelle loro città fortificate, soprattutto
lungo la costa, dove · potevano ricevere
aiuti via mare. La resistenza fu quindi assai scarsa
con qualche eccezione, come Pavia, che resistette
tre anni, divenendo poi la capitale del Regno longobardo.
La suddivisione dell'Italia
Il dominio longobardo, detto Longobardìa, si
estese presto sull'Italia del Nord, la Toscana (Tuscia)
e i territori di Spoleto e di Benevento. In
ognuna delle principali città di questi territori
prese il potere un capo militare longobardo, un
duca. Ai Bizantini rimasero la regione intorno a
Ravenna (sede dell'Esarcato, cioè del governatore
bizantino) con le città di Ferrara, Bologna e
Andria; la cosiddetta Pentapoli, cioè la zona
adriatica con le cinque città di Rimini, Fano, Ancona,
Senigallia e Pesaro; Roma, Napoli, la Puglia,
la Calabria e le isole maggiori (Sicilia, Sardegna,
Corsica).
Dunque, per la prima volta dai tempi dell'unificazione
romana, si ruppe l'unità politica dell'Italia,
che aveva resistito al crollo dell'Impero e alle precedenti
invasioni (sarebbe stata ricomposta solo
tredici secoli più tardi, con il compiersi del Risorgimento
italiano).
Al loro arrivo in Italia, i Longobardi erano una
popolazione tra le più primitive fra i Germani,
barbari tra i barbari, come li aveva definiti lo storico
bizantino Procopio di Cesarea. Al contrario
di quanto avevano fatto i Goti, i Longobardi non
cercarono nessuna forma di collaborazione e tanto
meno di integrazione con la popolazione italica;
ruppero la tradizione politico-amministrativa
precedente escluden- t :, I 1, •
do dal potere la classe senatoria
italiana, che in molti
casi fu anche espropriata
dei suoi patrimoni
fondiari. Grave fu anche
il conflitto con il clero che
aveva tentato
di difendere la popolazione
locale. Per un certo
tempo, dunque, i
Longobardi si
comportarono
come conquistatori
e vissero di
un'economia di rapina
nei confronti dei vinti .
.::B In questa placca metallica, che guarniva una fibbia, è
rappresentato un cavaliere longobardo con lancia e scudo.
I successori di Alboino:
Autari e Agilulfo
CìniJ -il cavaliere iniziò-a ricevere-la-sp-aà.a, -( -Nell'ambito del codice di comportamento del cavasimbolo
del potere e della forza, dalle mani di un i liere spicca prima di tutto la sua vocazione alla
Il rituale
dell'investitura
Riportiamo qualche passo
tratto da un volume del
grande storico del
D alla seconda metà
del secolo XI
in poi, vari testi,
i quali non tardano a farsi
sempre più numerosi, commcrnno
a menzionare
che nel tale o talaltro luogo
s'è svolta una cerimonia
destinata - dicono - a
"fare un cavaliere". Il rituale
implica parecchi atti.
Al postulante, di solito
appena uscito dall' adolescenza,
un cavaliere più
anziano consegna anzitutto
le armi significative del
suo futuro stato, in particolare,
la spada. Segue
poi quasi sempre un gran
colpo assestato dal padrino
sulla gota o sulla nuca
del giovane col palmo
della mano: la paumée
(palmata) o colée (accollata)
dei testi francesi. I
poemi mostrano volentieL
ri l'eroe che si sforza di
Medioevo Mare 8/och,
in cui si ricostruiscono
alcuni aspetti salienti
della cerimonia
dell'investitura.
Particolare attenzione
viene rivolta alla
cristianizzazione
de/l'investitura da parte
della Chiesa.
non piegare sotto quel rude
colpo: l'unico - osserva
un cronista - che un
cavaliere debba ricevere
senza restituirlo.
Infine, una manif estazione
sportiva terminava la
festa. Il nuovo cavaliere
balzava a cavallo e correva
a trafiggere o ad abbattere
con un colpo di lancia
una panoplia fissata a
un palo: la "quintana".
Via via che gli ambienti
cavallereschi acquistarono
più chiara coscienza di
quel che li separava dalla
massa "senza armi" innalzandoli
al di sopra di essa,
si fece sentire sempre più
imperioso il bisogno di
sanzionare, per mezzo di
un atto rituale, l'ingresso
nella collettività così definita:
sia che il nuovo ammesso
fosse un giovinetto
che, nato di famiglia nobile,
ottenesse di essere
accolto nella società degli
adulti, sia che si trattasse,
molto più di rado, di
qualche fortunato parvenu
che una potenza da
poco acquisita, la forza o
l'abilità sembrassero eguagliare
ai membri delle antiche
prosapie [ ... ].
Ma in una società avvezza a
vivere sotto il segno del sovrannaturale,
come avrebbe
potuto il rito della
consegna delle armi, in
origine meramente profano,
non ricevere un'impronta
sacra? Due usanze,
entrambe assai antiche,
servirono di punto
di partenza all'intervento
della Chiesa.
Anzitutto, la benedizione
della spada. Il futuro cavaliere
deponeva un momento
la spada sull'altare:
alcune preghiere accompagnavano
o segmvano
questo gesto. Ispirate dallo
schema generale della
benedizione, esse assunsero
ben presto una forma
appropriata a una prima
vestizione. Quanto alle
pratiche accessorie - il
bagno purificatore, imitato
da quello dei catecumeni,
la veglia d'armi -
non sembra che siano state
introdotte prima del
secolo XII, né che siano
state altro che eccezionali.
Così la veglia non era
sempre consacrata a pie
meditazioni: a dar retta a
un poema del Beaumanoir,
accadeva talvolta ve_-
nisse trascorsa in maniera
profana.
La spada così consacrata
- sebbene nessuno si sogni
di vietare di sguainarla,
in caso di necessità,
contro i nemici o quelli
del signore - il cavaliere
l'ha ricevuta, anzitutto,
per metterla al servizio
delle buone cause. Già le
vecchie benedizioni della
··················-····································································································
te, a causa sopratdella
popolazione
dono dei campi,
dell'Alto Medioedove
il clima era
più numerosa, le
entro limiti abbata
l'Europa orienoschi
impenetraazi.
bero nell' econortanza
fondamenropria
fonte di viben
oltre l' aspet-
. re l'ambito psicoollettivo.
· dente a uomini
·, lupi, ma anche
ggiravano in gran
La gente comune
e zone, previo pae
poteva anche esrede
catturate. Le
frivano anche pelli calde per l'inverno e le
grandi querce erano fondamentali per l' alimentazione
dei maiali che si cibavano soprattutto
di ghiande. I lupi venivano cacciati
spietatamente non tanto per difendere
la vita degli inermi contadini, quanto
perché con le loro pelli si confezionavano
pellicce che erano molto apprezzate dai
nobili.
La selva, dunque, come luogo di vita, ma
anche, e spesso, come fonte di pericoli e di
terrori ancestrali. Durante il giorno le attività
nei boschi fervevano, ma di notte ogni
lavoro si fermava. Nessuno osava muoversi
sui sentieri dei boschi di notte: con il rarefarsi
degli scambi e dei contatti con altre
comunità le strade si erano rovinate e molte
zone divennero impraticabili. Oltre a
ciò, le foreste erano popolate di ladri e briganti
che non esitavano a uccidere per depredare
i viandanti. I nobili, anche di giorno,
si muovevano con scorte armate e la
storia di Robin Hood è molto significativa
al proposito, anche se in questo caso la figura
del brigante è stata trasformata in
quella di un virtuoso che ruba ai ricchi per
dare ai poveri.
Ma la selva, soprattutto di notte, risvegliava
terrori che venivano dal profondo, legati
a tradizioni secolari. La maggior parte
dei contadini, anche se battezzati, coltivava
in modo particolare il culto degli alberi
e delle sorgenti. Era abituale l'uso dei sacrifici
fatti al lago o alle grandi querce secolari.
La tradizione veniva direttamente
dai Druidi celtici e i contadini, in alcune
ricorrenze, gettavano nel lago e depositavano
ai piedi degli alberi piccoli doni per
garantirsene i favori. E così di notte gli alberi,
al buio, si animavano e voci arcane
correvano tra i rami, suscitando il terrore
dei poveri coloni.
Un'altra fonte di terrore erano le streghe
e i maghi che, secondo le leggende, si riunivano
periodicamente nelle radure per
celebrare i riti satanici. Ogni contadino
tremava all'idea di diventare, senza volerlo,
un testimone di questi sabba, perché
Satana non avrebbe mai lasciato vivo l'incauto.
D Un cacciatore segue a cavallo i cani durante una
caccia nel bosco. Cacciare nel Medioevo era un privilegio
esclusivo dei signori . .
1\1 I cacciatori si fermano a pranzare nel bosco interrompendo
una battuta di caccia.
La lin ua e la letteratura
In questo periodo le strade del latino e delle lingue
volgari si allontanano (vedi p. 74). In Francia si
parla correntemente il volgare francese, detto "lingua
romanza". Il latino resta come lingua degli
scritti ecclesiastici e anche dell'amministrazione
dello Stato, anche se in questo settore viene progressivamente
sostituito dal volgare.
La Chiesa raccomanda ai vescovi di farsi capire
dai fedeli rinunciando al latino. Ecco il testo della
delibera del concilio di Tours dell'813 che impone
l'uso del volgare: «All'unanimità abbiamo
deliberato che ogni vescovo tenga omelia, contenenti
le ammonizioni necessarie a istruire i sottoposti
circa la fede cattolica, secondo le loro capacità
di comprensione, sull'eterno premio ai buoni
e sull'eterna dannazione ai malvagi, e anche sulla
futura resurrezione e il giudizio finale, e con quali
opere si possa meritare la beatitudine, con quali
perdersi. E che si studi per tradurre comprensibilmente
le medesime omelie nella lingua romana
rustica o nella tedesca, affinché più facilmente
tutti possano intendere quel che è detto».
Non esiste in questo periodo una letteratura dei
Franchi. Cominciano, però, a diffondersi e a diventare
popolari una serie di storie fantastiche,
ambientate in luoghi misteriosi [ ooc.].
L'isola
degli immortali
È una storia che nasce in
Irlanda e narra di una
ella parte settentrionale
del
Munster c'era
un lago in cm c'erano
due isole, una abbastanza
grande e l'altra abbastanza
piccola. La più grande
aveva una chiesa venerata
da tempi remoti, la più
piccola aveva una cappella
curata devotamente
da alcuni uomini celibi
chiamati «adoratori del
cielo».
Nessuna donna o animale
magica isola in cui la gente
non muore mai, anche se è
affetta da mali gravissimi.
Il fatto curioso è che il
concetto di immortalità
non viene affatto unito al
concetto di salute e
giovinezza.
di sesso femminile aveva
mai potuto mettere piede
sull'isola più grande senza
andare immediatamente
incontro alla morte.
Ciò era stato provato più
volte con gli esempi di cagne,
gatte o altri animali
di sesso femminile. Quando
vemvano portati m
quel luogo, per qualche
tentativo, morivano llnmediatamente.
Cosa degna di attenzione
è quella che succede agli
m Re Artù e Lancillotto circondati dagli altri cavalieri della Tavola R
XV secolo.
uccelli: mentre i maschi si
posano ovunque sui cespugli
che vi sono nell'isola,
le femmine si limitano
soltanto a sorvolarla e
ad abbandonare lì i loro
compagni e, come se fossero
pienamente consce
del suo singolare potere,
evitano l'isola come la
peste.
Nell'isola più piccola nessuno
è mai morto o può
morire di morte naturale.
Di conseguenza essa è stata
chiamata l'isola degli
immortali. Ciò nonostante
a volte gli abitanti soffrivano
di malattie mortali e
trascinavano la loro agonia
malgrado tutto, senza
poter morire. Quando
non c'era rimasta alcuna
speranza, quando si rendevano
conto che non
avevano più nemmeno un
briciolo di vita da spendere
e le forze venivano meno,
essi erano così angustiati
che preferivano morire
piuttosto che trascinare
una esistenza da morti.
Allora si lasciavano trasportare
su una imbarcazione
nell'isola più grande,
e, non appena toccavano
il suolo, esalavano il loro
ultimo respiro.
Un'altra isola la troviamo
nel mare occidentale del
Connacht, che si dice fosse
stata consacrata da San
Brandano. In quest'isola i
corpi umani non venivano
seppelliti e non andavano
in putrefazione, ma
venivano lasciati all'aperto
e restavano incorrotti.
- - - --. -----
e degli Ungari S., ~ C' t a,_ ,s e-' '?) ~ -S •
'!i
rio il Grosso (888) la disgregazioolingio,
iniziata nell'843, si compie.
a dall'888 al 955 Ungari, Normanpiono
scorrerie in tutta l'Europa; a
o solo i signori locali. La ricostituizzazione
politica solida si avvia nel
ne di Sassonia diventa re di Germanominato
re d'Italia e nel 955 sconel
962 Ottone viene consacrato imlidamento
della struttura dell'lmpeoi
successori della casa di Sassonia,
3), Ottone lii (983-1002), Enrico Il
sercitare il potere controllando un
n Europa.
827
I Saraceni iniziano
la conquista
della Sicilia
Berengario 11, re d'Italia
presta omaggio
all'imperatore Ottone I.
860
I Vareghi fondano
il Principato di
Novgorod
892 899
I Vichinghi Inizia
attaccano
l'Inghilterra
La fontana della giovinezza e della vita . . . Il tema della ricerca dell'eterna giovinezza
e della fonte della vita è antichissimo. In
questa storia medievale, d'origine sconosciuta,
si parla di una congiura contro un
re che porta all'uccisione, con il veleno, di
tutti i suoi cavalieri. Il figlio del re, però,
saprà ridare la vita ai morti, placando la disperazione
di suo padre.
«Il re aveva un figlio molto giovane, il quale
vedendo il padre in un tale stato di frustrazione
e di dolore gli si fece vicino e disse:
"Padre, non disperate, io so come riportare
in vita i vostri amati cavalieri. Non
lontano da qui c'è un piccolo regno, abitato
da bellissime fanciulle, le quali hanno
un giardino in cui esiste ogni sorta di meraviglia.
Tra le tante cose meravigliose del
giardino c'è una fonte dalle magiche virtù.
Infatti se la sua acqua viene aspersa sul
corpo delle persone morte, queste vengono
riportate immediatamente in vita. Perciò
vi chiedo il permesso di andare alla ricerca
di questa fonte e di portare qui per
voi l'acqua che potrà ridare la vita ai vostri
fedeli sudditi". Il re pur di riportare in vita
coloro che erano morti per colpa sua,
concesse al figlio di partire.
Il giovane si mise subito in viaggio, da solo,
per la terra delle bellissime fanciulle,
custodi della suddetta fonte, pensando
lungo il tragitto a come fare per riuscire a
convincerle delle sue buone intenzioni.
Giunto, infine, nei pressi del loro regno,
gli si fecero incontro alcune bellissime fanciulle,
vestite di candidi abiti che lasciavano
intravedere le loro sinuose e perfette
forme. Il giovane rimase estasiato da tali
bellezze; mai aveva visto donne talmente
belle. Fattosi coraggio, il giovane spiegò il
motivo della sua venuta e del dolore del
padre per la perdita dei suoi uomini più
fedeli a causa di un uomo malvagio che era
stato condotto alla corte dallo stesso re, ed
elevato a grandi onori e colmato di benefici.
Le fanciulle ascoltarono con attenzione
ciò che il figlio del re raccontò loro, infine
dissero sorridenti: "Sappiamo che tu dici il
.vero; un animo candido e innocente come
il tuo non potrebbe mai mentire, per questo
potrai avere accesso alla nostra fonte.
Solo agli animi puri ed esenti da peccato è
consentito avvicinarsi e prendere l'acqua
che restituisce la vita tolta a tradimento ingiustamente".
Detto ciò, lo accompagnarono
nel meraviglioso giardino, dove il
giovane poté vedere tante meraviglie, che
nessuno può descriverle a parole, e qui
raccolse in un vaso dell'acqua che sgorgava
da questa fonte, situata al centro del
giardino, ali' ombra dei rami di un ampio
albero e attorniata da uccelli che con il loro
canto creavano un suono quasi ecclesiale.
Pace e tranquillità regnavano in quel
luogo, e fu non senza pochi rimpianti che
il giovane prese commiato dalle fanciulle e
da quel luogo.
Ritornato di corsa al palazzo, si recò nel
luogo dove giacevano i corpi esanimi e li
sonno mort
senza del re,
stati avvelen
qua della fo
suo figlio. G
l Medioevo la morte appariva come un evento del tutto naturale, che seminava sì dolore
ngoscia, ma veniva accettato come un aspetto fondamentale e caratterizzante della vita
ana. Le riflessioni sulla fine dell1 esistenza erano così frequenti e comuni che uno storico
me Philippe Ariès la definisce una «morte addomesticata». La morte era sentita, in/atti~
me qualcosa di normale e da accettare: alla morte non c'era via di scampo. Nella
icologia collettiva medievale era l1 «evento certo» per eccellenza, la livella che portava
ustizia e pareggiava ogni divisione, un avvenimento che, per la sua normalità, bisognava
pettare sereni.
ggi la caduta di ogni idealismo, la relativizzazione dei sistemi di valori e il pieno sviluppo
· una società di massa hanno accentuato lo smarrimento che ci prende di fronte a questo
ento. La morte è vissuta ai nostri giorni come una rottura, come una deficienza della
ostra struttura originaria, come una malattia da combattere, e non come un passaggio, una
ppa della vita.
el X secolo l'Europa fu investita da una massicia
ondata di invasioni che portarono alla defini~
iva dissoluzione la fragile costruzione politica di
, ~rlo Magno. Da nord calarono i Normanni, da
,lld vennero i Saraceni, cioè i pirati musulmani,
·à· est, dalle pianure della Pannonia (l'odierna
insieme di popolazioni originarie della penisola
scandinava e dello Jiitland. Erano divisi in due
ceppi principali: i Vichinghi, stanziati nelle attuali
Danimarca e Norvegia, e i Vareghi, che occupavano
la parte orientale della Scandinavia (all'incirca
l'attuale Svezia), da dove penetrarono nelle
pianure della Russia. Qui avrebbero poi costituito
i Principati di Novgorod, Smolensk e Kiev, entrando
in contatto con l'Impero romano d'Oriente
e con gli Arabi, e sarebbero arrivati a mettere
Bisanzio sotto assedio diverse volte fra la metà del
IX e la metà dell'XI secolo.
ngheria), gli Ungari. Queste invasioni durarono
iù di 100 anni, fino alla metà dell'XI secolo, e
ortarono morte e distruzione in tutta l'Europa
ccidentale.
~ \
•: \ ,-·, [, '
1
1 Normanni
Con il nome generico di Normanni, cioè "uomini
del Nord" , gli europei del tempo indicavano un
Mentre le tribù germaniche si erano progressivamente
integrate nell'Impero romano, o in quello
carolingio, i Normanni erano sempre rimasti isolati
e non si erano convertiti al Cristianesimo. Erano
da tempo conosciuti come abili navigatori e
predoni, ed episodi di razzie e saccheggi si erano
verificati fin dal IX secolo; le loro leggere imbarcazioni
non avevano bisogno di fondali profondi,
O
. ltre ai numerosi reperti arc~eologici
e agli ~difici che
s1 sono conservati, per questo
periodo abbiamo alcune fonti
storiografiche molto importanti. Un
punto di riferimento fondamentale
resta sempre la monumentale raccolta
di atti, documenti e cronache
che va sotto il nome di Monumento
Germaniae Historica, ma possediamo
anche opere di storici e cronisti
vissuti nel X secolo.
Uno di questi è Liutprando da Cremona
(920-972): fu ambasciatore
a Costantinopoli e, dopo essersi
scontrato con il re d'Italia Berengario
Il, si rifugiò in Germania alla corte
di Ottone I. Tornato in Italia al seguito
dell'imperatore, nel 961 fu
nominato vescovo di Cremona. Ci
ha lasciato tre opere fondamentali
per la storia italica del periodo. Nel
Libro dei re e dei principi d'Europa
Liutprando, più che fare storia, si
lancia in una violenta requisitoria
contro quei regnanti che, a suo dire,
non erano degni del trono. Con il
Libro sulle imprese di Ottone I esalta
la figura e le opere dell'imperatore
allora regnante. Interessante è
anche la Relazione sulla legazione
costantinopolitana, scritta dopo la
sua esperienza di ambasciatore a
Bisanzio.
Un altro importante storico è Widukindo
di Corvey che nella sua opera
dal titolo Rerum gestarum saxonicarum
libri tres descrive con efficacia
e grande documentazione le origini
dei popoli sassoni e la storia di
Avari e Ungari.
Una personalità interessante è senz'altro
quella di Rodolfo il Glabro
(985-1047). Fu un monaco cluniacense
e le sue Cronache dell'anno
Fra il IX e il X secolo l'Europa
subì una nuova ondata
di invasioni della
quale furono protagonisti
a nord i Normanni, a
est gli Ungari e a sud i
Saraceni. A fronteggiare
queste invasioni non vi
era un organismo politico
solido e unitario e
perciò esse furono respinte
localmente, con
scarsa efficacia, dai signori
feudali.
La ricomposizione politica
dell'Europa iniziò con
l'elezione di Ottone I di
Sassonia, re di Germania,
che unificò i cinque grandi
ducati tedeschi: Lorena,
Franconia, Sassonia,
Baviera e Svevia.
La corona di re d'Italia
ottenuta da Ottone a la
sua consacrazione a imperatore
associarono il
destino politico dell'Italia
a quello della Germania.
OCEANO
ATLANTICO
L'EUROPA INTORNO AL 1000 E
LE INVASIONI DEL IX-X SECOLO
- Sacro Romano Impero
~ Normanni·
~ Saraceni
~ Ungari
ALTO MEDIOEVO
936 955 962
Sale al trono Ottone I annienta Papa Giovanni Xli
Ottone I il Grande gli Ungari a consacra
Lechfeld imperatore
Ottone I
962 976
Nel Regno di Castiglia, I Turcomanno I
in Spagna, comincia la Selgiuq conlotta
contro i musulmani I quista la Persia
980
Ottone Il
scende in Italia
per riaffermare
la sua autorità
980
Nel Regno
di Kiev
comincia a
diffondersi
il Cristiane-I
simo
987
1002
Enrico Il, imperatore
di Sassonia.
Arduino d'Ivrea,
re d'Italia
..
1024 1037
Corrado Il Corrado Il
il Salico re emana la
di Germania Constitutio de
feudis
1024
Lo stile 1037
romanico si Muore il grande
afferma in studioso arabo
Europa Avicenna
aliti e più facili le ruberie. Nessuno riuscì quindi
ostacolare la conquista vichinga di buona parte
elle isole britanniche, della Normandia e della
icilia. I loro successi erano dovuti soprattutto ala
rapidità nell'azione, garantita da veri e propri
eparti speciali d'assalto.
Vichinghi erano spinti nella loro espansione anche
da interessi commerciali: per raggiungere i
ricchi mercati orientali si addentrarono nelle pianure
russe e per reperire pellicce di orso polare e
avorio di tricheco si spinsero in Groenlandia e nel
Nord America.
La navigazione attraverso gli insidiosi mari del
Nord e il tempestoso oceano Atlantico dimostrano
la straordinaria abilità marinara di queste popolazioni,
sia nella costruzione delle navi sia nella
conoscenza degli elementi naturali, unita a un eccezionale
spirito di scoperta.
La conquista normanna
dell'Inghilterra
Dopo il crollo dell'Impero romano d'Occidente,
in Inghilterra si erano infiltrate le popolazioni
germaniche degli Angli e dei Sassoni.
Agli inizi del IX secolo, i regni anglosassoni si
unificarono sotto un'unica corona e subito dovettero
affrontare le prime incursioni normanne. Il
re Alfredo il Grande (871-899), colui che diede
all'Inghilterra le prime leggi, non riuscì a impedire
che i Normanni si insediassero nel Nord dell'isola.
La lotta fra Anglosassoni e Normanni proseguì a
lungo, con successi alterni, finché nel 1066 il duca
di Normandia Guglielmo il Conquistatore
sbaragliò il re Aroldo II nella battaglia di Hastings,
conquistò il trono inglese e instaurò una
salda monarchia feudale.
potevano così risalire i fiumi per molti chilometri
e raggiungere anche città e paesi posti all'interno.
Furono assalite e saccheggiate città come Amburgo,
Siviglia, Pisa e, fra 1'885 e 1'886, fu posta
sotto assedio perfino Parigi [ ooc. P. 195 ]. Con le
loro navi piccole e agili, i Normanni si spostavano
velocemente lungo le coste, ma è anche accertato
che, facendo base in Groenlandia, superarono
l'Atlantico e toccarono l'America settentrionale.
Nel X secolo, le occasionali scorrerie normanne
si trasformarono in una vera e propria espansione
con la conquista di nuovi territori.
Nel 911 gruppi di Normanni si stanziarono lungo
le coste settentrionali della F ran -
eia, si convertirono al Cristianesimo
e ottennero dal re il possesso della
terra che da loro prese il nome di
Normandia. I duchi di Normandia
sarebbero poi partiti alla conquista
dell'Inghilterra. I.: espansione vichinga fu caratte
rizzata da aggressioni e violenz
che avevano come scopo la con
I Vichinghi
quista di terre fertili da coltivare, I
fondazione di basi commerciali e 1
Furono chiamati Vichinghi quei gruppi
di guerrieri-navigatori che, provenendo
dalle regioni scandinave delrapina
di beni di prestigio. Le ragioni eh
spinsero le popolazioni scandinave a cercare
fortuna per mare sono ancora incerte; si
ritiene che la causa principale sia stato l'in-
1' attuale Norvegia e Danimarca, ter- cremento demografico verificatòsi in ma- . . ronzzarono con numerose scorrene
le popolazioni delle coste francesi e
britanniche. Il nome deriva probabilmente
da un loro mitico re: Viking. Il
periodo di espansione per mare di queste
popolazioni va dall'VIII all'XI secolo.
drepatria: alcuni gruppi furono costretti a
emigrare da una terra che, per le difficili con-·
dizioni ambientali, non poteva sostentare un 1
grande numero di abitanti. Questa ragione può
essere collegata alla coeva crisi dell'Impero franco,
che rendeva più deboli le difese dei popoli asmille,
in cinque libri, raccontano la
storia d'Europa dal 900 fino ai suoi
tempi. La sua opera è inquinata fortemente
dall'idea che sta alla base
del racconto storico e cioè ricercare
sempre e soltanto la mano di Dio
nella storia dell'uomo.
Lo studio delle popolazioni vichinghe
rappresenta un caso esemplare
del metodo utilizzato dagli storici
per tentare di ricostruire i numerosi
aspetti di una civiltà: in
questo caso, infatti, i ricercatori
dispongono di diverse fonti, talvolta
contraddittorie, e devono
confrontarle accuratamente per
stabilire la veridicità delle informazioni.
Le imprese dei Vichinghi furono riferite
da cronisti dell'epoca: si trattava
soprattutto di resoconti di
guerre e di saccheggi, che contribuirono
ad alimentare il mito di un
popolo violento e sanguinario.
Queste narrazioni, quindi, presentano
un aspetto parziale della storia,
perlopiù influenzato dal terrore
degli sconfitti, e contengono scarse
indicazioni riguardanti la vita quotidiana
dei Vichinghi. Per colmare tale
lacuna, si può ricorrere agli scavi
archeologici, dai quali si ricavano
numerose informazioni su come
vivevano i Vichinghi; questo
anche grazie alla particolare umidità
del suolo dei paesi nordici,
che ha permesso la conservazione
di materiali normalmente deperibili,
quali il legno, il cuoio e i tessuti.
I dati provenienti dalla ricerca
archeologica costituiscono, inoltre,
un importante termine di confronto
per quei documenti storici
che rappresentano il mondo vichingo
in forma figurativa.
e conse uenze delle invasioni -----.-;;_.-- ,_ ...,_.,_.--~---
li storici concordano sul fatto che le invasioni
ll'Europa non ebbero conseguenze solo negati-
[ LETTURA]. Contribuirono infatti a mettere in
oto proc~ssi di tr~sf~rma~ione economie~ ~ so-JM ·. ale. Le esigenze d1 difesa mdussero a fortificare }•,
iverse città e le persone che qui arrivarono per.,,{
ovare riparo stimolarono la rinascita dei centr( !~;
rbani. Le frontiere dell'Europa cristiana si allar-=-'\""-
arono (con il Regno d'Ungheria) e, passato il pe- ,} }
colo i commerci e gli scambi ricevettero un no- ::i:t.1 ' i~ vole impulso. Nelle campagne la fuga e la mi- . t . razione di grandi masse contadine spezzarono i :
garni tra signori e servi della gleba che avevano i
aratterizzato l'età carolingia. Si generarono, in- ;
omma, un nuovo dinamismo, un'ansia di rinnoamento
e talvolta moti di rivolta che contribuiroo
alla cosiddetta rinascita dell'anno Mille.
Ottone I re di Germania
e imperatore (93---=6'---.,9,1--#-7___,. 3)_ _ _ _
Dopo Enrico I di Sassonia, che a Unstrutt aveva inferto
una prima sconfitta agli Ungari (933 ), in Germania
salì al potere il figlio Ottone I, che fu eletto
Lo storico medievalista
Georges Duby delinea con
efficacia gli effetti che le
invasioni degli Ungari, dei
Vichinghi e dei Saraceni
ebbero su/l'Europa di allora.
aspetto cambiò. Qùando i
Carolingi mantenevano la
pace, le mura delle città
erano servite da cave per
la costruzione dei nuovi
edifici delle cattedrali, la
cui dimensione aveva sospinto
le attività economiche
verso la periferia dei
nuclei ancora pre-urbani.
A partire dalla metà del
IX secolo si cominciarono
a erigere attorno alle
città della Gallia o ai monasteri
delle fortificazioni
che, il più delle volte, resistettero
agli attacchi. Il
loro ruolo difensivo diventò
il fondamento della
vitalità urbana. Esso incoraggiò
i fuggitivi a riversarsi
nelle città con le loro
ricchezze. Tale concentrazione
aiutò ad accumulare
risorse per uno sviluppo
futuro. Così, non solo
non vi fu, generalmente,
alcuna frattura nell'attività
urbana, ma le città furono
in un certo senso stimolate
dai pericoli incombenti
sul territorio
circostante.
I più esposti alla devastazione
delle bande di predoni
furono i monasteri
isolati e le campagne.
Molti grandi complessi
fondiari e villaggi perdettero
una parte dei loro lavoratori,
razziati dai trafficanti
di schiavi. Ma l'eco-
.. /i Mc~N -oR\1\l
dm'.w n i &'x pt.111.t 171..!Xì
J me;"ptttì-..R.- 1mpcrtt·
·) -Ovtfcru.o tuo 1m.po:iro
~ r-tnfu-Orl0Hl -rntipb,imr.l
Una miniatura, appartenente a un codice del X secolo, che
rappresenta l'incoronazione di Ottone I.
nomia rurale era troppo
primitiva per soffrire gravi
perdite da queste intrusiom,
e l'equipaggiamento
delle aziende troppo elementare
per essere completamente
dissestato.
Nella maggior parte delle
regioni è dubbio che le incursioni
dei pagani abbiano
causato molto più danno
materiale di quanto
non ne provocassero ogni
anno le continue rivalità
fra i potenti. La popolazione
fuggiva davanti agli
invasori con il suo bestiame;
dopo l'allarme, di solito
ritornava a lavorare su
una terra che non era stata
in nessun modo danneggiata.
Non costava
molto ricostruire la propria
capanna, e numerosi
contadini si ristabilivano
presumibilmente molto
presto nel quadro abituale
della signoria. Ma le incursioni
e il terrore che esse
ispiravano determinarono
spesso ampie rmgrazioni
contadine, che privarono
i grandi possessi
della manodopera indispensabile
alla loro valonzzaz10ne.
Per di più,
quando fuggivano di fronte
ai Vichinghi, ai Saraceni
o agli Ungari, molti servi
e dipendenti coglievano
l'opportunità per spezzare
i legami che li vincolavano
ai loro padroni. Essi si stabilivano
altrove, al servizio
di nuovi signori, che li
trattavano come uomm1
liberi e li sfruttavano meno
duramente. Perché,
per ripopolare di lavoratori
i loro possessi, i gran-
DOCUMENTO
I Normanni
assediano Parigi
Tra /'885 e /'886 i Normanni
posero Parigi sotto assedio
e Abbone, un monaco,
scrisse un poema, intitolato
L'assedio di Parigi, in cui
P arla con gioia, tu
che sei stata salvata
da Dio onnipotente,
o Lutezia, come venivi
chiamata un tempo. Un'isola
si allieta di accoglierti.
Un fiume stende intorno a
te in cerchio perfetto le
sue braccia che carezzano
esaltava il valore dei
difensori della città ma
soprattutto, con espressioni
alate e retoriche, esaltava la
città stessa, vista come una
sorta di creatura sacra e
inviolabile. Offriamo un
saggio di questo poema
che ci ha permesso,
comunque, di conoscere
direttamente un episodio
storico.
le tue mura. A destra e a
sinistra, sulle tue sponde,
si levano dei ponti, opponendosi
alle onde. Si vedono
delle torri che vegliano
su di loro da una
parte e dall'altra, nell'interno
della città e oltre il
fiume.
Parla dunque, tu che sei la
più bella delle città, e racconta
del dono che ti fece
la gente danese, amica di
Plutone. Ecco il dono che
i crudeli ti offrirono: settecento
navi eccelse e una
innumerevole moltitudine
di barche. Il letto profondo
della Senna se ne trovò
a tal punto ingombro, fino
a un po' più di due leghe a
valle, che ci si chiedeva
con sorpresa dove si fosse
nascosto il fiume. La forza
dei cristiani stava tutta in
duecento campioni, mentre
mille volte quaranta,
cioè quarantamila, era il
numero dei loro feroci avversari.
Dopo il fallimento
(del primo assalto) le donne
dei Danesi si strappano
i capelli e scoppiano in lacrime.
Ciascuna si rivolge
al proprio marito: «Da
dove vieni? Stai fuggendo
dalla torre? Lo so bene.
Figlio del diavolo, nessuno
di voi riuscirà a trionfare».
[Non riuscendo a prendere
la città, i Normanni cominciano
a saccheggiare
le campagne circostanti].
Fanciulli di tutte le età,
giovani, vecchi canuti, i
padri, i figli e anche le madri,
tutti vengono uccisi.
Massacrano il marito so
gli occhi della moglie e
moglie sotto gli occhi
marito; i figli muoiono
presenza dei genitori.
servo ottiene la libertà;
padrone, al contrario,
venta servo. Questa te
ricca viene privata di tu
i suoi tesori: dappertu
ferite sanguinanti, sa
cheggi che portano
tutto, crudeli assassin
fiamme divoranti, o
que questa frenesia. Es
non incontrano ostaco
nel fare ciò che voglion
preceduti come sono d
una visione sanguinari
tuttavia, in mezzo ag
scontri terribili, Parigi re
sta là, in piedi, senza pau
ra, ridendo dei dardi eh
cadono su di lei.
[Nel giugno 886 nuovo as
salto alla città]. Una sensa
zione di terrore si impa
dronisce di tutta la città
dei suoi abitanti. Non c'è
un luogo che sfugga alla
guerra. I giavellotti e le
frecce cadono sulle torri
come la pioggia sui campi.
Pesanti palle di piombo e .
grosse pietre fanno gemere
gli scudi. Da una parte e
dall'altra i proiettili volano
incrociandosi nell'aria.
Niente può passare tra il
Gli Ungari .,;1/.< hura padana, le coste adriatiche e gran parte del
,i i- territorio germanico e francese [ DOC. P. 196].
Se i Normanni (e i Saraceni) si spostavano per via'iilJ n. re di Germania Ottone I, figlio di Enrico I di
d'acqua, da est e via terra vennero invece gli l!n-,,"' F; Sassonia, inflisse loro una sconfitta decisiva nel
gari, una popolazione nomade e bellicosa dell'Eu-f.~1 955, presso Lechfeld, e li costrinse a ripiegare in
ropa orientale. ·; }. Pannonia.
Erano originari delle steppe della Mongolia e, in- j , Le scorrerie diminuirono e poi cessarono per latorno
al IX secolo, avevano raggiunto le pianÙre -:Ji'\sciare il passo a un'organizzazione statale stabile e
della Pannonia (regione che da loro prese il nome ;_: unitaria.
di Ungheria). J:f Nel 997 il loro re Stefano I si convertì al CristiaGli
Ungari, noti per la loro ferocia, in genere evi-.;f nesimo e, da allora, il Regno di Ungheria assunse
tavano i castelli fortificati e le città meglio difese, tL 'una funzione fondamentale per l'Occidente: coper
assalire fattorie, monasteri, villaggi isolati. NeliJ stituì la prima linea di difesa contro l'avanzata dei
primo trentennio del X secolo attaccarono la pia-' ! Turchi Ottomani.
ominio sugli abitanti delle
tesse e al potere politico
ella città, ma si evince
nche l'assoluto potere
e/l'imperatore su tutte le
erarchie ecclesiastièhe.
uesto documento è tratto
ai Monumenta Germaniae
istorica, fondamentale
raccolta di fonti medievali
relative a/l'Impero
nostro Impero e per la ricompensa
della eterna remunerazione.
Perciò sia a
conoscenza la solerzia di
tutti i fedeli della Santa
Chiesa e nostri, tanto presenti
come futuri, che
Uberto, vescovo della
chiesa di Parma, presentandosi
alla nostra demenza
ha chiesto che noi
lo arricchissimo di quelle
cose che spettavano al regio
potere e alla pubblica
funzione, e specialmente
di quelle per le quali la
sua chiesa veniva lacerata
dalla parte del contado,
cioè che noi trasferissimo
le cose e le famiglie tanto
di tutto il clero di quello
stesso vescovato in qualunque
luogo si trovino,
quanto di tutti gli uomini
che abitano per diritto
pubblico dentro la medesima
città, sotto la giurisdizione
e dominio e distretto
della stessa chiesa,
così che avesse la potestà
di deliberare e di decidere
tanto sulle cose e famiglie
del clero sopradetto,
quanto anche sugli uomini
che abitano dentro la
stessa citt.à e le cose e le
famiglie loro, come se fostrovò
subito immischiato in continui conflitti con
i grandi elettori del Regno.
Subito dopo la sua salita al trono, Enrico II il Litigioso,
duca di Baviera, pretese per sé la Svevia e
la Marca orientale (l'attuale Austria). Scoppiò
una vera e propria guerra che si concluse nel 976
con la sconfitta e la prigionia di Enrico. Contemporaneamente,
Ottone II si trovò a lottare contro
Aroldo II, re di Danimarca, e Boleslao II di Boemia,
che tentavano di liberarsi dai vincoli di vassallaggio
che avevano con l'imperatore.
Sconfitti i ribelli e trovato un accordo con Lotario,
re di Francia, sul possesso della Lorena, Ottone
II poté finalmente dedicarsi all'Italia. Nel
980 scese in Italia e affermò l'autorità imperiale
su Roma, dove le fazioni pro e contro l'Impero
lottavano per il dominio sulla città e il controllo
del papato.
Per assicurarsi un appoggio contro gli Arabi, Ottone
I gli aveva fatto sposare la principessa bizantina
Teofano, figlia del potente rappresentante in
Italia dell'Impero d'Oriente. Ma il matrimonio
non servì a nulla, perché quando Ottone II scese
con un grande esercito nel Sud dell'Italia per cacse
presente il conte del
nostro palazzo. Noi considerando
e valutando la
utilità per la dignità dell'Impero
sopradetto e per
tutti i mali che spesso accadono
fra i conti dello
stesso contado e i vescovi
della medesima chiesa,
perché sia eliminata interamente
ogni passata lite
e scisma e perché lo stesso
vescovo con il clero a
lui affidato viva pacificamente
e attenda alle preghiere
senza alcuna moledare
gli Arabi dalla Sicilia, i Bizantini non intervennero.
Nel 982, l'imperatore fu sconfitto dai Saraceni a
Capo delle Colonne, in Calabria, e riuscì a salvarsi
a stento. Pochi mesi dopo, nel 983, morì vittima
della malaria a Roma.
Ottone lii (983-1002)
Alla morte del padre, Ottone III aveva tre anni.
La madre Teofano gli fece da reggente e affidò la
sua educazione a raffinati intellettuali tra cui il benedettino
Gerberto d' Aurillac, arcivescovo di
Reims. Nel 996 Ottone assunse la corona imperiale
e venne chiamato a Roma da papa Giovanni
XV, in lotta contro una parte della nobiltà romana
che voleva restaurare l'antica repubblica sotto
la protezione dell'Impero d'Oriente.
Una volta giunto a Roma, Ottone vi rimase, si disinteressò
della Germania e cominciò a concepire
il disegno di restaurare l'antico Impero e riportare
in auge la classicità del primo imperatore cri-
guardie dei cnstlam mseguono
ormai le retroguardie
di quelli; colà avviene
una scaramuccia in cui i pagani
ebbero vittoria. Ali' avvicinarsi
del grosso dell'esercito,
non immemori della
fuga, riprendono il cammino
intrapreso.
I cristiani giunsero contemporaneamente
agli idolatri
al fiume Brenta: infatti i cavalli
troppo stanchi non davano
agli Ungari la possibilità
di fuggire. I due eserciti
giunsero dunque nello stesso
tempo, separati soltanto
dall'alveo del fiume. Gli
Ungari costretti dalla paura
promettono di consegnare
tutto il bottino, i prigionieDOCUMENTO
Il saccheggio
dell'abbazia di Farfa
Nel 998 Ugo, un monaco di
Far{a, scrisse la storia della
sua abbazia. L'abbazia
benedettina di Farfa, nel
Lazio nord-orientale, fu
fondata nel VII secolo; fiorì
dopo il X secolo,
diventando un importante
centro religioso e culturale,
celebre per i suoi codici
miniati. Leggiamo un brano
tratto dal Cronicon Farfense
nel quale Ugo racconta di
un assalto saraceno
avvenuto qualche decennio
prima.
I Saraceni attaccarono
il monastero sforzandosi
di espugnarlo
dopo averlo circondato,
ma non vi riuscirono.
ri, tutte le armi e i cavalli,
tenendone però uno solo a
testa con cui poter ritornare;
aggiungono questo al
peso della loro richiesta
che, se li lasciassero ritornare
dopo aver dato tutto, salva
soltanto la vita, avrebbero
promesso di non invadere
più l'Italia, dando i loro
figli per ostaggi. Però i cristiani,
accecati dalla superbia,
continuano a minacciare
i pagani come se li avessero
già vinti. [ .. .]
Gli Ungari disperati dopo
questa risposta, radunati
tutti i più forti, si confortano
fra di loro a vicenda.
[. .. ] Rafforzati gli anlllli
con questa esortazione,
Infatti il venerabile Pietro,
fiducioso nell'aiuto di
Dio e sostenuto dall' azione
dei soldati, cacciando
spesso i Saraceni dai confini
del monastero li faceva
inseguire più lontano,
e uccidendone molti, rimaneva
sicuro per molti
giorni. Ma quelli soggiogavano
intanto tutti i luoghi
vicini e li devastavano
e sempre ritornavano al
monastero pronti a combattere.
Il predetto abate,
avendo sostenuto questi
attacchi per sette anni
continui insieme con i
suoi monaci e vedendo
che Iddio abbandonava
del tutto il popolo cristiano,
a causa dei suoi peccati,
e che egli non poteva
ragionevolmente resistere
più a lungo alla furia dei
pagani, preso consiglio,
divise i frati e i tesori in
tre parti. Una la mandò a
Roma, l'altra nella città di
Rieti, con la terza egli
dispongono delle insidie
su tre parti, essi stessi traversano
direttamente il
fiume e si precipitano in
mezzo ai nemici. Moltissimi
cristiani, stanchi della
lunga attesa dei messaggeri,
erano smontati da cavallo
per l'accampamento
· a ristorarsi di cibo. Gli
Ungari li trafissero con
tanta velocità che ad alcuni
infilzarono il cibo in
gola, ad altri sottrassero
coi cavalli il mezzo di fuggire,
e tanto più agevolmente
li uccidevano m
quanto avevano visto che
erano senza cavalli. Infine,
ad accrescere la rovina
dei cristiani, vi era una
stesso si rifugiò nella
Contea di Fermo dopo
avere abbandonato del
tutto il monastero [. .. ].
Quando uscirono i monaci,
i Saraceni entrarono e
invasero il luogo dopo
averlo perlustrato, ma decisero
di non distruggere
nulla dell'edificio, che a
essi appariva splendido,
bensì di entrarvi e di abitarvi
quanto a essi sembrasse
opportuno. Dopo
questi fatti, i Saraceni incominciarono
a entrare a
far rapina entro i confini
della Contea di Fermo,
per la qual cosa l'abate di
nuovo volto in timore,
raccolti i suoi monaci e
soldati, edificò un castello
sul monte Mantesano. Lì
rimasero finché fu sedata
quella persecuzione, perché
secondo l'antica opinione
i Saraceni rimasero
entro i confini d'Italia per
quarantotto anni. Specialmente
abitavano nella
non piccola discordia f
di loro. Alcuni non so
non combattevano cont
gli Ungari, ma desiderav
no che i loro vicini cade
sero; e quei perversi fac
vano ciò perversamen
per questo scopo: se cad
vano i vicini, essi so
avrebbero regnato più
beramente. Mentre tr
scurano di venire in aiut
ai bisogni dei vicini e br .
mano vedere la loro mo
te, incorrono essi stes
nella propria. Fuggon
così i cristiani e i pagan
infieriscono, e quelli eh
prima non erano riusciti
supplicare con i doni, no
provincia Valeria che è
occupata da alti monti nei
quali sempre trovavano
rifugio. Andavano dal
mar Tirreno ali' Adriatico
e fino al Po per fare rapina
e sempre ritornavano
negli stessi monti, di qui
al fiume Liri, che volgarmente
è detto Garigliano,
dove avevano le navi con
le quali trasportavano
li ideali di Ottone lii non
bbero effetti politici
mmediati, ma ottennero
ul lungo periodo
portanti risultati
ulturali.
rgli il desiderio di recuerare
l'antico retaggio.
on si creda in Italia»,
riveva Gerberto, «che
ltanto la Grecia possa
antare la romana potena
e la filosofia del suo
peratore. Nostro, sì,
ostro, è l'Impero romao
! La sua forza è fondaa
sulla fertile Italia, sulla
opolosa Gallia e Germaia
e sugli intrepidi regni
degli Sciti. Nostro Augusto
sei tu, o Cesare, imperatore
dei Romani che,
uscito dal più nobile sangue
della Grecia, superi i
Greci in potenza, dòmini
i Romani per diritto ereditario
e vinci entrambi in
sapienza e in eloquenza».
Con l'aiuto di Gerberto,
divenuto papa Silvestro
II, Ottone si diede a mettere
in pratica i progetti
di rinnovare l'Impero e
riportare Roma al posto
che le spettava come città
imperiale e centro del
mondo cristiano.
La politica di Ottone, per
quanto priva di risultati
pratici, ebbe un rilevante
significato storico poiché
segnò il sorgere di una coscienza
europea. Tutte le
forze che avevano contribuito
a formare l'unità
dell'Europa medievale vi
sono rappresentate: le
tradizioni bizantine e carolinge
dell'Impero cnstiano,
l'universalismo ecEnrico
Il (1002-24) e le lotte
tra i feudatari in Italia
Ottone III non lasciò eredi. Gli succedette il duca
cli Baviera Enrico IV, imparentato con la casa
di Sassonia, che divenne imperatore con il nome
di Enrico II (detto lo Zoppo). Questi si distinse
per il suo appoggio alla riforma moralizzatrice
della Chiesa e fu amico di Odilone di Cluny, uno
dei grandi riformatori. Enrico nel 1004 scese in
Italia, dove regnava il caos a causa delle incessan -
ti lotte tra feudatari. Combatté contro Arduino
d'Ivrea, un feudatario minore che - sostenuto
dalla feudalità laica - aveva cercato di ricostituire
un Regno d'Italia indipendente. ·Enrico, sostenuto
dalla feudalità ecclesiastica, sconfisse Arduino
e si fece incoronare re d'Italia; si recò poi a Roma
dove fu proclamato imperatore dal papa.
Corrado 11 (1024-39)
Enrico II fu l'ultimo imperatore della dinastia sassone.
Alla sua morte, nel 1024, fu innalzato altroclesiastico
del papato, gli
ideali spirituali dei riformatori
monastici, l'umanesimo
carolingio di Gerberto.
Essa segna così il
punto in cui le tradizioni
del passato confluiscono
e vanno sommerse nella
nuova cultura dell'Occidente
medievale; essa
guarda indietro a sant'Agostino
e a Giustiniano, e
innanzi, a Dante e al Rinascimento.
È vero che
l'ideale di Ottone III, dell'Impero
come comunità
dei popoli cristiani governata
dalle concordi e
interdipendenti autorità
dell'imperatore e del papa,
era destinato a non effettuarsi
mai nella pratica;
nondimeno, esso mantenne
una specie d'esistenza
ideale pari a quella di una
forma platonica, che di
continuo doveva cercare
una materiale realizzazione
nella vita della società
medievale.
L'ideale politico di Ottone,
inoltre, non fu così
sterile di risultati pratici
come di solito si crede,
perché i brevi anni del
congiunto governo di Ottone
e di Gerberto videro
nascere i nuovi popoli cristiani
dell'Europa orientale.
Si deve alla loro azione,
se questi popoli ricevettero
un' organizzazione
ecclesiastica propria,
condizione indispensabile
per l'indipendenza delle
loro culture nazionali.
adattato da C. Dawson,
La formazione del!' unità europea
dal secolo V all'XI, Einaudi,
Torino 1939
no Corrado II (detto il Salico) della casa di Franconia
(o salica), che dominò la Germania per quasi
tre secoli. Il principale problema che Corrado
dovette affrontare fu il ruolo politico che avevano
assunto i feudatari maggiori.
Costoro, ottenuta l'ereditarietà dei feudi, avevano
costituito una rete di piccoli regni quasi autonomi
e, a ogni occasione, mettevano in dubbio l'autorità
del re-imP,eratore.
A questi continui tentativi di ribellione, ormai tradizionali
nei rapporti tra l'imperatore e i grandi
vassalli, si aggiunse un fatto nuovo e cioè il contrasto
tra i grandi feudatari e i loro sottoposti, i
valvassori, cioè i feudatari minori.
Questi ultimi reclamavano con particolare vigore
l'ereditarietà dei loro benefici e lo svincolo dalla
sudditanza verso i potenti vassalli. Il movimento
di rivolta fu particolarmente vivace nell'Italia settentrionale,
tanto che a Milano il conflitto tra valvassori
e grande nobiltà feudataria sfociò in uno
scontro armato.
Il vescovo della città, Ariberto d'lntimiano, prese
le parti dei grandi feudatari ma non ottenne l' appoggio
dell'imperatore. Il vescovo, allora, fece
sollevare la città, scatenando la borghesia mer-
; re di Germania nel 936. La sua principale ambizione
politica era quella di restaurare l'eredità di
Carlo Magno e di riportare in vita il Sacro Romano
Impero. Per raggiungere questo obiettivo Ottone
cercò e ottenne l'appoggio del clero tedesco,
un appoggio che si rivelò determinante per contenere
le rivendicazioni di autonomia e le frequenti
ribellioni dell'aristocrazia feudale laica.
Il sovrano concesse a molti vescovi un solido potere
politico in città e in feudi importanti [ ooc. P.
2001. Del resto, lo stesso sovrano si riservò addirittura
il potere di nominare vescovi e abati, ovviamente
scegliendoli tra la nobiltà fedele alla casa
di Sassonia. Inoltre, collocò in posizioni chiave
diversi membri della sua stessa famiglia.
Mentre rafforzava la sua posizione in Germania,
Ottone intervenne nelle dispute che riguardavano
la penisola italiana dove, da circa un cinquantennio,
diversi potenti locali si contendevano
la carica di sovrano. Scese in Italia e nel 951
si fece incoronare re, inaugurando un rapporto
privilegiato fra Germania e Italia che avrebbe
caratterizzato gran parte della storia politica medievale.
Pochi anni dopo, nel 955, Ottone inflisse
una sconfitta definitiva agli Ungari a Lechfeld,
e per questa vittoria - che gli conferì la fama
di difensore della cristianità - venne chiamato
il Grande.
di proprietari furono probabilmente
costretti a rendere
più flessibile il sistema
dei tributi e dei servizi.
Può ben essere, perciò,
che il colpo delle invasioni
abbia provocato modificazioni
negli oneri dei poderi
contadini. Non appena
ricompare, alla fine
dell'XI secolo, una documentazione
dettagliata,
vediamo che le condizioni
dei concessionari sono di
gran lunga meno dure che
ali' epoca dei primi politici
carolingi. Tutto ciò, alleviando
il peso esercitato
sui coltivatori dei campi, li
stimolò nel lavoro quotidiano,
favorendo il dissodamento
della terra e la
crescita demografica. Le
corvées vengono sostituite
con tributi in denaro, e si
vedono le chiese rurali ingrandire
progressivamente
nel corso dei secoli IX e
X. Tutti questi segni testimoniano
un allentamento
delle maglie sociali che
permise alle forze vitali, a
lungo represse dalle costrizioni
consuetudinarie,
di far scattare lo sviluppo
economico. Alle basi più
profonde dell'economia,
gli effetti traumatici delle
ultime invasioni sembrano
essere stati responsabili di
una spinta in avanti che in
definitiva si rivelò benefica.
Essa liberò le tendenze
espansive del mondo rurale,
che varie restrizioni
tenevano ancora in scacco
al tempo di Carlo Magno.
da G. Duby, Le origini
del!' economia europea, Laterza,
Roma-Bari 1975
Il suo progetto imperiale si compì nel 962, qua
do papa Giovanni XII lo incoronò solennemen
imperatore nella basilica romana di San Pietro.
In quello stesso anno, Ottone emanò un doc
mento, il Privilegium Othonis, G~ J.Iale_tic
nobbe e riconfermò~ territoriali de
èniesa, ma stabilìcneoccorrev; il consenso-de
-J'imf~iafofè Rèr l'ele:z:i~ e d_el papa Géc. P. 205
Dobbi~o t en~re presente che in quegli anni
papato era screditato perché la nobiltà romana
contendeva il soglio pontificio senza esclusione
colpi. I pontefici si succedevano l'uno ali' altro
molti morirono assassinati in congiure ordite dall
famiglie nobili; lo stesso Giovanni XII fu accusat
di incesto, simonia, sacrilegio e fu deposto nel 96
dopo essersi opposto alle pretese di Ottone.
+D
Ottone Il (9
Ottone II salì al trono imperiale nel 973, alla morte
del padre, e dedicò tutti i suoi sforzi al compimento
del progetto paterno: conquistare l'Italia
meridionale. Aveva ricevuto un'educazione raffinata
a opera dello zio Bruno di Colonia e da Guglielmo
di Magonza, ma non ebbe modo di dedicarsi,
come avrebbe voluto, ai suoi studi perché si
otitico della Chiesa
e istituzioni ecclesiastiche ebbero nel corso del X
XI secolo un ruolo politico sempre più impornte.
Da molti secoli queste istituzioni svolgevano
n ruolo sociale ed economico decisivo grazie al
restigio, ali' autorevolezza e agli ingenti patrimoi
di cui disponevano. Durante la crisi dei poteri
ubblici, causata dal crollo dell'Impero carolinio,
le istituzioni ecclesiastiche mostrarono di avela
forza sufficiente a supplire alla dissoluzione
elio Stato. Vescovi e abati iniziarono a esercitare
·rettamente poteri pubblici di ogni genere orgaizzando
il prelievo fiscale, la circolazione monearia
e la difesa delle città dagli assalti degli invaori
ungari, normanni e saraceni. Grazie ai diritti
di immunità questi poteri erano a volte più estesi
di quelli di cui disponevano le signorie laiche.
L'esercizio di fatto del potere politico favorì col
tempo la formazione di signorie territoriali ecclesiastiche
attorno alle grandi proprietà dei monasteri
o dei vescovadi, attorno ai castelli che dipendevano
dal vescovo o dall'abate.
La formazione di queste signorie fu anche favorita
dall'intervento degli stessi sovrani che concedevano
diplomi di immunità e diritti feudali ai
vescovi e agli abati, cercando di assicurarsi la loro
fedeltà e per arginare le pretese dei signori laici.
Un ruolo decisivo ebbero anche le famiglie aristocratiche
titolari di poteri pubblici perché erano
in grado di condizionare le nomine di abati e
vescovi.
Il sistema di potere di Ottone I
Ottone I cercò di presentarsi in Europa come il vero
erede di Carlo Magno, ma sul piano dell'azione
politica fu costretto ad agire assai diversamente.
Ottone dovette fare i conti con una realtà politica
caratterizzata da una grande &ammentazione: non
c'era più un sistema amministrativo capace di collegare
il centro del regno alla periferia. I signori
territoriali ormai non erano più dei funzionari, dei
rappresentanti del potere regio, ma esercitavano in
piena autonomia la loro sovranità. E gli stessi signori
ecclesiastici, che Ottone integrò nella gestione
del potere, costruendo così il cosiddetto sistema
della Chiesa imperiale, erano ben altro che dei docili
esecutori delle sue volontà.
Molto spesso l'imperatore piuttosto che concedere
poteri riconosceva una sovranità che di fatto veniva
già esercitata. Del resto la distinzione fra signori
laici ed ecclesiastici, a ben vedere, è piuttosto relativa
perché gli uni e gli altri appartenevano tutti
al medesimo e ristrettissimo gruppo di famiglie aristocratiche.
Il Questa miniatura rappresenta il re David. Protagonista della
storia di Israele narrata nella prima parte della Bibbia, l'Antico
Testamento, questo re era spesso rappresentato nei codici
medievali. Veniva ricordato come simbolo di saggezza e di
corretto rapporto con il potere temporale, sempre esercitato
riferendosi alla volontà di Dio.
stia, tanto per la salvezza
nostra come per la stabilità
del Regno, concediamo
e permettiamo e dal nostro
diritto e dominio trasferiamo
nel di lui diritto
e dominio completamente
e gli affidiamo le mura
della stessa città e il distretto
e il telonio [sistema
daziario] e ogni pubblica
funzione tanto dentro
la città quanto fuori
da ogni parte della città
per lo spazio di tre miglia
[...] e le strade regie e il
corso delle acque e tutto
il territorio coltivato e incolto
ivi giacente e tutto
ciò che appartiene allo
Stato. Per di più concediamo
anche che tutti gli
uomini che abitano dentro
la medesima città o
entro i confini sopraindicati,
ogni volta che abbiano
una eredità o un acquisto
o una famiglia non
debbano corrispondere
alcuna prestazione da lì
ad alcuna persona del nostro
Regno, né osservare
il placito di chiunque se
non del vescovo della
chiesa di Parma, ma abbia
il vescovo della stessa
chiesa licenza di definire
e deliberare e decidere
tutte le cose e le famiglie
tanto di tutti i membri del
clero dello stesso vescovato
quanto anche di tutti
gli uomini che abitano
entro la città predetta e di
tutti coloro che risiedono
sul territorio della chiesa
predetta, con contratto di
affitto, di livello ovvero di
precària [particolari forme
di concessione in usufrutto],
ovvero castellani
e così trasferiamo dal nostro
diritto e dominio nel
suo diritto e dominio.
stiano, Costantino. Seguì l'idea o, meglio, l'illusione
politica di estendere a tutta la cristianità e a
tutti i popoli ancora da convertire l'Impero di
Roma, centro del potere sia temporale sia religioso.
Ottone eliminò i nobili romani che lo osteggiavano
e fece nominare papa il suo precettore
Gerberto, che assunse il noine di Silvestro II.
Il progetto di riforma
dell'Impero
Ottone III formò una corte sul modello di quella
bizantina, dette ai suoi funzionari nomi greci e romani
e ordinò che solo il diritto romano fosse osservato
nei tribunali. Nel suo progetto di rinnovamento
(renovatio imperii) c'era anche una radicale
riforma della Chiesa che prevedeva la totale
sottomissione dei vescovi al papa [ LETTURA P. 202].
Ottone III suscitò, però, l'opposizione dei vescovi-conti
tedeschi, che non accettavano la supremazia
assoluta del pontefice e delle grandi case
nobiliari tedesche offese dal suo disprezzo verso
tutto ciò che non era romano o greco. D'altra par
te, l'aristocrazia romana non assistette certo pas
sivamente ali' opera di chi voleva sottrarle il su
tradizionale potere. Vi furono diverse ribellioni a
Roma contro le iniziative politiche di Ottone III,
finché una sollevazione popolare nel 1001 locostrinse
a fuggire dalla città. L'imperatore riparò
nella fortezza di Castel Paterno, vicino a Viterbo,
dove morì nel 1002.
veniva ritenuto costruito ad
arte dalla stessa curia
romana per giustificare
i suoi possessi terrieri e
la teoria della soggezione
dell'imperatore rispetto
al papa. Ottone lii, con
questo famoso editto,
proclama ufficialmente
falsa la Donazione di
Costantino, ma ribadisce,
comunque, il suo assenso
al possesso da parte della
Chiesa di vasti territori.
È evidente il concetto
sotteso: questi possessi
vengono concessi
generosamente
dall'imperatore, ma non
sono un diritto della Chiesa.
In questo modo si ribadisce
fermamente la superiorità
politica de/l'Impero rispetto
al papato.
[1] Ottone, servo degli
Apostoli e, secondo la volontà
di Dio salvatore, Imperatore
Augusto dei Romam.
[2] Noi proclamiamo Roma
capitale del mondo, riconosciamo
che la Chiesa
romana è la madre di tutte
le Chiese, ma anche che
per la trascuranza e l'incapacità
dei suoi pontefici,
da tempo ha appannato i
titoli del Suo splendore.
[3] Infatti essi, non solamente
hanno venduto e
hanno distratto con certi
sistemi sbrigativi dal Patrimonio
di San Pietro
possessi che erano fuori
della città, ma - e non l' affermiamo
senza dòlore -
pure dei beni che possedevano
nella stessa città
regia [Roma], incorrendo
in una irregolarità maggiore,
a prezzo di incanto
li diedero alla comunità; e
spogliarono San Pietro,
San Paolo, i loro stessi altari,
e al posto di una riparazione,
seminarono sempre
confusione. Certi papi
si spinsero al punto da annettere
la maggior parte
del nostro Impero alla loro
potestà apostolica.
[ 4] Tali sono infatti i testi
da loro stessi inventati,
peratore ma anche la funzione sacerdotale; grazie
a essa egli diventava il supremo protettore della
cristianità e della Chiesa di Roma.
Punto di forza della politica di Ottone, dunque, è
anche il continuo rafforzamento del ruolo sacrale
del sovrano; Ottone fu sempre molto attento alla
comunicazione simbolica, esibendo fin dalla sua
incoronazione a re di Germania, avven.uta ad
Aquisgrana, un cerimoniale grandioso che ereditava
i fasti della tradizione imperiale carolingia e bizantina.
Ed è proprio richiamando esplicitamente questo
ruolo, garantito dalla unzione, che Ottone promulgò
il Privilegium Othonis [ ooc. P. 205 ]. Dopo
avere ribadito diritti e proprietà della Chiesa, e rimediante
i quali il diacono
Giovanni, soprannominato
"mutilo" (aveva le
dita mozze) ha redatto in
lettere d'oro un decreto
eh' egli ha attribuito m
modo menzognero a tempo
lontano ponendolo
sotto il nome di Costantino
Magno. [. . .]
[6] Rigettati, di conseguenza,
questi falsi decreti
e queste scritture fittizie,
noi doniamo, in virtù
della nostra liberalità, a
San Pietro dei beni che
sono nostri; non conferiamo
a lui dei beni che gli
appartengono come se
fossero di nostra pertinenza.
Alla stessa maniera
che, per l'amore di San
Pietro, noi abbiamo eletto
papa il Signor Silvestro,
nostro maestro, e, a Dio
piacendo, l'abbiamo ordinato
e creato [pontefice]
seremss1mo; allo stesso
modo, per amore di papa
Silvestro, noi offriamo a
San Pietro dei doni del
nostro pubblico dominio,
affinché il maestro abbia
cosa da offrire al nostro
principe Pietro da parte
del suo discepolo.
[7] Noi offriamo dunque
e doniamo a San Pietro
otto contee, per amore del
nostro maestro papa Silvestro,
affinché egli le tenga
per l'onore di Dio e di
San Pietro, per la sua salute
e per la nostra, e le amministri
per la prosperità
del suo apostolato e per
quella del nostro Impero.
E da amministrare gli
concediamo Pesaro, Fano,
Sinigallia, Ancona,
Fossombrone, Cagli, lesi,
Osimo, così che nessuno
osi inquietare San Pietro o
in qualche modo dargli
fastidio.
[8] E chi presumerà farlo,
perda tutto quello che
possiede e San Pietro abbia
le cose sue.
[9] E perché ciò sia osservato
da tutti per sempre,
abbiamo confermato questo
nostro decreto con la
nostra mano, che sia a
lungo, con l'aiuto di Dio,
vittoriosa, e abbiamo ordinato
di insignirlo del
nostro sigillo, perché valga
per lui e per i suoi successori.
Segno del Signor Ottone
invittissimo imperatore
dei Romani, augusto.
da M. Bendiscioli -A. Gallia,
Documenti di ston"a medievale,
Mursia, Milano 1971
allacciandosi alla Constitutio romana approvata
da Ludovico il Pio nell'824, volle riaffermare il
principio che il papa, dopo essere stato eletto dal
clero e dal popolo di Roma, doveva prestare giuramento
all'imperatore.
Con questa affermazione Ottone apriva un'epoca
di violenta conflittualità fra potere politico e potere
religioso, una conflittualità che non esplose
immediatamente soltanto perché le aspre lotte
per l'elezione del papa, che avevano visto come
protagonista l'aristocrazia romana, avevano portato
alla elezione di pontefici deboli e a volte indegni
[ ooc.], e quindi indebolito gravemente l' autorità
pontificia. Con papa Gregorio VII la questione
diventerà ineludibile (vedi p. 226).
I cantile e imprenditoriale, guidata da Lanzone della
Corte. Ben presto, però, i ribelli cacciarono sia
il vescovo sia i grandi feudatari e nel 1045, dopo
la morte di Ariberto d'Intimiano, ottennero di
partecipare al governo di Milano.
Per frenare l'anarchia e l'arroganza dei grandi
feudatari, Corrado II concepì il disegno di appoggiarsi
ai feudatari minori. In quest'ottica,
emanò nel 1037 l'Edictum de bene/iciis, divenuto
poi famoso come Costituzione dei feudi [ DOC.
P. 179], con la quale riconosceva l'ereditarietà dei
feudi minori e poneva i piccoli feudatari alle dirette
dipendenze dell'imperatore, svincolandoli
dalla sudditanza verso i feudatari maggiori.
Enrico lii (1039-56)
Alla morte di Corrado II, nel 1039, salì al trono di
Germania e d'Italia il figlio Enrico III ( detto il
Nero). Il nuovo imperatore decise di recarsi subito
a Roma per farsi incoronare. Richiamandosi al
Privilegium Othonis, proclamò la superiorità dell'imperatore
e definì la Chiesa suddita del potere
temporale. Dopo aver deposto ben tre papi, fece
nominare quattro pontefici a lui fedeli, sostenendo
il suo diritto di intervenire direttamente nelle
faccende religiose.
La grande svolta che portò allo scontro diretto tra
papa e imperatore si ebbe nel 1049, quando salì al
soglio pontificio Brunone, cugino di Enrico III,
con il nome di Leone IX.
Malgrado fosse stato designato direttamente dal-
1' imperatore, si fece acclamare papa dal popolo,
per sottolineare il suo distacco dal potere laico e
la completa autonomia della Chiesa. Sotto di lui si
consumò nel 1054 lo scisma (o scissione) con la
Chiesa d'Oriente (vedi p. 225).
Subito dopo la morte dell'imperatore Enrico III,
papa Niccolò II fece approvare da un concilio tenutosi
a Roma un decreto nel quale si dichiarava
che il papa poteva essere eletto solo dai cardinali
e che l'imperatore, il popolo e il resto del clero
potevano esprimere soltanto un parere, un gradimento
del tutto formale e non vincolante a elezione
avvenuta.
Quando, nel 1073, diventò papa Ildebrando di
Soana con il nome di Gregorio VII, strenuo sostenitore
dei movimenti riformatori della Chiesa e
convinto assertore dell'assoluta autonomia del
papa rispetto all'Impero, i tempi furono maturi
per la lotta con l'imperatore.
l'il Ariberto d'lntimiano, raffigurato in un affresco della basili
ca di Galliano, in provincia di Como, favorì inizialmente !'asce
sa al trono di Corrado Il il Salico, ma in seguito si inimicò l'imperatore
e fu costretto a lasciare Milano dopo una insurrezione
popolare.
a contessa Matilde o••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••
e a Canossa"
luogo comu- I · ·azione di
issione delle
propnamene,
"andare a
ta quando a
on una rmtrie
attive e
ri d'altezza
castello di
davanti al
onte levao
IV stette
il perdono
€ D
veva trovato rifugio
zza della contessa.
gegnato: Enrico IV
orza del papa stava
munica (atto graviso
politico, perché
all'obbligo di obbescomunicato),
menstava
nell'obbligo di
V L L I ,
perdonare un penitente. E infatti, dopo
nemmeno un anno, Enrico, ormai perdonato,
ricominciò tutto daccapo, come se
nulla fosse accaduto.
I papi, le contesse, gli imperatori sono stati
travolti dalla forza del tempo, ma Canossa
ha conservato un suo fascino, tenebroso
nella visione del castello e tortellinesco
nella bonomia dei suoi abitanti e nella
bontà dei suoi cibi. Attorno al minuscolo
D Il marchese Tedaldo e la moglie Giulia,
primi signori di Canossa e antenati di Matilde.
paese e al suo interno Matilde impazza.
La trovi nell'insegna dei ristoranti,
degli alberghi, nelle etichette
dei vini e perfino in alcuni
tipi di salumi. Una minima audience,
invece, hanno conquistato Enrico
IV e Gregorio VII, forse troppo
seriosi e cupi per diventare testimonial
dei piaceri dell'esistenza.
Dal castello di Matilde la vista spazia
su tutta la pianura e non si fa fatica
a immaginare Gregorio VII
che dal torrione più alto vede con
crescente preoccupazione avvicinarsi
la lunga teoria di soldati e di carriaggi
della scorta di Enrico IV
Le rovine sono state restaurate accurata::
mente e un piccolo museo offre una serie
di oggetti e documenti interessanti dell' epoca
di Matilde e dei periodi successivi.
Ma se parliamo di Canossa non possiamo
fare a meno di parlare della castellana, la
contessa Matilde di Canossa, una donna
che, indubbiamente, ha fatto la storia.
Il sistema di potere istituito da Ottone, quindi, si
differenzia da quello creato da Carlo Magno perché
la realtà del suo tempo non concesse a Ottone
la possibilità di costruire una vera e propria organizzazione
statale, con una amministrazione fiscale,
una serie di leggi scritte e una amministrazione
della giustizia.
Ottone, mediando fra i vari potentati che di fatto
riconobbe, costruì un sistema di alleanze che faceva
capo alla figura del sovrano, scegliendo e variando
di volta in volta gli alleati secondo piani
strategici diversi.
Il Privilegium Othonis
Nel 962 Ottone I ottenne il titolo imperiale coronando
così il progetto politico avviato con la sua
incoronazione a re di Germania.
Il cerimoniale fu tale da evidenziare l'intreccio fra
sovranità politica e funzione sacerdotale che si
incarnavano in un solo uomo: l'imperatore. Il rito
della sacra unzione amministrato dal papa, infatti,
consacrava non ~olo il potere politico dell'imIl
Privilegium Othonis
e l'elezione del papa
o Ottone, per grazia
di Dio augusto imperatore,
per disposizione
della divina provvidenza,
mediante questo
patto di riconferma, prometto
e offro a te, beato
Pietro, principe degli
Apostoli e custode del regno
dei cieli, e per te al
vicario tuo, il sommo
pontefice e universale papa
Giovanni XII, con lo
stesso titolo di potere di
giurisdizione dai vostri
predecessori sino a ora
esercitato, la città di Roma
con il suo ducato e
Ottone I confermò al papa
Giovanni Xli il possesso di
tutte le terre che da Carlo
Magno in poi erano state
concesse al papato.
In cambio, riservò per sé
il parere vincolante circa
l'elezione del papa.
con il suo suburbio e con
tutti i villaggi e territori
montani e marittimi,
spiagge e porti, assieme a
tutte le città, castelli, fortezze
e villaggi della Tuscia,
con tutte le località e
territori di pertinenza
delle soprascritte città,
nonché l'esarcato di Ravenna
nella sua integrità,
con le città, circoscrizioni,
fortezze e castelli, i
quali beni Pipino e Carlo,
eccellentissimi imperatori
di santa memoria, nostri
predecessori, trasferirono
da tempo al beato Pietro
e ai vostri predecessori
con atto di donazione. Lo
stesso dicasi del territorio
della Sabina, così come
da Carlo, nostro predecessore,
fu concesso integralmente
al beato apostolo
con atto di donazione;
così pure per ciò che
concerne i territori della
Tuscia Longobarda e i
territori della Campania.
Inoltre, a te, beato Pietro
apostolo, e al tuo vicario
papa Giovanni e ai suoi
successori, per la salvezza
dell'anima nostra e di
quelle di nostro figlio e
dei nostri parenti, offriamo
le città e le fortezze
appartenenti al nostro
proprio Regno, e cioè:
Rieti, Amiterno, Porcona,
Norcia, Valva e Marsica e,
in altro territorio, Teramo
con le sue pertinenze.
Tutte queste soprascritte
province, città e distretti,
fortezze e castelli, villaggi
e territori, unitamente
ai demani, per la salvezza
della nostra anima e
di quelle di nostro figlio
e dei nostri parenti e dei
nostri successori e per il
bene di tutto il popolo
dei Franchi, riconfermiamo,
in modo che le
detengano nel diritto,
nel governo e nella giurisdizione,
alla sopraddetta
Chiesa tua, o beato
apostolo Pietro, e per te
al vicario tuo, padre nostro
spirituale, Giovanni,
sommo pontefice, papa
universale e ai suoi successori,
sino alla fine del
mondo, fatto salvo il potere
nostro e quello di nostro
figlio e dei nostri successori,
come è sancito
nel patto e nella conferma
di promessa di papa Eugenio
e dei suoi successori,
laddove si specifica co-
ti. Nell'episodio qui
contato vennero favoriti
/l'incredibile
mportamento degli
lici, comandati dal re
rengario, che non si
contentarono della
ttoria e spinsero alla
sperazione gli Ungari.
uesti reagirono in modo
prevedibile, sbaragliando
schiere dei "cristiani",
me li chiama Liutprando.
enso e innumerevole, si
· ·gono in Italia, passano
ltre Aquileia e Verona, citfortificatissime,
e giunono
senza alcuna resistenza
a Ticino, che ora è denominata
con l'altro nome
più bello di Pavia. Il re Berengario
non poté stupirsi
a sufficienza di un fatto
tanto preclaro e mai visto
(prima d'allora infatti non
aveva neppure sentito parlare
di questa gente).
Mandò lettere ad alcuni,
messaggeri ad altri, per ordinare
a Italici, Toscani,
Volsci, Camerinesi e Spoletini
di venire a un centro
di raccolta e si formò un
esercito tre volte più forte
di quello degli Ungari.
Quando re Berengario vide
attorno a sé tante truppe,
rigonfio di superbia e
attribuendo il trionfo sui
uistano la Sicilia
ell'Europa cristiana vennero chiamati Saraceni i
ruppi di pirati musulmani che, partendo dal
ord Africa e dalla Spagna araba, fra il IX e il X
secolo, fecero scorrerie e costituirono poi basi in
Provenza e in Italia meridionale [ DOC. P. 1971.
A queste azioni di pirateria si affiancarono anche
progetti di espansione più importanti. L'Emirato
di Tunisi iniziò nell'827 la conquista della Sicilia,
cacciando i Bizantini, e poi aggredì le Baleari, Bari
e Taranto.
nemici più al gran numero
suo che a Dio, da solo con
pochi trascorreva il tempo
in una città dandosi ai piaceri.
Che poi? Appena gli
Ungari contemplarono sì
grande moltitudine, costernati
nell'animo, non
riuscirono a deliberare che
fare. Avevano grande timore
di combattere, non
potevano assolutamente
fuggire. Però, ondeggiando
fra l'una e l'altra cosa,
preferirono fuggire anziché
combattere. Sotto l'incalzare
dei cristiani, attraversarono
a nuoto il fiume
Adda, ma in modo che
moltissimi per la troppa
fretta morirono affogati.
Gli Ungari presero il salutare
consiglio di mandar messaggeri
a chiedere pace ai
cristiani per poter ritornare
incolumi, restituendo tutta
la preda e il bottino. I cristiani
rigettarono del tutto
questa richiesta e (ahi dolore!)
li insultarono; intanto
preparavano le catene con
cui legare gli Ungari, piuttosto
che le armi con cui
ucciderli. Non potendo i
pagani addolcire l'animo
dei cristiani con questa proposta,
pensando che fosse
migliore la vecchia idea,
cercano di liberarsi iniziando
la fuga, e così fuggendo
arrivano nelle vaste campagne
di Verona. Le avanNell'846,
un gruppo di Arabi arrivò fino a Roma.
I sovrani europei non avevano una flotta in grado
di opporsi ai Saraceni, cosicché essi dominavano
le rotte del Mediterraneo. Occorreva contrastarli
sulla terraferma. La lorÒ base fortificata alla foce
del Garigliano, tra Campania e Lazio, venne distrutta
nel 915 dalle truppe bizantine e dei ducati
di Capua e di Napoli, e quella in Provenza fu
assalita e conquistata nel 972 dai soldati del conte
di Provenza.
Private di questi importanti punti d'appoggio, le
scorrerie saracene andarono via via esaurendosi.
• LA CULTURA
La cultura alla corte
degli imperatori di Sassonia
Presso la corte ottoniana si creò un centro culturale
molto importante nel quale operarono lo storico
Liutprando da Cremona, Ratherius da Liegi,
autore di prose morali, e Hroswitha, una monaca
del convento di Gandersheim che dedicò alla figura
di Ottone I il poema in esametri Imprese del-
!' imperatore Ottone. Il più dotto autore occidentale
del tempo, però, fu Gerberto d' Aurillac, arcivescovo
di Reims ed educatore del piccolo Ottone
III: fu matematico, astronomo, filosofo e divenne
papa con il nome di Silvestro II.
Sul piano letterario ebbero grande diffusione le
vite di santi ed eroi e le descrizioni di eventi meravigliosi
o funesti, perlopiù completamente inventati.
Ebbe grande successo La navigazione di san Brendano,
che racconta un fa~tastico viaggio con visioni
dell'inferno e del paradiso terrestre, compiuto
dal monaco irlandese Brendano; quest' opera
è stata considerata una delle fonti della Divina
Commedia di Dante Alighieri.
Vennero anche composti poemi epici dalla levatura
piuttosto modesta, mentre è senza dubbio interessante
il romanzo Ruodlieb, pervenutoci purtroppo
in frammenti, considerato come una delle
prime manifestazioni del romanzo cavalleresco.
La cultura e la scrittura
dei Vichinghi
Le grandi imprese marinaresche e le epiche conquiste
dei guerrieri più valorosi costituivano l' oggetto
di numerosi poemi che i Vichinghi si tramandavano
di generazione in generazione, perlopiù
in forma orale. Per molto tempo, infatti, presso
questi popoli la scrittura fu considerata un' attività
magica, riservata a pochi iniziati, che
conoscevano i segreti delle rune, i caratteri
del loro alfabeto.
Le rune (dal germanico run,
che significa "mistero") sono
l'unica forma di scrittura sviluppata
dai Vichinghi: l'origine
di questo alfabeto è sconosciuta,
ma la forma di alcune
lettere fa pensare a un'influenza
greca e celtica. I Vichinghi usavano
le rune per incidere pietre
commemorative in cui erano narrate
imprese eroiche, ma anche per propiziare
gli spiriti. Con il passare dei secoli, le rune
furono usate anche per scopi
pratici: nel corso di scavi archeologici
sono state rinvenute
etichette di legno con
iscrizioni che dovevano essere
affisse a merci conservate
nei magazzini.
i Vichinghi .....•.......•....•.•...•.•.•........•.....••.••..••.•••••.•.................•.••••..••••••..•. ····················
gen, per poi risarcorso.
All'inizio
desti battelli che
vano solo l'equielli,
pur mantedel
passato, trari.
Hanno nomi
arald (Re Harald)
l (Sole di mezzala
medesima che
i sui loro veloci
e. La pista è una
e il pilota compie
di acrobazia, fera
un piccolo caanifesta
un lieve
e poi è sempre
nte la neve e il
E TEMPESTE
tamente, costegfiordi
principali,
pre un villaggio
ra (ed è rimasto)
o tribù di Vie
tempeste nel
edicavano alla
rdi il mare è
non in temper
chi ha vio
che i Viffrontare
il
LE ISOLE LOFOTEN
E LA PESCA DEL MERLUZZO
Ma ecco che il postale dirige verso ovest e
affronta una lunga traversata in mare aperto
per arrivare ali' Arcipelago delle Lofoten,
diventate famose non solo per la pesca
del merluzzo ma anche sul piano letterario
con le innumerevoli descrizioni, alcune decisamente
fantasiose, dei gorghi del Maelstrom.
In realtà, non esiste alcun gorgo
mostruoso capace di inghiottire intere navi,
ma solo pericolose correnti di marea
che si formano negli stretti bracci di mare
tra un'isola e l'altra. Le isole Lofoten sono
una delle località più inospitali del mondo:
non esiste vegetazione ma solo muschi e licheni,
il vento le spazza perennemente e in
inverno ghiaccio e neve coprono ogni cosa.
Eppure i Vichinghi riuscirono a vivere:,
si accorsero che il vento aveva la proprietà
di asciugare i pesci pescati di tutti i loro
umori e quindi permetteva di conservarli
per lungo tempo. Ancora oggi il merluzzo
seccato al vento è un cibo noto in tutto il
mondo. Dalle Lofoten, attraversando un
braccio di mare famoso per la furia dei marosi,
si torna sulla costa norvegese.
LA COSTA OCCIDENTALE, TERRA
DEI VICHINGHI
Le case delle cittadine rivierasche sono tutti
prefabbricati a un solo piano per resistere
al vento che spira violento e non manca
mai un piccolo museo della pesca o della
civiltà vichinga. In queste zone desolate le
comunità vichinghe vivevano in grandi capanne
di legno, spesso in comunità, per
·t, godere di un maggiore riscaldamento. I
musei descrivono sempre i banchetti
pantagruelici, accompagnati da omeriche
bevute di birra, che sì svolgevano
alla partenza, ma, soprattutto, al ritorno
dalle razzie. È questo uno stereotipo
che non si sa quale credibilità abbia ma
che è stato ripreso in innumerevoli
saggi, romanzi e films. L'immagine comune
è quella di omoni con elmi cornuti
in testa, coperti di folte pellicce,
maneschi e violenti, con una voce roboante
e uno sguardo truce, gonfi di
birra e di sidro. In realtà, la tradizione
poetica dei Vichinghi, quasi sempre
orale, ma tramandata poi dai
cronisti del luogo, mostra una certa
raffinatezza nell'espressione e un ,
mondo fantastico di grande creatività
e interesse.
E finalmente la nave attracca a
Bergen, nel sud della costa occidentale,
una città affascinante
con bellissimi edifici e la famosa
baia su cui si affacciano, perfetD
Nella parte superiore di questa
pietra incisa si vedono due guerrieri
che combattono, nella parte inferiore
è rappresentata la nave che porta
nell'aldilà gli eroi morti in battaglia.
tamente restaurati, i variopinti magazzini
della Lega Anseatica, la lega mercantile
che nel XV secolo arrivò a unire 164 città.
LE NAVI VICHINGHE: I DRAKKAR
In questo periodo di recessione in tutti i
settori della società e quindi di stasi anche
nel miglioramento delle tecnologie, spicca
l'abilità dei Vichinghi nel costruire le loro
navi, con le quali arrivarono anche a toccare,
sembra, le coste dell'America settentrionale.
Essi giungevano a bordo di imbarcazioni
lunghe e strette - chiamate
drakkar - a causa della prua ornata da una
testa di drago o di mostro - e razziavano
interi territori, giocando sull'elemento sorpresa
e sulla scarsa organizzazione alla difesa.
Con il drakkar i Normanni potevano
risalire molto profondamente il corso dei
fiumi o navigare in mare aperto: il Reno, il
Tamigi, La Senna, la Loira portarono i Vichinghi
a fruttuose razzie nelle città che
I/a I resti restaurati di una antica nave vichinga scoperta
nei pressi di Oslo.
Il Una nave vichinga.
tròvarono sulla loro rotta di navigazione,
seminandovi distruzione e morte e ritornando
carichi di bottino.
Possediamo numerosi esemplari di queste
navi, conservati per circostanze in molti
casi fortuite.
LA NAVE DI GOKSTAD
Uno splendido esempio è rappresentato
dalla nave di Gokstad, un'imbarcazione
che, tumulata con un corpo di guerriero, si
è conservata nell'argilla. L'esame dello scafo
rivela una tecnica di costruzione assai
avanzata. Si tratta di un'imbarcazione
aperta, costruita in legno di
quercia, adatta non solo alla
navigazione costiera ma anche
a quella in mare aperto.
Lunga circa ventisei metri per
quasi sei di larghezza, ne
misurava due dalla chiglia
al parapetto. L'albero
raggiungeva i quattordici
metri. I suoi fianchi
hanno fori per sedici
paia di remi e il fatto
che né su questa nave
né su altre compaiano
tracce di banchi per i
vogatori lascia supporre
che questi si servissero
di panche mobili, o tali
da essere facilmente rimosse
ali' occorrenza.
Lungo le murate, la nave di Gokstad
portava ancora sessantaquattro scudi
appesi. Questi scudi compaiono spesso
nelle rappresentazioni di navi vichinghe; si
ritiene che non facessero parte dell' equipaggiamento
personale dei guerrieri, ma
Danimarca.
avessero semplic
rativo. La chiglia
co, mentre il fase
che le assi dello
una ali' altra, co
con pelo di anim
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legno. Il timone
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pite, che portano
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ni paurose e fant
stare grande imp
• Le grandi migrazioni
Il delicato equilibrio che si era stabilito sulle frontiere
orientali dell'Impero viene rotto a partire
dal IV secolo, quando cominciano a premere
sulle tribù germaniche popoli nomadi provenienti
da est. Tra essi spiccano gli Unni, che modificheranno
l'assetto etnico dell'Europa, costringendo
i Germani a cercare scampo verso ovest, al
di là dei confini romani.
• La società dei Germani
I Germani sono divisi in clan patriarcali, dominati
dall'aristocrazia dei guerrieri, e sono governati
dall'assemblea dei capi, i più valorosi tra i quali
poi diventano re. Vivono in semplici villaggi coltivando
la _ terra comune e si spostano in grandi
migrazioni collettive quando il terreno, esaurito,
diviene sterile. I contrasti interni sono risolti dalla
vendetta (faida) o dalle terribili prove del "giudizio
di Dio". Sono abili nel fabbricare efficaci armi
in ferro, e nell'oreficeria. Inizialmente politeisti,
abbandonano poi le loro divinità guerriere per
l'arianesimo (la dottrina eretica di Ario).
• I Regni romano-barbarici
I popoli germanici che nel V secolo migrano verso
ovest penetrano facilmente le difese dell'Impero
in declino e occupano territori in cui, progressivamente,
costituiscono Regni romano-barbarici:
i Visigoti si insediano in Spagna; Alamanni e
Burgundi, poi inglobati dai Franchi, occupano la
Gallia e le sponde del Reno; i Vandali si impadroniscono
dell'Africa settentrionale; gli Angli e i
Sassoni si stabiliscono in Britannia; gli Ostrogoti e
i Longobardi occupano in successione l'Italia.
• L'Italia sotto gli Ostrogoti
Gli Ostrogoti, guidati in Italia dal re Teodorico
per ordine di Bisanzio, sconfiggono Odoacre (494)
e costituiscono un regno che, come gli altri, si
regge sulla separazione tra la componente romana,
che lo amministra, e quella germanica, che lo
difende militarmente. Ma il tentativo di integrare
tradizioni e abitudini, dividendo equamente le
terre, elaborando un codice di leggi comune e
facendo della corte di Ravenna, la capitale, un
importante centro d'arte e di cultura, fallisce: gli
Ostrogoti rifiutano molti aspetti della civiltà romana,
e i contrasti religiosi con Bisanzio li spingono,
in quanto ariani, a perseguitare i cristiani. Alla
morte di Teodorico (526), la situazione rimane
instabile.
• Che cos'è il Medioevo
Il Medioevo, considerato un'età oscura dai rinascimentali
ed esaltato invece dai romantici, è un
periodo lungo, articolato e complesso in cui si
mescolano elementi di involuzione e di progresso.
Per convenzione lo si fa iniziare nel 476, con
il crollo dell'Impero romano d'Occidente, e terminare
con il 1492, la data della scoperta
dell'America. Gli storici distinguono un Alto
Medioevo, durato fino all'anno Mille, e un successivo
Basso Medioevo.
• La società, la religione, la cultura
Nei Regni romano-germanici le strutture della
civiltà romana si trasformano: le città si spopolano
per le invasioni e le carestie; le tasse spingono i
contadini a cedere la terra a potenti latifondisti; le
entrate fiscali si riducono; secondo il principio
della personalità del diritto, Romani e Germani
vivono insieme, ma con leggi diverse. La lingua
latina si allontana dal canone classico con la nascita
del volgare, diversificandosi per aree geografiche
nell'incontro con le parlate germaniche.
La religione cristiana influenza profondamente la
visione del mondo altomedievale. La provvidenza
guida la storia degli uomini: la vita è un pellegrinaggio
lungo il quale sacrificio, penitenza e disdegno
per i valori mondani possono far ottenere la
salvezza. Specie nelle campagne, il Cristianesimo
lotta contro i residui di paganesimo e superstizione:
a questo scopo viene istituito il culto dei santi.
La Chiesa ha il monopolio del sapere e lo trasmette
rendendolo coerente con la dottrina e la
morale cristiana: sono fondamentali le Sacre
Scritture e le opere dei padri della Chiesa, mentre
i testi classici, utilizzati nelle scuole dall'XI secolo,
sono filtrati in modo da eliminare o reinterpretare
in chiave religiosa gli elementi ritenuti estranei allo
spirito cristiano.
ICONOCLASTIA,
p.87
MITI E COMUNITÀ MONASTICHE,
pp. 90-92
SCUOLE,
p.99
• L'Impero d'Oriente (o bizantino)
L'Impero bizantino eredita e rielabora la tradizione
dello scomparso Impero romano d'Occidente:
resiste alla pressione dei barbari, dei Persiani
e dell'Islam; mantiene a lungo un alto livello
di civiltà e un ruolo centrale nell'economia mediterranea.
È caratterizzato, come le monarchie
orientali, dall'unione del potere politico con
quello religioso nella persona dell'imperatore.
Cuore dell'Impero è la capitale Bisanzio (Costantinopoli),
grande metropoli dai diversi volti. La
sua posizione ne fa il nodo centrale delle vie commerciali,
di terra e di mare, tra Oriente e Occidente,
assicurando la circolazione dei suoi prodotti
artigianali di lusso e, per i ricchissimi mercati
e il porto, la possibilità di continui traffici,
garantiti dall'affidabilità della moneta d'oro coniata
dall'Impero, il bisante.
• Giustiniano e il progetto
di un Impero universale
Giustiniano (527-565) rafforza la monarchia bizantina
accentuando la sacralità dell'imperatore.
Affiancato dalla moglie Teodora, progetta di ricostruire
un Impero universale, romano e cristiano,
che riporti l'ordine nel mondo. Perciò incarica i
giuristi di riordinare le leggi romane in un codice,
il Corpus iuris civilis, a cui per secoli tutte le legislazioni
si rifaranno. Giustiniano affida poi al generale
Belisario il compito di riconquistare l'Occidente:
in breve tempo l'Africa viene incorporata
nell'Impero (534), mentre l'Italia diventa una provincia
bizantina solo grazie a Narsete (552), dopo
una lunga e sanguinosa guerra contro i Goti e il loro
re Totila.
• Il lento declino dell'Impero
Dopo Giustiniano l'Impero non è in grado di
mantenere i territori occidentali, che vengono occupati
dai Longobardi. L'imperatore Eraclio
(610-641), sconfitti i Persiani che premevano a
oriente, consolida l'Impero bizantino attraverso
la riforma dei temi, province di confine affidate a
uno stratega, che arruola e mantiene un esercito
senza pesare sulle casse imperiali. La dinastia
isaurica (717-867) deve fronteggiare gli Arabi,
che puntano alla conquista di Bisanzio. Sotto
l'imperatore Leone III (717-740) la Chiesa di Roma
si allontana da quella bizantina in seguito all'iconoclastia,
il divieto di adorare le immagini
imposto dall'imperatore (726), aprendo una crisi
che si concluderà nel 1054 con lo scisma tra le
due confessioni. Inizia il lento declino dell'Impero,
che vede alternarsi diverse dinastie di imperatori.
I domini si restringon
grava la crisi interna dovu
fondersi del latifondo. N
in mano ai Turchi Ottom
• Il monachesimo
e le dottrine eretich
Fin dal III secolo, in Orie
sto spinge alcuni religiosi
cietà e a vivere in povert
nunciando a tutto. Questi
un modello di santità per
esempio, altri scelgono u
delle comunità monastiche,
le quali nel IV secolo Bas
regole del digiuno, del lav
Sempre nel IV secolo si di
trina eretica di Ario, che
umana di Cristo, figlio di
tre nel V secolo sorge il m
la natura divina di Cristo,
• La cultura bizan
Verso la fine del VI secol
tato dal greco come ling
letteratura classica vengo
copiati nelle grandi bibli
Pergamo e dell'università
salvato un patrimonio c
bizantino si distingue anc
la classe dirigente, curata
scuole pubbliche e privat
diffonde l'epigramma, un
ali' essenziale, con intenti
Grande fortuna hanno an
zione ellenistica, racconti
dopo mille peripezie e dr
cabile lieto fine.
• Gli Arabi prima di Maometto
Prima di Maometto la penisola arabica è abitata
da tribù di beduini nomadi, divise in clan e spesso
in lotta tra loro, e da comunità di mercanti delle
città carovaniere. Ogni tribù venera divinità diverse
(politeismo animistico), ma tutte hanno in comune
il culto degli idoli della Kaaba, il santuario
de La Mecca.
• Maometto e la nascita dell'Islam
L'afflusso di pellegrini arricchisce i mercanti de La
Mecca, tra i quali figurano i familiari di Maometto
che, nato verso il 570, si dedica al commercio fino
al 611, quando Allah, unico vero Dio, gli si rivela
e gli comanda di parlare in suo nome, come lo stesso
Maometto racconta nel Corano, il libro sacro
dell'Islam, che egli scrive sotto l'ispirazione di Allah,
di cui si considera il profeta. La predicazione
di Maometto, rivolta anche contro l'ingiustizia sociale,
suscita l'opposizione dei ricchi mercanti. Nel
622 (l'anno dell'Egira, da cui gli islamici iniziano il
conteggio degli anni) Maometto fugge a Medina
con pochi fedeli. Il numero dei seguaci aumenta e
con essi Maometto organizza la lotta armata, giustificata
dalla fede, contro i potenti de La Mecca.
Nel 630 conquista la città, facendone il luogo santo
dell'Islam, in direzione del quale ancora oggi i
fedeli pregano nelle moschee di tutto il mondo.
Maometto viene riconosciuto come la massima autorità
religiosa e politica nella maggior parte del-
1' Arabia.
• La nascita del califfato
e l'espansione dell'Islam
Morto Maometto (632), l'Islam è diviso: nella lotta
interna prevalgono i primi compagni del profeta
e Abu Bakr è il primo califfo ("successore"). Dopo
di lui viene designato Omar, fondatore delle istituzioni
dell'Islam, che guida i musulmani nella rapidissima
conquista di Vicino Oriente, Mesopotamia,
Persia ed Egitto (634-641). I successivi califfi Uthman
(644-656) e Alì (656-661), cadono vittun'e delle
lotte interne e il califfato diventa ereditario nelle
mani della potente stirpe degli Omayyadi. Questi
portano la capitale a Damasco e rendono il potere
politico in parte autonomo da quello religioso,
provocando la reazione degli sciiti, contrari alla
laicizzazione, contro gli ortodossi sunniti. In quest'epoca
l'Islam si espande a est fino all'India e a
ovest su tutto il Nord Africa fino alla Spagna. Agli
Omayyadi si sostituisce dal 750 la dinastia degli
~bbasidi, co? la quale la civiltà islamica raggiunge
il suo mass1mo splendore. La nuova capitale,
Baghdad, è sede di una corte ricchissima, in cui i
califfi gestiscono il potere come re orientali, affiancati
da un primo ministro, il visir.
• La fine dell'Impero arabo
Diverse parti dei domini islamici occidentali (Spagna,
Tunisia, Egitto) cominciano a rendersi indipendenti
tra l'VIII e il IX secolo, sotto la guida degli
emiri, alti funzionari che hanno il controllo dell'esercito.
Nell'XI secolo l'autorità del califfo di
Baghdad si sgretola anche in Oriente: gli Abbasidi
cedono progressivamente all'avanzata di un altro
popolo musulmano, i Turchi Selgiuchidi, che conquistano
Baghdad nel 1055.
• La società, la religione, la cultura
La società araba è dominata dal califfo, che ha un
potere assoluto su tutti i sudditi. In ogni famiglia
l'autorità è nelle mani del capofamiglia; ogni musulmano
può avere fino a quattro mogli, ma leggi
avanzate proteggono la donna dagli abusi e ne affermano
il "diritto alla felicità". Gli artigiani e i
mercanti godono di sostegni da parte dello Stato,
mentre i contadini, sfruttati dai grandi proprietari
terrieri, vivono una vita misera.
La base fondamentale della religione e della società
islamica è il Corano, il libro sacro diviso in 114
sure (capitoli). Nel Corano religione e diritto sono
strettamente uniti, quindi, accanto a norme morali
e religiose, vi sono norme giuridiche, precetti
igienici e di costume.
Agli Arabi si deve il recupero e lo studio delle opere
dei grandi pensatori greci dell'antichità tradotti
in arabo e conservati nella biblioteca di Cordoba
in Spagna. Gli Arabi raggiungono vette altissim~
soprattutto in campo scientifico, ad esempio con
Muhammed Ibn Musa al-Khwarizmi, il matematico
che ha introdotto il concetto di algoritmo, con
Abul Qasim al-Zahrawi, considerato il più grande
chirurgo del Medioevo, e soprattutto con il filosofo
Averroè, che sostiene il primato della ragione e
della filosofia sulla fede religiosa.
ORDINE BENEDETTINO,
pp.136-37
MONASTERO,
pp.138, 149
CURTIS,
pp. 142-44
• L'Italia divisa tra Longobardi
e Bizantini
Nel 568 il popolo germanico dei Longobardi, guidato
dal re Alboino, penetra nella pianura padana
e si impadronisce in breve tempo di tutta l'Italia
settentrionale, della Toscana e dei territori di Spoleto
e Benevento. I Bizantini, che sotto Giustiniano
avevano riconquistato la penisola, mantengono
solo alcune regioni costiere: l'Esarcato con Ravenna,
la Pentapoli nelle Marche, la Puglia, la Calabria,
Roma, Napoli e le isole maggiori.
· • Il dominio longobardo in Italia
Morto Alboino (572), il successore Autari (584-
590) prevale solo dopo una lunga lotta. Egli rafforza
il potere regio assegnandosi vaste proprietà,
controllando i duchi tramite ispettori chiamati gastaldi
e cercando alleanze con altri popoli germanici.
La conversione dei Longobardi (ariani) alla
religione cattolica, voluta dal re Agilulfo (590-615)
e da sua moglie Teodolinda, ne favorisce la civilizzazione
e in parte l'integrazione con gli Italici. Il re
Rotari (636-652) istituisce la capitale a Pavia ed
emana un codice di leggi scritte. Alla sua m9rte
inizia un lungo periodo di anarchia. Liutprando
(712-744) ristabilisce l'autorità reale e, per ridurre
all'obbedienza i duchi ribelli, cerca l'aiuto del papa,
cedendogli il castello di Sutri (728) e dando così
avvio al potere temporale della Chiesa. La crisi
dell'iconoclastia (726) provoca la rottura dell'alleanza
tra la Chiesa di Roma e i Bizantini; quindi,
contro la minaccia del re Astolfo (749-756) che
tenta di completare l'occupazione dell'Italia, il
pontefice Stefano II (752-757) è costretto a cercare
l'aiuto dei Franchi. Nel 756 il re franco Pipino
il Breve scende in Italia e sconfigge i Longobardi,
dando inizio al loro declino.
• La società e le istituzioni
I Longobardi non rispettano la cultura romana né
tentano di integrarsi con gli Italici, ma li sottomettono
con durezza e ne sfruttano il lavoro. Le tribù,
divise in clan, sono guidate da duchi, capi guerrieri
spesso rivali tra loro, che difficilmente riconoscono
l'autorità di un 're. L'editto di Rotari è considerato
il fondamento del diritto longobardo e afferma
la concezione germanica della giustizia, ma
mitigata: il guidrigildo, cioè il pagamento di
un'ammenda per riparare al torto1 sostituisce la
tradizionale faida, il diritto dell'offeso alla vendetta.
L'editto regola però la vita dei soli Longobardi,
mentre gli Italici continuano a seguire le norme
del diritto romano.
• Il monachesimo
Il monachesimo si svilup
IV secolo: a Milano, con ·
Francia e in Irlanda. Nel
avviene a opera di missio
lombano, ma soprattutto
eia, fondatore nel 525 del
sino e dell'ordine benedett
le la vita è regolata da no
nanza di preghiera e lavo
tazione rientrano tra gli o
sto consente la conservazi
turale del Cristianesimo (
tura religiosa) e in parte
classica latina e greca. Le
attraverso la copiatura d
cosiddetti codici. Per pot
deli anche un sostegno m
ganizzano in modo da ess
tosufficienti: i monasteri,
stri e alla biblioteca, pos
magazzini e botteghe. I
tempo, essi divengono
presso i quali si svolgon
gianali.
• L'economia curt
La società altomedievale
difficile migliorare il prop
cambiare mestiere o tipo
prietario terriero ha un
terno del suo possediment
divide la terra tra i coloni
distribuzione dei prodotti
una relativa autosufficien
vazione sono però arretra
pena per il consumo, e la
sera, sempre minacciata d
sono ridotti; le comunicaz·
per la presenza di banditi,
stamenti per il commercio
,
e-.
• Le origini del Regno dei Franchi
I Franchi sono un gruppo di tribù germaniche
che nel III secolo si stanziano lungo il Reno, sul
confine tra le attuali Francia e Germania. Sono
divisi tra Salii (le tribù del Nord) e Ripuari (le
tribù del Sud). I Salii fanno la storia del primo
periodo e con il re Meroveo danno or~gine alla
dinastia dei Merovingi. Nel V secolo il re Clodoveo
vince i Ripuari e occupa gran parte della
Gallia ma alla sua morte il regno viene diviso tra
i quat{ro figli. Comincia u1;1 periodo d~ congiure,
lotte intestine e tradimenti che dura fmo al 613,
quando Clotario II riunisce tutto il regno nelle
sue mam.
• Da Carlo Martello a Carlo Magno
Nel VII secolo si affermano i maestri di palazzo,
che diventano più potenti dei re. Al principio dell'VIII
secolo la Gallia è minacciata dall' espansione
degli Arabi, che, conquistata quasi tut_ta _la
Spagna e varcati i Pirenei, nel 732 sono respmt1 a
Poitiers dal maestro di palazzo Carlo Martello.
Sperimentata l'importanza della cav~lleria_, . egli
rafforza l'esercito concedendo terre al nobili cavalieri
in cambio del servizio e della fedeltà. Si
può dire che nasce in questo modo il feudalesimo.
Il figlio di Carlo Martello, Pipino il Breve,
approfitta dell'aiuto richiesto dal papato, minacciato
in Italia dai Longobardi, per farsi consacrare
re e rendere stabile il proprio potere (751).
Morto Pipino, nella lotta tra i figli per il trono
prevale Carlo, poi detto Magno, che nel 773 rompe
un'alleanza con i Longobardi e, sceso in !talia
in soccorso al papa, li sconfigge, ponendo fme al
loro dominio.
• Il Sacro Romano Impero
La politica di Carlo Magno è costantemente tesa
all'espansione territoriale: a est conquista i territori
di Sassoni e Avari, a sud quelli di Bavari e
Arabi. Giustificata dalla volontà di diffondere la
fede e dalla necessità di terre per assicurarsi la fedeltà
dei nobili, l'espansione porta alla conquista
di un dominio vasto, ma in realtà fragile nella
struttura, per l'incapacità del potere centrale di
controllare efficacemente il territorio. Il potere
personale di Carlo Magno, tuttavia, si rafforza
nell'800, quando papa Leone Ili, in cambio del
suo intervento in una contesa che lo opponeva alla
nobiltà romana, lo incorona imperatore del Sacro
Romano Impero, affidandogli la missione di
governare la cristianità e rafforzandone la legittimazione
e il prestigio come erede dell'Impero romano.
In questa vicenda si trova il fondamento
del dualismo politico tra papato e Impero che caratterizza
tutto il Medioevo.
La fragilità della costruzione di Carlo_ 1'.la~no si
manifesta alla sua morte (814), quando il figlio Ludovico,
detto il Pio per la sua religiosità, stenta a
mantenere l'unità dell'Impero a causa delle lotte
fra i tre figli, che infatti, dopo la sua morte, si spartiscono
l'Impero (spartizione di Verdun, 843 ).
• La società, le istituzioni, la cultura
Carlo Magno governa affidando ai conti il controllo
di vasti territori e ai marchesi le regioni di confine
mentre i vescovi hanno sede nelle città e le ammb:iistrano.
Annualmente i funzionari vengono riuniti
nella Dieta per discutere e deliberare.
I missi dominici ispezionano l'Impero verificando
l'applicazione dei capitolari, decreti imperiali che
regolano i rapporti tra i sudditi e contengono norme
in difesa degli strati più deboli della popolaz10ne.
Nell'Impero la produttività della terra è ridotta e
non ci sono beni sufficienti per alimentare i mercati:
questo impone a ciascuna villa di produrre
tutto il necessario al consumo (economia di sussistenza)
e favorisce la formazione di un sistema
economico chiuso, in cui gli scambi sono molto limitati.
Carlo Magno fa coniare il denaro d' argento,
garantito nel suo valore dallo Stato, ma la circolazione
monetaria è scarsa e nelle campagne domina
il baratto.
Carlo Magno raccoglie intorno a sé, come cortigiani
e consiglieri, i principali uomini di cultura del-
1' epoca, sostiene i monasteri e fonda scuole per
istruire e preparare la futura classe dirigente dell'Impero.
Ad Aquisgrana è istituita la Scuola Palatina,
dove sono istruiti i figli dei nobili della corte
reale.
VESCOVO-CONTE,
p.179
FRAMMENTAZIONE POLITICA,
pp. 178, 180-83
CAVALLERIA,
pp. 183-86
• La divisione
dell'Impero carolingio
Dopo Carlo Magno l'Impero è retto dal figlio Ludovico
il Pio (814-840), ma alla sua morte, dopo
lunghe e sanguinose lotte, è diviso fra i suoi tre figli
(spartizione di Verdun, 843): Lotario, re d'Italia
e Lotaringia, cui spetta il titolo imperiale; Carlo
il Calvo e Ludovico il Germanico, cui toccano rispettivamente
i domini occidentali (Francia) e
quelli orientali (Germania). Carlo il Grosso, figlio
di Ludovico il Germanico, riunifica per qualche
tempo l'Impero, ma alla sua morte (888) la divisione
diventa definitiva. Inizia a formarsi il Regno di
Germania, diviso in cinque grandi ducati e con
una monarchia elettiva. Il Regno di Francia prende
avvio nel 987 con la dinastia dei Capetingi, che durerà
fino al 1848, ma i grandi feudatari mantengono
il loro potere, fino al XII secolo. L'Italia resta
divisa in numerosi centri di potere rappresentati
dalla Chiesa, dai Bizantini e da potenti feudatari.
• Che cos'è il feudalesimo
Si chiama feudalesimo il sistema politico e sociale
che si consolida progressivamente nell'Europa del-
1' Alto Medioevo, quando esigenze militari e politiche
spingono i sovrani a instaurare legami personali
con i principali guerrieri, nobili ed ecclesiastici
del proprio regno, in modo da ottenerne l' obbedienza
e delegare loro funzioni amministrative.
Il legame consiste in una promessa di fedeltà e servizio
che il re riceve dai suoi sottoposti e che prende
il nome di vassallaggio od omaggio. In cambio
il re concede al vassallo l'usufrutto di un terreno
chiamato beneficio o feudo, oltre a una serie di immunità,
cioè privilegi, come battere moneta, amministrare
la giustizia o essere esentati da obblighi
fiscali e militari. I principali vassalli suddividono
poi ulteriormente le terre loro assegnate per affidarle
ai propri parenti e cavalieri.
Il feudo, in linea di principio, deve essere restituito
al re o al signore se il vassallo viene meno alle
promesse, ma più spesso il vassallo tende a considerarlo
un possesso stabile: lo testimoniano il capitolare
di Quierzy (877) e la Costituzione dei feudi
(1037), decreti con i quali l'Impero riconosce ai
feudatari (i maggiori nel primo caso, i più piccoli
nel secondo) il diritto di lasciare le terre in eredità
ai loro discendenti.
• Il ruolo della Chiesa
nell'ordinamento feudale
Gli imperatori scelgono come feudatari anche uomini
di Chiesa, creando così la figura del vescovo-conte,
che, non avendo figli, non può lasciare il feudo in
eredità, e ne garantisce la res
in questo modo la Chiesa, c
ni considerevoli per effetto
ricchezze da parte dei fede
stioni politiche e d'interess
la rispettabilità: si diffonde
pravendita delle cariche ec
• L'incastellament
L'ordinamento feudale pr
ne politica che, a tutti i li
de i feudatari sempre pi
Inoltre molti di essi, per
attacchi, si costruiscono u
va il particolarismo e det
alcuni storici definiscono
la quale ogni feudatario si
no di un piccolo regno in
castello si sviluppa il bor
suoi sudditi.
• La società e le i
La società feudale ha una
al vertice il re e i grandi f e
cola nobiltà e infine il p
parte da contadini, ridot
(cioè legati al lavoro dell
senza possibilità di allont
stiere), che spesso sono sp
ni facilmente represse d
che contribuiscono ali' au
dei feudi, occupano un po
e contadini.
Tra il X e l'XI secolo nas
cavallo, figlio cadetto di
diviene un professionista
va a formare una vera e pr
Il cavaliere riceve un'inve
un codice d'onore che ha
suo signore.
• Le invasioni del IX-X secolo
A partire dal IX secolo l'Europa è invest~t~ _da
un'ondata di invasioni che portano alla defimt1va
dissoluzione l'Impero carolingio. Protagonisti sono
i Normanni, gli Ungari e i Saraceni.
I Normanni ("uomini del Nord") sono un gruppo
di popolazioni scandinave, divise tr~ Vichin:
ghi e Vareghi. Nel IX secolo, mentre 1 Vareght
penetrano nelle pianure russe, i Vichinghi a~taccano
via fiume le città europee per saccheggiarle
e, successivamente, si integrano nel sistem~ feudale
insediandosi nella regione della Francia che
da loro prende il nome di Normandia; conquistano
poi il Regno d'Inghilterra con la vittoria
nella battaglia di Hastings (1066) del normanno
Guglielmo il Conquistatore contro l' anglosassone
Aroldo II.
Gli Ungari sono originari della Mongolia e verso il
IX secolo migrano nell'Europa centrale, saccheggiando
ferocemente le comunità indifese e isolate
in Italia, Germania e Francia. Nel 997 si convertono
al Cristianesimo e fondano in Pannonia il Regno
d'Ungheria.
I Saraceni sono pirati musulmani che, partendo
dal Nord Africa e dalla Spagna, arrivano a minacciare
le regioni costiere dell'Italia e della Francia e
nell'827 conquistano la Sicilia. Nell'846 un gruppo
di Saraceni arriva fino a Roma. Quando le loro
basi alla foce del Garigliano (915) e in Provenza
(972) vengono distrutte, le scorrerie saracene si
esauriscono.
• Le conseguenze economiche
e sociali delle invasioni
Le invasioni non hanno solo effetti negativi, ma
anche conseguenze positive. Di fronte all'incapacità
del potere regio di garantire la difesa del territorio,
le città si fortificano e si organizzano, acquisendo
maggiore autonomia. Il fenomeno dell'inurbamento
(masse di persone che fuggono dalle
campagne e si rifugiano nelle città, meglio protette)
stimola la vita sociale ed economica del territorio,
favorendone il dinamismo e creando i presupposti
per lo sviluppo. Inoltre, la fuga dei contadini
dalle campagne modifica i rapporti sociali,
spezzando il secolare legame tra signori e servi della
gleba.
• Ottone I di Sassonia
e la rinascita dell'Impero
Per combattere gli Ungari i principi tedeschi si
uniscono sotto la guida dei duchi di Sassonia.
Dopo Enrico I, sale al potere il figlio Ottone I
(936-973 ), che viene eletto re di Germania e scon~
figge gli Ungari a Lechfeld (955). Egli prog~tta d1
ricostituire il Sacro Romano Impero, acqmsendo
il controllo dell'Italia e facendosi incoronare dal
papa.
Per contenere il potere dell'aristocrazia feudale
laica, Ottone I cerca l'appoggio del clero tedesco
attraverso la nomina di vescovi-conti. Infatti i vescovi,
estranei alle lotte interne alla nobiltà tedesca
e non potendo lasciare in eredità il feudo, si
rivelano i vassalli più fedeli ed efficienti. In tal
modo la gerarchia ecclesiastica diviene strumento
del potere politico.
Nel 962 Ottone I è incoronato imperatore dal papa
e subito si assicura il controllo della Chiesa
emanando il Privilegium Othonis, che gli dà il diritto
di convalidare o meno l'elezione del papa.
• I successori di Ottone I
I successori di Ottone I fanno proprio l'ideale
imperiale, rivolgendo però l'attenzione soprattutto
all'Italia.
Il figlio Ottone II (973-983) scende in Italia e afferma
la sua autorità su Roma, ma è sconfitto dai
Saraceni nel tentativo di conquistare l'Italia meridionale.
Il nipote Ottone lii (983-1002), pio, colto e amante
della classicità, intende ricostituire, con il sostegno
del papa Silvestro II, un grande Impero
romano e cristiano, sull'esempio di Costantino,
ma il suo progetto fallisce per l'opposizione dei
vescovi-conti tedeschi, offesi per il suo disprezzo
verso ciò che non è romano o greco.
Con Enrico II, ultimo imperatore di Sassonia, e
poi Corrado II, della casa di Franconia (che emana
la Constitutio de feudis, con cui riconosce
l'ereditarietà dei feudi minori), e infine il figlio
Enrico III, la Germania torna a essere il centro
dell'Impero, ma gli imperatori sono costretti a
cercare costantemente di tenere sotto controllo
sia il papato sia le città e i feudatari dell'Italia settentrionale.
• La cultura
Presso la corte degli Ottoni operano lo storico
Liutprando da Cremona e, soprattutto, Gerberto
d' Aurillac, scienziato e filosofo, precettore del
futuro imperatore Ottone III, infine papa con il
nome di Silvestro II.
Hanno grande diffusione le vite dei santi e degli
eroi e la descrizione di eventi tanto meravigliosi
quanto inventati, come La navigazione di san
Brendano, considerata una delle fonti della Divina
Commedia di Dante.
OCEANO
ATLANTICO
o
"'
Mare
del Nord
M ED/TERRANEo
Wt A R _ ____,.~--..,_
l'XI secolo,
vengono fondati diversi
nuovi ordini religiosi
che si impegnano a
portare un rinnovamento
spirituale all'interno
della Chiesa. Nel
910 a Cluny, nel Sud
della Francia, sorge un
monastero in cui viene
adottata la Regola di
san Benedetto. L'.ordine
cluniacense si diffonde
rapidamente e
all'inizio del Xli secolo
conta già diecimila monaci
distribuiti tra Francia,
Germania, Inghilterra,
Italia e Spagna.
La congregazione, organizzata
in gruppi di
abbazie, ottiene il privilegio
di essere indipendente
dalla giurisdizione
vescovile. Nel
1098 a Cìteaux viene
fondato l'ordine dei cistercensi,
che, in polemica
con le comunità
cluniacensi ( di cui critica
l'eccessiva ricchezza),
decide di attenersi
rigorosamente
alla povertà e al lavoro
manuale prescritti dalla
Regola di san Benedetto.
L'ORDINE CLUNIACENSE NEL X E Xl SECOLO
1059 A Salerno
!Lewes! I monasteri direttamente
dipendenti da Cluny
Fleury Monasteri che hanno adottato la Regola
di Cluny modificandola a livello locale
Pavia Altri monasteri importanti
BASSO MEDIOEVO
1075 Gregorio VII emana il Dictatus papae
1076 Enrico IV fa deporre
papa Gregorio VII e
quest'ultimo lo scomunica
1122
Firma del concordato
di Worms
1208 1210
Innocenzo lii Innocenzo lii
bandisce riconosce i
una crociata francescani
contro i catari
__J
_J
1229
Zoria di grande densità monastica
cluniacense e cistercense
Principali conventi
Aree di diffusione
dell'eresia catara/albigese
Nasce
l'Inquisizione
opera la più importante
scuola di medicina
del Medioevo 1088 1098
Il sinodo di Sens proibisce la lettura dei
testi di fisica e metafisica di Aristotele
I 1084
e Brunone di Colonia
a l'ordine dei certosini
1066 Guglielmo
A Bologna Roberto di Molesme
viene fondata fonda l'ordine dei
la prima cistercensi
università
1085 Guglielmo il 1098
il Conquistatore I Conquistatore fa I crociati
invade I redigere il conquistano Tarso in
l'Inghilterra Domesday Book Cilicia e Antiochia
1183
I Comuni dell'Italia
firmano la pace di
Costanza
1206
Gengis
Khan, capo
dei Mongoli
1206 I I Francesco di Assisi si converte e rinuncia
a qualsiasi bene materiale
1208 1227 1263 I In Germania Muore Con Kublai Khan Pechino
diventa imperatore Gengis diventa la capitale
Ottone IV Khan dell'Impero mongolo
Lo scontro tra papato e Impero per la conquista della supremazia -politica si concluderà
con il tramonto del!' universalismo e l'affermazione delle monarchie nazionali.
Da quel momento ogni comunità ecclesiale dovrà confrontarsi con il governo locale
e i rapporti andranno, a seconda dei luoghi e dei tempi~ dalla piena collaborazione
allo scontro frontale.
Comunque, quasi sempre la Chiesa saprà trovare /orme di convivenza pacifica con
le istituzioni laiche, che spesso diventeranno anzi il suo braccio secolare, come nel caso
dell'Inquisizione.
Per quanto riguarda l'Italia, già all'atto della formazione dello Stato italiano, nel 1861,
l'allora Presidente del consiglio, Camilla Benso conte di Cavour, segui' una politica riassunta
nel motto «Libera Chiesa in libero Stato». Ma quando nel 1870 Roma venne conquistata
dalle truppe italiane (ricorderete la breccia di Porta Pia e tutte le vicende connesse), il papa
si dichiarò prigioniero e invitò tutti i /edeli ad astenersi dalla vita politica.
Solo nel 1929, con la firma dei Patti Lateranensi, questo periodo di sostanziale belligeranza
tra Stato italiano e Chiesa /inz~
Alla fine della seconda guerra mondiale, il contenuto dei Patti Lateranensi venne poi
recepito nella nuova carta fondamentale dello Stato italiano. Fu cosi' sancito un duplice
principio: quello della libertà religiosa (art. 8) e quello dell'indipendenza e sovranità
dello Stato e della Chiesa Cattolica (art. 7).
~~ \ \
La decadenza della Chiesa
Le alte cariche ecclesiastiche divennero addirittura
oggetto di compravendita e furono consacrati
vescovi che non conoscevano le nozioni più
elementari della dottrina cristiana, alcuni perfino
macchiati di gravi delitti o che mantenevano concubine.
La Chiesa (come abbiamo visto nelle unità precedenti)
era perfettamente integrata nel sistema di
potere feudale. In particolare, l'alto clero ( vescovi
e abati) da questa "integrazione" otteneva
grandi vantaggi si~ eco~omici sia politi~i, ma c~n
conseguenze assai gravi: una progressiva corruzione
e una sua quasi completa sottomissione all'imperatore.
Molte famiglie potenti creavano monasteri o chiese
private, nominando a loro piacimento preti,
frati e monache. Gli ecclesiastici che osavano opporsi
a simili situazioni venivano costretti al silenzio
o addirittura eliminati fisicamente.
L'imperatore da parte sua eleggeva i vescovi e
concedeva loro feudi senza neppure interpellare il
papa.
Il papato non era in grado d'intervenire corì'la
fermezza che sarebbe stata necessaria. Come infatti
abbiamo visto, nel IX e nel X secolo le grandi
famiglie aristocratiche romane, in perenne lotL
e fonti relative al periodo di
crisi della Chiesa e dei movimenti
di riforma sono numerosissime.
Ogni città aveva cronisti
che raccontavano dettagliatamente
e in ordine cronologico i fatti
più importanti della vita quotidiana
e quindi il manifestarsi di ribellioni
all'interno della Chiesa o,
addirittura, di eresie veniva scrupolosamente
registrato. Ma, oltre
alle cronache, abbiamo importanti
punti di riferimento negli atti ufficiali
della Chiesa che prendeva via
via posizione nei confronti di chi
osava metterne in dubbio l'autorità
e la moralità.
Altra fonte importante sono le cronache
redatte da ogni monastero:
questi documenti sono molto interessanti
perché non riguardano soltanto
le questioni ecclesiastiche,
ma riferiscono anche minuziosamente
dei contatti con la popolazione,
dei lavori eseguiti in campagna
e dei rapporti con le autorità civili.
Da questi atti, pertanto, si possono
ricavare dei veri e propri squarci di
vita quotidiana e si può così ricostruire
una storia minore estremamente
importante per spiegare il
contesto in cui matureranno poi i
grandi eventi. Sul problema della
lotta per le investiture le fonti fondamentali
sono gli stessi atti ufficiali
dei vari imperatori e papi.
ta tra loro, avevano eletto una serie di papi privi
di autorevolezza, che dovevano soltanto fare gli
interessi economici e politici della fazione da cui
provemvano.
L'azione dell'imperatore Enrico III, che tra il 1039
e il 1056 depose e nominò quattro papi (in successione:
Clemente II, Damaso II, Leone IX e Vittore
II), come del resto avevano fatto altri suoi predecessori,
non era ovviamente disinteressata, ma
fece riacquistare al papato una certa dignità. I papi
indegni furono deposti d'autorità e dalla Germania
vennero inviati a, Roma numerosi ecclesiastici
con l'incarico d'intervenire sul comportamento
degli alti vertici della Chiesa.
(
L'esempio dei monaci di Cluny__
La reazione alla scandalosa situazione in cui versava
la Chiesa venne innanzi tutto dai monaci.
Per evitare le pesanti interferenze degli aristocratici
e dei vescovi corrotti, molti monasteri cominciarono
a ricercare una maggiore autonomia.
Il primo promotore di tale rinnovamento fu il monastero
di Cluny, in Borgogna, fondato nel 910
dal duca di Aquitania Guglielmo il Pio [ LETTURA
P. 222]. Questo monastero riuscì ad avere una
grande libertà d'azione perché fu sottratto a qualsiasi
dipendenza dalle autorità civili e religiose locali
e affidato alla custodia diretta del papa.
I monaci cluniacensi proclamarono la necessità di
tornare a un più rigoroso rispetto dei principi della
religione cristiana e della Regola benedettina.
La riforma cluniacense non criticava la ricchezza
accumulata da una Chiesa inserita nel sistema
feudale, ma aveva piuttosto l'obiettivo di riportare
i monaci alla vita spirituale. Impose perciò ai
monaci di abbandonare ogni occupazione mondana,
politica o economica, per dedicarsi soprattutto
con nuovo fervore alla preghiera e alla cura
della liturgia. Furono i monaci di Cluny a diffondere
in Europa la festa dei morti (che ancora oggi
si celebra il 2 novembre) e a ribadire con forza
la pratica della castità come necessaria per chi voleva
svolgere funzioni di guida nella Chiesa. Il
monastero di Cluny diventò così origine di una
nuova spiritualità, una vera scuola di preghiera, e
il suo esempio, anche se lentamente e con grande
difficoltà, si irradiò in tutta Europa. Molti monasteri
chiamarono gli abati di Cluny per imparare
un nuovo stile di vita monastica, alcuni papi illuminati
inviarono i monaci cluniacensi a riformare
monasteri in cui la disciplina benedettina si era
ormai perduta.
Sull'esempio di Cluny furono riformati o fondati
diversi monasteri che si unirono in una congregazione
che faceva capo ali' abate di Cluny. Alla fine
del X secolo, oltre 1000 centri religiosi ispirati al
movimento cluniacense erano nati in tutta l'Europa
occidentale.
mente appartenere a un
ordine religioso. L'abate
veniva eletto dai monaci
del convento e durava in
carica per un numero definito
di anni o addirittura,
in alcuni casi, per tutta
la vita: egli aveva piena
autorità sui monaci e dirigeva
in ogni aspetto sia la
vita spirituale sia quella
materiale della comunità
religiosa.
Sull'elezione dell'abate,
in realtà, pesava molto il
parere del vescovo locale,
del grande feudatario
della zona e, nel caso delle
abbazie più importanti,
addirittura dell'imperatore.
L'abbazia di Cluny fu
fondata nel 910 da Guglielmo,
duca di Aquitania,
e dall'abate Bernone
di Baume che ne fu il primo
rettore.
La comunità si ispirava
alla Regola benedettina e
fin dall'inizio ebbe il privilegio
di dipendere direttamente
dal papa: il
duca d'Aquitania, infatti,
aveva donato il monastero
e tutte le sue terre alla
Santa Sede. Questo fatto
liberò gli abati da qualsiasi
interferenza nella loro
opera da parte dei feudatari
e dei vescovi locali
e frenò il processo di
mondanizzazione e di
corruzione che nelle altre
comunità era provocato
dagli stretti rapporti con
il mondo laico.
Un movimento popolare
di riforma: la pataria
La scarsa autorevolezza di alcuni papi e il comportamento
di molti vescovi e abati, preoccupati
della gestione politica ed economica dei loro beni
più che della propagazione della fede, suscitarono
un forte desiderio di riforma anche nei semplici
fedeli. Nacquero così movimenti popolari riformatori
che proponevano un ritorno alla vita cristiana
dei primi apostoli, alla povertà evangelica,
e in alcuni casi assunsero toni radicali rifiutando
totalmente il clero e l'istituzione ecclesiastica.
Il rinnovamento religioso fu sostenuto soprattutto
dagli abitanti delle città che, più evoluti e liberi
di quelli delle campagne, vedevano nella riforma
morale la possibilità di opporsi anche alle prepotenze
della nobiltà e dell'alto clero. In molte
città, gli abitanti arrivarono a ribellarsi apertamente
contro gli ecclesiastici che conducevano
una vita scandalosa, disertando le funzioni da loro
celebrate e rifiutando i sacramenti. Le esigenze
di riforma religiosa s'intrecciavano dunque con
fermenti di ribellione popolare.
A Milano e in altre città lombarde, intorno alla
metà dell'XI secolo, nacque un movimento laico
per la riforma della Chiesa. Il suo nome, pataria,
deriva forse da "patarino", cioè straccione, termine
dispregiativo con cui si sarebbe alluso alla
composizione sociale del movimento. In realtà vi
aderirono anche elementi di spicco della città,
tanto che tra i fondatori, oltre al vescovo di Milano
Ariberto, figura Anselmo da Baggio, che sarebbe
poi diventato papa Alessandro Il. Bersaglio
L'abbazia di Cluny divenne
presto un formidabile
centro d'irradiazione della
religiosità cristiana e
uno dei motori fondamentali
della riforma della
Chiesa, tanto che, dopo
meno di due secoli
dalla sua fondazione, si
contavano in Europa circa
1450 conventi di monaci
cluniacensi, tutti dipendenti
direttamente da
Roma e quindi sottratti al
potere laico. La chiesa,
uno dei più grandiosi edifici
religiosi del Medioevo,
venne fondata nel
1089 dall'abate Ugo e inizialmente
ebbe una struttura
romanica.
La costruzione poi continuò
fino al XIII secolo e
vide una serie interminabile
di aggiunte e di modifiche
al progetto iniziale,
tanto che, sul piano
stilistico, si parla di
Cluny I, II e III. Dopo
continui saccheggi e distruzioni
avvenuti tra il
XIII e il XVI secolo, oggi
non restano che alcune
cappelle e un campanile,
ma nel XII secolo la basilica
era a cinque navate
ed era lunga 140 metri e
larga 3 5. Ben quattro
campanili sorgevano a
fianco della chiesa circondata
da splendidi edifici
come il palazzo dell'abate,
il chiostro e la sacrestia.
Una grande foresteria,
inoltre, accoglieva
i pellegrini.
principale della pataria era il clero, che, secondo
gli aderenti, viveva nel peccato e ignorava le Sacre
Scritture. I patarini [ ooc.] consideravano nulli i
sacramenti amministrati da questi religiosi e contestavano
usanze assai diffuse come la simonia (la
L'esempio
dei patarini
Un cronista del tempo,
Arnolfo da Milano, riporta
le parole con cui un capo
patarino invita a
condannare il clero
milanese corrotto.
Si tratta di un documento
non solo religioso, ma
anche politico, perché
rivela la nascita di una
nuova mentalità tra i
cittadini, una nuova
coscienza della propria
autonomia e importanza.
D a lungo tempo
. siete sulla cattiva
strada, non e' è
vendita delle cariche ecclesiastiche). Favorirono
la nascita di gruppi spontanei · che studiavano e
commentavano la Bibbia e chiesero l'elezione diretta
dei vescovi da parte del clero minore e del
popolo, sull'esempio delle comunità cristiane primitive.
Il movimento riformatore popolare fu in
seguito anche un prezioso alleato dei papi riformatori
nella loro lotta contro l'autonomia e la
corruzione dell'alto clero.
Movimento antifeudale e antimperiale - perché
contrario alle ingerenze dell'imperatore nelle nomine
ecclesiastiche locali - la pataria, in un certo
senso, anticipò alcune delle istanze di rinnovamento
politico e sociale che si sarebbero affermate
con la nascita delle istituzioni comunali.
I nuovi ordini: certosini
e cistercensi
Sulla via di un ritorno radicale alla Regola stabilita
da san Benedetto, verso la fine dell'XI secolo
nacquero due nuovi ordini monastici: i certosini
e i cistercensi. Se la riforma cluniacense aveva voluto
ristabilire il primato della preghiera, della
prima parte del motto di san Benedetto Ora et labora,
questi nuovi ordini vollero riformare la vita
quotidiana del monaco anche negli aspetti più
concreti ristabilendo i valori della povertà, dell'umiltà,
della semplicità e del lavoro manuale.
in voi traccia di verità. Divenuti
tutti ciechi, scambiate
le tenebre per la luce,
poiché ciechi sono coloro
che vi guidano. Come
può un cieco condurre
un altro cieco? Non cadono
forse entrambi nella
fossa? I più orrendi peccati
della carne e anche
l'eresia simoniaca sono
diffusi tra i sacerdoti e gli
altri ministri di Dio che
quindi vanno allontanati
perché sono nicolaiti
[non osservano il celibato]
e simoniaci.
Guardatevi da costoro se
sperate la salvezza dal
Salvatore, non assistete
alle loro funzioni religiose
perché i loro sacrifici sono
come sterco di cane e
le loro chiese còme stalle ar
-------
Nel 1084 Brunone di Colonia, maestro e canonico
della cattedrale di Reims (1030-99), scelse la
vita solitaria e di meditazione e fondò nel cuore
delle Alpi, sul Massiccio della Grande-Chartreuse,
una comunità di eremiti, la Certosa.
Gli ideali professati dai certosini erano l'unione
totale con Dio attraverso una vita contemplativa,
il rifiuto del mondo e dei suoi beni, l'umiltà e la
povertà.
I monaci, che vivevano in solitudine in piccole
celle una accanto all'altra, si ritrovavano regolarmente
solo per la preghiera comune, e occasionalmente
per magiare insieme o per colloqui stabiliti
secondo una regola.
Pochi anni dopo, nel 1098, Roberto di Molesme
fondò a Oteaux (Cistercium, in latino), vicino a Digione,
una comunità di preghiera e di lavoro. Vestiario,
cibo, sostentamento dei monaci, organizzazione
delle funzioni religiose, arredi e architettura
delle chiese furono riformati a partire dal valore
della povertà. L'ordine rinunciò alle rendite ecclesiastiche
e alle rendite feudali. I monasteri vennero
di solito fondati lontano dalle città, in campagna, e
tutto ciò che serviva al monastero doveva essere
prodotto dal lavoro dei monaci stessi; quello che
avanzava doveva essere donato ai poveri. Col tempo
il lavoro dei cistercensi diverrà un elemento
fondamentale anche dello sviluppo dell'agricoltura
occidentale nel corso del Medioevo. '
In un secolo, le abbazie dei cistercensi divennero
cinquecento. L'ordine annoverò anche diversi uomini
di cultura. Il più famoso fu Bernardo di
Clairvaux (o Chiaravalle, 1090-1153 ), poi santificato,
che appunto a Clairvaux, in Francia, fondò il
principale monastero cistercense. Bernardo si dedicò
alla riflessione e all'introspezione, ma fu anche
un polemista e un perse~utore inesorabile degli
eretici; stabilì inoltre norme di comportamento
per i monaci considerate valide ancora oggi.
Lo spirito di riforma
all'interno della Chiesa
Il movimento di riforma della Chiesa di Roma
partì dunque dalla "periferia" delle istituzioni ecclesiastiche,
cioè dai monasteri e da movimenti
cittadini e popolari come la pataria. Lo spirito di
riforma, però, conquistò presto anche alti prelati
romani, che fecero proprie le tesi dei cluniacensi
e dei patarini.
Un gruppo di riformatori, tra cui Ildebrando di
Soana (il futuro papa Gregorio VII), Pier Damiani
e Ugo di Cluny, nell'XI secolo elaborarono le
basi dottrinali della nuova posizione della Chiesa.
Nel 1058 il cardinale Umberto di Silva Candida,
un riformatore radicale, scrisse il trattato Contro i
simoniaci, in cui (come i patarini) lanciava pesanti
accuse contro gli ecclesiastici che compravano e
vendevano le cariche [ ooc. P. 225] e dichiarava
nulli i sacramenti da essi amministrati.
Il brano - tratto dalla Vita
del santo Giovanni
Gualberto, scritto intorno al
1090 - mette in luce il clima
di insofferenza creatosi nei
confronti degli ecélesiastici
indegni che compravano
e vendevano oggetti sacri
e cariche religiose
(simoniaco.
P urtroppo in quel
monastero [di San
Miniato] vi era allora
un monaco scaltro e
intrigante, di nome Uberto
che ottenne col denaro
il governo della comunità
dal vescovo di Firenze, alla
cui giurisdizione apparteneva
il monastero. Il
beato Giovanni, scoperta
la cosa, uscì di nascosto
dal monastero in compagnia
d'un confratello che
lo appoggiava e insieme
andarono in città dal
grande Teuzzo [un famoso
eremita], il quale viveva
recluso in una celletta
dentro le mura di Firenze,
presso il monastero
della beata e sempre Vergine
Maria e di lì dava a
tutti salutari ammonimenti.
Egli denunciava
pubblicamente la simonia,
che da lungo tempo
aveva contagiato quasi
tutto il clero.
L'uomo di Dio Giovanni
avvicinandolo gli disse:
«Ti prego, padre mio,
non negarmi il tuo santo
consiglio nella grande incertezza
in cui mi trovo!
Temo molto di vivere sotto
l'abate simoniaco e
non so proprio come
uscirne». Gli rispose il
vecchio: «Mi fa tanto piacere
quello che mi dici,
ma non vedo quale consiglio
darti. [ ... ] E se passi a
un altro monastero di
queste parti, mentre credi
di sfuggire ai denti del
leone non scamperai al
morso del serpente!». E
Giovanni: «Non lasciarmi,
padre, senza un consiglio:
pur di seguire la
verità sono pronto a compiere
qualunque cosa mi
ordinerai». Il vecchio, vedendo
la fede e la costanza
di Giovanni, rallegrandosene
gli disse: «Va' allora
con il tuo compagno
e nel pubblico mercato
della città grida di fronte
a tutti che il vescovo e l'abate
sono simoniaci, poi
scappa!».
Fedele al suo suggerimento,
andò sulla piazza
del mercato in un giorno
di grande affluenza e dichiarò
simoniaci il vescovo
e l'abate.
Il fattcv suscitò in tutti
un orrore raccapricciante,
mentre molti gridavano:
«Non lasciatelo scappare,
ammazziamolo!». Ma alcuni
dei suoi parenti, sot-
&ù~ \J v fòHU\ L0 1
'J·tf~\J i la bo (-; Jnt;i
Le tensioni fra Chiesa e lmper_o \ I il ?apa Leone I~ e~ patriarc~ di Costant~opoli
e lo scisma d'Oriente f \ l.Dli 0 , I I: Micgele Cerulano si_ ~c~municarono re~iproca-
'. . 7c t!J 'ìJ\.,%,4.;'J 1 ~\ 1\,1,\U) me~te re~d~ndo defimtiva una. separ~z10ne fr_a
Nel 1049 11mperatore Enrico III fece nommare ! Chiese cnstiane che ancora oggi non e stata n -
papa suo cugino Brunone, che prese e . composta.
il nome di Leone IX (1002-54). Leo- _\l& Nel 1059 papa Niccolò II- per
ne, però, si fece convalidare a Roma ~ liberare la Chiesa dal potere
e acclamare dal popolo per sottoli- · dell'imperatore - emanò un
neare l'autonomia della Chiesa dal po- decreto che attribuiva la fatere
politico, ponendo così le premesse _,.., ·- coltà di eleggere il papa
dello scontro fra papato e Impero: egli ri- esclusivamente al collegio
vendicò infatti la superiorità della Chiesa dei cardinali [ DOC. P. 2261.
di Roma e del papa su tutto il mondo cri- Dunque, quando nel 1073
stiano. diventò papa Ildebrando
La rivendicazione di autonomia affermata di Soana con il nome di
da Leone IX rispetto al potere imperiale e Gregorio VII, strenuo
l'affermazione della centralità del ruolo sostenitore dell'assoluta audel
papa nel governo della Chiesa, ina- tonomia del pontefice risprirono
i rapporti già problematici fra spetto all'imperatore, erano
Chiesa di Roma e patriarcato di Costan- _ ,___. maturate tutte le conditinopoli.
zioni per trasformare i
Nel 1054 la Chiesa bizantina si sepa- contrasti con l'Impero in
rò definitivamente da quella romana; - --.;;..._ _ _ _ -'------~_., ooa lotta aperta.
p
g
p
d
l'emanazione d'un decreto
che stabiliva nuove
modalità nell'elezione
del pontefice, sottraendola
al controllo della nobiltà
romana e rendendola
indipendente
dall'ingerenza de/l'Impero.
trovato degno, altrimenti
lo si prenda da un'altra
chiesa. Salvo restando il
debito onore e la riverenza
verso il nostro diletto
figlio Enrico che è ora
chiamato re e che si spera
sarà con l'aiuto di Dio il
futuro imperatore [ ... ].
Ma se qualcuno, contrariamente
a questo nostro
decreto promulgato in sinodo,
verrà eletto o consacrato
o insediato in trono
attraverso la rivolta, la temerarietà
o qualunque altro
mezzo, sia da tutti creduto
e considerato non
Papa, ma Satana, non apostolo,
ma apostata e con
perpetua scomunica per
autorità divina e dei santi
apostoli Pietro e Paolo, insieme
con i suoi istigatori,
partigiani e seguaci, venga
scacciato e respinto dalle
porte della santa cristianità
di Dio, come Anticristo,
nemico e distruttore di
tutta la Cristianità.
da F. Gaeta - P. Villani,
Documenti e testimonianze,
Principato, Milano 1968
Gregorio VI I e il Dictatus papae
Nel 1073, appena eletto, papa Gregorio VII aveva
già mostrato la sua volontà riformatrice rinnovando
i provvedimenti contro la simonia e il matrimonio
degli ecclesiastici e rendendoli veramente
esecutivi con pesanti pene per i trasgressori.
Ma Gregorio VII aveva in mente un progetto ben
più ampio: l'istituzione di uri sistema politico teocratico,
cioè il controllo del papa non solo sull'intera
organizzazione ecclesiastica ma anche sui poteri
laici, e in primo luogo sull'imperatore. Per
raggiungere questo obiettivo Gregorio dichiarò
nulle tutte le cariche che i vescovi avevano otteIl
Enrico IV assiste alla costruzione di una chiesa. Il gesto
della mano destra simboleggia la sua approvazione. '
nuto dall'imperatore e, per sostenere questa sua
iniziativa, emanò nel 1075 il Dictatus papae (Dettato
del papa), un documento composto da 27 affermazioni
che definivano le funzioni del papa e il
ruolo della Chiesa di Roma [ ooc. P. 227].
Nel Dictatus Gregorio VII affermò innanzi tutto
l' a~uta.supremazi-a-d-el-papa su tutti gli altri vescovi,
l~ a .. fa_coltà di...eman.mJeggi e di applic~e,
l'insindacabilità dei suoi gii:iaizi. -Nl'ììiipe-
~ato~e -~ di-cieto crn~ ò depOrrei v~-
_§.C0Vl, tacoltà che spettava umcamente a:t"J'5ontefice,
e l'imperatore stesso poteva essere scomunicato
o addirittura deposto dal papa. Si delineava così
una sorta di potere universale della Chiesa, alla
quale tutti, religiosi e laici, dovevano obbedienza.
Come molti altri riformatori del tempo, Gregorio
VII era convinto che una delle cause principali
dei mali della Chiesa fosse la subordinazione del
clero all'imperatore.
Il fatto di ricevere benefici e cariche ecclesiastiche
da quest'ultimo legava il clero a chi l'aveva beneficato
e, più in generale, al mondo terreno e ai valori
materiali, distogliendolo dalla ru"issione spirituale.
Ma l'iniziativa di Gregorio aveva anche effetti politici
più generali: limitava fortemente l' autonomia
del potere politico di qualunque sovrano e in
particolare dell'imperatore, che da difensore della
comunità cristiana finiva per apparire il semplice
braccio militare della Chiesa.
Lo scontro tra papa e imperatore
L'imperatore Enrico IV, figlio di Enrico III, era
succeduto al padre nel 1056, a sei anni di età.
Nel 1065 fu dichiarato maggiorenne e si dedicò a
restaurare l'autorità sovrana, insidiata ancora una
volta dai feudatari ribelli, ma anche dalle case di
Baviera e Sassonia, insorte contro l'imperatore.
Nel 1075, quando Gregorio VII emanò il Dictatus
papae, il momento era estremamente delicato\; .;;; ,.... r, · IV '2.-.;/ !11=FclìJ1Ac.,10"1 CHlf blc-u1 AP'(',l= i
-pgr- .G.-0:tfCO . L-7t w r n,JM/\ i ui ()cc M-1'1\-S vjA,'. lMati-e-p-wnrìseèlìr ispettare la li-
,bertà delle elezion( e delle-o sacrazioni religiose, ~ - consèrvan-do solo la facoltà-ai inve ire.gli ecclesiastici
del potére temp..9rale.-In cambio, Enrico V
ottenne· che-i véséo.;l fossero obbligati a prestare
·giut:g~nt~ è deltà~ rnna, ma so o in
quanto ctèpositari di è B fici m'àtoo~ ,oncessi
loro dall'imperatore.
Terminava così la lotta pe1;) e in titu , ,~ la
netta separazi~ delle ~ ére d' ion i Chiesa e.
Impero. Al pon e ice spetta-~l' { s{gnazio~
l'aneli? ~ del pa~ le, si o · ella consacra~ione
religiosa; al · ovra é a dello scettro, slffibolo
del po re tempo Vi fu però un'eccezione
a tale gola: in G rma1i a, a consacrazione religiosa
eguiva q ella temp , r ~ mperatore
potev influire nella scelta del vescovo e presenzia
alla cerimonia di consacraz · ne.
Il concordato di Worms, pur risolven_do il problema
delle investiture, lasciava aperto il conflitto tra
Il testo del
concordato di Worms
Il documento firmato a
Worms nel 1122 da papa
Callisto Il e dall'imperatore
Enrico V è composto da
n nome della santa e
indivisibile Trinità.
Io, Enrico, per grazia
di Dio augusto imperatore
dei Romani, per
amore di Dio e della
Santa Chiesa Romana e
del nostro papa Callisto
e per la salvezza della
mia anima cedo a Dio e
ai suoi santi apostoli Piedue
dichiarazioni separate
(il privilegio
dell'imperatore e il
privilegio del pontefice)
che regolano il problema
delle investiture
ecclesiastiche, riservate
al papa, e della
concessione dei privilegi
temporali, facoltà
de/l'imperatore.
tro e Paolo e alla Santa
Chiesa cattolica ogni investitura
con anello e pastorale,
e concedo che,
in tutte le chiese esistenti
nel mio Regno e nel
mio Impero, vi siano elezioni
canoniche e libere
consacrazioni.
Restituisco alla medesima
Santa Chiesa Roma-
Chiesa e Impero: per alcuni secoli queste due autorità
si sarebbero affrontate ancora per conquistare
il primato nel mondo cristiano.
La diffusione dei movimenti
ereticali I
La riforma gregoriana aveva cercato di riportare
ordine, coerenza e moralità all'interno della
Chiesa imponendo una struttura ecclesiastica
fortemente accentrata e monarchica, nella quale
il papa era il supremo giudice e aveva l'ultima parola
su ogni questione di fede, di morale e-di vita
cristiana. La situazione di anarchia, che aveva
consentito a gran parte dell'alto clero di agire
; con grande autonomia esibendo comportamenti
spesso inaccettabili, era stata arginata cércando
di restaurare l'autorità morale, politica e religiosa
del papa.
Ma l'affermarsi di i.in dominio temporale soggetto
al pontefice, ormai al centro di una serie di importanti
relazioni feudali che. gli consentivano di
gestire un enorme potere politico, riaprì comunque
la questione di una Chiesa coerente agli ideali
del Vangelo.
na i possedimenti e le regalie
del beato Pietro,
che le furono tolti dall'inizio
di questa controversia
fino a oggi, sia ai
tempi di mio padre sia ai
miei, e che io posseggo;
darò fedelmente il mio
aiuto perché vengano restituiti
quelli che non ho.
Ugualmente renderò, secondo
il consiglio dei
prìncipi e secondo giustizia,
i possedimenti di
tutte le altre chiese e dei
prìncipi e degli altri
chierici o laici, perduti in
questa guerra e che sono
in mia mano; per quelli
che non lo sono, darò fedelmente
il mio aiuto, sì
che vengano restituiti. E
assicuro, inoltre, una
sincera pace al nostro
papa Callisto e alla Santa
Chiesa Romana e a
tutti coloro che sono o
sono stati dalla sua parte.
Fedelmente darò il
L'ansia di purezza e di ritorno alle origini del Cristianesimo
generò anche movimenti religiosi - come
quelli dei catari e dei valdesi - che si distaccarono
volontariamente dalla Chiesa rifiutando le
mio aiuto quando la
Santa Chiesa Romana
me lo chiederà, e le renderò
debita giustizia se
mi farà lagnanza.
o, Callisto vescovo,
servo dei servi di
Dio, concedo a te,
diletto figlio Enrico, per
grazia di Dio augusto imperatore
dei Romani, che
abbian luogo alla tua presenza,
senza simonia e
senza alcuna violenza, le
elezioni dei vescovi e degli
abati di Germania che
spettino al Regno; in modo
che qualora dovesse
sorgere qualche ragione
di discordia tra le parti,
secondo il consiglio e il
parere del metropolita e
dei comprovinciali, tu
possa dar consenso e prestare
aiuto alla parte più
sana.
L'eletto riceva da te le regalie
per mezzo dello
scettro e per esse esegua
istituzioni ecclesiali e il ruolo che esse avevano come
mediatori del rapporto fra uomo e Dio.
Le risposte della Chiesa a questi movimenti riformatori
radicali furono due. Alcuni furono riportati
all'interno della comunità cristiana e, nonostante
la radicalità delle contestazioni, riconosciuti
dal papa e integrati nel sistema ecclesiastico;
altri furono condannati soprattutto perché i
loro contenuti teologici alteravano radicalmente
la dottrina cristiana, furono dichiarati eretici
perseguiti giudiziariamente o con le armi.
I catari
Tra i movimenti ereticali vi fu la setta dei catari
(dal greco antico katharos, "puro") che ebbe come
maggiori centri di diffusione la Francia meridionale,
le Fiandre e la Lombardia.
I catari non credevano nell'incarnazione di Cristo
e rifiutavano i sacramenti. Si dividevano in perfetti
e credenti, a seconda che avessero o meno ricevuto
il battesimo spirituale. I primi praticavano
il più totale ascetismo: si astenevano dal matrimonio
e dalla procreazione, condannavano la
proprietà privata e la guerra, rifiutavano determinati
cibi, che consideravano impuri, giungendo
fino alla morte per fame, gesto estremo di ricerca
della completa purezza.
La Chiesa si oppose duramente a questa eresia e,
nel 1208, Innocenzo III bandì una vera e propria
crociata contro i catari della Linguadoca (detti albigesi
dal nome della città di Albi), cui parteciparono
alti ecclesiastici e molti nobili francesi, ansiasi
di impadronirsi delle terre e dei beni degli eretici.
Intere città furono messe a ferro e a fuoco e decine
di migliaia di persone furono massacrate.
Valdo e i "poveri di Lione"
Nel 1173 un ricco mercante, Pietro Valdo (o Valdesio),
cominciò a predicare a Lione contro i poteri
dei nobili e degli ecclesiastici, affermando la
perfetta uguaglianza degli uomini davanti a Dio.
Donò tutti i propri averi ai poveri e fondò una comunità
che viveva di elemosine [ ooc. P. 231].
Valdo sosteneva che il sacerdozio doveva essere
fondato su un merito effettivo, non sulla consacrazione
esteriore, e soprattutto rivendicava per i
laici il diritto di predicare.
Nel 1184 Valdo fu dichiarato eretico, ma continuò
la sua opera. I "poveri di Lione", com'erano chiamati
i suoi seguaci, si diffusero in Germania, in
Spagna, in Provenza e anche in Italia, in Lombardia
e in Piemonte. Furono attaccati da due crociate,
nel 1208 e nel 1487, e colpiti da violente persecuzioni
ancora nel XVI e XVII secolo; soltanto
nell'Ottocento i valdesi ottennero il riconoscimento
da parte della Chiesa cattolica: oggi, in Italia, la
comunità valdese conta circa ventimila fedeli.
I frati domenicani
Circa un secolo dopo i certosini e i cistercensi,
sorsero due ordini religiosi di tipo diverso: gli ordini
mendicanti dei domenicani e dei francescani.
I loro membri (frati, non monaci) vivevano quasi
esclusivamente di elemosine, rifiutando il principio
del lavoro manuale come forma di vita monastica.
Svolsero un'intensa attività di predicazione
e di assistenza ai bisognosi ed ebbero una spiccata
vocazione missionaria.
Il fondatore dei domenicani fu lo spagnolo Domenico
di Guzman, che nel 1215, durante un
viaggio in Francia, ebbe l'idea di dedicarsi alla
predicazione per convertire gli eretici. A Tolosa,
nacque così l'ordine dei frati predicatori - questo
il nome proprio dei domenicani - che venne riconosciuto
dal papa l'anno seguente.
Vivendo e operando nelle città, a stretto contatto
con le grandi trasformazioni sociali e politiche, i
domenicani produssero un radicale cambiamento
nell'atteggiamento della Chiesa verso il mondo.
Alla secolare condanna contro la ricchezza, sosti-
- tuirono l'idea che qualsiasi lavoro, se svolto con
correttezza e coscienza, era gradito a Dio e poteva
procurare la salvezza dell'anima. In questo moLa
Chiesa
contro Valdo
Questi due documenti, il
primo del cistercense
Goffredo di Auxerre (fine
del Xli secolo) e il secondo
di Stefano di Bourbon
(dal Tractatus de diversis
materiis praedicabilibus,
metà del Xlii secolo),
narrano le violente
reazioni che Valdo e i
"poveri di Lione"
provocarono nell'ambiente
ecclesiastico.
L ione, prima sede
[ vescovile] delle
Gallie, ha creato
nuovi apostoli, né si è vergognata
di associar loro
delle apostole. A demolire
la vigna del Signore si son
fatte avanti le piccole volpi,
persone disprezzabili e
proprio indegne, che usurpano
l'ufficio della predicazione
pur essendo del
tutto o quasi illetterate, ma
ancor più prive dello Spirito.
[ ... ] Hanno attraversato
città e villaggi sotto il
pretesto della povertà e la
scusa della predicazione,
vivendo impudentemente
di pane altrui senza lavorare
con le proprie mani.
[ .. .] L'iniziatore, detto Valdesio
dal luogo di nascita,
abiurò tale setta, convinto
da ragioni manifeste della
propria sacrilega presundo,
vennero giustificate dalla Chiesa le nuove attività
dei mercanti e dei banchieri e venne accettato
il principio del profitto.
I frati francescani
L'ordine dei frati minori francescani venne fondato
da Francesco Bernardone, figlio di un ricco
mercante di tessuti di Assisi. Dopo aver condotto
la vita mondana di tutti i giovani figli di ricchi, nel
1206 Francesco si convertì improvvisamente, rinunciando
a qualsiasi bene materiale: l'episodio
di Francesco, che sulla piazza di Assisi, davanti a
una folla numerosa, si spoglia dei suoi abiti restando
nudo, simbolo vivente della povertà assoluta,
è immortalato negli affreschi di Giotto, nella
basilica di Assisi. Insieme con pochi compagni,
conquistati dalla sua fede, diede origine a una piccola
comunità che aveva come Regola la completa
povertà e si sostentava con elemosine e umili
lavori. Il messaggio della comunità di Francesco
era chiaro: una ricerca di purezza in un mondo,
compreso quello ecclesiastico, dedito ai piaceri e
al lusso.
zione, nel Concilio di Lione
[ ... ]. [Ma in seguito]
non ha cessato di raccogliere
e di disseminare discepoli,
tra i quali non
mancano anche misere
donnicciuole cariche di
peccati che penetrano nelle
case altrui, curiose e
chiacchierone, sfrontate,
malvagie, impudenti, come
quelle due fra loro che,
per un quinquennio nelle
schiere di quei nefandi,
avevano aggredito con le
peggiori offese il venerabile
vescovo della città di
Clermont [. .. ]. Bestemmiando
in modo turpe, esse
lanciavano in faccia al
vescovo i loro vizi e pubblicamente
proclamavano:
«Dopo la predicazione
ogni giorno più lautamente
mangiavamo, ci sceglievamo
quasi ogm notte
nuovi amanti, trascorrevamo
il tempo senza essere
sottoposte ad alcuno, senza
preoccupazioni, senza
impegni di lavoro, senza
pericoli, in mezzo ai quali
invece ora, ancelle di signori,
quotidianamente rischiamo
di morire e, misere,
soggiaciamo a innumerevoli
affanni».
Q uesti [Valdo],
venduto ogm
suo bene, in disprezzo
del mondo, come
fosse fango distribuiva il
suo denaro ai poveri: e
usurpò l'ufficio degli apostoli
ed ebbe la presunzione
di predicare i Vangeli e
le cose che aveva imparato
a memoria per strade e
Nel 1210, il papa Innocenzo III concesse ai francescani
un riconoscimento ufficiale, anche se il
loro atteggiamento radicale preoccupava notevolmente
la Chiesa. Il successo dei francescani superò
ogni aspettativa e il papato cercò di incanalare
e regolare il confuso agitarsi di ideali, spesso in-
- •rn;;~ .. , ·~ ~~ .. "'0''''"...,.."1' .. .-v ~ •nq1- ~v -
mti - ~ ~tut~ s;Cltll t1t~m tnc:ditcciinik ·
tf.1_;~ ·: · ::gp~mitmil·finilnlilcntl+iuriy m~~ -· ·furci:n,"._1rrfettW-i1~11n.~ - -.l~ J --~nn~nts L1rib., -pt!d~ [.l,.cnf'
"-.!I. . m~,ft\~gtltl!5~1~1.qu.1 tiio__, -~1.t !tnctio:fitt !lllg,t; m~dio ,o ffe1wrgmni.a'.-~Jnn fft,1r.m
Nostro Signore Gesù Cristo
che dice «Se vuoi esser
perfetto, vendi tutto e dallo
ai poveri, e avrai un tesoro
in cielo; e vieni, e seguimi»
[. .. ].
TI. I fratelli, poi, quelli
che promisero obbedienza,
abbiano un'unica tunica,
con il cappuccio, e
un'altra senza se occorre,
e cingolo [corda, a guisa
di cintura] e le brache. E
tutti i fratelli siano vestiti
di vesti vili e possano rappezzarle
con pezzi di sacco
od altro con la benedizione
di Dio. E anche se
saranno detti ipocriti non
cessino di fare il bene, e
non cerchino vesti preziose
in questo mondo
per poter avere un vestito
nel regno dei cieli. [. .. ]
VII. Tutti i fratelli, in
qualunque luogo e presso
chiunque si trovino a servire
e a lavorare, non siano
mai economi o cantinieri,
né dirigano le case
dei loro padroni, né accettino
ufficio che sia di
scandalo o faccia danno
alla loro anima: ma siano
minori e soggetti a tutti
quelli che sono nella medesima
casa. E i fratelli
che sanno lavorare lavorino
ed esercitino l'arte che
conoscono, purché non
sia contraria alla salvezza
dell'anima loro. E possano
per il lavoro ricevere il
necessario, escluso il denaro
e, se ci sarà bisogno,
vadano questuando come
gli altri poveri. Si guardino
i fratelli, dovunque
siano, negli eremi o altrove,
di appropriarsi di
qualche luogo e di vietarlo
ad altri. E chiunque
venga a loro, amico o nemico,
ladro o assassino,
terpretati in modo personale e al limite dell' eresia,
che emergeva tra i frati.
Francesco esitò a lungo prima di accettare la stesura
di una Regola, convinto che il misticismo
che animava il movimento sarebbe uscito mortificato
da qualsiasi vincolo. Poi, consapevole che un
rifiuto avrebbe portato l'ordine allo scioglimento,
accettò e nel 1223 fu promulgata la Regola francescana:
l'ordine usciva dallo spontaneismo per
entrare nell'ufficialità [ ooc.1.
Dopo la morte di Francesco, nel 1226, subito
proclamato santo, l'ordine fu travagliato al suo interno
dalle lotte tra spirituali e conventuali. I primi
esigevano il rispetto letterale dell'insegnamento
di Francesco, i secondi erano disposti a un certo
compromesso con il mondo, quindi ad accettare
lasciti e a dedicarsi allo studio. Nel 1263 i conventuali
ebbero il sopravvento, con l'appoggio
del papato, e gli spirituali dovettero uscire dal-
1' ordine; molti di essi confluirono in gruppi eretici
(vedi p. 381).
D In questa miniatura del XIV secolo è rappresentato san
Francesco che porge il saio a santa Chiara.
sia accolto benignamente.
E cerchino di non mostrarsi
tristi, accigliati o
ipocriti, ma bensì lieti nel
Signore, ilari e opportunamente
gentili.
VIII. Perciò nessun fratello,
dovunque sia o vada,
accetti denari neppure
per causa di vesti, libri
o compenso di lavoro, in
nessun caso, salvo per
manifesto bisogno di fratelli
malati. E se in qualche
luogo troveremo denari
non curiamoli più
della polvere che calpestiamo.
[. . .]
IX. Tutti i fratelli cerchino
di seguire umiltà e povertà
di Nostro Signore
Gesù Cristo e ricordino
che niente altro ci occorre
a questo mondo, come
dice l'Apostolo: «Avendo
il cibo e da coprirci, stiamo
di questo contenti».
E devono rallegrarsi
quando vivono tra persone
miserabili e disprezzate,
tra poveri, deboli, malati,
lebbrosi e mendicanti.
E se ci sarà bisogno vadano
per elemosina e non
si vergognino, perché il
Nostro Signore Gesù
Cristo, figlio di Dio onnipotente,
posò la sua testa
su una pietra durissima,
né se ne vergognò [. .. ].
XIV. Quando i fratelli
vanno per il mondo non
portino seco per via né
sacco, né valigia, né pane,
né denaro, né bastone. E
in qualunque casa entrino,
dicano prima di tutto:
«Pace a questa casa».
Non resistano al male,
ma a chi percuoterà loro
una guancia, offrano l'altra:
e non si oppongano a
chi vorrà levare loro la
veste o la tonaca.
• SOCIETÀ, ISTITUZIONI, CULTURA
Le origini dello scontro
fra Chiesa e Impero
È ora utile riprendere gli elementi dello scontro
fra il papa e l'imperatore. Alcune questioni fondamentali
si erano delineate fin dal momento in
cui il Cristianesimo si era diffuso nell'Impero romano
ed erano emerse con chiarezza, dopo leprime
persecuzioni, quando gli imperatori avevano
compreso che l'appoggio dei cristiani poteva essere
determinante nella gestione del potere. Con
l'editto di Tessalonica poi, promulgato da Teodosio
nel 380, il Cristianesimo era diventato religione
di Stato.
Dopo la caduta dell'Impero romano la Chiesa rimase
a lungo l'unica istituzione diffusa in modo
capillare sul territorio, soprattutto in Italia. Nel
periodo tardoantico, a fronte dell'assenza dell'lmpero
bizantino, il potere e il prestigio della
Chiesa crebbero senza interferenze, conquistando
spazi di intervento sempre più ampi. Anche per
questo il rapporto tra Chiesa e Impero fu uno dei
fattori cruciali dell'universo medievale, riproponendo
ogni volta alcune questioni: fino a che punto,
e in base a quale principio, la Chiesa, custode
dei valori spirituali e religiosi, poteva e doveva
compromettersi con le questioni di ordine politico?
D'altro canto, era giusto che l'Impero estendesse
la sua autorità fino a condizionare dall'interno
la vita della Chiesa?
Il rafforzamento dell'Impero attuato dalla casa di
Sassonia e la tutela sul pontefice imposta dagli
imperatori generarono enormi contrasti. La questione
su quale dei due poteri dovesse prevalere
sull'altro avrebbe attraversato tutto il periodo del
Basso Medioevo e della prima età moderna.
La questione delle investiture
Il conflitto tra papato e Impero si giocò su due
piani: da un lato, divenne indispensabile bilanciare
due poteri che rivendicavano ciascuno il proprio
carattere universale; dall'altro, la Chiesa si
trovava a dover armonizzare al proprio interno
due istanze destinate comunque a convivere, cioè
il carisma e l'istituzione.
Il carisma rimandava agli ideali evangelici di povertà,
libertà e pace; l'istituzione riguardava, invece,
la struttura del tutto "politica" che la comunità
cristiana si era data nel corso dei secoli: con
un capo e una gerarchia, con delle leggi e persino
uno Stato.
Sul piano politico, numerosi studiosi furono incaricati
di elaborare teorie sempre più convincenti,
in grado di risolvere la spinosa questione
del rapporto tra papato e Impero. Il punto di vista
dei pontefici, che sostenevano la superiorità
del potere spirituale [ ooc.1, era comprensibile alla
luce della mentalità di quel tempo, e gli europei
medievali non rimanevano scandalizzati dal
vedere che il pontefice faceva di tutto· per afferdiventata
famosa. Il
pontefice vi afferma senza
mezzi termini che il potere
spirituale è superiore a
quello de/l'imperatore e
che quindi la sola autorità
legittimata a reggere il
mondo è quella del vicario
di Dio.
di trascinare i sacerdoti
del Signore sulle loro
stesse orme, non possono
che essere paragonati al
diavolo, re di tutti i figli
della superbia, che tentò
addirittura µ Pontefice
Sommo, il Capo dei sacerdoti,
il Figlio dell' Altissimo,
al quale promise
tutti i regni della terra dicendogli:
«Tutte queste
cose io ti darò, se, prostrandoti,
mi adorerai.»
(Mt. 4, 9).
Chi potrebbe mettere in
dubbio che i sacerdoti di
Cristo debbano essere
considerati padri e maestri
dei re, dei principi e
di tutti i fedeli? Ma sarebbe
follia miserabile se un
figlio o un discepolo tentasse
di sottomettere il
padre o il maestro e di
esercitare il proprio potere
su chi ha l'autorità di
legare o sciogliere nel regno
dei cieli.
Ogni re cristiano, quando
giunge alla fine della sua
vita, richiede umilmente e
devotamente l'opera del
sacerdote, per poter salire
dalle tenebre alla luce e
comparire di fronte a Dio
sciolto dai vincoli dei suoi
peccati. Ma chi, giunto in
punto di morte, implorò
mai per la salvezza della
sua anima l'aiuto di un re
della terra? Quale re o
imperatore, p·er l'ufficio
che ricopre, può con il
santo battesimo strappare
un cristiano al potere del
diavolo, farlo annoverare
tra i figli di Dio e fortificarlo
con il sacro crisma?
E, per quanto riguarda il
sacramento fondamentale
della religione cristiana,
quale re può con le sue
parole consacrare il corpo
e il sangue del Signore? A
chi di loro è stato dato il
potere di legare e sciogliere
in cielo e in terra?
Da questi esempi si comprende
chiaramente la
grandezza del potere sacerdotale.
E ancora: chi di
loro ha il potere di ordinare
un chierico, o quanto
meno di deporlo per una
colpa? Negli ordini ecclesiastici
il potere di deporre
è superiore a quello di
ordinare. I vescovi, infatti,
possono ordinare altri vescovi,
ma non possono assolutamente
deporli senza
l'autorizzazione della sede
apostolica.
Chi allora potrebbe essere
così superficiale e saccente
da dubitare della superiorità
dei sacerdoti sui sovrani?
E se poi i re devono
essere giudicati dai sacerdoti
per i loro peccati, chi
può giudicarli meglio del
pontefice romano?
1/1 Questa miniatura del Xlii secolo sintetizza i rapporti fra il
papa e l'imperatore. Al centro, sulla destra, il papa riceve da
san Pietro una chiave, simbolo del suo potere spirituale sull'umanità;
a sinistra il sovrano impugna la spada e lo scettro,
simboli del potere politico terreno. In alto sono rappresentati i
vassalli dell'imperatore, ciascuno nel suo castello. In basso il
papa e l'imperatore, seduti sul medesimo trono, si abbracciano:
è dalla loro concordia che deriva il bene dei loro sudditi.
mare la propria autorità sull'imperatore. Tutti,
del resto, erano convinti che l'anima, già proiettata
nella sfera del divino e dell'eterno, fosse superiore
al corpo, che invece doveva sottostare alle
leggi della natura ed era destinato alla morte.
Dunque, nulla di strano se colui che si occupava
delle cose dell'anima, il papa, si dichiarava superiore
a colui che doveva regolare le cose della vita
terrena: l'imperatore.
Al di là delle questioni di principio vi erano poi
questioni pratiche che avevano un peso enorme
sulla vita sociale e politica dell'Europa medievale.
Di fronte a vescovi che erano contemporaneamente
anche conti, e quindi esercitavano un potere
politico oltre che religioso, si poneva il problema
di stabilire chi tra il pontefice e l'imperato-
re dovesse avere la facoltà di eleggerli, cioè di investirli.
L'uomo che diventava, per esempio, vescovo-conte
di Trento, doveva acquisire automaticamente
il titolo di conte perché il papa lo nominava
vescovo di quella città, oppure doveva diventare
vescovo perché l'imperatore lo designava
1 a essere conte? E, in definitiva, a chi spettava la
scelta dell'individuo da investire?
L'organizzazione sociale
ed economica
La struttura della società medievale è di tipo piramidale,
con l'aggravante che i sudditi devono rispondere
non solo agli ordini delle autorità laiche,
ma anche a quelli delle autorità ecclesiastiche.
La loro condizione peggiorerà quando scoppierà
apertamente il conflitto tra papato e Impero:
le comunità verranno coinvolte in lotte anche
sanguinose e soffriranno della continua situazio-
. ne di incertezza politica e di confusione sul piano
istituzionale.
Ciononostante la società di questo periodo è ricca
di fermenti che preludono senza dubbio a una
richiesta di maggiore autonomia dei sudditi verso
le autorità e annunciano la nascita del fenomeno
dei Comuni. Questi fermenti sono soprattutto riscontrabili
nell'ambito religioso. Intere comunità
trovano l'ardire e la forza di ribellarsi contro gli
ecclesiastici corrotti e di criticare apertamente
anche il comportamento dei feudatari e perfino
dell'imperatore. Il commercio sta lentamente riprendendosi
e questo porta una continua circolazione
di informazioni e di idee nuove che smuovono
la situazione.
Si sta creando una classe intermedia tra i nobili e i
lavoratori, la classe della borghesia, che nel Basso
Medioevo assumerà le redini dell'economia e sarà
l'elemento trainante della rinascenza dell'Europa
sul piano sociale, economico e anche politico.
L'economia di questo periodo rimane essenzialmente
un'economia agricola e, in molti luoghi, di
pura sopravvivenza, ma nelle campagne viene
bloccato il continuo avanzare delle selve e si ampliano
gli spazi dedicati ali' agricoltura.
~ D Mo
conda
agrico
inseg
tecnic
siste
campi
sono
che a
nicam
La nascita dell'Inquisizione
medievale
Nel 1229, durante il concilio di Tolosa, in Francia,
fu usata per la prima volta la parola Inquisizione.
Il termine deriva dal latino inquirere, che
significa "indagare", e infatti l'Inquisizione fu
uno speciale tribunale ecclesiastico inçaricato di
reprimere l'eresia.
I fedeli che venivano a conoscenza di un qualunque
comportamento religioso non conforme alla
dottrina o alla morale cristiana, di stregonerie, di
sacrilegi, di convegni religiosi segreti o non autorizzati,
e quant'altro, avevano non solo la facoltà
mal' obbligo di denunciarlo, pena l'essere considerati
corresponsabili. Ed è facile immaginare a quali
arbitrii e abusi potesse dar luogo questa facoltà.
I presunti eretici erano sottoposti a un'indagine
durante la quale era ammessa la tortura come
mezzo di persuasione a confessare [ E:Bl
Gli sviluppi successivi
Già con Innocenzo III (1198-1216) si passò da un
sistema giuridico che istruiva processi basandosi
su precise accuse a un sistema che consentiva al-
1' autorità ecclesiastica di procedere d'ufficio incarcerando
chiunque risultasse anche vagamente
sospettato.
Questa procedura, ovviamente, permise una repressione
veloce ed efficace di qualsiasi movimento
eretico o, comunque, eterodosso, ma provocò
anche la morte o la rovina di un numero altissimo
di innocenti.
Gregorio IX ( 1227 -41) nel 1231 attribuì poteri
quasi illimitati a un prete, Conrad di Marbourg, il 1
quale divenne tristemente famoso per la sua violenza.
Nel 1233 Gregorio IX rese ufficiale l'istituto
della Sacra Inquisizione, i cui compiti furono
affidati ai domenicani.
Un altro inquisitore famoso per la sua crudeltà fu
Robert le Petit, soprannominato le Bougre, il losco.
La sua carriera culminò con il famoso eccidio
del monte Saint-Aimé, dove il 13 maggio 1239 furono
bruciate sul rogo 183 persone.
Un altro sviluppo giuridico importante si ebbe
nel 1252, quando Innocenzo IV, con la bolla Ad
extirpanda, affermò che la tortura «serve a portare
alla luce la verità».
Le procedure del tribunale
dell'Inquisizione
Vediamo ora alcune delle procedure adottate dal
sistema dell'Inquisizione.
Se l'eretico si denunciava spontaneamente rice-
_veva, di solito, pene lievi: l'autodenuncia doveva
avvenire entro un periodo preciso (in genere, non
B isogna considerare che nel
Medioevo la giustizia, anche
quella civile, si basava
di non giungere mai a versare il
sangue o a mutilare.
legare il presunto reo a un cavalletto
con canapi che si avvolgevano
intorno al corpo e alle estremità;
accorciando la lunghezza delle
corde il carnefice le faceva penetrare
nel corpo del torturato);
sul terrore che doveva incutere la
pena. Quindi, l'uso della tortura
costituiva una prassi diffusissima,
per nulla scandalosa o immorale
agli occhi della gente del tempo, e
altrettanto normali apparivano le
atroci sofferenze o la morte inflitte
in pubblico ai condannati. I metodi
dell'ln_quisizione, dunque, erano
tutt'altro che fuori del comune e
l'Inquisizione stessa era considerata
lo strumento legittimo con cui
la Chiesa difendeva se stessa e
l'ortodossia religiosa, elemento irrinunciabile
dell'ordine civile. I tribunali
dell'Inquisizione, però, prescrivevano,
almeno formalmente,
Alcune categorie di persone erano,
comunque, esentate dalla tortura:
in particolare, i nobili, i militari e gli
ecclesiastici. In questi casi la loro
parola d'onore doveva essere creduta
senza esitazioni. Altri esentati
erano i bambini, i vecchi, le donne
incinte e le puerpere. Chiunque
poteva chiedere una visita medica
e, se il medico era d'accordo, la
tortura non veniva applicata.
I più comuni sistemi di tortura erano:
- i tratti di corda (l'inquisito, con le
mani legate dietro la schiena, veniva
sollevato più volte in aria
con un sistema di carrucole e poi
fatto cadere);
- il cavalletto (che consisteva nel
- il fuoco (si ungevano i piedi dell'imputato
per poi avvicinarli a
una fonte di calore);
- le cannette (si stringevano con
appositi strumenti le dita giunte
del tormentato);
- la veglia (si impediva al torturato,
legato a un sedile, di dormire
per un periodo che poteva arrivare
a quasi due giorni);
- la toca (era un procedimento più
complicato: la vittima veniva immobilizzata
su un telaio inclinato,
costretta a spalancare la boe-
oltre un mese dall'arresto), detto "periodo di grazia".
Quando l'imputato aveva lasciato passare
questo termine, proclamando la sua innocenza,
veniva messo a confronto con testimoni e poi affidato
alle autorità civili.
La detenzione durava per un tempo indeterminato,
che dipendeva dal comportamento del presunto
reo.
Per ottenere una confessione o un'abiura poteva
essere applicata la tortura, uno strumento processuale
che veniva regolarmente usato anche nei
processi diversi da quelli dell'Inquisizione.
Il processo terminava con il rito dell' autodafè (" atto
di fede"), una cerimonia solenne con messa, predica
e lettura delle sentenze. Questo rito doveva dimostrare
la potenza, ma anche la misericordia, dell'Inquisizione,
che si sforzava di riportare le anime
smarrite sulla strada della verità.
Le sentenze erano di vario tipo: con l'abiura, cioè
la rinuncia esplicita ai comportamenti tenuti prima
dell'arresto, si aveva, di solito, l'assoluzione,
oppure poteva essere comminata una pena deten-
, tiva o di morte. Nel1 caso della pena di morte, il
condannato veniva bruciato vivo o impiccato. Il
rogo veniva imposto anche a condannati già morti
e in questo caso si faceva bruciare il cadavere.
Era ammesso anche l'appello al papa e, in qualche
raro caso, il pontefice corresse la sentenza dei
giudici e, addirittura, destituì quelli più severi.
Nei casi più lievi la sentenza prevedeva un pellegrinaggio,
riscattabile con il versamentq di elemosine.
1\1 In questo affresco di Andrea di Bonaiuto (XIV secolo) san
Domenico cerca di persuadere gli eretici e di riportarli sulla
strada della corretta dottrina cristiana.
ca nella quale veniva introdotto
un panno che costringeva il torturato
a inghiottire tutta l'acqua
che veniva versata lentamente.
Nel 1260 una bolla di Alessandro IV
stabilì i rapporti tra eresia e stregoneria
e definì tutte le categorie dei
sortilegi. Ecco alcuni capi d'accusa:
- rinnegano Dio, lo bestemmiano
e adorano il diavolo;
- consacrano a Satana i loro bambini
nel ventre materno e spesso
glieli sacrificano;
- promettono a Satana di attirare
al suo servizio tutti coloro che
potranno;
- giurano nel nome del demonio e
se ne vantano;
- non rispettano alcuna legge;
- uccidono le persone, le fanno
bollire e le mangiano; si nutrono
anche della carne degli impiccati;
- fanno morire la gente con veleni
e sortilegi;
- fanno morire il bestiame;
- fanno perire i frutti e causare la
sterilità.
Il sospetto o la sospetta venivano
preventivamente visitati da un medico
che aveva il compito di accertare
se esistevano i sintomi di possessione
del demonio.
Alcuni di questi sintomi erano:
- il paziente non può dire in quale
parte del corpo sente il dolore,
anche se è molto malato;
- emette sospiri tristi e pietosi
senza alcuna causa legittima;
- perde l'appetito e vomita la carne
mangiata; se ha lo stomaco
contratto e chiuso o se gli sembra
di averci dentro qualcosa di
pesante;
- sente calori pungenti e altri spasimi
acuti nella regione del cuore,
tanto che gli sembra che qualcosa
lo roda e lo smembri a pezzi;
- suda leggermente, anche durante
la notte, quando il tempo e l'aria
sono molto freddi;
- si sente ebete e dice sciocchezze,
oppure sia preso da malinconia.
Se guarda storto. Se gli sembra
di vedere qualche fantasma.
Sulla base della diagnosi, si procedeva
al processo oppure si liberava
l'arrestato.
Le nuove comunità urbane che si svilupparono nel corso del Basso Medioevo ebbero
inizialmente una popolazione modesta, spesso non più di qualche migliaio di abitanti. Ma
presto, molte persone si riversarono in città dalla campagna: soprattutto servi della gleba
sfuggiti alla schiavitù, ma anche signori e guerrieri. !.:inurbamento di persone appartenenti a
classi sociali diverse mise in circolazione nuove idee, progetti e attività, stimolò una maggiore
mobilità sociale e favori' l'intraprendenza economica. Le città divennero cosi' centri
di propulsione dei commerci, degli scambi mercantili e delle attività artigiane.
Le cinte murarie che proteggevano i centri urbani andarono via via allargando il loro
perimetro, mentre all'interno ogni spazio libero veniva occupato da abitazioni~ addossate l'una
al!' altra. Ma sorsero anche palazzi e spesso, soprattutto in Italia, abitazioni private a forma
di torre, che svettavano sulla città come simboli del!' orgoglio di un casato illustre,
o che si era conquistato la ricchezza con le sue attività economiche.
Lo sviluppo delle città, avviato durante il Medioevo, non si è più arrestato; con la Rivoluzione
industriale il numero degli abitanti delle città ha superato quello delle campagne.
Oggi è molto dii/uso il fenomeno delle megalopoli~ ovvero intere regioni urbanizzate formate
dalla connessione di più aree metropolitane caratterizzate da intensi legami territoriali e
funzionali. Secondo studi recenti, nei prossimi decenni più dell'80% della popolazione vivrà in
aree densamente urbanizzate.
L'assetto politico europeo
Nei primi decenni dell'XI secolo l'Europa non
aveva ancora raggiunto un assetto politico stabile.
É\ ra caratterizzata, infatti, dal frazionamento politico
e territoriale provocato dal sistema feudale e
/ i grandi Stati nazionali, che sarebbero stati i pro-
\\'~agonisti della storia dell'Europa moderna, erano \m corso di formazione o non esistevano affatto. I
re di Francia dovevano ancora combattere una
lunga lotta contro i poteri feudali prima di riuscire
a imporre la propria autorità.
Nelle isole britanniche era appena iniziato il processo
di unificazione fra il Regno di Inghilterra e
quello di Scozia.
La penisola iberica era divisa fra la parte sottomessa
agli Arabi e alcuni piccoli regni cristiani nel
Nord che, fin dall'XI secolo, avviarono una serie
di guerre di liberazione: la cosiddetta Reconquista.
r\L'ltalia risultava frazionata, in parte legata alla
Germania e all'Impero, in parte controllata dallo
LStato della Chiesa, in parte, nell'Italia meridionale,
sottoposta al dominio dei Normanni.
Nell'Impero degli Ottoni la presenza di gerarchie
ecclesiastiche, con ampi compiti di governo e di
giurisdizione, aveva acceso un conflitto che aveva
generàto la cosiddetta lotta per le investiture.
Le linee diretti
dell'es ansione e opea
Parallelamente a processi di risveglio economico,
sociale e culturale, nonostante le frammentazioni
e le lotte intestine, l'Europa cristiana manifestò
P er ricostruire questo periodo
le fonti sono numerose e
di diversa natura. Per l'aspetto
letterario spiccano fra tutti
alcuni scrittori che con le loro opere
hanno segnato un'epoca e hanno
poi fornito temi che sono stati
sviluppati anche dalle letterature
successive, fino ai nostri giorni.
Verso l'XI e il Xl I secolo le leggende
celtiche confluiscono nella corrente
della cultura francese ed europea
e cominciano a perdere la
loro più evidente connotazione mitica
e pagana per trasformarsi in
romanzi di cavalleria. Così, per
esempio, le antiche leggende sul
re Artù diventano fatti storici, reali;
gli autori, infatti, trasformano
l'ambientazione storica, sociale e
psicologica delle loro opere e l'aggiornano
alla vita e ai gusti del
proprio pubblico medievale. Il
principale artefice di questa trasformazione
fu Goffredo di Monmouth
con la sua Historia Regum
Britanniae, apparsa in Inghilterra
nel 1135 con l'intento di fornire un
resoconto scritto della storia della
Britannia dai tempi antichi alla
conquista sassone. Goffredo si
pres~nta quindi come uno storico,
e il suo Artù, che per la prima voi-
luoghi
La prima crociata, guidata da
Roberto di Normandia, Goffredo
di Buglione, Baldovino di
Fiandra, Raimondo di Tolosa,
Boemondo di Taranto, espugna
Gerusalemme il 15 luglio
1099. Vengono poi creati
quattro fragili domini cristiani:
la Contea di Edessa, il Regno di
Gerusalemme, il Principato di
Antiochia, la Contea di Tripoli.
La seconda crociata, guidata
dall'imperatore Corrado lii e
dal re di Francia Luigi VII viene
sconfitta dai musulmani perché,
a causa delle rivalità politiche
fra i due sovrani, i due
eserciti cristiani affrontano separatamente
i musulmani. La
terza crociata, guidata dall'imAila
peratore Federico Barbarossa e
alla quale partecipano il re
d'Inghilterra Riccardo Cuor di
Leone e il re di Francia Filippo Il
Augusto, si propone invano di
liberare Gerusalemme che era
stata riconquistata dai musulmani
di Saladino. Con la quarta
crociata i principi cristiani
conquistano Costantinopoli e
BA SSO ME DI OEVO
1150
1202
Viene bandita la
quarta crociata, che
conquista Bisanzio
1202
In Italia viene
introdotto l'uso
delle cifre arabe
1212
Gli Arabi vengono
sconfitti
nella battaglia di
Las Navas de Tolosa
1217
Una grave
carestia
colpisce
l'Europa
1228
Francesco
d'Assisi viene
dichiarato
~ 89 --
In Inghilterra sale
I al trono Riccardo
Cuor di Leone
1270
Parte l'ottava
crociata,
al comando
di Luigi IX
La Reconquista della Spagna
La Spagna era stata invasa dagli Arabi nell'VIII
secolo, ma la zona settentrionale era sempre rimasta
nelle mani dei cristiani. In questa regione
della penisola iberica si erano formati con il tempo
i piccoli Regni delle Asturie, di Le6n, di Aragona
e di Castiglia, che via via si erano ingranditi
a spese degli Arabi. Il tentativo di riconquista, la
Reconquista della Spagna, aveva avuto inizio subito
dopo l'occupazione araba e, per secoli, si erano
verificate incursioni al Sud con ruberie e scarestarono
a lungo, fermi
nelle loro posizioni e tagliati
fuori dal mondo carolingio
dalla barriera
frapposta ai passi occidentali
dei Pirenei dalle
tribù basche - quelle stesse
che, alla fine dell'VIII
secolo, avevano sconfitto
l'esercito franco a Roncisvalle.
Il lento addomesticamento
delle tribù selvagge,
che furono civilizzate
e cristianizzate a un
tempo, stabilì dei collegamenti
fra la Gallia, da una
parte, e il Le6n, le Asturie
e i monti della Navarra e
dell'Aragona dall'altra.
Ne fu simbolo l'inizio e il
rapido successo dei pellegrinaggi
a San Giacomo
di Compostella nell'uhimo
terzo del X secolo.
Lungo le strade che conducevano
all'estremità
della Galizia giunsero
sempre più numerosi prelati,
signori dei principati
aquitani con il loro seguito
di ecclesiastici e guerrieri,
e gente del popolo.
Il passaggio delle comitive
di pellegrini, la maggior
parte dei quali si erano
procurati del denaro
ipotecando la propria terra
o prelevando una parte
del proprio tesoro per
consacrarla a Dio, agì da
stimolo per i numerosi
luoghi di sosta di questi
pii itinerari. Fra coloro
che viaggiavano verso
Compostella, i membri
dell'aristocrazia laica, la
ramucce; la situazione, tuttavia, non si era modificata
molto [ LETTURA].
La grande svolta si ebbe quando giunsero in Spagna
numerosi monaci dell'ordine cluniacense che
con la loro infiammata predicazione trasformarono
la Reconquista · in una gue, di,-religiQ.ne, in
una guerra santa. Nel 1063 poi papa Alessandro
II concesse l'indulgenza plenaria a tutti coloro
che avessero partecipato alla guerra contro gli infedeli.
Le tappe fondamentali della Reconquista
furono le seguenti. Nel 1085 il re Alfonso VI di
Castiglia entrò trionfalmente in Toledo, al centro
della Spagna, e successivamente occupò la regione
tra i fiumi Duero e Tago. Nel 1118 cadde Saragozza,
che divenne la capitale del Regno di Aragona.
Nel 1139 la sconfitta degli Arabi a Ourique
portò alla nascita del Portogallo. Il--12.ll è la data
decisiva: la coalizione dei re di Castiglia, di Aragona
e di Navarra contro il califfo di C6rdoba
portò alla vittoria nella battaglia di Las Navas de
Tolosa. Successivamente verranno conquistate
anche le Baleari e gli Arabi si ridurranno al Regno
di Granada.
Il ripopolamento della Spagna
La Reconquista della ' Spagna si accompagnò a un
sistematico ripopolamepJo dei suoi territori. I --·-
una nuova capacità espansiva sul piano politico e
militare. Verso la fine dell'XI secolo, infatti, si invertì
completamente il movimento di invasioni
che, fino ad allora, aveva caratterizzato lo scenario
europeo. Furono gli occidentali a muovere
verso sud e verso est.
L'espansione avvenne principalmente a spese del
mondo islamico: i musulmani furono cacciati dalla
Spagna (sebbene non del tutto) e dalla Sicilia, e la
liberazione della Terra Santa divenne l'obiettivo di
imponenti spedizioni oltremare: le crociate.
Anche l'Europa orientale fu interessata da un moto
espansivo: nell'XI e XII secolo, grandi masse di
popolazioni germaniche, stanziate lungo il fiume
Elba, si spinsero verso est, alla ricerca di nuove terre
nelle grandi pianure orientali del continente.
Era dai tempi dell'Impero romano che ciò non accadeva.
Carlo Magno e poi gli Ottoni avevano cercato
di ricomporre l'estrema frammentazione politica
d.el continente, ma rispetto alle invasioni che
minacciavano l'Europa (Arabi, Normanni, Ungari)
l'atteggiamento era stato difensivo: si trattava di
bloccare l'avanzata di questi popoli.
L'Europa, insomma, non aveva avuto forze sufficienti
per gestire le lotte di potere al suo interno
e allo stesso tempo proiettarsi all'esterno. A partire,
invece, dall'XI e XII secolo, prese forma una
tendenza all'espansione che avrebbe portato gli
europei a diventare dominatori di gran parte del
mondo.
La ricerca di nuovi merca ·
La rinascita economica spingeva gli europei alla
conquista di nuove rotte marittime e di nuovi mercati.
L'Impero bizantino, al contrario, aveva imboccato
la strada di una lenta ma inarrestabile decadenza;
quindi non fu alleato dell'Occidente nella
lotta antimusulmana (se non per il solo Medio
Oriente e per un breve periodo), anzi ne subì l'aggressività
politica ed economica.
In Spagna, e ancor più in Terra Santa, lo scontro
con i musulmani assunse inevitabilmente i toni di
una guerra di religione, di una lotta contro l'"infedele",
che si mescolava con le vere ragioni, quelle
di conquista economica e politica che, con pochissime
eccezioni, spinsero i re e i principi europei all'impegno
militare.
ta appare dalla nascita alla morte,
perde molti dei tratti sovrumani e
soprannaturali per assumere quel-
1 li del grande guerriero e re medievale,
una sorta di Carlo Magno britannico.
La Historia ebbe un'immediata popolarità
e certo fornì il canovaccio
su cui furono poi tessute opere
letterarie più sofisticate. Ricordiamo
Chrétien de Troyes, che scrisse
romanzi d'ambiente bretone e soprattutto
la storia, rimasta incompiuta,
di Parsifal (il cavaliere che
dedicò la sua vita, secondo la leggenda,
àlla ricerca del Sacro Graal,
il calice dove venne raccolto il sangue
di Gesù Cristo), Wolfram von
Eschenbach, che continuò il racconto
su Parsifal di Chrétien de
Troyes, e il grande ciclo di romanzi
e poemi dedicati ai cavalieri della
Tavola Rotonda. Da ricordare anche
Goffredo di Strasburgo, che
raccontò il drammatico amore di
Tristano e Isotta.
Per l'aspetto architettonico parlano
da sole le grandi cattedrali, sia
romaniche che gotiche, erette in
tutta Europa in questo periodo.
Le crociate, poi, sono state raccontate
da numerosi storici, sia cristiani
che arabi.
n ·aspetto non secondario della spinta europea
ali' espansione furono, nel XII e XIII secolo, le
prime scoperte geografiche e i grandi viaggi in
paesi sempre più lontani, intrapresi sia da missionari,
per diffondere il Cristianesimo, sia da uomini
mossi dal desiderio di avventura e da interessi
economici. All'inizio del Trecento furono scoperte
le isole Canarie, che inaugurarono la grande
stagione di esplorazione atlantica da parte di Portoghesi
e Spagnoli. Del resto, i mercanti cristiani
avevano già cominciato a muoversi lungo i litorali
dell'Africa settentrionale, penetrando anche nel
deserto del Sahara. Un interesse e un fascino particolare
suscitava la Cina, pressoché sconosciuta
agli europei. Si sapeva che era un paese enorme,
dominato dalla mitica figura del Gran Khan, un
paese che si supponeva ricco e raffinato, come testimoniavano
i preziosi manufatti (porcellane, sete)
che da lì giungevano in Europa.
La famiglia Polo in Cina #/
Fra il 1261 e il 1269 i fratelli veneziani Matteo e
Niccolò Polo riuscirono a raggiungere la Cina,
percorrendo le antichissime vie carovaniere della
seta e delle spezie, e vi si fermarono a lungo. Nel
1271 ripresero la via dell'Oriente e dopo tre anni
raggiunsero di nuovo la Cina, questa volta assieme
al giovane figlio di Niccolò, Marco. Questi servì
onorevolmente il Gran Khan per parecchi anni,
svolgendo funzioni di ambasciatore e di funzionario
statale e rivestendo per tre anni l'incarico di
governatore della città di Yangchow [ DOC. P. 247].
Nel 1295 tornò a Venezia, ma nel 1298 Marco
cadde prigioniero dei genovesi, tradizionali nemici
della città lagunare, e in carcere dettò una sorta
di brogliaccio di viaggio a un compagno di prigionia,
che lo trascrisse nel francese del tempo. Quest'opera,
Il Milione ( che era il soprannome della
famiglia Polo, derivato da un loro antenato), ebbe
una grande importanza per la conoscenza del lontano
Oriente e contribuì a segnare l'inizio di una
nuova epoca: quella in cui l'uomo europeo, spogliatosi
delle paure dell'Alto Medioevo, si affacciava
al mondo esterno con sguardo curioso e indagatore,
con il piglio del conquistatore sicuro
dei propri mezzi.
Il Marco Polo tratta l'acquisto di perle e di turchesi con Kubilay
Khan nella valle del Yalong.
musulmani, chiamati moriscos, vennero relegati iJ
ghetti, assieme agli ebrei, e dovettero pagare ~ /
partic_o~are tributo. In_g~nerale pr~valse uno_ sp}'
rito d1 mtolleranza e d1 v10lenza umta a fanatismo
I
e i cavalieri che avevano partecipato alla Reconquista
portarono in Spagna le strutture del mondo
feudale, provocando un deciso arretramento
della cultura e della civiltà di quei luoghi.
Anche i commerci e le attività produttive stimolati
costantemente dagli Arabi vennero meno e la
cui vocazione era di combattere,
e i loro fratelli
chierici, che non avevano
affatto dimenticato come
si brandiva una spada,
misero anche il sostegno
della loro potenza militare
a disposizione dei capi
locali. Da decenni costoro
combattevano contro
gli infedeli, e le fasi alterne
di successi e rovesci li
conducevano talvolta, al
di là della terra di nessuno
che costituiva la frontiera,
in quelle regioni
prospere e piene di cose
da rubare su cui si esercitava
l'egemonia dell'Islam.
Assistiti dai guerrieri
giunti dall'altra parte
dei Pirenei, essi poterono
spingere fulminee incursioni
nel territorio nemico,
ritornando carichi di
bottino. Ben presto riuscirono
a imporre dei tributi
ai principi musulmani,
che il declino del califfato
di C6rdoba aveva reso indipendenti,
ma isolati l'uno
dall'altro.
Queste entrate regolari in
moneta d'oro arricchirono
nell'XI secolo tutti i
sovrani cristiani di Spagna.
Gli echi di questa
guerra sempre più fortunata
risonarono poi per
lungo tempo nelle leggende
epiche dell'Occidente
e mantennero m vita
un'affascinata nostalgia
per quelle meravigliose
spedizioni di saccheggio.
Esse incanalarono verso i
cns1 economica conseguente fu particolarmente
grave. Dopo un periodo di lotte intestine, la situazione
politica della penisola iberica si stabilizzò
in questo modo:
- a ovest si affermò il Regno del Portogallo;
- al centro il Regno di Castiglia assorbì il Le6n;
- a est il Regno di Aragona inglobò la Catalogna,
dove sorgeva l'importante città di Barcellona, e
il catalano divenne la lingua del regno;
- il Regno di Navarra venne assimilato dalla Francia.
piccoli Stati di montagna
dei prigionieri, come gli
schiavi musulmani che
"abbaiavano come cani"
ed erano scherniti dalle
popolazioni del Limosino
quando dei cavalieri pellegrini
portarono simili
curiosità al di là dei Pirenei,
e i raffinati oggetti
dell'artigianato mozarabico,
di cui si conservano
tuttora alcuni esemplari
nei tesori delle chiese
francesi. Per la Cristianità,
questa guerra fu una
fonte di metalli preziosi
forse più abbondante delle
miniere sassoni. Essa
procurò argento, come
quello che una banda di
guerrieri vittoriosi raccolse
sui cadaveri di un campo
di battaglia e offrì all'abbazia
di Cluny: se ne
servì l'abate Odilone per
decorare, nella prima metà
dell'XI secolo, gli altari
del santuario. Essa procurò
oro, anche, e in tale abbondanza
che cinquant'anni
più tardi il re di Castiglia
poté istituire in favore
della comunità cluniacense
un'enorme rendita
annuale, stimata in
moneta musulmana, che
fu impiegata dall'abate
Ugo per ricostruire, in
grande stile, la chiesa abbaziale.
da G. Duby, Le origini
del!' ec;onomia europea, La terza,
Roma-Bari 1975
Normanni che si insediarono al Centro e al Nord
dell'isola.
Qualche anno dopo la morte di Alfredo il Grande,
il re di Danimarca Canuto il Grande (995 ca.-
1035) riuscì a formare un regno composto da Inghilterra,
Norvegia e Danimarca, che però ebbe
breve vita. La situazione si stabilizzò definitivamente
verso la metà dell'XI secolo, quando Guglielmo
di Normandia, re dei Danesi stanziati nella
Francia del Nord, con la vittoria a Hastings nel
1066, si impadronì dell'intera Inghilterra, oltre
che della corona inglese.
La situazione dell'Italia
meridionale
Gli Arabi avevano conquistato la Sicilia sottraendola
all'Impero bizantino nel IX secolo. Come in
Spagna, anche qui la dominazione araba aveva introdotto
nuove colture, in particolare gli agrumi e il
cotone, realizzato imponenti opere d'irrigazione e
innalzato splendidi monumenti, tanto che Palermo
era una delle città più importanti del Mediterraneo.
Nel resto dell'Italia meridionale, nell'XI secolo,
sopravvivevano vecchi ducati longobardi (in
Campania, Puglia e Calabria), possessi dell'Impero
di Bisanzio, alcuni domini papali, e si erano affermate
città libere come Amalfi.
In tale situazione di frazionamento politico e,
quindi, di intrinseca debolezza, all'inizio dell'XI
secolo, cominciarono a operare piccoli gruppi di
mercenari normanni, che si misero al servizio dei
potenti locali. Tra questi, la famiglia Hauteville
(Altavilla), che si inserì abilmente nel gioco delle
rivalità tra Arabi di Sicilia, Bizantini di Puglia e di
Calabria, principi longobardi, imperatori tedeschi
e papato, riuscendo a ottenere il possesso
della Contea di Melfi.
La cqnquista normanna
della Sicilia
A Melfi, nel 1059, fu stipulato un accordo tra il
papato e i Normanni: questi si impegnarono a
giurare fedeltà al papa, dichiarandosi suoi vassalli
e promettendo appoggio militare in caso di necessità,
mentre il pontefice conferì a uno dei loro
capi, Roberto il Guiscardo, che vuol dire "l'astuto",
il titolo di duca delle Puglie, della Calabria e
della Sicilia. Una volta legittimata la sua posizione,
Roberto conquistò Bari, potente città bizantina, e
subito dopo Salerno, un dominio longobardo.
Suo fratello, Ruggero d' Altavi~, intraprese la
conquista della Sicilia araba, che portò a termine
nel 1091. Ruggero divenne conte di Sicilia e suo
Marco Polo alla corte
del Gran Khan
Questo brano del Milione
descrive la grande stima
che Marco seppe
guadagnarsi alla corte del
Khan e come inviato nelle
,ì:1merose missioni ufficiali
àffidit;zg/i nelle province di
Shansi, Shensi e Szechwan,
lungo i confini del Tibet
e nella Birmania
sétterìtr0nale.
E siccome [Marco]
ben conosceva,
per averlo visto e
udito più volte, come il
Gran Khan, quando tornavano
i messaggeri da
lui inviati nelle varie parti
del mondo e gli espone-
/
vano"!' ambasciata per cui
erano stati spediti, se non
sapevano dirgli altro sui
paesi ov' erano stati, solesse
chiamarli stolti e ignoranti
e dire che assai più
lo interessavano le novelle
e i costumi e le usanze
di quei remoti paesi che
quello per cui li aveva
mandati, ciò ben sapendo,
quando andò in quella
ambasceria, Marco fu
attento a tutte le novità e
a tutte le cose inusitate
che incontrava, per poterle
ridire al Gran Khan
che molto le ebbe care,
moltissime e svariate cose
mirabili.
Tornato che fu dalla sua
ambasceria, Marco si presentò
dinanzi al Gran
Khan e gli riferì tutta la
faccenda così bene e così
saviamente che il Gran
Khan e tutti quelli che lo
udirono ne furono molto
meravigliati, e si dicevano
l'uno ali' altro: se questo
giovane camperà, non
può mancare di divenire
uomo di gran senno e di
gran valore.
Ma perché andar per le
lunghe? Fatto sì è che
messer Marco rimase ben
diciassette anni presso il
Gran Khan e in tutto quel
tempo non cessò di compiere
ambascerie. Poiché
vedendo con che abbondanza
gli arrecava novelle
di ogni paese e con che
perizia portava a compimento
tutti i negozi per
cui era inviato, subito il
Gran Khan a lui l'affidava.
E messer Marco eseguiva
egregiamente ogni
incarico e sapeva raccontare
molte novità e molte
cose inusitate. E tanto
piaceva al Gran Khan il
comportamento di messer
Marco che gli voleva molto
bene; e lo trattava con
tanto onore e lo teneva in
tanta intimità che gli altri
baroni ne erano molto dolenti.
Or dunque, se messer
Marco conobbe come
L'espansione dei Normanni /\ I !;Normanni in lnghilte
Nel IX e X secolo i Normanni furono pr~ g~ Dopo il crollo dell'Impero romano d'Occidente, si
sti prima di frequenti scorrerie e poi di vere con- i era verificata in Inghilterra una massiccia infiltraquiste
territoriali in Europa. In Normandia, agli zione di popolazioni germaniche, gli Angli e i Sasinizi
del X secolo, nacque un ducato vassallo del- soni, che avevano formato sette
la corona di Francia; e, proprio dalla Normandia regni, la cosiddetta eptarchia.
partì, come vedremo, la conquista normanna del- All'inizio del IX secolo l'eptarl'lnghilterra.
I Normanni svedesi, i Vareghi, navi- chia dovette coalizzarsi contro i
gancio lungo il corso dei grandi fiumi, penetraro- Danesi e i Norvegesi che in nuno
nelle pianure della Russia e costituirono i Prin- mero sempre più grande sbarcacipati
di Novgorod, Smolensk e Kiev. Da qui, vano sulle coste inglesi. Per consempre
seguendo il corso dei fiumi, entrarono in trastare i Normanni si formò una
contatto con l'Impero d'Oriente e con gli Arabi, coalizione dei regni dell'Inghilarrivando
anche a mettere Bisanzio sotto assedio terra meridionale sotto la guida
per ben cinque volte dall'843 al 1043. di Alfredo il Grande, il primo re
I Principati di Novgorod, di Smolensk e di Kiev inglese (871 -899). Alfredo diede
costituirono il primo nucleo del futuro Stato rus- all'Inghilterra le prime leggi, istiso
e diventarono centri di irradiazione della cul- tuì scuole e biblioteche e creò un
tura e dell'arte bizantina in tutte le comunità dei circolo di intellettuali che con le
Vareghi stanziati nelle pianure della Russia. Nel loro opere diedero inizio alla co-
989 iniziò la cristianizzazione del Principato di siddetta cultura anglosassone.
Kiev e i principi adottarono nomi slavi al posto di Pur essendo un eccellente comquelli
originari scandinavi. battente, non riuscì a fermare i
L'espansione politica era spesso anticipata da una
espansione economica, della quale era una logica
conseguenza. Città come Milano, Firenze, Venezia
che potevano disporre di una quantità straordinaria
di capitali, e in cui fiorivano le attività
commerciali e imprenditoriali, già da tempo controllavano
la vita economica delle piccole città e
delle campagne sulle quali poi, in seguito, esercitarono
anche un potere politico. A favorire questa
ricomposizione politica vi furono anche le numerose
conflittualità locali. Analogamente a
quanto accadeva nelle grandi città, anche nelle
città più piccole e nei borghi lo scontro tra partiti
assumeva caratteri assai violenti, tanto che i cittadini,
pur di ottenere la pace, accettavano di perdere
la loro autonomia comunale rimettendo i poteri
al potente signore di una grande città.
Mentre in molte aree dell'Europa la ricomposizione
territoriale attuata dalle monarchie tendeva
in genere ad avere dimensioni nazionali, in Italia
la ricomposizione politica diede vita a piccoli Stati
che ebbero al loro centro le città più importanti.
Alcuni Comuni più ricchi e potenti riuscirono
a estendere la loro egemonia su un territorio abbastanza
vasto da raggiungere nel XIV secolo le
dimensione di uno Stato regionale.
L'aristocrazia del denaro
Il commercio era, secondo i teologi, un'attività
disonesta, anche se con l' awento della nuova società
urbana si attenuarono i toni critici della
Chiesa, che dovette riconoscere l'utilità di questa
professione. I mercanti vendevano la merce a un
prezzo maggiore di quello a cui l'avevano comperata,
con un ampio margine di lucro.
Nel XIII secolo i mercanti più ricchi costituivano
l'élite dirigente delle città, ma l'aristocrazia trattava
ancora con disprezzo questo patriziato urbano,
non tanto in Italia, dove aristocrazia e plutocrazia
si erano già mescolate, quanto nel resto
d'Europa. Il commerciante cercò allora di emulare
il nobile, investendo i propri risparmi nell' acquisto
di proprietà fondiarie, unendosi in matti,
monio con donne di estrazione aristocratica ma
di modesta condizione economica, costruendo
palazzi in pietra di grande bellezza, addobbando~
si riccamente e facendosi innalzare magnifici mo~
numenti funebri.
Le comunità ebraiche videro accentuata la lor
condizione di isolamento dopo il Concilio Latr!
rano IV che, nel 1215, stabilì che gli ebrei dov'
vano risiedere in abitazioni separate da quelle dei
"gentili". Ma persecuzioni sistematiche e su vast
scala erano cominciate da tempo, probabilmente
con la prima crociata, quando nel 1096-97 gli ar,
mati e le masse che si dirigevano in Terra Santa s·
diedero alla caccia fanatica all'"infedele" lungo ·
loro cammino e fecero stragi di ebrei in Germani
meridionale e in Europa orientale. Le stragi, par
ticolarmente frequenti e feroci nel territorio rus
so, dove si chiamarono pogrom, si intensificaron
in tutta Europa ogni volta che la cristianità attra
versava momenti di crisi.
Spesso la motivazione religiosa non era che u
fragile schermo al sistematico saccheggio degl
averi degli ebrei che si erano arricchiti esercitan
do l'usura, pratica considerata infamante per
"gentili" e proibita ufficialmente dalla Chiesa ne
1179. La riscossione dei crediti presentava, peral
tro, molte incognite perché spesso, .dopo aver
prestato grosse somme a nobili o a sovrani, venivano
scacciati senza potersi rivalere sui loro debitori,
oppure disposizioni generali assolvevano i
cristiani dagli obblighi contratti con gli ebrei.
:• LA-SOCIETÀ E LE ISTITUZIONI
Guelfi e ghibellini in Italia
La storia dell'Italia dei Comuni è caratterizzata da
frequenti e violentissime lotte fra partiti. La principale
e più nota è quella tra guelfi e ghibellini.
I termini "guelfo" e "ghibellino" sorsero in Germania
al tempo delle contese per la successione
imperiale (vedi p. 284). Anche in Italia, nel periodo
in cui regnò l'imperatore Federico Barbarossa,
si determinò questa divisione: singoli signori, Comuni,
o fazioni interne ai Comuni furono ghibellini,
cioè filoimperiali, altri furono guelfi, cioè
filo papali.
el XIII secolo la distinzione tra guelfi e ghibel-
. i all'interno di ciascun Comune si sovrappose
l complesso intreccio di interessi e di ambizioni
ell' aristocrazia dominante, in particolare alle lote
tra le grandi famiglie per il controllo del goerno
cittadino. Spesso, la fazione che otteneva la
upremazia si alleava con i Comuni dello stesso
'partito", appoggiandosi vicendevolmente nella
oluzione di questioni territoriali contro i vicini,
olitamente del partito avverso e, in ultimo, riceendo
l'appoggio diretto o indiretto del papa opure
dell'imperatore.
n genere, comunque, sia i guelfi sia i ghibellini
clifendevano l' autonomi9 comunale.
noltre, costituivano schieramenti trasversali al-
'interno dei Comuni, cioè ognuno dei due comrendeva
nobili, borghesi e parti del popolò.
tanto, o non solo, di
schieramenti definiti da contrapposte concezioni
politiche e religiose, ma piuttosto di fazioni mosse
da concreti interessi, da parentele, dalle varie
clientele che gravitavano intorno alle famiglie più
importanti; erano infatti assai frequenti i cambiamenti
di fronte per cui una stessa famiglia passava
più volte dall'una all'altra parte, a seconda delle
circostanze e della convenienza. E spesso, di
conseguenza, il dominio di un partito comportava
l'espulsione dalla città degli esponenti dell'altro
( con l'esproprio dei loro beni), cioè fenomeni
di epurazione degli avversari politici.
La Signoria e la rkomposizion_e
politica in Italia ·
Abbiamo già accennato al fatto che l'espansione
delle città europee nel territorio circostante fu
lenta e limitata, mentre il Comune italiano cominciò
già in età èonsolare a imporre la sua egemonia
sul contado, privando i signori rurali dei loro diritti
di banno. L'influenza della città sulla campagna
si affermò per motivi politici, militari ed economici.
Assoggettando le terre che la circonda'vano,
la città acquistava prestigio, era in grado di difendersi
meglio da attacchi nemici, ma soprattutto
si' ;ssicurava una fonte di approvvigionamento
e, al tempo stesso, un mercato per i propri prodotti;
infine, poteva controllare le vie di traffico
terrestri e fluviali.
tJ. Scuole monastiche
.;. Scuole urbane
L'organizzazione delle comunità
universitarie
Come già il Comune e le corporazioni di mercanti
e artigiani si erano dati degli organi di autogoverno,
così fecero anche queste nuove associazioni
di insegnanti e di studenti.
In Italia, per esempio, gli allievi eleggevano un
rettore che governava la vita dell' universitas coadiuvato
da un consiglio. n· rettore aveva il compito
di de~idere i programmi di studio, il calendario
e la tipologia degli esami, e anche di stabilire
gli stipendi agli insegnanti e di infliggere punizioni
più o meno severe a coloro che violavano lo
statuto della comunità.
I Comuni, soprattutto italiani, fecero ripetuti tentativi
di estendere il proprio controllo alle corporazioni
universitarie, ma non riuscirono a scalzare
le prerogative e l'autonomia di queste associazioni,
sostenute da provvedimenti imperiali e papali.
Studenti e docenti, del resto, avevano anche
un'altra arma per mantenere la loro indipendenza:
minacciare il trasferimento in altra sede, cosa
che avrebbe causato alla città una notevole perdita
di prestigio e di guadagni.
Gli studi universitari
Per l'insegnamento di base, generalmente, il
corso di studi prevedeva sei anni (dai quattordici
ai venti circa), dedicati allo studio delle arti
liberali; in seguito lo studente iniziava i corsi
superiori, specializzandosi nel diritto canonico
o in quello civile o in medicina, per i quali erano
previsti altri sei anni, o in teologia, che aveva
durata maggiore.
Un allievo non frequentava quasi mai la stessa
università per tutto il corso degli studi. Infatti
seguiva il maestro nei suoi spostamenti, oppure
si recava presso un doc~pte famoso in un'altra
città, anche straniera, favorito dal fatto che il latino,
la lingua ufficiale degli studi, era utilizzato
ovunque.
ortanti
In breve tempo, alcuni centri universitari raggiunsero
una notevole rinomanza, specializzandosi
nello studio di una particolare materia.
Bologna - ritenuta l'università più antica, fondata
nel 1088 - fu un punto di riferimento per gli studi
• LA CULTURA
Dalle scuole monastiche
a quelle pubbliche
Fino all'XI secolo l'educazione veniva impartita
presso i monasteri e, in misura minore, presso le
sedi vescovili. Le scuole erano istituite prevalentemente
per la formazione del clero, mentre sporadico
era l'interesse dei laici per l'apprendimento.
Le sottoscrizioni di documenti da parte di laici
lasciano ipotizzare che l'alfabetizzazione fosse
un poco più estesa di quanto non si credesse in
passato; comunque coinvolgeva una ristretta minoranza
e l'uso della scrittura e del latino rimase
a lungo una prerogativa del · clero, dal momento
he ogni produzione letteraria o dottrinale era di
atrice ecclesiastica.
corso degli studi era articolato nelle sette arti lierali:
prevedeva in un primo tempo l'insegnaento
del trivio, vale a dire la grammatica, la diaettica
e la retorica, in seguito avveniva l'introduione
ali' aritmetica, alla geometria, alla musica e al-
' astronomia, il cosiddetto quadrivio (vedi p. 74).
Le nuove scuole comunali
ell'XI secolo il corso di studi di tipo speculativo
roposto nei monasteri non rispondeva più alla
ecessità di un'istruzione pratica, legata allo sviuppo
della nuova società urbana: i mercanti, per
volgere la loro attività, avevano infatti bisogno di
aper leggere e scrivere, di far di conto, di conocere
almeno a grandi linee le norme del diritto
che regolavano lo svolgimento dei traffici commerciali.
Fiorirono quindi scuole private fondate
da chierici che si misero al servizio delle famiglie
borghesi per istruire i loro figli nei rudimenti del-
1' aritmetica, del diritto e del latino.
In breve tempo, fu lo stesso Comune che fondò
nuove scuole e ne stipendiò gli insegnanti; esso
però esercitava anche un controllo sulle materie e
sugli strumenti di apprendimento, indicando i libri
da adottare e gli argomenti da trattare: erano
nate così le prime scuole pubbliche.
Le università
Punti di riferimento per l'istruzione superiore rimasero
le scuole cattedrali, che si moltiplicarono
con il nuovo millennio. Queste scuole erano strettamente
sorvegliate dall'autorità ecclesiastica,
perché il permesso d'insegnamento era concesso
dal vescovo; erano però male organizzate e non
riuscivano a garantire una continuità del livello
didattico, giacché i maestri celebri tendevano a
spostarsi da una scuola all'altra con il' loro seguito
di studenti.
Proprio gli studenti e i docenti di queste scuole,
·seguendo l'esempio delle strutture corporative
che si stavano affermando nelle città, nel XII secolo
si organizzarono in gilde o, appunto, universitates.
In Italia furono di solito gli allievi a prendere
l'iniziativa, mentre in Francia furono i maestri
che si unirono in corporazioni, con lo scopo
di vedere riconosciuta, nell'ambito della vita urbana,
una condizione di autonomia e di privilegio
che li distinguesse dal resto della popolazione.
to richiesti da allievi e maestri, dovevano essere
disponibili in quantità maggiore che in passato e,
per sveltire il processo di copiatura, il manoscritto
veniva smembrato in fascicoli e affidato a un
copista-studente che ne faceva più esemplari, venendo
pagato dal proprietario del manoscritto
per il suo lavoro.
La condizione dello
Ecco come Geoffrey
Chaucer - scrittore inglese
vissuto nella seconda metà
del XIV secolo e autore dei
Racconti di Canterbury
(vedi p. 360) - descrive con
piacevolezza e ironia la
povera condizione di uno
studente.
A nche v'era uno
studente di Oxford,
che a lungo
s'era affaticato con la logica;
il suo cavallo era magro
come il manico di un
rastrello, e v'imprometto
che grasso non era proprio
neppur lui; guardava
melanconico dall'occhio
incavato; liso era il suo
corto mantello del tutto,
perché ancora non s'era
procurato alcun benefizio,
né tanto era mondano
da trovare un impiego.
Quanto a lui, gli era molI
chierici va antes
Con il proliferare in Europa delle univers1ta, si
crea una figura particolare di studioso, il "chierico
vagante". Bisogna tener presente che una laurea in
una università prestigiosa richiedeva almeno quindici
anni di studio e spesso nella stessa università
to più caro d'avere in capo
al letto una ventina di
volumi intorno ad Aristotele
e alla sua dottrina, di
nero rilegati o di rosso,
che non ricche robe, liuto
o gaio salterello.
Ma quantunque filosofo
fosse, poco era l'oro nel
suo scrigno; nondimeno
quanto poteva procacciarsi
dagli amici, in libri
dispensava e in apprendere,
e gran diligenza faceva
a pregare per l'anima di
quanti gli davano di che
attendere alle scuole.
Ogni cura e attenzione ·
dava allo studio; mai una
parola sola pronunciava
più del necessario, e quella
diceva curando la forma
e il rispetto, breve e
pronto, d'alto intendimento;
il suo discorso mirava
alla virtù morale e
non gli era meno gradito
l'apprendere che non l'insegnare.
giuridici nel solco di Imerio, illustre maestro bolognese
di diritto.
Parigi (1170) era nota, invece, per le facoltà di arti
e soprattutto di teologia, che accolse grandi maestri
e grandi discepoli, come Alberto Magno e
Tommaso d'Aquino.
Salerno fu eretta a università solo nel 1231, ma era
il centro di una celebre scuola medica già dal X secolo
[ BI]; in questo campo, mantenne a lungo la
superiorità, sfruttando anche le conoscenze provenienti
dal mondo arabo.
Tra le altre università assumeranno grande rilievo
anche Oxford (1167, il più antico ateneo inglese e
tra i principali centri di speculazione teologica),
Padova (1222), la spagnola Salamanca (1242), la
francese Montpellier (1289), Pisa (1342) e la teesca
Heidelberg (1386).
La vita degli studenti
All'interno dell'università si organizzarono anche
delle associazioni di mutuo soccorso, i cui membri
si raccolsero secondo criteri di provenienza:
così a Parigi abbiamo le nationes (di Franchi, Normanni,
Piccardi e Inglesi), e a Bologna i citramontani
(Italiani) e gli ultramontani (gli stranieri).
Nella loro condizione di stranieri e, generalmente,
con scarsi mezzi economici [ DOC. P. 310], questi
studenti avevano bisogno di luoghi dove dormire:
si organizzarono così i primi collegi, spesso
legati a istituti religiosi e a ospedali, dove trovavano
un letto e un piccolo sussidio in cambio di
qualche servizio.
Una fonte di guadagno per gli studenti diventò la
riproduzione dei manoscritti. I libri, infatti, molA
Salerno, esisteva da secoli
una scuola di medicina,
non ancora assurta al randalla
pratica e si affidava sostanzialmente
al commento delle opere
di filosofi e scienziati antichi, in
particolar~ del greco' ArÌstoteÌe. I
suoi docenti conoscevano perfettamente
la medicina araba, ai tempi
la più evoluta del mondo, e fin
dal IX secolo affluivano a Salerno
malati di tutta Europa, attratti dalla
fama dei suoi medici e quindi
dalla speranza di una sicura guarigione.
al rango -di u
no, per diven
di studio d_i l
go di università; ma famosa per il
livello dei suoi studi. La sua caratteristica
fondamentale era là sperimentazione
diretta attraverso l'esame
dei cadaveri, in un'~poca in
cui lo studio rifuggiva tò'talmente
Tra l'XI e il Xli secolo la scuola si liberò
di tutti i docenti appartenenti
al clero e divenne totalmente laica,
iniziando una vasta produzione
scritta in cui venivano copiati larghi
tratti dell'opera di Galeno e di Ippocrate.
Più tardi, la scuola assunse
sue caratteristiche' originali, realizzando
una felice sintesi tra la cultura
medica bizantina, ebrea e araba.
L'opera più importante è senza
dubbio il Manuale di Chirurgia di
Ruggero Frugardo, ma quella più
famosa è il Fior sanitatis ("Fiore
della salute"), una raccolta di consigli
sull'alimentazione e sull'igiene,
dettati dall'esperienza quotidiana,
che sono ancora oggi citati.
Nel 1240 Federico Il fissò il curriculum
studi dei futuri medici di Salerno,
facendo assurgere la scuola
va concedere
senza il parer
salernitani e
dimostrare d1
giovani e pi
quella di Mo
quelle di Pad
queste scuoi
obbligatoria
ne di un corp
produzione s
alto. Cominci'
molte teorie
scientifica di
documentata.
La scuola sal
sopravvisse fi
inglobata nell
pèrdendo la s
ivina Commedia
Alighieri troviamo la
utta la cultura medie-
;li uomini di cultura
olamento, producenesclusivamente
agli
te affida all'intellet-
', cioè il dovere morara
e verità a chi non
naturale disposizione
ndere. A questo prognificative
le parole
sse nel canto XXVI
da un insaziabile ,,s :i.omnr~~ ~1r1}l:m~ hiiin
·:"fini:~ .'t~ l\111ir.it>l'.m.1W1-1 :i
tmmcol•11r-s•,-irormrmfolhandr
niwgnr.1!'1,1 tniti'\'\1101: 1tr \•mu~
•mo ur11m f1110m1101,11,l1m•v !
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Ulteriori contrasti con il papato
e con i Comuni italiani
Il conflitto con il papato riesplose violentissimo
quando Federico II cercò di costituire un forte
partito filoimperiale in Italia e mosse contro i Comuni
dell'area centro-settentrionale, con l'obiettivo
di riaffermare, anche qui, il proprio potere e di
assoggettare tutta la penisola ali' autorità degli Svevi.
Il papa rispose schierandosi dalla parte delle autonomie
comunali. Nel 1237, a Cortenuova, nei
pressi di Bergamo, con l'appoggio di Ezzelino da
Romano e di altri signori ghibellini, Federico II
sconfisse le forze dei Comuni riuniti nella nuova
Lega Lombarda. Tuttavia Milano, Brescia e Alessandria
continuarono a resistere, rinfocolando il
fronte antimperiale. Nel 1238, Federico conferì al
figlio naturale Enzo la corona di Sardegna, su cui
il papa vantava diritti: Gregorio I.X l ~ ING~ ILTERRA
'i...~ Londra
OCEANO
ATLANTICO
INGHILTERRA E FRANCIA DAL Xli AL XIV SECOLO
__J Eredità paterna e materna 1 1 Altri territori conquistati
di Enrico Il Plantageneto ---' tra il 1169 e il 1188
1 Dote della moglie
---' Eleonorad'Aquitania
1 Conquista del Regno
---' d'Inghilterra (1154)
_ Confini del Regno di Francia
nel Xli secolo
_I Domini reali diretti alla
morte di Luigi VII (1180)
1250
Muore
l'imperatore
Federico Il
1266 1282
Scoppia la guerra
dei Vespri e al
termine la Sicilia
passa agli Aragonesi
Mare
del
:--.."-."-."-.'t Conquiste di F
~ Augusto (1180
La situazione dell'Impero
e della Chiesa
Tra il XII e il XIII secolo il potere imperiale imboccò
la sua fase discendente. L'opera pur energica
dei due grandi imperatori della casa di Svevia,
Federico I e Federico II, non valse a risollevarne
le sorti.
Dopo la morte di Federico II, l'autorità imperiale
apparve anzi in piena decadenza, perché incapace
di svolgere in modo autorevole quel ruolo di
/ governo universale cui si era ideologicamente
sempre richiamata. Del resto, anche l'aspirazione
del papato a un universalismo assoluto, spirituale
e temporale insieme, aveva portato la Santa Sede
a lasciarsi coinvolgere in una lotta politica non
sempre vittoriosa e persino dannosa per il suo
prestigio spirituale.
Le conseguenze della fine
dell'universalismo
Mentre tramontava di fatto l'aspirazione a un unico
organismo politico esteso a tutta la cristianità,
le istituzioni politiche europee si trasformarono
lentamente in forme nuove e particolari, che variarono
a seconda dei luoghi.
In alcune regioni, come in Germania e in Italia
settentrionale, il desiderio di autonomia dei signori
e delle città diede vita a un panorama politico
unificato solo formalmente dalla debole istituzione
politica dell'Impero, ma in realtà frammentato
in piccoli principati e in numerose leghe
cittadine.
Altrove, l'aspirazione alla pace e alla sicurezza, o
l'esigenza di una migliore difesa da nemici esterni,
indussero al sacrificio delle autonomie e favorirono
la costituzione di ampie regioni politicamente
unitarie e soggette a un'unica superiore autorità,
quella del sovrano. Fu questo il caso della
Francia, della Spagna, dell'Inghilterra e dell'Italia
-meridionale, dove alcune famiglie nobili istituirono
monarchie che rivendicavano i propri diritti e
i propri poteri.
Spesso, tuttavia, le monarchie non erano ancora
in grado di opporsi con la forza ai grandi e medi
signori territoriali che contendevano loro il potere,
e perciò cercarono di sottomettere questi stessi
signori attraverso vincoli feudali, affermando in
tal modo la propria superiorità. Con fine analogo,
il re poteva concedere alle città alcune libertà e i
documenti che definivano tali autonomie riconoscevano
il diritto del monarca di elargirle. Infine,
la monarchia cercava di esercitare un potere efficace
e capillare mediante l'invio di funzionari fedeli
nelle aree soggette direttamente all'autorità
della corona.
Poiché il sovrano non esercitava un controllo diretto
su tutto il territorio, ma imponeva, comunque,
una superiorità formale sull'anarchica nobiltà
locale, soprattutto grazie all'istituto del feudo,
si parla appunto di monarchie feudali.
Il Regno degli Angioini
nell'Italia meridionale
Dopo la sconfitta di Manfredi nella battaglia di
Benevento (1266) nell'Italia meridionale la dinastia
sveva fu sostituita dalla dinastia francese degli
Angiò. Il papa Clemente IV, che rivendicava la
piena sovranità sul Regno di Sicilia, aveva infatti
concesso a Carlo d'Anjou (italianizzato in Angiò),
fratello del re di Francia e conte di Provenza, il titolo
di re di Sicilia ( 1263).
nobiltà siciliana per ottenerne l'appoggio durante
il conflitto. E anche la nobiltà catalana, insediata
nell'isola dopo la fine della guerra, benché ostile
alla nobiltà locale, era pronta a far fronte comune
con essa ogni volta che la monarchia rivendicava
la propria sovranità. Il potere reale, dunque, fu
per tutto il XIV secolo nelle mani delle grandi famiglie
feudali. Nel 1412 la Sicilia perse la sua autonoma
sovranità e divenne un viceregno del Regno
d'Aragona.
Nel 1435, dopo la morte di Giovanna II d'Angiò
legittima sovrana del Regno di Napoli, e dopo un
I periodi di crisi dinastica, si aprì una nuova fase di
guerra fra Angioini e Aragonesi. Il conflitto si
concluse nel 1442 con la vittoria degli Aragonesi
e con la riunificazione dell'Italia meridionale sotto
la sovranità di Alfonso, già re di Sicilia e di Aragona.
L'unificazione non garantì, comunque, una
maggiore solidità alla monarchia che continuò a
essere ostaggio del particolarismo feudale della
nobiltà meridionale.
I Regni cri'stiani
della penisola iberica
La Reconquista cristiana della penisola iberica fu
il frutto dell'iniziativa di numerosi signori locali,
non di un movimento coordinato da un singolo
principe; ciò impedì la coesione della popolazione
cristiana intorno a un sovrano.
Il territorio iberico era frammentato in una serie
di piccoli Regni, derivati dai due nuclei originari
della resistenza cristiana al dominio arabo: il Regno
basco di Le6n, da cui si staccò nel 113 9 il Regno
del Portogallo, e la Contea di Barcellona, di
origine carolingia. Da questa si sviluppò il Regno
di Navarra, quindi, agli inizi dell'XI secolo, sor-
' sero il Regno di Castiglia e quello di Aragona. La
ì Navarra si ridusse a un piccolo Stato a cavallo dei
I Pirenei; il Le6n passò per questioni dinastiche al
sovrano di Castiglia già nel 103 7, anche se i due
regni vennero formalmente unificati solo nel
1230.
Il Regno del Portogallo proseguì la lotta contro
gli Arabi e giunse rapidamente a confini vicini
agli attuali; iniziò anche un'intensa attività commerciale
e marinara, dedicandosi ai traffici con le
Fiandre e con l'Inghilterra.
Nel resto della penisola, Castiglia e Aragona
emersero nettamente come i due Regni di maggiore
estensione territoriale e importanza politica.
L'espansione dei Regni di Castiglia e di Aragona
Il Regno di Castiglia, costretto a espandersi anche
a causa del suolo arido e improduttivo, accelerò la
politica di conquista verso le opulente coste meridionali
della penisola, ancora in mano ai Mori.
Dalla Castiglia partì l'iniziativa della coalizione di
Regni cristiani che, con l'appoggio di Innocenzo
III, sconfissero gli Arabi a Las Navas de Tolosa
(1212). E fu ancora la Castiglia che, nel trentennio
successivo, scacciò gli Arabi dalla Murcia e
dall'Andalusia, impadronendosi di C6rdoba
(1236) e di Siviglia (1248).
L'organizzazione
dello Stato pontificio
Il rafforzamento dell'autorità papale si fondò,
inoltre, su una salda organizzazione giuridica.
L'immensa e disordinata produzione di leggi ecclesiastiche
venne razionalizzata e compendiata
da esperti di diritto canonico, impegnati anche
praticamente a sostegno della supremazia del papa
per risolvere i molteplici problemi che i suoi
interventi, in sfere sempre più ampie, ponevano
di continuo.
La curia romana, cioè la corte papale, trovò una
nuova e più organica sistemazione burocratica intorno
al collegio dei cardinali (il Sacro Collegio), i
cui membri venivano scelti dal papa. A loro spet~
tarano l'elezione del pontefice e importanti funzioni
di governo e di amministrazione della giusti- zia. Furono inoltre istituite una moderna cancelle
ria e una camera che dirigeva l' amministrazion
finanziaria, fondamentale per mantenere la com
plessa burocrazia che le nuove strutture esigevan
e per sostenere l'azione di rafforzamento territoriale
e le iniziative politiche del papato.
L'amministrazione finanziaria
dello Stato pontificio
L'amministrazione finanziaria fu riordinata e potenziata
soprattutto allo scopo di stabilire chiaramente
le entrate che spettavano alla Chiesa. Occorre
infatti considerare che, nel XII secolo, i redditi
del papato non erano ancora definiti e regolari.
Oltre alle entrate derivanti dal "patrimonio"
territoriale, c'erano oboli e censi versati da regni
dipendenti dal papato, anche per vincoli di vassallaggio,
oppure incassati a vario titolo da enti
ecclesiastici e da vescovi; infine, c'erano le donazioni
dei fedeli. Ora, invece, si stabilirono somme
precise per la nomina di vescovi e abati; la decima,
cioè la decima parte del raccolto di frumento
versata come tributo per le crociate, divenne tendenzialmente
un'imposta ordinaria, e nei secoli
seguenti la Chiesa ne fece un uso sempre più ampio;
gli atti della cancelleria furono redatti a pagamento.
I papi inviarono propri funzionari a
raccogliere le somme dovute o ne affidarono lariscossione,
nelle varie parti d'Europa, a banchieri
italiani, che strinsero con la Chiesa rapporti sempre
più stretti e proficui.
1/1 I soldati di Filippo Il, re di Francia (a sinistra), mettono in fuga
la cavalleria tedesca di Ottone IV di Brunswick (a destra,
con le insegne dell'aquila imperiale).
La battaglia
di Bouvines (1214)
Questa cronaca della
battaglia di Bouvines
(località delle Fiandre) è
opera di Guglielmo il
Bretone, uno dei cronisti
ufficiali di Filippo Il. Quel
giorno, il 27 /ug/io 1214,
contro l'esercito di Filippo
si schierò una coalizione
formata da truppe imperiali,
guidate dall'imperatore
Ottone IV di Brunswick, del
conte di Fiandra e di
parecchi feudatari francesi
ostili a Filippo. Giovanni
Senzaterra finanziava
questo schieramento,
ma si trovava altrove:
quasi contemporaneamente
veniva sconfitto dai
Francesi a La Roche-auxN
el primo battaglione
c'era frate
Guerrino, l' eletto
di Senlis [designato
dal re in quel vescovado],
tutto armato, non certo
per combattere, ma per
ammonire e per esortare i
baroni e gli altri cavalieri
a onorare Dio, il re e il
reame, e a difendere se
stessi. Mandò avanti centocinquanta
sergenti a cavallo
per dare inizio alla
battaglia. Ma i Fiamminghi
e i Germanici, che fremevano
dalla voglia di
combattere, grandemente
si sdegnarono di essere
sfidati da sergenti e non
da cavalieri. Perciò non si
degnarono di spostarsi,
ma li attesero e li accolsero
con acredine. [. .. ]
Gualtiero di Ghistelle e
Buridano, cavalieri di nobile
prodezza [al servizio
di Ottone], esortavano
quelli del loro scaglione
Inoltre, si fece promotore delle libertà dei Comuni
per indebolire il potere della grande nobiltà
feudale e ampliò notevolmente le terre del demanio
regio sposando Isabella di Fiandra, che gli
portò in dote l'Artois e il Vermandois.
Ma soprattutto Filippo affrontò con durezza i
potenti Plantageneti. Nel 1202 intentò contro il
re d'Inghilterra Giovanni Senzaterra, figlio minore
di Enrico II, un processo per fellonia che
si concluse con la confisca di tutti i suoi feudi
francesi, tranne l'Aquitania. Per rendere esecutiva
la sentenza, Filippo intraprese una guerra
contro gli Inglesi che si concluse con la conquista
della Normandia, dell'Angiò e della Bretagna.
La vittoria francese fu consolidata definitivamente
nel 1214 dalla battaglia di Bouvines
[ ooc.], che pose sotto il controllo della corona
tutti i territori a settentrione della Loira [ LETTURA
P. 348]. Questa battaglia segnò l'inizio dell'unificazione
politica della Francia e ne condizionò
in maniera determinante i futuri rapporti
con l'Inghilterra.
alla battaglia, rammentando
loro la prodezza
degli amici e degli avi.
Quando ebbero disarcionato
e abbattuto alcuni
dei predetti sergenti, li lasciarono
e si rivolsero al-
1' altra parte nemica per
combattere contro i cavalieri.
Si diressero contro
di loro alcuni appartenenti
al battaglione della
Champagne, e li attaccarono
con non minor valore
che in precedenza.
Spezzatesi le lance, sguainarono
le spade e si scambiarono
incredibili colpi.
[ .. .] In quel punto e in
quell'ora, così fervido e
aspro era il combattimento
dall'una e dall'altra
parte ( durava già da tre
ore), che Pallade, dea della
guerra, volteggiava nel-
1' aria al di sopra dei combattenti
come ancora
ignorasse a chi avrebbe
concesso la vittoria.
Alla fine scaricò tutto il
peso della battaglia su
Ferrando [il conte di
Fiandra] e sui suoi; Ferrando
fu steso a terra e
straziato da enormi ferite,
fu preso e legato, insieme
con molti dei suoi cavalieri.
Non appena Ferrando
fu preso, tutti i suoi partigiani,
che si battevano in
quel lato del campo, o
fuggirono, o rimasero uccisi,
o furono fatti prigionieri.
Mentre Ferrando veniva
così ridotto alla sconfitta,
ritornò l'orifiamma di
Saint-Denis [l'insegna del
re di Francia] seguita dalle
legioni dei Comuni
[ .. .]. Le legioni comunali
oltrepassarono tutti i battaglioni
dei cavalieri e si
misero davanti al re, proprio
di fronte a Ottone e
a quelli del suo battaglione.
Ma costoro, cavalieri
di grande ardimento, li
La persona di Filippo,
luogotenente delle potenze
celesti, e l'orifiamma [è
l'insegna dei Francesi],
sacro oggetto tenuto davanti
a lui per significare
la presenza al suo fianco
di san Dionigi, protettore
del regno, costituiscono
sullo scacchiere di Bouvines
il centro eccezionale
del campo dei bianchi [i
"bianchi" sono i Francesi,
rappresentanti del bene, i
"neri" sono i Tedeschi,
rappresentanti del male,
secondo la visione di Guglielmo
il Bretone]. Questo
campo è riunito saldamente
in un sol corpo da
una vasta rete di relazioni
ordinate gerarchicamente.
Più stretti intorno al re
di Francia, e come torri
della sua difesa, si trovano
gli uomini del suo lignaggio.
Non certo il figlio
primogenito, che in
quel momento conduce
in nome suo la guerra nel
sud, né il cadetto, troppo
giovane. Ma i due cugini
germani, l'uno poco più
anziano di lui, l'altro di
poco più giovane: Roberto,
conte di Dreux, Pietro
di Courtenay, conte d'Auxerre
[. .. ]. Anche un altro
capetingio è presente:
Eudes, duca dei Borgognoni,
signore di uno dei
cinque grandi principati
regionali [...]. Il gruppo
dei cavalieri riunito intorno
allo stendardo con i gigli,
e le cui cavalcature si
stringono ai fianchi del
cavallo regale, è formato
dai più vecchi camerati di
Filippo, amici di sempre,
che ridono e bevono con
lui, gente per la maggior
parte della sua età. Figurano
tra i combattenti
due prelati della Santa
Chiesa, armati come cavalieri.
Il primo, vescovo
di Beauvais, Filippo, frasedio
di Tunisi nel corso dell'ottava crociata (1270)
e fu canonizzato da Bonifacio VIII nel 1294.
La conquista normanna
de ll' Inghilterra
In Inghilterra, la forza e la precocità con cui l'istituto
monarchico venne consolidandosi furono in
buona parte dovute a una peculiare mescolanza
di istituzioni sassoni e normanne, che consentirono
al sovrano di esercitare il controllo sull'isola.
Sconfitti gli Anglosassoni ad Hastings (1066),
Guglielmo I il Conquistatore conservò alcuni elementi
del loro sistema di governo: per esempio, la
suddivisione del territorio in contee, che facevano
capo· a funzionari regi, gli sceriffi, l'insieme di
corti che amministravano la giustizia a livello locale,
diffuse su tutto il territorio e legate al potere
centrale, il sistema d'imposizione fiscale e l'obbligo,
per ogni villaggio, di fornire un certo numero
di uomini per l'arruolamento.
Al tempo stesso, Guglielmo introdusse in Inghiltello
del conte di Dreux,
per il quale l'impresa è
una irresistibile tentazione
di dar sfogo a vecchi
rancori [. .. ]. Il secondo,
frate Guerrino, "eletto"
di Senlis, è designato per
occupare questa sede episcopale,
pur non essendo
ancora consacrato. Tale
dignità ricompensa un
lungo servizio presso il re.
[. .. ]. Guglielmo il Bretone
nomina un solo sergente:
Pietro della Tournelle
(un fenomeno: non
sembra essere di sangue
nobile, e tuttavia è così
prode che sarebbe degno
di appartenere alla cavalleria),
e un solo fante che,
al contrario, ben rappresenta
la sua condizione: la
naturale bassezza d'animo
lo porta a sfregiare
vergognosamente con il
coltello il volto del conte
di Fiandra. Vediamo tuttavia
gli appiedati ordinarsi
in grandi masse, che
però in un certo senso
rappresentano delle persone:
i Comuni. Si tratta
di leghe che in qualche
borgata e in alcuni gruppi
di villaggi riuniscono gente
del popolo intorno a
determinati privilegi, il
cui prezzo però è costituito
da certi doveri; il re Filippo
ne ha create alcune
e ne ha confermate altre,
attendendo in cambio da
esse il servizio d'armi. Infatti
in caso di pericolo,
tutti gli uomini validi del
gruppo comunale sono
mobilitati. Per operazioni
militari più lontane gli
appartenenti ai Comuni
debbono fornire un numero
fisso di guerrieri, o
una somma di denari, per
assoldare chi li sostituisca.
da G. Duby, La domenica
di Bouvines (27 luglio 1214),
trad. G. Vivanti,
Einaudi, Torino 1977
terra l'istituto del vassallaggio, che già si era diffuso
in Normandia: dopo aver riservato alla corona
una larga parte dei territori conquistati, distribuì
il rimanente ai cavalieri normanni che lo
avevano seguito e li legò a sé con concessioni
n anno dopo le Costituzioni, il sovrano procla-
ò restrizioni in materia di diritti feudali con le
ssisi di Clarendon inimicandosi così la nobiltà
·nglese. Poco dopo, Enrico fu costretto ad abrogare
le più importanti disposizioni di Clarendon
ripristinando di fatto le immunità ecclesiastiche.
Durante gli ultimi anni di regno, Enrico dovette
fronteggiare una grande rivolta di feudatari sostenuti
da Luigi VII e guidati dai suoi stessi figli.
Riccardo I Cuor di Leone
e il conflitto con la Francia
La monarchia inglese si indebolì notevolmente
con i due figli di Enrico che, continuamente bisognosi
di copertura finanziaria per le loro imprese,
impoverirono il regno con l'imposizione di tasse
straordinarie.
Riccardo I, noto come Cuor di Leone (1189-99),
iniziò il proprio regno organizzando una crociata
in Terra Santa [ ooc.l; si distinse per il valore militare
e occupò Cipro, ma non riuscì a conquistare
Gerusalemme (dal 1187 di nuovo in mano ai
musulmani).
In patria, intanto, suo fratello minore Giovanni
La figura di Riccardo
Cuor di Leone
Lo storico arabo Abu
Shama ci descrive l'arrivo
in Terra Santa di Riccardo
Cuor di Leone, la cui figura
cavalleresca ha ispirato la
letteratura romantica
inglese nonostante il
palese fallimento della sua
politica di sovrano.
I 1 re d'Ing~terra era
uomo assa1 potente
fra loro, di gran coraggio
e alto animo. Aveva
combattuto grandi battaglie,
e aveva uno speciale
ardire in guerra. Inferiore
al re di Francia per regno
e per grado, gli era però
superiore per ricchezza, e
più famoso e prode in
battaglia. Si sa di lui che,
giunto all'isola di Cipro,
non volle procedere oltre
finché non fosse sua. L' assediò
quindi e combatté,
mentre il suo sovrano,
raccolta gran gente, gli
mosse contro e oppose
strenua resistenza. [. .. ]
Il sabato tredici giumada
primo [8 giugno 1191]
arrivò il re d'Inghilterra
[in Palestina] dopo aver
raggiunto un accordo col
signore di Cipro ed essersi
impadronito di quell'isola.
Il suo arrivo fece
un'enorme impressione:
Senzaterra tramava per sottrargli la corona. Riccardo,
di ritorno dalla crociata, sbarcò in Italia e,
travestito da templare, cercò di raggiungere il suo
alleato Enrico di Baviera; fu però riconosciuto e
consegnato prigioniero all'imperatore Enrico VI
(figlio del Barbarossa), che lo liberò nel 1194 dietro
pagamento di un cospicuo riscatto.
In Inghilterra, Riccardo si riconciliò con il fratello
Giovanni, quindi ripartì subito per il continente
impegnandosi nella guerra contro Filippo II
Augusto, per difendere i possedimenti dei Plantageneti
in territorio francese.
arrivò con venucmque
galere piene d'uomini, armi
e apparecchi, e i Franchi
dettero gran segni di
gioia, tanto da accendere
quella notte dei grandi
fuochi nelle loro tende.
Questi fuochi erano impressionanti,
di proporzioni
tali da dimostrare
l'immenso loro apparecchio.
I sovrani franchi ci
avevano già da tempo annunciato
il suo arrivo, e
quelli di essi che con salvacondotto
venivano a
contatto con noi dicevano
che quelli là stavano
aspettando il suo arrivo
per mettere in atto quanto
progettavano, di stringere
la città con nuovo vigore.
Quel re era infatti
uomo di consiglio ed
esperienza, audacia ed
energia; il suo arrivo fece
un effetto di paura e ti-
Enrico lii verso la monarchia
parlamentare
Il figlio di Giovanni Senzaterra, Enrico ID (1216-
72), riprese con esiti del tutto negativi la dispendiosa
guerra contro la Francia. In Inghilterra riconfermò,
quando non aveva che diciott'anni, la Magna
charta, ma in seguito la sua politica fu ben diversa.
Cercò di arginare le competenze della curia baronale,
aumentando i poteri di un consiglio privato
formato da membri di sua nomina. Questo tentativo,
accompagnato dalle continue richieste finan- ·
ziarie, provocò una nuova insurrezione dei baroni
guidati da Simone di Montfort ( conte di Evreux e
di Leicester), i quali godevano anche dell'appoggio
della piccola nobiltà e di importanti città.
Enrico III dovette impegnarsi a rispettare gli Statuti
di Oxford (1258), che prevedevano l'istituzione
di un nuovo consiglio di quindici baroni,
dotati di ampi poteri di controllo, del diritto di
veto e della possibilità di intervenire nelle nomine
dei consiglieri del re.
Tre anni più tardi il sovrano ritrattò questa concessione,
provocando una nuova ribellione armata,
durante la quale Simone di Montfort chiamò
per la prima volta a consiglio, a fianco della grande
nobiltà, due cavalieri per ogni contea e due
borghesi per ogni città.
,distruggere, per costruii
re e per piantare», ed
I inoltre per bocca di
Isaia: «Sciogli i legami
d~ ' empietà; sciogli i pesanti
gravami», noi ci rifiutiamo
di ignorare tanta
malvagia presunzione,
perché la Sede apostolica
ne uscirebbe disonorata,
i diritti regi dispersi,
la nazione inglese coperta
di vergogna, e l'intero
progetto di crociata
messo gravemente in pericolo.
E poiché questo
pericolo sarebbe imminente
se le concessioni,
estorte in tal maniera a
un grande principe che
ha preso la Croce, non
fossero cancellate dall'autorità
nostra anche se
egli stesso dovesse preferire
che esse siano mantenute.
In nome di Dio
onnipotente, Padre, Fi- ·
glio e Spirito Santo, e
per l'autorità dei suoi
beati apostoli Pietro e
Paolo e per autorità nostra,
agendo per consiglio
generale dei nostri
confratelli, noi fermamente
rigettiamo e condanniamo
-questo accordo,
e sotto minaccia di
scomunica ordiniamo
che il re non osi osservarlo
e che i baroni e i loro
complici non richiedano
che sia osservato, e
la Charta, con tutti gli
impegni e garanzie che la
Enrico riuscì a sconfiggere i ribelli nel 1265, ma il
principio della rappresentanza delle contee e delle
città si affermò.
Naturalmente l'alta nobiltà conservò per secoli la
supremazia nei consigli e negli organismi di rappresentanza
che avevano diritto di parlare con il
re e ne limitavano il potere. Tuttavia, il seme di
una concezione più moderna era stato gettato e
l'Inghilterra cominciò un'evoluzione in senso parlamentare.
confermino o che ne risultino,
noi dichiariamo
nulla e priva di ogni validità
per sempre.
Perciò a nessun uomo sia
lecito contravvenire a
questo nostro documento
di annullamento e
proibizione, o osare di
opporsi temerariamente
ad esso. Se alcuno presumerà
di tentarlo, sappia
che incorrerà nell'ira di
Dio onnipotente e dei
ogni esportazione di denaro e metalli preziosi,
privando di fatto il papato del consistente flusso
di imposte che proveniva dalla Francia. Bonifacio
dovette autorizzare Filippo a tassare il clero franese,
in cambio dello sblocco dei proventi pontiici
nel paese.
Il Giubileo del 1300
Nel 1300 il papa indisse per la prima volta un
Giubileo, concedendo l'indulgenza plenaria, cioè
la remissione dei peccati, a tutti coloro che si fossero
recati in pellegrinaggio a Roma. L'evento e be
una risonanza grandiosa e divenne una sorta di
celebrazione della potenza del papato: folle sterminate
di pellegrini giunsero a Roma e si prostrarono
ai piedi del pontefice, contribuendo ad avvalorare
le dottrine teocratiche che Bonifacio tornava
ad avanzare, sulla scorta di Gregorio VII e di
Innocenzo III.
Filippo il Bello, tuttavia, non si lasciò impressionare.
Nel 1301 fece arrestare un vescovo francese,
suscitando ovviamente l'ira di Bonifacio, che trasferì
il contrasto sul piano dei princìpi e ribadì la
subordinazione dell'autorità civile a quella religiosa
con le due bolle Ausculta fili ( 13 O 1) e U nam
Sanctam ( 13 02) [ DOC. P. 3 7 4].
Filippo il Bello e l'autonomia
dell'autorità regia
Filippo IV si appellò allora agli Stati generali di
Francia, convocando per la prima volta le rappresentanze
dei tre ordini della nazione, clero, nobiltà
e terzo stato, che proclamarono l'origine divina
dell'autorità regia e la sua autonomia rispetto
al potere pontificio. Non solo: il re francese indirizzò
accuse infamanti al papa (miscredenza, omicidio,
simonia) inviando un contingente guidato
da Guglielmo di Nogaret e da Sciarra Colonna
che catturò Bonifacio VIII ad Anagni. La tradizione,
sicuramente falsa, parla di uno schiaffo che
in questa occasione Sciarra Colonna avrebbe inferto
al papa. Comunque Bonifacio fu liberato da
una sommossa popolare e rientrò a Roma, dove
poco tempo dopo morì (1303 ).
Il periodo avignonese del papato
La scomparsa di Bonifacio VIII segnò la fine delle
aspirazioni teocratiche della Chiesa: alla pretesa
dei papi di governare tutto il mondo cristiano
si opponevano ormai non solo l'imperatore, debole
perché circondato da feudatari malfidi e
pronti a ribellarsi, ma soprattutto i sovrani delle
Il consolidamento
dello Stato pontificio
Il periodo avignonese segnò, per certi aspetti, un
rafforzamento politico della Santa Sede. Il papato,
anche per contrastare l'affermazione delle
nuove monarchie nazionali, proseguì nel processo
di accentramento e di controllo che trasformò
la curia del XIV secolo in un apparato fortemente
burocratizzato, con il quale governò in maniera
più diretta ed efficiente la Chiesa.
In questo periodo, i pontefici si riservarono di
nominare, oltre ai vescovi e agli arcivescovi, anche
i titolari dei benefici minori, tradizionalmente
scelti dalle autorità ecclesiastiche locali o, in alcuni
casi, dagli stessi laici; procedettero alla creazione
della Sacra Rota, un tribunale istituito per dirimere
le questioni ecclesiastiche; potenziarono la
Cancelleria e riorganizzarono la Camera apostolica,
una sorta di ministero delle finanze della Chiesa,
fondamentale per affrontare le crescenti necessità
economiche del papato ( dovute, non da
ultimo, alle ingenti spese di corte). A queste necessità
si sopperì con i proventi derivati dalle esazioni
dello Stato pontificio, con la concessione e
la conferma dei benefici e con nuove imposizioni
fiscali a carico dei membri del clero.
Le opposizioni in seno alla Chiesa
L'azione politica accentratrice dei pontefici francesi
sollevò opposizioni. Le chiese locali erano
gravate da nuovi oneri fiscali e private dei loro
tradizionali diritti. I sovrani e i principi non intendevano
tollerare le continue intromissioni papali,
che si traducevano nell'imposizione di nuove
tasse da parte della Santa Sede, nell'aumento
delle competenze dei tribunali ecclesiastici a danno
di quelli laici, nella nomina diretta dei membri
del clero locale da parte del pontefice.
Ma l'evoluzione del papato verso una forma di
governo monarchico e centralizzato, che subordinava
la funzione spirituale alla ricostruzione politica
e finanziaria della Chiesa, suscitò anche reazioni
sul piano schiettamente religioso. Si manifestarono
diffuse e vivaci esigenze di una religiosità
più autentica, profonda, che si ispirasse ai valori
originari del Vangelo. L'autorità papale non
tollerò forme di disobbedienza che potevano indebolirla
o limitarla e represse come eretica ogni
manifestazione di autonomia religiosa.
Lo scisma d'Occidente
Le critiche alla burocratizzazione, alle ingerenze
politiche e al rapace fiscalismo della Chiesa si
acuirono quando le esortazioni levatesi da molte
parti del mondo cristiano indussero finalmente il
pontefice Gregorio XI ad abbandonare la tutela
francese per far ritorno a Roma, nel gennaio del
13 77. Qui, i lunghi anni di assenza avevano favorito
il prevalere delle ambizioni personali e lo scatenarsi
di disordini che minavano l'autorità del
papa; proprio mentre si preparava ad affrontare
la difficile situazione, Gregorio XI morì.
L'elezione del suo successore, Urbano VI (1378),
fu contestata dai cardinali francesi, che nominarono
un antipapa, Clemente VII. Si aprì in questo
modo lo scisma d'Occidente, così chiamato
per distinguerlo da quello d'Oriente, che aveva
separato nel 1054 la Chiesa cattolica di Roma da
quella ortodossa di Bisanzio.
Clemente VII ritornò ad Avignone, sotto la protezione
di Carlo V di Francia, e fu riconosciuto subito
dopo dalla Scozia, dagli Angioini di Napoli,
dai Regni di Castiglia, Aragona e Navarra; il pon -
tefice romano. ebbe invece l'appoggio di quasi
tutti gli Stati italiani, dell'Inghilterra, dell'Impero
e dei Regni scandinavi.
Le conseguenze
dello scisma
Maurice Keen descrive con
precisione le conseguenze
dello scisma all'interno
della Chiesa e nei rapporti
tra il potere religioso e
quello temporale.
T rent'anni di scisma
avevano aggravato
la profondità
e la complessità dei
due principali problemi
che i padri dovevano affrontare
al concilio, la restaurazione
dell'unità e la
riforma degli abusi nella
Chiesa; avevano enormemente
indebolito la solidarietà
di quelle istituzioni
che erano state in passato
i sostegni più forti
dell'unità ecclesiastica;
avevano diviso non soltanto
il clero secolare
[. . .], ma anche gli ordini
monastici [. .. ]. Gli effetti
combinati dello scisma e
della guerra dei Cento anni
avevano inoltre indebolito
l'internazionalismo
delle comunità universitarie
di studiosi. Gli antichi
legami fra Oxford e
Parigi, e fra Parigi e le
università tedesche si erano
spezzati, e il punto di
vista degli studiosi si era
fatto molto più individualistico.
Gli effetti di tante
crescenti divisioni nel
mondo ecclesiastico si rifletterono
nella procedura
del concilio. Ai fini del
voto i rappresentanti vennero
organizzati in gruppi
nazionali, inglesi, francesi,
tedeschi e italiani. Sulle
questioni decisive gli
ordini, le università e perfino
il collegio dei cardinali
non poterono votare
in quanto tali. [. .. ] Le divisioni
nazionali erano diventate
così importanti
che il concilio non avrebbe
avuto il potere, se lo
avesse desiderato, di riportare
il papato a quella
supremazia nel governo
Solo con il concilio di Costanza, nel 1417, si arrivò
a eleggere un unico papa, Martino V. Lo scisma
era così terminato [ LETTURA P. 376].
La Chiesa dopo il concilio
di Costanza
Tutte le vicende legate allo scisma, fino al concilio
di Costanza e ali' elezione di Martino V nel 1417,
minarono gravemente il prestigio e l'autorità della
Chiesa.
Al suo interno, proprio negli anni a cavallo tra i
due secoli, si generò l'esigenza di una riforma capace
di riportare l'ordine morale e la disciplina
all'interno della Chiesa e soprattutto della curia
pontificia. Molti teologi sostennero la necessità di
ridurre il potere del papa a vantaggio del concidella
Chiesa di cui aveva
goduto prima dello scisma.
[. .. ] I grandi ecclesiastici
francesi, Giovanni Gerson,
il cardinale Pietro
d' Ailly e il cardinal Filastre,
che ebbero un'influenza
decisiva nei primi
giorni di Costanza, erano
tutti profondamente influenzati
da Ockham, il
cui insegnamento metteva
in risalto la ragione umana
in un modo che sembrava
esigere più spazio per l' es
pressione dell'opinione
individuale di quanto fosse
ammesso dal vecchio sistema.
«La Chiesa non
può essere separata dal
suo sposo, Cristo», scrisse
Gerson, «ma dal suo vicario
sì: il concilio rappresenta
tutta la Chiesa [ ... ],
il papa soltanto la suprema
autorità umana nella
Chiesa». D' Ailly fu ancora
più chiaro: ai suoi occhi
tutta l'autorità terrena derivava
in ultima istanza
dalla comunità; egli si augurava
di vedere nei cardinali
i rappresentanti eletti
delle province metropolitane
della Chiesa, così da
fare del sacro collegio una
sorta di parlamento attorno
al papa.
La Chiesa universale dell'Occidente,
quale emerse
dal periodo dello scisma,
era in realtà una confederazione
di chiese nazionali
in tutto tranne che nel
nome. A darle esteriormente
unità non era l'autorità
del papa in quanto
padre spirituale, ma la sua
abilità diplomatica nel
trattare con i poteri secolari.
[. .. ] Il controllo sul
governo e sull' amministrazione
della Chiesa,
che il papato aveva stabilito
nel periodo avignonese
e prima ancora, aveva indebolito
a tal punto l' autonomia
locale delle chiese
provinciali, da rendere
del tutto insufficiente la
forza intrinseca a loro disposizione.
Questo fece sì
che, quando scoppiò lo
scisma e due papi rivali si
trovarono a dipendere
lio, che doveva assumersi il compito di riformare
la Chiesa. Tale dottrina, detta conciliarismo, ebbe
però vita breve: dopo il concilio di Costanza, i
pontefici affermarono di nuovo la loro supremazia
sul concilio e rafforzarono ulteriormente la
struttura monarchica della Chiesa.
Una importante conseguenza dello scisma fu
quella di aiutare il processo di formazione delle
realtà nazionali, contrapposte all'universalismo
dell'Impero. Nel concilio di Costanza, infatti, le
votazioni non awennero più per capita singulorum,
cioè per testa, ma per nationes. In questo
modo, si neutralizzava la preponderanza dei prelati
italiani e si proclamava l'esistenza di realtà nazionali
all'interno della Chiesa [ LETTURA l
Ma l'assenza di un progetto di riforma della
Chiesa, in grado di risolvere il problema della crisi
.morale in cui essa viveva ormai da secoli, fu
causa scatenante, circa un secolo dopo, della Riforma
protestante.
Todi, la personalità più eminente dei francescani
spirituali, dichiararono il papa decaduto, dal momento
che la rinuncia alla carica di Celestino V
era stata, secondo loro, illegittima e, con grande
audacia, depositarono la loro denuncia addirittura
sull'altare di Pietro.
Per sei anni, i Colonna e i loro alleati furono perseguitati
e i loro beni distrutti. La cittadina di Palestrina,
loro roccaforte, fu assalita e conquistata
e la famiglia Colonna, con tutti i discendenti diretti
e indiretti, fu bandita per sempre dai territori
dello Stato pontificio.
Roma travolta dalle lotte
della nobiltà
Nel 1303, come abbiamo visto, Sciarra Colonna,
con l'aiuto del re di Francia Filippo IV, imprigionò
il papa che, poco dopo, morì.
Con la morte di Bonifacio VIII, i Colonna pretesero
dal nuovo papa Clemente V la restituzione dei
beni e addirittura tutte le sentenze del vecchio papa
vennero raschiate materialmente dai registri pontifici.
Nel 1306 Stefano Colonna si alleò con gli Orsini
contro i Caetani, ma, già nel 1309, Orsini e Colonna
ricominciarono a scontrarsi, uccidendo o facendo
prigionieri esponenti della famiglia avversa.
Iniziò così per Roma un periodo di totale anarchia
e il popolo assistette a continui episodi di
violenza selvaggia tra le due grandi casate e le famiglie
nobili minori che parteggiavano per l'una o
l'altra fazione.
Nel 1339 una grande sollevazione popolare portò
al potere Stefano Colonna, considerato il solo
capace di porre fine ali' anarchia. La richiesta ai
Fiorentini del testo degli Ordinamenti di Giustizia
per adattarli a Roma ispirò al grande poeta
Francesco Petrarca la composizione della canzone
Spirto gentil, che celebrava questo momento
colmo di speranze.
r., Gioacchino da Fiore in una miniatura del Xlii secolo.
negava il dovere di pagare le decime ai signori
feudali o ai vescovi e obbligava tutti a vivere solo
del proprio lavoro. Dopo poco tempo, più di
4000 contadini e servi, fuggiti dalle zone dominate
dai vescovi di Vercelli e di Novara, si unirono a
lui entusiasticamente.
Gli unici scritti che conosciamo di Dolcino sono
tre lettere indirizzate ai suoi fedeli e che contengono
i punti fondamentali della sua dottrina. In una
di queste lettere era ripresa la profezia di Gioacchino
da Fiore, che parlava di un'evoluzione della
spiritualità umana. Secondo Dolcino, a un'era felice,
che coincideva con l'Antico e il Nuovo Testamento,
era succeduta un'era di degenerazione,
rappresentata dall'opera dei papi sulla Terra.
Entro tre anni, cioè entro il 1303, profetizzava che
Bonifacio VIII sarebbe stato ucciso e, dopo di lui,
avrebbe regnato un papa eletto direttamente da
Dio e non dai cardinali che, con l'aiuto degli apostolici,
avrebbe fatto trionfare lo spirito di Dio.
Quando queste profezie non si avverarono, Dolcino
scrisse un'altra lettera, proclamando, comunque,
il loro prossimo adempimento.
Intanto, contro di lui fu mobilitato un esercito di
7000 uomini e gli apostolici dovettero rifugiarsi
nell'alta Valsesia, per sfuggire allo sterminio. Nel
1306, il papa Clemente V bandì contro questa setta
una vera crociata: Dolcino e i suoi seguaci furono
uccisi o imprigionati e le cronache dell' epoca
descrivono le acque del fiume Carnasco, vicino
a Biella, rosse del loro sangue. Dolcino e Margherita
furono tenuti prigionieri per tre mesi a Biella
e poi bruciati vivi nel 13 07.
Gli spirituali francescani
Abbiamo già accennato al fatto che, nell'ordine
francescano, era emerso l'orientamento degli spirituali
(vedi p. 232). Si trattava di un gruppo di frati
che si opponevano alle deroghe attuate rispetto alla
Regola originaria fissata da Francesco. Costoro
volevano continuare a seguire la Regola sine glossa,
come si diceva, ossia alla lettera, senza modifiche di
sorta: il che implicava l'assoluta povertà e la rinuncia
a qualsiasi privilegio e, di conseguenza, una posizione
critica sia verso la maggioranza dell'ordine
sia verso la corruzione mondana del papato.
Alcuni spirituali, rifacendosi alla dottrina delle
tre età della storia di Gioacchino da Fiore, pensavano
che stesse per manifestarsi un Anticristo,
identificabile con il pontefice, la vittoria contro il
quale avrebbe segnato l'avvento definitivo dell' età
dello Spirito.
Nel 1323 papa Giovanni XXII dichiarò eretica la
loro posizione. Nonostante la condanna, i dissidi
continuarono all'interno dell'ordine e provocarono
persecuzioni nei confronti dei più ostinati oppositori.
Da Dante a Petrarca
Dante rappresenta il cuhnine della cultura medievale,
una cultura universale, che tende all'indagine
su tutto lo scibile. La sua Divina Commedia è
un esempio perfetto di ciò, dal momento che nel
corpo poetico sono inserite a pieno titolo dissertazioni
di astronomia, di cosmologia, di retorica,
di storia, di matematica, di tutto il sapere, insomma,
che un intellettuale medievale aveva assimilato
nei suoi studi.
Se Dante fu la perfetta sintesi della sapienza medievale,
Petrarca rappresenta una nuova figura di
intellettuale. Petrarca, diversamente da Dante, è
un professionista della poesia e delle lettere: tutta
la sua vita fu dedicata esclusivamente allo studio
e alla produzione di poesie e di saggi. I suoi soggiorni
all'estero o in Italia presso le corti più importanti,
oltre a procurargli onori e fama, gli permisero
di dedicarsi alla sua attività di letterato
senza preoccupazioni economiche e tutte le sue
scelte di vita ebbero come scopo il poter attendere
al suo lavoro di letterato. Per questo motivo rifiutò
incarichi anche importanti come ambasciatore
o funzionario di corte.
Un'altra differenza tra Dante e Petrarca sta nel
fatto che, mentre Dante era strettamente legato
alla vita e alla cultura del Comune, viveva le lotte
politiche in prima fila e del Comune faceva il centro
dei suoi interessi e della sua arte, Petrarca è
l'esempio dell'intellettuale cosmopolita, non legato
a una specifica realtà municipale.
La vita di Petrarca
Francesco Petrarca (Arezzo, 1304 - Arquà, 1374)
era figlio di un fiorentino mandato in esilio e poi
stabilitosi ad Avignone al seguito della corte pontificia.
Francesco viaggiò per tutta Europa fino al
1327, anno in cui sembra abbia incontrato per la
prima volta Laura, la donna che ispirerà la maggior
parte della sua produzione poetica. Fino al
1353 soggiornò a Valchiusa, in Provenza, alle sorgenti
del fiume Sorga. Durante questi anni viaggiò
spesso in Italia, dove venne onorato per la sua
attività di poeta e di studioso dell'antichità classica.
Nel 1341 fu addirittura incoronato poeta in
Campidoglio, a Roma, secondo il costume degli
antichi Romani. Durante la peste nera del 1348
morì Laura e allora dopo qualche anno Petrarca
si trasferì definitivamente in Italia. Soggiornò,
sempre tra grandi onori, a Milano, Venezia e Padova
e nel 13 7 4 morì nella sua casa di Arquà.
Le opere di Petrarca
Petrarca scrisse molte opere in prosa e poesia,
quasi tutte in lingua latina ma il suo capolavoro è
senza dubbio il Canzoniere, la raccolta della sua
produzione poetica in volgare. Il Petrarca, pur ritenendo
il latino degli antichi scrittori romani la
lingua per eccellenza, non disprezzava certo il
volgare. Come dice Salvatore Gugliehnino: «Nel
volgare cercò di trasfondere quegli ideali di decoro
formale, di compostezza che il latino classico
per lui aveva realizzato: e scelse una lingua eletta,
omogenea per lessico, per tono e stile, una lingua
pura e assoluta, scevra cioè d'ogni crudezza realistica,
lontana dall'uso quotidiano».
Nel Canzoniere domina la figura di Laura e a lei è
dedicata la maggior parte dei componimenti, ma
in esso emerge anche, e soprattutto, il ritratto dell'uomo
Petrarca, inquieto spirituahnente, tormentato
dalle contraddizioni della vita, sempre
teso a un ideale di perfezione interiore e consapevole
dei limiti della natura umana. Il suo amore
per Laura è un amore vero, terreno, anche se
mai nutrito da fatti concreti e questa passione mai
risolta costituirà il tormento della sua esistenza.
Per quanto riguarda le opere di ispirazione politica
e civile, le Lettere, Petrarca avverte che l'Impero
è un'istituzione ormai superata; mentre l'imperatore
era nella visione politica di Dante un elemento
essenziale, per Petrarca questa istituzione
è ormai incapace di garantire unità politica e pace.
Se poi si passa alla seconda grande istituzione
medievale, la Chiesa, l'idea di Petrarca è che sia
un'istituzione spirituale e che, ritornando alle origini,
debba rifiutare la gestione di qualunque potere
politico. Petrarca, quindi, condivide in gran
parte le idee di Marsilio da Padova, che nell' opera
De/ensor pacis dichiara eretico e illegittimo il
potere politico della Chiesa e afferma che pace e
felicità non derivano dall'opera dell'imperatore,
ma dalla volontà unita e dall'azione di cittadini illuminati.
Nella celebre canzone politica Italia mia
Petrarca mostra di avere a cuore il destino di tutta
l'Italia, dilaniata. da lotte fratricide e spera che
una monarchia possa unificare il paese garantendo
pace e prosperità.
ma nel 1348 Clemente VI riuscì a comprare
l'intera città di Avignone per 80 000 fiorini.
Da quel momento, Avignone, che era
sempre stata una modesta cittadina, si trasformò
letteralmente. Da tutto il mondo,
ma soprattutto dall'Italia, giunse una folla
di sacerdoti, frati, impiegati, nobili, mercanti
e banchieri. Tutti i cardinali cominciarono
a costruire il proprio palazzo e
quindi vennero chiamati i migliori architetti,
pittori e scultori dell'epoca. La popolazione,
dopo circa vent'anni di permanenza
dei papi, si decuplicò e sorsero decine
di chiese, conventi, ospizi per i poveri
e i pellegrini e ospedali.
Inevitabilmente, la città divenne anche
una irresistibile attrazione per avventurieri
di ogni genere e un centro di vita mondana,
sfarzosa e disordinata, tanto da far
definire Avignone da Petrarca "l'empia
Babilonia".
la Avignone, Palazzo
della cappella di Sai
Giovannetti da Viterb
D Avignone, Palazzo
so principale del pala
11 11 Palazzo dei papi
interno splendidi affr
terbese Matteo Giova
pontificia fin dal 1343.
r., La pena riservata alle streghe dall'Inquisizione era la morte sul rogo, spesso preceduta
da atroci torture per indurre la confessione dell'awenuto patto con il diavolo.
Il Le streghe offrono a Satana un bambino (incisione del XVII secolo).
denza di grandi calamità natur
no un capro espiatorio, e le str
te come una delle cause scaten
la strega era vista dall' autorit
confronti di Dio e una cospir
l'ordine politico, sociale e mo
Le streghe, o presunte tali, n
cuna coscienza di questo loro
isolati di aperta ribellione). N
campagna e sulle montagne,
no della comunità e il loro
presunto, sconvolgeva l'imma
siva e dedita alla cura della c
alle streghe, dunque, divent
modo per rendere le comunit
nere gli ideali del comportam
ti dalla società medievale.
Dopo il Medioevo, si arrivò a
ne tutti i possibili comportam
di loro sia nei rapporti con il d
punizioni da infliggere alle col
testo, il Malleus Male/icaru
ghe"), scritto da due frati do
toris e J akob Sprenger, che c
prio delirio antifemminile.
principale di tutti i processi p
nero fino al XVIII secolo.
Il La ricerca e la conoscenza delle er
un motivo sufficiente per essere accu
La diffusione della peste
in Europa
Fin dai tempi più antichi, la peste era periodicamente
comparsa in Europa. Rappresentava uno dei
fattori che maggiormente influenzavano l' andamento
demografico, non soltanto per l'altissimo
tasso di mortalità della malattia, ma ancora di più
per le conseguenze di medio periodo, come lo spopolamento
delle zone più colpite, il calo della natalità,
le crisi produttive, il blocco dei commerci ecc.
Comparsa in Asia centrale nella prima metà del
Trecento, una nuova pestilenza si diffuse verso
Occidente seguendo le rotte commerciali: nel
1341 aveva raggiunto Samarcanda e nel 1346 la
colonia genovese di Caffa (in Crimea). L'anno
successivo una nave partita da Caffa diffuse il
morbo negli scali di Costantinopoli e Messina. Da
questi porti la peste si spostò di nuovo in Oriente,
in Siria e in Egitto, ma si diffuse anche in Italia
e, nei successivi tre anni, in tutta Europa, provocando
una vera ecatombe. Nel 1348 risultavano
colpiti i maggiori centri italiani e la sede papale di
Avignone.
Le cause della diffusione
Le epidemie di peste venivano trasmesse all'uomo
dal morso di alcune specie di pulci parassite di
topi infetti. Il morso di una pulce causava la peste
bubbonica, mentre la peste polmonare, una complicazione
della prima, era trasmessa anche da
persona a persona con la tosse o gli starnuti.
Una delle cause della diffusione della peste era,
ovviamente, la scarsa igiene e l'accumulo d'immondizia
nelle città, che creavano l'ambiente
ideale per la riproduzione dei ratti. Ed è evidente,
se si seguono i percorsi di diffusione dell'epidemia,
che i topi infetti si spostavano rapidamente,
trasportati dalle navi lungo le rotte
commerciali. Lo stesso discorso vale per i marinai
e i mercanti, che si infettavano e trasmettevano
il bacillo dove facevano scalo o una volta
tornati a casa.
Alla fine del Medioevo
la geografia politica dell'Europa
vide alcuni importanti
mutamenti. Gli
Inglesi furono definitivamente
cacciati dalla
Francia. Gli Asburgo, ottenuta
la corona imperiale,
s'impegnarono a
consolidare i loro possedimenti
occupando
l'Austria, la Boemia e la
Pannonia.
Dominazione veneziana
e genovese
Venezia
Genova
Impero romano-germanico
- Confini
~~ Territori degli
~ Hohenzollern lllliilil Territori dei Wettin
11111111 • T~rritori della corona .!.i.!JJl!.I d1 Boemia llllllill Territori degli Asburgo
-- Unione di Kalmar
Ducato di Borgogna (tra Francia e Impero)
bi Ramo principale
l!!!lliJ Ramo collaterale
a Aree di influenza
~ Limiti nel 1475
Regno di Francia
Confini
:22] Domini della corona
Situazione politica al 1450
OCEANO
ATLANTICO
1337 1347 1354
Inizia la
1356 La Bolla d'oro regola
l'elezione dell'imperatore
1378 1399
Cola di
Rienzo fonda
la Repubblica
A Firenze Si afferma in
si sollevano Inghilterra la dinastia
i ciompi dei Lancaster con
Scoppia in tutta
Europa la peste
nera che
imperverserà
fino al 1351
1353 1357 I 1377
Il papa invia in 111 cardinale Albornoz I papi
I ltalia centrale fa approvare ritornano
il cardinale le Costituzioni I da Avignone
Albornoz e idiane a Roma
Enrico IV
1399 1
Gian Galeazzo I
Visconti arriva a
possedere parte della I
Toscana e dell'Umbria
MAR
chie europe }
piano politico·
a charta /ibertJtum
a moderna ci~iltà
~'9, " -. 1t ,1·, ' ~/ ('I
ori dell'Impero (Germania e Italia) perle
frazionamento politico, in Spagna,
rra le monarchie avviano un processo
e politica che si eoncluderà in epoca
agna la ricomposizione politica inizia
ista (1085, occupazione di Toledo;
ne di Siviglia). In Francia il consolidaarchia
è opera di sovrani come Luigi VII
po Il Augusto (1180-1223), Luigi IX
utilizzano abilmente le istituzioni feura
la monarchia si realizza con un per-
: la concessione della Magna charta
tuzione di un Parlamento nazionale
il regno di Enrico lii (1216-72).
1154
Enrico Il
Plantageneto
re d'Inghilterra
1164
Enrico Il
emana le
Costituzioni
di Clarendon
Sintesi deffumtà l::il p. 411 ,
1170
Napoli, Castel Novo:
l'edificio fu fatto costruire
da Carlo d'Angiò alla fine
del Duecento.
T189
Thomas Sale al trono
Becket viene in Inghilterra
assassinato Riccardo I
Cuor di Leone
romano, contribuirono a ridefinire la nozione di
Stato, e i diritti e doveri del sovrano, e fecero i
primi passi verso la formazione di una legislazione
unitaria valida in tutto il regno.
Fu potenziato anche l'apparato amministrativo,
organizzando sezioni particolari della curia regia
preposte ali' amministrazione delle finanze (la
Corte dei Conti) e della giustizia (il Parlamento,
termine che nel Regno di Francia indicava le corti
di giustizia).
Il legame fra la monarchia e i sudditi fu rafforzato
anche da un allargamento della rappresentanza
politica. In diverse occasioni in cui erano sul tappeto
importanti problemi politici e finanziari Filippo
convocò le assemblee dei notabili e gli Stati
generali, nei quali sedevano i rappresentanti
della nobiltà, del clero e dei ceti più eminenti delle
città. Come abbiamo già detto (vedi p. 373),
questa istituzione ebbe un ruolo importante nel
conflitto che oppose Filippo IV al papa.
La guerra dei Cent'anni
Il processo di rafforzamento della monarchia francese
subì una battuta di arresto quando nel 1328 il
re Carlo IV morì senza lasciare eredi. Un'assemblea
di nobili conferì allora la corona a Filippo di
Valois, nipote di Filippo Iv, senza tenere conto
delle regole della successione ereditaria. Contro
questa designazione protestò il re d'Inghilterra
Edoardo III che, essendo anch'egli imparentato
con Filippo Iv, poteva vantare diritti sul trono di
Francia. Di questa crisi politica e dinastica approfittarono
alcune città e una parte della nobiltà francese
(come Goffredo d'Harcourt, conte di Normandia)
che si schierarono con il re d'Inghilterra.
Scoppiò così un lunghissimo conflitto tra i due
paesi, durato dal 1337 al 1453, la cosiddetta guerra
dei Cent'anni. Con questa guerra vennero affrontati
e risolti una volta per tutte gli intrecci territoriali
e dinastici fra i due regni, apertisi tre secoli
prima con la conquista normanna dell'Inghilterra
e proseguiti al tempo di Giovanni Senzaterra
e di Filippo II Augusto.
Dopo alterne vicende, fra cui un lungo periodo di
guerra civile, la riscossa francese nella guerra dei
Cent'anni ebbe inizio nel 1429, quando una giovane
contadina lorenese, Giovanna d'Arco, affermando
di essere stata inviata da Dio per salvare la
Francia, convinse il re Carlo VII a riprendere la
guerra contro gli Inglesi e a liberare la città di Or-
11 11 re di Francia Filippo IV con i figli in una miniatura del XIV
secolo.
léans dall'assedio nemico. Fatta prigioniera dagli
Inglesi, fu condannata per eresia e arsa viva. La
sua morte non arrestò i Francesi che riuscirono a
riconquistare territori che da secoli dipendevano
dalla corona inglese (Bretagna, Normandia, Borgogna,
Aquitania); nel 1453, al termine del secolare
conflitto, gli Inglesi in territorio francese possedevano
ormai solo il porto di Calais.
n molti si sono affannati a cercare di individuare il luogo di nascita preciso e il vero nome di
obin, il bandito che rubava ai ricchi prepotenti e donava ai poveri~ ma la convinzione degli
torici è che Robin sia il prodotto della fantasia di anonimi autori di ballate. 'Nel 1230 appare
er la prima volta un documento in cui si parla di un certo Robertus Hood e, nel
uattrocento, la sua figura è già solidamente tratteggiata. Robin è un nobile che ha sperperato
e sue sostanze ed è stato esiliato per debiti: si rifugia allora nella foresta di Sherwood, nei
ressi di Nottingham, con i suoi seguaci e rapina i ricchi che si avventurano nella boscaglia.
'avventura di Robin si colora solo più tardi politicamente: nel racconto viene inserita la lotta
antro gli esosi Normanni, che svenavano i poveri abitanti con le loro tasse.
ra le molte ballate che cantano le gesta di Robin Hood, la più antica è Robin Hood and
he Monk (Robin Hood e il monaco), ma la più compiuta e conosciuta è sicuramente A Gest
f Robin Hode (Le avventure di Robin Rode), un lungo poema anonimo.
sole due ore di treno da Londra troviamo Nottingham, capitale regionale delle East
Midlands conosciuta ai più per le avventure di Robin Hood. Le prime notizie della
città risalgono al 900. Il nome è di derivazione sassone come tutti i nomi
che finiscono in "ham".
Oggi è una città giovane e dinamica, con un bel centro storico che offre
attrazioni davvero interessanti come il Nottingham Castle, che svetta su un
roccione solcato da un labirinto di passaggi sotterranei. Fatto erigere
da Guglielmo il Conquistatore nel 1068 subito dopo l'invasione normanna,
fu la leggendaria dimora del perfido sceriffo di Nottingham. Ai piedi
del castello, si trova il Trip to J erusalem (1189 ), la più antica locanda
d'Inghilterra. Il suo nome deriva dalle crociate del XII e del XIII secolo.
Nottingham ricorda Robin, le sue fughe e continue provocazioni allo
sceriffo, che gli dava la caccia (non tutti sanno che ancora oggi esiste uno
sceriffo a Nottingham). Nel 1996 lo sceriffo Roy Greensmith fece apporre
questa lapide: «C'è bisogno di una coscienza sociale in questo paese. E se
Robin Hood non è la personificazione della coscienza sociale, non so davvero
cosa sia». Come si vede, i rapporti tra Robine le autorità sono cambiati.
Mito o personaggio storico che sia, Robin Hood vive attualmente a
Nottingham, nei nomi delle strade e dei luoghi. 1Dalla piazza principale, infatti,
se si va verso il castello, si percorrono vie com~ Friar Lane ( via del frate) e Maid
Marion Way (via Lady Marion). Sulla Casfze Road, proprio sotto le mura del
castello, c'è la statua del mitico ladro intento a scocéare una freccia. Non
dimentichiamo la Foresta di Sherwood, dove vive1:Ja Robin, oggi meta di
moltissimi turisti che vogliono vedere la Grande Quercia, sulla quale Robin
Hood viene spesso raffigurato mentre suona la lira.
e on l'affermarsi delle monarchie
feudali si formano le
cancellerie e gli archivi di
Stato che hanno il compito di conservare
tutti gli atti legislativi e di
governo. Questi uffici sono sehza
dubbio la fonte più importante per
ricostruire questo periodo storico,
perché ci permettono di conoscere
con assoluta precisione tutti gli
eventi che hanno avuto rilevanza
nella vita delle varie nazioni e nei
rapporti tra di loro.
Ma fonti altrettanto importanti sono
documenti che definiremmo
"privati". Si pensi agli atti delle società
mercantili che indicano l'evolversi
dei commerci, dei contatti
con l'estero, i periodi di crisi e
quelli di espansione. Anche gli atti
delle parrocchie sono fonti molto
interessanti: i parroci non si limitavano
a redigere l'elenco dei nati e
dei morti, ma aggiungevano anche
commenti personali sui fatti più
importanti che coinvolgevano la
comunità. Accanto alla figura del
cronista della vita del Comune (si
pensi ai fratelli Giovanni e Matteo
Villani di Firenze), compare poi la
figura del cronista di corte che registra
fedelmente la vita del sovrano
e dei suoi cortigiani.
forte nobiltà e delle ricche città della costa, che si
organizzarono in assemblee rappresentative, le
Cortes, riconosciute dal sovrano nel 1283.
La situazione dell'Impero
Con Rodolfo I (1273 -91), la corona imperiale
passò alla famiglia degli Asburgo, grandi feudatari
i cui domini originari coprivano la regione alpina
della Svizzera. Nel 1278 conquistarono la zona
dell'attuale Austria, che per sette secoli sarebbe
rimasta il baricentro dei loro possedimenti e della
loro potenza. Rodolfo I e poi il figlio Alberto
(1291-1308) concentrarono l'interesse imperiale
nell'area tedesca, ma in prevalenza curarono la
fortuna della propria casata, consolidandone il
dominio nelle regioni orientali dell'Impero (dall'Austria
verso la Pannonia e la Boemia).
Proprio per difendere la loro indipendenza dalla
progressiva espansione degli Asburgo, subito dopo
la morte di Rodolfo, nel 1291, alcune comunità
svizzere si unirono in una lega (il Patto di Griitli),
che sconfisse ripetutamente ( 1315, 13 86) la potente
casata. Nella lotta antiasburgica, si inserisce la
leggendaria figura di Guglielmo Teli, eroe nazionale
svizzero. Progressivamente aderirono al patto
giurato altre comunità valligiane e anche centri urbani
quali Lucerna, Zurigo e Berna: intorno alla
metà del Trecento, prese così forma la Confederazione
svizzera che, nel 1389, ottenne un primo riconoscimento
da parte degli Asburgo.
L'imperatore Enrico VII
Nel 1308 Enrico VII divenne imperatore grazie
ali' appoggio decisivo di papa Clemente V. Enrico
era un feudatario minore del Lussemburgo, ma
dimostrò una notevole energia politica che lo indusse
addirittura a tentare la restaurazione del potere
imperiale in Italia. Approfittando della crisi
della fazione guelfa, dovuta alla cattività avignonese
dei papi e alla sconfitta angioina nella guerra
dei Vespri, Enrico scese nella penisola nel 1310.
Ma le speranze che suscitò in coloro che sostenevano
la necessità di un potere civile sottratto all'influenza
della Chiesa (come teorizzò Dante Alighieri
nel suo trattato sulla monarchia) vennero
ben presto deluse: scontratosi a Roma con le truppe
angioine, Enrico VII fu costretto a ripiegare su
Firenze, che assediò a lungo e inutilmente.
'raffigura Carlo d'Angiò mentre assedia la città di Messina duittà
sventola il vessillo rosso-giallo degli Aragonesi, ancora oga
della Catalogna. Sulla nave, invece, sventola il vessillo con il
francese.
o il Grande, in una miniatura del XIV secolo.
La nuova monarchia angioina incontrò però in
tutta l'Italia meridionale forti opposizioni. .
Il tentativo di affermare la sovranità del re e di
imporre l'istituzione di un efficiente e oneroso sistema
fiscale generarono l'opposizione della nobiltà
italiana meridionale.
Il malcontento raggiunse il culmine nel 1282
quando scoppiò la cosiddetta guerra dei Vespri.
La rivolta della nobiltà italiana assunse questo
nome perché scoppiò a Palermo dopo il vespro
del lunedì di Pasqua. L'insurrezione abilmente
preparata e finanziata da Pietro III, re di Aragona,
ebbe successo. La guerra durò vent'anni e
nel 1302, con la pace di Caltabellotta, gli An- \
gioini furono costretti a riconoscere agli Aragonesi
il possesso della Sicilia. La corona del nuovo
Regno di Sicilia fu affidata a Federico d'Aragona,
figlio di Pietro III.
Il Regno fu riconosciuto dal papa Bonifacio VIII,
che concesse agli Aragonesi anche la sovranità
sulla Corsica e sulla Sardegna. L'Italia meridionale
restava così divisa in due Regni: quello continentale,
il Regno di Napoli, ancora sotto il dominio
degli Angioini, e il Regno di Sicilia, affidato
agli Aragonesi.
Il Regno degli Aragonesi
nell'Italia meridionale
La sovranità della monarchia aragonese sulla Sicilia
fu assai debole.
Durante la guerra contro gli Angioini Pietro III
era stato costretto a fare molte concessioni alla
La figura di Cola
di Rienzo
Ecco come la figura di Cola
di Rienzo e le sue
vicissitudini prima della
proclamazione della
Repubblica romana
appaiono nella colorita
prosa della Cronica di un
L o patre [di Cola di
Rienzo] fu tavernaro,
abbe nome
Rienzi. La madre abbe
nome Matalena, la quale
visse de lavare panni ed
acqua portare.
Fu nato nello rione della
Regola. Sio avitazio fu
canto fiume, fra li mulinari,
nella strada che vao alla
Regola, dereto a San
Tomao, sotto lo tempio
delli Iudiei.
Fu da soa ioventutine nutricato
de latte de eloquenzia,
buono gramatico,
megliore rettorico, autorista
buono. Deh, corno
e quanto era veloce leitore!
Molto usava Tito Livio,
Seneca e Tulio e Valerio
Massimo. Molto li delettava
le magneficenzie
de Iulio Cesari raccontare.
Tutta die se speculava
nelli intagli de marmo li
quali iaccio intorno a Roma.
Non era aitri che espacificazione
generale dell'Italia, lanciando un
appello a tutte le città e a tutti i signori della penisola
affinché si riunissero in una grande assemblea
generale. L'assemblea in effetti si tenne, con
la partecipazione di parecchie città, e nonostante
le stranezze e le megalomanie di Cola, la prospettiva
di una vasta alleanza fra Stati italiani sembrò
per un momento davvero delinearsi. Una congiura
nobiliare, tuttavia, lo spodestò e lo costrinse alla
fuga dopo sette mesi di tribunato.
Il legato papale Egidio di Albornoz
Per sedare le ribellioni popolari e dei signori feudali,
i pontefici mandarono nei loro domini italiani
dei legati. Uno di questi, il cardinale spagnolo
Egidio di Albornoz, sottomise i signorotti della
Romagna e delle Marche, recuperò l'Umbria e
tolse Bologna ai Visconti, ristabilendo l'autorità
pontificia su queste regioni.
Al seguito del cardinale Albornoz ritornò a Roma,
nel 1354, Cola di Rienzo. Riconciliatosi con il
pontefice, non si presentò più come l'infervorato
difensore della Repubblica e dell'Italia: era invece
un rappresentante del governo pontificio, con il
titolo di senatore, ma dopo pochi mesi fu ucciso
in una sommossa.
so, che sapesse leiere li
antiqui pataffii. Tutte
scritture antiche vulgarizzava.
Queste figure de
marmo iustamente interpretava.
Deh, corno spesso
diceva: «Dove sono
questi buoni Romani?
Dove ène loro somma iustizia?
Pòterame trovare
in tiempo che questi fussino!»
Era bello omo e in sua
vocca sempre riso appareva
in qualche muodo
fantastico. Questo fu notaro.
Accadde che un sio
frate fu occiso e non fu
fatta vennetta de sia morte.
Non lo potèo aiutare.
Penzao lon~amano vennicare
lo sangue de sio
frate. Penzao longamente
derizzare la cit~te de Roma
male guidata. Per sio
procaccio gìo [andò] in
Avignone per imbasciatore
a papa Chimento [Clemente
VI] de parte delli
tredici Buoni Uomini de
Roma. La soa diceria fa sì
avanzarana e bella che
subito abbe 'namorato
papa Chimento. Moito
mira papa Chimento lo
bello stile della lengua de
Cola. Ciasche dìe vedere
lo vole.
Allora se destenne Cola e
dice ca ili baroni de Roma
so' derobatori de strade:
essi consiento li omicidii,
le robbarie, li adulterii,
onne male; essi voco che
Nel 1357 Albornoz emanò le cosiddette Costituzioni
egidiane, una raccolta di norme che rimasero
in vigore nello Stato pontificio, pur con diverse
revisioni, fino al 1816. Nelle Costituzioni venivano
regolati i rapporti fra il potere centrale della
curia, le autonomie cittadine e i signori locali, che
avevano ottenuto la carica di vicari pontifici. Erano
inoltre presenti norme relative alla convocazione
di parlamenti locali, con poteri consultivi in
materia fiscale e militare. L'opera di Albornoz ebbe
successo: rafforzò i poteri della curia gettando
così le fondamenta di quello che poi sarebbe divenuto
lo Stato pontificio.
È difficile ricondurre queste rivolte a un'unica
matrice, o a cause comuni ben identificabili. Certo,
però, su tutte influì l'onda lunga della crisi
aperta dalla terribile pestilenza che colpì l'Europa.
Esasperati dalle carestie, dalla fame, dall' aumento
dei prezzi, dai bassi salari, dal rapace fiscalismo
delle monarchie, dai danni provocati dalle
guerre, braccianti e lavoranti delle manifatture si
lasciarono andare ad atti di violenza inusitata.
La jac uerie francese
La Francia, già indebolita dalla crisi dinastica e
dall'entrata in guerra contro l'Inghilterra, visse un
periodo di profondi disagi e turbolenze s9ciali.
Nel 1356, un mercante di panni parigino, Etienne
Marcel, assunse la guida della protesta dei ceti
produttivi e mercantili contro la monarchia,
chiedendo che gli Stati generali avessero effettivi
poteri di controllo sul re e sul governo.
L'anno seguente scoppiò nelle campagne francesi,
a nord della regione parigina, una sollevazione
antifeudale, la cosiddetta jacquerie, da "J acques
Bonhomme", nomignolo con cui i nobili chiamaviolenze
commesse dai
contadini, anche se spesso
sono cronache di parte
nobiliare, quindi faziose.
Quello che proponiamo è il
racconto del francese Jean
Froissart (1337-1404),
autore delle importanti
Chroniques.
bili». Allora si misero insieme
e se ne andarono,
senza altro consiglio e
senza armi, tranne che
mazze ferrate e coltelli,
nella casa di -un cavaliere
che abitava lì vicino; entrarono
a forza nella casa
e uccisero il cavaliere, la
moglie e i figli, grandi e
piccoli, e bruciarono la
casa. Poi andarono in un
altro castello e fecero assai
peggio, poiché presero il
cavaliere e lo legarono
ben stretto ad una trave, e
in parecchi violentarono
la moglie e la figlia sotto i
suoi occhi; poi uccisero la
moglie che era incinta, sua
figlia e tutti i bambini, e
poi il cavaliere tra grandi
sofferenze, e bruciarono e
demolirono il castello.
Così fecero in parecchi
castelli e case patrizie, e
crebbero tanto di numero
che furono ben presto in
seimila. Dappertutto dove
andavano il loro numero
cresceva, perché tutti
quelli che erano come loro
li segmvano. [ ... ] E
quei miserabili, riuniti in
bande, senza capi e senza
insegne, rubavano e bruciavano
tutto, uccidevano
tutti i nobili che trovavano,
e violentavano tutte le
dame e le pulzelle, senza
pietà e senza scampo, come
cani arrabbiati. Certo,
vano i contadini [ DOC,]. La violenza dei contadini
esplose improvvisa, frutto delle loro miserabili
condizioni di vita aggravate dalle carestie e dalla
peste. La sollevazione non durò che qualche settimana
perché venne stroncata dall'esercito del re
di Navarra, ma provocò saccheggi, stragi di nobimai
ci fu tra i cristiani né
tra i saraceni una furia pari
a quella di questi disgraziati,
perché chi più faceva
del male o delle azioni
vili, azioni che creatura
umana non dovrebbe osar
di pensare, immaginare o
guardare, quello era il più
apprezzato tra essi e il più
prestigioso. [ ... ]
Quando i gentiluomini
delle zone di Beauvais e
di Corbie, del Vermandois,
del Valois, e delle
terre dove questi malfattori
confluivano, videro le
loro case così distrutte ed
i loro amici uccisi, chiesero
soccorso ai loro amici
di Fiandra, Hainaut, Brabante,
Hesbave; e ne vennero
subito da molte parti.
Allora gli stranieri ed i
gentiluomini del luogo si
misero insieme. Cominciarono
anche loro ad uccidere
e fare a pezzi quei
miserabili, senza pietà e
senza scampo, e li impiccavano
in massa agli alberi,
dove li trovavano. Anche
il re di Navarra ne
sterminò in un giorno più
di tremila, molto vicino a
Clermont nel Beauvais.
Ma si erano già tanto
moltiplicati che se fossero
stati tutti insieme sarebbero
stati centomila.
Quando si domandava loro
perché facessero questo,
rispondevano che
non lo sapevano, ma che
lo vedevano fare dagli altri,
e così lo facevano anch'essi;
e pensavano di
dovere in tal modo distruggere
tutti i gentiluomini
ed i nobili del mondo,
in modo che non ce
ne potesse essere più nessuno.
r.l La sepoltura delle vittime della peste in una miniatura veneta
della seconda metà del XIV secolo.
D'altra parte, la peste trovò in Europa un terreno
fertile per la sua diffusione.
La produzione agricola non era in grado di rispondere
alla domanda dell'aumentata popolazione
e divennero più frequenti gli episodi di carestia.
La crescita demografica, che aveva caratterizzato
l'Europa a partire dalla rinascita dopo il
Mille, subì così un'inversione di tendenza proprio
nei decenni iniziali del Trecento, prima che
la peste giungesse in Europa. È verosimile èhe
questa situazione abbia inciso non poco sulla
propagazione della peste, perché la malattia incontrò
vasti strati di popolazione con il fisico già
debilitato dalla malnutrizione e quindi più vulnerabile.
·
I provvedimenti delle autorità
politiche
Di fronte all'imperversare della peste, i consigli
comunali stabilirono alcune regole per evitare la
diffusione del contagio in città, dove si rivelava
micidiale e incontenibile.
Per esempio, stabilirono che nessun abitante del
contado dove si era manifestata la malattia, anche
se apparentemente sano, potesse recarsi in città.
E, ancora, ordinarono che nessun cittadino del
contado potesse portare o far entrare in città panni
usati, a qualunque impiego fossero destinati. I
morti dovevano essere trasportati in casse di legno
inchiodate, per impedire la diffusione delle esalazioni,
ritenute contagiose, dai cadaveri; allo stesso
scopo, si fissò pure la profondità delle fosse per la
sepoltura. Nessuno dei parenti poteva accompagnare
i defunti oltre la porta della chiesa, né farritorno
alla casa dove aveva abitato il morto. Si puniva
severamente lo sciacallaggio nelle case abbandonate,
non solo come reato in sé ma in quanto
mezzo di diffusione del morbo, e si barricavano
porte e finestre delle abitazioni degli appestati
lasciandoveli reclusi insieme ai loro parenti.
Le città di mare chiusero i loro porti alle navi
provenienti da località infette o sospette, e decretarono
per loro la quarantena.
Molte di queste precauzioni furono realizzabili
finché il morbo ebbe una diffusione abbastanza
limitata. Ma quando cominciò a infierire su decine
di migliaia di persone in una città o in una regione
la situazione non poté più essere controllata.
Era impossibile interrompere tutti i contatti
fra malati e sani e i monatti (cioè gli addetti al trasporto
dei cadaveri) raccoglievano a centinaia i
morti sulla pubblica via e li ammassavano in fosse
comuni.
Le persecuzioni contro
i "diversi"
Tra le reazioni alla grande pestilenza, come spesso
accade nei momenti di grave crisi, vi fu quella
di attribuirla a un "colpevole", un capro espiatorio
da punire. Lo si individuò nella comunità dei
"diversi" per eccellenza, diversi per la fede religiosa
e per le abitudini di vita: gli ebrei.
Le persecuzioni antigiudaiche, esplose già al tempo
della prima crociata, furono violente in occasione
della peste del Trecento. A Tolone, per
esempio, nella notte fra il 13 e il 14 aprile 1348, la
domenica delle Palme, il ghetto fu invaso, le case
saccheggiate e molti ebrei massacrati nel sonno.
In varie località della Provenza, vi furono molte
altre aggressioni contro le comunità ebraiche con
eccidi di massa. Lo stesso accadde in Catalogna,
in particolare a Barcellona.
La situazione drammatica di quegli anni offrì il
destro alla repressione indiscriminata anche di altre
categorie di "diversi". È il caso dei processi
sommari per stregoneria, irì cui si accusarono e si
condannarono uomini e, soprattutto, donne ritenuti
responsabili di spargere il contagio con le loro
arti diaboliche.
La situazione di Firenze
Nelle città, in particolare in quelle italiane, accadde
più di una volta che i piccoli artigiani e i salariati
protestassero contro i grandi mercanti-imprenditori
avanzando la richiesta di partecipare
alla vita politica. Significativo, in questo senso, fu
soprattutto il cosiddetto tumulto dei ciompi, cioè
i lavoratori della lana, scoppiato a Firenze nel
1378 [ DOC. P. 403).
Nel corso del Trecento la storia di Firenze era stata
complessa. Bonifacio VIII si era inserito nella
loua fra bianchi e neri inviando in città come signore
Carlo di Valois. Poi furono i Fiorentini, per
difendersi dalla minaccia del signore di Lucca,
Castruccio Castracani, a chiedere l'aiuto degli
Angioini, affidando la Signoria a Roberto e Carlo
d'Angiò (1316-28). Le difficoltà di una nuova
guerra con Lucca li indussero a chiamare un altro
signore nel 1342, Gualtieri di Brienne, che fu cacciato
l'anno seguente da una sollevazione popolare:
a questo punto, Firenze si diede un governo
basato sui rappresentanti delle ventuno "arti" riconosciute.
Tuttavia, cominciò un aspro confronto
politico fra il ceto magnatizio della città, riunito
nella potente parte guelfa, e il popolo minuto,
appartenente alle arti minori o anche escluso dal
sistema delle arti. Per un trentennio, i primi mantennero
il predominio.
Nel 1375 cominciò una guerra contro il papa di
Avignone, Gregorio XI, i cui legati in Italia mostravano
di voler espandere lo Stato pontificio in
Toscana. Due anni dopo, come sappiamo, la SanIl
La bottega di un sarto con i lavoranti all'opera in una miniatura
del XIV secolo.
ta Sede ritornò a Roma ma si aprì anche lo scisma
d'Occidente che, di fatto, pose fine alla guerra. ,
Il tumulto dei ciompi
In questo difficile contesto - Firenze aveva anche
subìto dure ripercussioni dalla peste e dalla crisi
economica che ne era seguita - emerse la protesta
dei ciompi. Questi lavoratori, sottopagati e privi di
una propria arte ( quindi del diritto di partecipare
al governo), si sollevarono nel 1378 e imposero come
gonfaloniere un proprio rappresentante, Michele
di Landa. Vennero istituite tre nuove arti,
tintori, farsettai e ciompi, alle quali fu riservato un
terzo delle magistrature cittadine. Nel giro di un
mese, però, la coalizione delle arti maggiori e minori
domò l'insurrezione: Michele di Landa trovò
un accordo con l'oligarchia cittadina, dandosi poi
alla fuga; l'arte dei ciompi fu soppressa e a Firenze
si delineò un regime di tipo oligarchico.
La rivolta dei ciompi fallì essenzialmente perché fu
un fenomeno isolato, incapace di coinvolgere la
popolazione delle campagne e gran parte della popolazione
urbana. Gli obiettivi dei rivoltosi, infatti,
riguardavano quasi esclusivamente la loro categoria
e contrastavano con gli interessi sia della grande
sia della piccola borghesia delle arti minori.
l'I Il re d'Inghilterra Enrico V in un ritratto del XV secolo.
un'ambiguità di fondo. I sovrani le consultavano
per avere sì un appoggio ma, in definitiva, l' obiettivo
più importante era vedere riconosciuta la
propria superiorità: le riunioni dei "grandi" al cospetto
del re dovevano offrire una specie di conferma
rituale dell'autorità regale, mostrare che
essa era assolutamente incomparabile a qualunque
altro potere. Per altro verso, però, tali assemblee
diventarono centri della resistenza nobiliare
alla corona. Nate per appoggiare e consolidare la
monarchia, si sarebbero trasformate negli ultimi
baluardi di ciò che ancora sopravviveva dei vecchi
privilegi feudali, talvolta resistendo a oltranza agli
sforzi accentratori e assolutistici dei re. Non a caso,
con il rafforzamento definitivo delle monarchie,
queste assemblee sarebbero state convocate
sempre meno di frequente.
I due rami
del Parlamento inglese
Nella prima metà del Trecento, il Parlamento inglese
si divise in due camere: la Camera dei Lords
o dei Pari, che accolse i baroni e l'alto clero; la
Camera dei Comuni, che riunì le rappresentanze
delle città, del basso clero e della nobiltà minore.
Ali' approvazione del Parlamento furono sottoposte
anche le norme che dovevano entrare a far
parte del patrimonio legislativo del paese. Il tentativo
di Riccardo II (13 77-99) di utilizzare le ribellioni
dei contadini, scoppiate anche in Inghilterra
durante la guerra dei Cent'anni, per ridimensionare
il potere dei nobili fallì; dopo la sconfitta
degli elementi popolari, il sovrano fu costretto
a subire un nuovo controllo da parte del Parlamento.
A Riccardo II, costretto ad abdicare dopo
una nuova iniziativa antiparlamentare, succedettero
Enrico IV ( 13 99-1413) ed Enrico V ( 1413-
22), della famiglia Lancaster. Con questa dinastia,
i poteri del Parlamento subirono un ridimensionamento,
perché i nuovi sovrani riuscirono a limitarne
l'indipendenza usando l'arma della corruzione.
Le rivolte politiche e sociali
del secondo Trecento
Ai processi di transizione verso un nuovo ordine
politico che interessarono molte zone dell'Europa
si accompagnarono, nella seconda metà del Trecento,
rivolte popolari particolarmente significative,
sia nelle città sia nelle campagne.
Le conseguenze
dello spopolamento causato
. dalla este
Nel 1351 si esaurì in Europa la prima e più forte
ondata epidemica, definita la "peste nera" [ ooc.l
I focolai non si spensero del tutto e l'infezione
tornò a manifestarsi a intervalli irregolari nei decenni
successivi (1360-63, 1369, 1374-75). Si stima
che la popolazione dell'Europa - passata dai
trentacinque-quaranta milioni di abitanti intorno
al Mille ai settanta-ottanta circa di inizio Trecento
- alla vigilia della prima epidemia di peste fosse
discesa di qualche milione, a causa della crisi
agricola, e che, tra il 1347 e il 1351, morirono fra
FICA CAUSATA IN EUROPA DALLA PESTE NERA
11000000
21000 000
12 000 000
4 500 000
stre azioni inique, da giusta
ira divina, con il proposito
di emendarci, fu
mandata sui mortali, cominciata
alquanti anm
prima nelle regioni dell'Oriente,
dopo aver privato
quelle d'innumerevole
quantità di viventi,
diffondendosi senza sosta
da una regione all'altra,
s'era luttuosamente estesa
verso l'Occidente. E, senza
che contro di essa valessero
senno né provvedimenti
umani (per cui la
città fu ripulita da molte
immondizie da magistrati
istituiti a questo scopo, e
vi fu vietato l'ingresso a
tutti i malati, e furon dati
consigli per preservar la
salute) e neppure umili
suppliche rivolte a Dio,
da gente devota, non una
volta, ma molte, in processioni
ben ordinate o in
altri modi, quasi al principio
della primavera del-
1' anno predetto cominciò
ABITANTI NEL 1350
8 000 000
14 000 000
8 000 000
3 000 000
a far vedere i suoi effetti
in modo orribile e in maniera
straordinaria.
E non come aveva fatto in
Oriente, dove per tutti
coloro a cui usciva sangue
dal naso era presagio evidente
di morte inevitabile;
ma nel suo primo insorgere,
a maschi e f em -
mine ugualmente, o all'inguine
o sotto le ascelle,
nascevano certi tumori,
di cui alcuni crescevano
come una mela comune,
altri come un uovo, e
alcuni più ed altri meno.
La gente del volgo li chiamava
gavòccioli. Di lì a
poco il già detto gavòcciolo
mortale cominciò a
nascere e venire, dalle
due parti del corpo sopraddette,
m ogni sua
parte, indistintamente; e
poi ancora la manifestazione
dell'infermità predetta
cominciò a mutarsi
in macchie nere e livide,
che apparivano a molti
i venticinque e i trenta milioni di europei. Il crollo
demografico è testimoniato, in particolare, dai
resoconti delle castellanie, i documenti fiscali nei
quali venivano registrati anno dopo anno sia il
numero dei "fuochi", cioè le unità familiari, sia
l'entità dei "focaggi", cioè i proventi fiscali riscossi.
Questi resoconti, redatti dai funzionari che dovevano
procedere agli incassi, aiutano gli storici a
delineare l'andamento della peste e le aree di
maggiore o minore incidenza.
La diminuzione drastica della popolazione colpì
soprattutto le città sovraffollate, luogo ideale per
la diffusione del contagio, ma non risparmiò le
campagne. Naturalmente, il suo effetto si ripercosse
in modo pesante anche sulle attività economiche.
L'improvvisa scarsità di manodopera provocò
il calo della produzione agricola e manifatturiera,
l'abbandono delle terre coltivate e l'aumento
dei salari, quindi la crescita dei costi di
produzione e dei prezzi.
I decenni seguenti alla grande pestilenza furono
quindi un periodo di grave crisi economica, dalla
quale l'Europa si risollevò con molta difficoltà.
nelle braccia, e sulle cosce,
ed in ogni altra parte
del corpo, ad alcuni grandi
e rade, ad altri minute
e fitte. E come il gavòc-
. ciolo era stato nei primi
tempi (e continuava a essere)
indizio certissimo di
morte ventura, così lo
. erano queste macchie,
per tutti coloro a cui venivano.
A curare queste infermità
sembrava che non valesse
né servisse a nulla né senno
di medici né efficacia
di medicine; anzi, o che
non lo permettesse la na -
tura del male o che l'ignoranza
di quelli che prendevano
a medicarlo (e, oltre
gli uomini di scienza,
il numero di costoro, uomini
e donne che mai avevano
avuto nozioni di medicina,
era diventato
grandissimo) non sapesse
da che cosa nascesse e
quindi non ne cavasse i
dovuti rimedi, non solamente
ne guarivano pochi,
ma quasi tutti, entro
il terzo giorno dalla comparsa
dei sintomi sopraddetti,
chi prima e chi dopo,
e i più senza alcuna
febbre o altro accidente,
morivano.
E questa pestilenza fu di
forza maggiore, perché,
non diversamente da quel
che fa il fuoco con le cose
secche o unte, quando gli
siano molto avvicinate, da
coloro che n'erano infetti
si avventava, per i rapporti
che avevano tra di loro,
ai sani. Ed ebbe una caratteristica
ancor peggiore:
che non soltanto il
parlare con gli infermi, e
il frequentarli, comunicava
ai sani l'infermità e la
cagione di ugual morte;
ma sembrava anche che il
toccare i panni o qualunque
altra cosa da quegli
infermi toccata o adoperata
trasportasse con sé,
nel toccatore.
li, distruzÌoni di castelli. Étienne Marcel cercò di
cavalcare il fenomeno e di estenderlo al resto del
paese, ma morì assassinato. Da allora la parola
jacquerie rimase a designare tutte le rivolte spontanee,
mosse dall'oppressione e prive di programmi
ideali.
La rivolta contadina
in In hilterra
Nel 13 81 in Inghilterra si accese una violenta rivolta
contadina. La causa immediata fu la reazione
al tentativo di calmierare i salari e di aumentare
ancora le tasse. Ma la rivolta, come abbiamo già
ricordato, subì l'influenza delle dottrine di John
Wycliffe e dei lollardi, traducendo in termini sociali
il discorso essenzialmente teologico e religioso
di Wycliffe. I disordini e le violenze che si verificarono
in Inghilterra non furono molto diversi
da quelli francesi di un ventennio prima, e anche
qui la sanguinosa repressione fu concordemente
sostenuta dai nobili e dai ceti borghesi.
È però interessante notare che, rispetto a quella
francese, l'insurrezione inglese mostrò una magJohn
Ball chiama
alla rivolta
i contadini inglesi
Nel documento che
proponiamo - tratto dalle
Chroniques del francese
Jean Froissart (1337-1404)
- sono riportate le parole
di fohn Bali, uno dei capi
della rivolta contadina
inglese del 1381, che
esprimono tutto lo sdegno
per l'ostentazione dei ricchi
e l'assoluta miseria dei
poveri.
È uso in Inghilterra,
come m molti
paesi, che i nobili
abbiano grandi privilegi
sui loro contadini e li tengano
in servitù. [. .. ]
Questi miserabili [. .. ] commcrnrono
a sollevarsi,
per la ragione, dicevano,
che li si teneva in troppo
pesante servitù; e che, all'inizio
del mondo, non
c'era stato nessun servo
né ce ne poteva essere, a
meno che non tradisse il
suo signore, come Lucifero
fece contro Dio; ma essi
non erano di quella sorta,
perché non erano né
angeli né spiriti, ma uomini
fatti allo stesso modo
dei loro signori, e li si
teneva come bestie: cosa
che essi non volevano né
potevano più sopportare,
ma volevano essere uguali
agli altri e, se aravano o
facevano lavori agricoli
per i loro signori, volevano
per ciò ricevere un salario.
A queste chiacchiere
li aveva in passato iniziati
e spinti un pazzo
giore consapevolezza delle sue cause e dei suoi
obiettivi [ ooc.1. Fu insomma, almeno in parte,
un'insurrezione guidata da idee e da una visione
politica globale. E infatti queste idee influenzarono
altre regioni d'Europa: tra il 1378 e il 1385,
movimenti insurrezionali serpeggiarono anche in
Italia, Boemia, nelle Fiandre, in Linguadoca, in
Germania e nella penisola iberica.
prete inglese della Contea
di Kent, che si chiamava
J ohn Ball; per le sue folli
parole era stato gettato in
prigione più volte dall' arcivescovo
di Canterbury.
Infatti, questo J ohn Ball
era solito, la domenica
dopo la messa, quando
tutti uscivano dalla cattedrale,
mettersi sotto il
portico, e lì predicava e
raccoglieva il popolo intorno
a sé, e diceva:
«Buona gente, le cose
non possono andar bene
in Inghilterra né andranno
bene finché le ricchezze
non saranno messe in
comune e non ci saranno
più né nobili né contadini,
e saremo tutti uguali.
Perché quelli che chiamiamo
signori sono più
potenti di noi? A che cosa
sono utili? Perché ci
tengono in servitù? E se
veniamo tutti da un solo
padre e da una sola madre,
Adamo ed Eva, in
che cosa possono essi dire
o dimostrare che sono
migliori di noi, se non per
-il fatto che ci fanno produrre
col nostro lavoro
quello che essi spendono?
Sono vestiti di velluto
e di giacche foderate di
vaio e di petit-gris, e noi
siamo vestiti di misero
panno. Essi hanno i vini,
le spezie e il pane buono,
e noi abbiamo il fango, il
grano scadente e la paglia,
e beviamo acqua. Essi
hanno dimore e bei castelli,
e noi la fatica e il lavoro,
la pioggia e il vento
nei campi; e a noi, al nostro
lavoro, è dovuto il
rango che occupano. Siamo
chiamati servi, e veniamo
battuti, se non li
serviamo con sollecitudi-
sissima e ovvia, vista la quantità di luoghi di città
e di campagna malsani ed endemicamente infestati
da varie malattie.
A quanti, impossibilitati alla fuga, rimanevano in
città, si raccomandava di non avvicinarsi ai contagiati
e nel caso, prima di entrare in camera del
malato, di aprire porte e finestre in modo da cambiare
l'aria, di lavarsi le mani, il naso, la faccia e la
bocca con aceto e acqua rosata, e di tenere in bocca
due chiodi di garofano.
Qualcuno si ingegnò anche a ideare delle pasticche
contro la pestilenza, a base di erbe o altre sostanze,
ovviamente del tutto inefficaci. Alcuni
medici, poi, incidevano i bubboni, cioè i rigonfiamenti
delle ghiandole linfatiche provocati dalla
peste, ma è chiaro che questo non costituiva un rimedio
all'infezione, anzi, i ferri infetti contagiavano
altre persone.
Questo insieme di prescrizioni, seppure sortì
qualche effetto, fu comunque ben poco rilevante
di fronte alla violenza dell'epidemia.
Del resto, la scienza medica impotente finiva
spesso con lo sconfinare nella superstizione. Alcuni
tra i più celebri medici dell'epoca ricorsero
agli amuleti, cui erano attribuiti poteri protettivi:
il terrore del contagio rendeva le persone disposte
a credere a molte cose.
• LA CULTURA
Giovanni Boccaccio
Giovanni Boccaccio ( Certaldo o Firenze, 1313 -
Certaldo, 1375) era il figlio illegittimo di un mercante.
In realtà, egli sosteneva di essere figlio
nientemeno che della figlia del re di Francia o, comunque,
di una illustre dama francese, ma questi
racconti erano solo frutto della sua fantasia.
Ancora giovinetto fu spedito dal padre a Napoli
a lavorare nell'agenzia della Banca fiorentina
dei Bardi e questo lavoro gli permise di conoscere
una vasta gamma di tipologie umane che
poi tratteggiò magistralmente nel Decameron, il
suo capolavoro. A 27 anni dovette tornare a Firenze,
in seguito alla crisi della Banca dei Bardi,
ma nel frattempo aveva già cominciato a scrivere
opere importanti e aveva conquistato una solida
fama.
Divenuto ambasciatore del Comune di Firenze, fu
inviato ad Avignone dal papa Innocenzo VI e poi
anche dall'imperatore in Germania. Negli ultimi
anni della sua vita frequentò assiduamente Petrarca,
che considerava suo maestro. Sospettato ingiustamente
di congiura contro il governo di Firenze,
si dedicò alla religione, alla meditazione e alla ste-
Il tumulto dei ciompi
m una cronaca
del tempo
In questo racconto di un
cronista anonimo viene
descritto il nascere del
L a sera ne venia; el
popolo si passò il
ponte Rubaconte,
con esso il confalone della
giostizia, per accamparsi a
San Giorgio. Aveva allora
questo confalone Betto di
Ciardo di Campo corbolino,
riveditore, franco giovine
e atante. Sendo a San
Giorgio, non parve loro
stare tanti forti. Allora si
mossoro il detto confalone,
e si isciesono giù al
Ponte Vecchio e tennono
su per Porta Santa Maria,
e andaro retto al Canto alla
Macina, e andaro al palagio
di messere Stefano
in Belletri e ivi s'accamparo,
per quella sera. Po'
venne la mattina, sì come
piacque a Dio; e molti cittadini
si vennono a proferere
loro la notte, e d' essere
con loro a ciò che volessono
fare. Allora il popolo
si mandò per tutte
I' arti minute; e chi venne
e chi no. Sendovi questa
gente raunata, per numero
di sette migliaia d'uomini
d'arme, e' si diliberarono
che s'andasse a fare
di molto male. Piacque a
Dio ch'un'acqua fu sì forte
diluviata, che persona
non poteva andare per
via. Sì che si stette la brigata
infino a terza' anzi
che si movesse; poi diliberarono
fra loro che s'andasse
e sì si pigliasse il palagio
del podestà; e così
tumulto dei ciompi. Lo
scrittore lascia intendere
come all'inizio non vi fosse
alcuna coscienza della
propria situazione, ma solo
disperazione e furore.
Successivamente i ciompi
si organizzeranno e
formeranno una vera e
propria struttura politica.
mossoro d'accordo insieme,
e si giunsoro al detto
palagio del podestà, e si lo
intorniarono. Allora la famiglia
del podestà, eh' erano
in sulla torre, si cominciano
a gittare priete e
verettoni al popolo ed agli
artefici che v'erano.
Allora cominciò il popolo
a dire che, se nollo desse,
ché poi non vorrebbono
altro che carne di lui. Allora
balestrieri si andaro
in sullo campanile della
Badia, e si saettavano a
petto a que' del podestà;
ma poco facie' loro, che
co' sassi non lasciavano
apressare niuno al palagio.
Allora il popolo recaro
deschi da tavernai, e si
v' entraro sotto, e si gli posono
alla porta del detto
palagio, e si affocaro la
porta con molte scope.
Allora molti cittadini, vicini
del podestà, si accennano
al podestà co' cappucci
che non gittassero
più giù, e che, se volesse
dare il palagio, che sarebbe
salvo le persone. Allora
rispose eh' era contento
di dare loro il palagio, salva
la camera del comune;
ed e' risposono eh' erano
contenti di così fare. E ne
venne giuso ,colla sua famiglia,
con gran paura,
cheggendo merzede per
Dio. Allora il popolo entrò
dentro; ed e' si partì,
sanza essergli fatto niuna
villania. Giunsoro su nella
torre; e 'n sulla torre fu
posta una segnia d'arte di
fabbri, cioè di tanagli [il
gonfalone dei fabbri, che
raffigurava delle tenaglie].
E tutte l' altre insegne
dell'arti, grande e minute,
vi furono poste a le
finestre del podestà, con
esso il confalone della
giustizia, salvo che non vi
fu quella dell'arte dalla lana.
Sendo nel palagio detto,
si gittaro fuori ciò che
v'era, e si I' arsono, ogni
scrittura che trovaro nel
detto palagio. E quivi si
posaro, tutto questo dì e
tutta la notte, a onore di
Dio; molta gente vi ste',
ricchi e poveri, e ciascuno
per guardare il suo gonfalone
della sua arte.
Sì si mosse il popolo la
mattina, e si cavaro fuori
il gonfalone della giustizia,
del detto palagio, e si
n' andaro a la Piazza de'
signori, tutti armati, gridando:
«Viva il popolo
minuto». Allora l'aveva, il
detto gonfalone, in mano
Betto di Ciardo, riveditore.
Allora gridò tutto il
popolo a una: «ch'e signori
fossono mandati a
terra; e, se non volessono
uscire, che sì e' s'andasse
alle loro case».
Allora si giunse in sulla
Piazza uno Michele di
Lando pettinatore, figliuolo
di monna Simona,
trecca dalle Stinche, sanza
pezzo d'arme a lato o indosso;
e sì fu preso, e postogli
in mano il gonf alone
della giustizia; ed e' lo
prese per le mani, e per
salvallo per lo popolo minuto.
Allora si mandò a
dire a' signori che iscombrassoro
il palagio. Il palagio
era ben fornito di
ciò che bisognava; ma e',
com'uomini paurosi, s1
ne' usciro fuori per lo migliore.
Allora entrò suso
tutto il popolo, con esso il
gonfalone della giostizia;
e si giunsoro suso, entrarono
per tutte le camere,
e si trovarono di molti capresti,
i quali avien comperati
per impiccare i poveri,
eh' avevano rubati
quando s'arse da prima; e
si trovaro molte altre cose.
Andonne suso nella
torre molti giovani; e si
sonarono tutte le campane,
per vettoria eh' avevano
auto il palagio, a onore
di Dio. Po' si ordinarono
di fare ciò che fosse di bisogno,
per loro fortezza e
francamento del popolo
minuto.
Allora si feceno e chiamaro
signore e confaloniere
di giostizia questo Michele
di Lando, pettinatore, e
fu signore due dì.
Il dì detto, venne il detto
Michele di Lando in su la
ringhiera, con tutte le
trombe e suoni del comune,
e vennoro con lui gli
otto della guerra, e molti
altri cittadini; e sì si parlamentò
del buono confaloniere
di giostizia; e che
Dio gli desse onore e vettoria;
e che pigliasse l'uficio
sì come confaloniere
di giostizia. Ritornossi in
palagio con gran trionfo;
chi voleva niuna cosa di
• LA SOCIETÀ E LE ISTITUZIONI
Lo stato dei ceti
La volontà, da parte dei sovrani europei, di costituire
saldi organismi, unitari e omogenei, su
un'ampia base territoriale, dovette tener conto
dell'influenza politica ed economica dei feudatari,
degli ecclesiastici e della borghesia delle città.
L'affermazione di un'autorità centrale, infatti, andava
a discapito del potere accumulato col tempo,
per consuetudine, da questi ceti e con essi si
trovò a confrontarsi continuamente.
Fra il XIII e il XIV secolo il rapporto tra il sovrano
e le altre autorità tradizionalmente radicate nel
suo territorio non smise di essere conflittuale. D' altra
parte, fu proprio per garantirsi un reciproco riconoscimento
che il rapporto tra potere centrale e
potere locale assunse anche altri aspetti: in molti
Stati d'Europa, nacquero assemblee a diverso titolo
rappresentative, perché formate appunto da individui
che rappresentavano le principali forze
economiche, politiche e sociali del paese. Convocate
dal re o riunitesi spontaneamente, tali assemblee
assunsero denominazioni diverse nei singoli
paesi: il Parlamento inglese si riunì una prima volta
nel 1295 per volontà di Edoardo I; vennero poi
le assemblee e gli Stati generali &ancesi e, infine, le
Cortes spagnole e la Dieta imperiale in Germania.
Questa trasformazione del sistema feudale è stata
sottolineata da alcuni storici come passaggio dalla
monarchia feudale allo stato dei ceti.
I
I
La composizione e la funzione
delle assemblee dei ceti
I
In un primo momento, il compito di questi organismi
fu quello di esprimere al sovrano il consenso
e l'appoggio dei vari ceti, o stati, che componevano
il paese. La nobiltà e il clero anzitutto, ma
in parte anche le aristocrazie cittadine e i grandi • 1- • • • • • • proprietap terrieri, poterono espmners1 m pruno
luogo sulle questioni fiscali. Questo, infatti, era il
principalé oggetto del contendere e alle assemblee
spettava l'approvazione dei sussidi straordinari
richiesti dal sovrano. In un secondo tempo,
ma qui il processo fu ancora più complesso e contrastato,
acquisirono talvolta qualche voce in capitolo
sulle scelte politiche.
Il Parlamento inglese accrebbe lentamente ma
costantemente le sue prerogative. Sarebbe diventato,
con il tempo, un centro di decisione e di gestione
del potere autonomo dalla corona, fino a
configurare la tipica diarchia inglese fra re e Parlamento,
espressa dalla formula "il re (governa) in
Parlamento". Ma il caso inglese fu un'eccezione.
Nel resto d'Europa, le assemblee rappresentative
dei "grandi" del paese furono caratterizzate da
La peste e la religione
Il terrore generato dall'epidemia di peste suscitò
impressionanti fenomeni di fanatismo religioso.
Il più vistoso fu quello dei flagellanti, gruppi di
centinaia di persone che vagavano da una città
all'altra della Germania percuotendosi pubblicamente.
A queste e altre forme penitenziali, che
avevano lo scopo di placare l'ira divina (nell'immaginazione
popolare vera causa della pestilenza),
partecipavano o assistevano grandi folle.
Ma processioni come quelle dei flagellanti risultavano,
al contrario di ciò che si prefiggevano,
uno dei veicoli più efficaci di diffusione della
malattia.
I flagellanti ebbero un seguito popolare enorme
e finirono addirittura per arrogarsi poteri ecclesiastici,
per esempio impartendo i sacramenti durante
le loro cerimonie; rivolsero inoltre dure accuse
contro il clero corrotto. Per questo, la Chiesa
li accusò di eresia e fece in modo che fossero
dispersi con la forza. Processioni e riti si moltiplicarono
ovunque, con il fine di chiedere la protezione
o il perdono di Dio e dei santi patroni
delle città. In genere tutto l'ambito della religiosità
popolare, comprese le superstizioni, le sopravvivenze
di credenze pagane e i riti magici ricevettero
un forte impulso.
La scienza e la peste:
i rimedi della medicina
La scienza medica del tempo non disponeva di alcun
mezzo terapeutico in grado di combattere efficacemente
la peste. Alcuni medici cercarono di
trovare la maniera per prevenire il contagio, ma
dai risultati cui giunsero possiamo capire a quale
punto fossero le conoscenze mediche.
Secondo il medico bolognese Tommaso Del Garbo,
che visse l'epidemia del 1348, il primo e più
sicuro rimedio era quello di fuggire dal luogo infestato
e recarsi dove l'aria "fosse più sana". L'attenzione
per l"' aria", sia da parte dei medici sia
nel senso comune del tempo, era del resto diffu-
Alcuni famosi umanisti
In questo periodo nasce in parecchi stati dell'Italia
una forma di mecenatismo, simile a quella dei
tempì di Augusto, che stimola e incoraggia gli studiosi
alla ricerca e alla produzione di opere. Centri
importanti diventano Firenze, per la generosità
di Cosimo e Lorenzo de' Medici, Ferrara con
gli Estensi, Milano con i Visconti e poi gli Sforza,
Mantova con i Gonzaga e Napoli con gli Aragonesi.
Anche Roma vede rifiorire il culto della classicità
attraverso il mecenatismo di papi come Niccolò
V e Pio II.
In queste città nascono Accademie, a imitazione
dei Greci e di Platone, circoli di intellettuali dove
si commentano le opere classiche e si discute delle
grandi problematiche filosofiche.
A Firenze si affermò Co luccio Salutati ( 13 31-
1406). Fu per trent'anni cancelliere della Repubblica
fiorentina e fu amico di Petrarca e di Boccaccio.
Compose numerosissime Epistole latine,
sia pubbliche che private, che ebbero il grande
merito di rinnovare lo stile cancelleresco, già irto
di formule antiquate e barbare.
Sempre a Firenze divenne famoso Poggio Bracciolini
(1380-1459), il maggiore prosatore dell'Umanesimo
latino, oltre che infaticabile ritrovatore
di codici. Percorse la Svizzera, la Germania, la
Francia e la stessa Inghilterra, frugando nelle biblioteche
dei monasteri alla ricerca dei codici
scritti dai monaci che contenevano le grandi opere
degli antichi Greci e Latini. Trovò l'Institutio
oratoria di Quintiliano e soprattutto il De rerum
natura di Lucrezio, le Selve di Stazio e parecchie
orazioni di Cicerone.
Marsilio Ficino (1433-99) si è meritato un posto
nella storia per aver tradotto in latino le opere di
Platone e di Plotino.
A Roma ricordiamo Lorenzo Valla (1407-57), che
scrisse la famossima opera Della falsamente creduta
donazione di Costantino, ove si dimostra che è
priva di fondamento storico la leggenda che l'imperatore
Costantino, guarito dalla lebbra da papa
Silvestro, avrebbe a costui ceduto le terre del dominio
temporale, ritirandosi a Bisanzio.
A Napoli Giovanni Pontano (1426-1503) fu ritenuto
il più grande poeta dell'Umanesimo latino.
Divenne l'educatore, il ministro e il segretario di
molta parte della dinastia aragonese e compose in
latino opere di ogni genere, specialmente in poesia,
ispirandosi a Catullo, agli elegiaci latini e a
Ovidio.
La fuga degli intellettuali
da Costantinopoli
Il 29 maggio 1453 le armate di Maometto II entrarono
a Costantinopoli e sulle mura della città cadde
combattendo coraggiosamente l'ultimo imperatore
dell'Impero romano d'Oriente, Costantino XI Dragazès.
Dalla città in fiamme, devastata da un saccheggio
che durò tre interi giorni, fuggirono verso
ovest molti studiosi, portando con sé le opere greche
sulle quali avevano fino ad allora studiato. Approdarono
quasi tutti sulle coste dell'Italia meridionale
e si dispersero poi sul territorio italiano, accolti
con ogni onore in tutte le corti e a Roma.
Il Quattrocento vide a Messina una vera e propria
fioritura culturale: la città seppe esprimere il più
sura di opere erudite nella sua casa di Certaldo.
Morì il 21 dicembre 1375 e volle che sulla sua
tomba fosse messa questa lapide: Studium Juit alma
poesis, "Sua passione fu la divina poesia".
1 l Decameron
Il Decameron è una raccolta di cento novelle,
scritte in volgare.
Durante la peste del 1348 un gruppo composto di
sette fanciulle e tre giovani si ritira in una villa in
campagna. Qui passano il tempo tra canti, balli e
giochi e al pomeriggio decidono di raccontare
ogni giorno una novella ciascuno. Ogni giorno
viene eletto un "re" che decide il tema della giornata
e l'opera si snoda attraverso dieci giorni.
La realtà rappresentata nelle novelle è quella della
borghesia, che Boccaccio conosceva bene, con
una particolare attenzione per i mercanti, visti come
uno degli elementi propulsori della società.
Uno dei temi fondamentali delle novelle è l'amore,
visto anche nella sua fisicità, oltre che nella sua
dimensione spirituale.
Per questo suo rifarsi a una realtà concreta e vitale,
Boccaccio viene spesso accostato all'inglese
Geoffrey Chaucer (vedi p. 360).
La nascita dell'Umanesimo
Tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento
nasce e si diffonde in Italia e in Europa una
corrente di pensiero che viene chiamata Umanesimo.
Questo nome deriva da studia humanitatis,
espressione con cui Cicerone, il grande oratore,
filosofo e uomo politico latino, definisce gli studi
delle lettere che promuovono la formazione culturale
e spirituale dell'uomo.
Nel XV secolo, dunque, nasce un rinnovato culto
dell'antichità classica che si accompagna a un
nuovo fervore di vita spirituale e morale. Sul piano
letterario la caratteristica fondamentale degli
umanisti è l'imitazione dei modelli classici, così
esclusiva che, nella prima metà del XV secolo, si
rinuncia persino a scrivere in volgare per adottare
il latino. Già poeti e scrittori come Petrarca e
Boccaccio scrivevano poesie e interi poemi in latino,
ma nel XV secolo esprimersi in latino diventa
essenziale, dal momento che l'antichità classica
è vista come l'espressione, in letteratura, dell' assoluta
perfezione.
Ma l'Umanesimo non si limitò alla scoperta dei testi
latini e greci, copiati pazientemente durante il
Medioevo dai monaci, e alla loro imitazione. La
perfezione dell'età classica ispirò anche vere e proprie
norme di vita, una nuova concezione dell'uomo
e del suo ruolo nell'universo e nel mondo.
Emerge, infatti, dalle opere degli umanisti la concezione
dell'uomo come artefice del proprio destino,
fuori di ogni trascendenza medievale e ascetica.
ntare una risoruni
periodi stoper
il Decamententi
ha anche
ore uno spaccapo,
in particodel
XIV secoALLE
VAGHE DONNE
Nella "fotografia" che l'autore offre della
società spiccano le donne. Prima di tutto,
l'opera stessa è dedicata dallo scrittore alle
"vaghe [belle] donne" che, afflitte dalle
pene d'amore, erano costrette dalle regole
sociali a trascorrere tristi giornate
nelle loro camere, senza alcun intrattenimento
o diversivo che potesse consolarle.
Le donne, che mai fino ad allora erano
state destinatarie di un'opera letteraria,
rappresentano così il nuovo pubblico dell'età
comunale, che chiedeva alla letteratura
non solo messaggi edificanti, ma anche
un piacevole intrattenimento. Lungo
il XIV secolo, infatti, si era consolidata
l'alfabetizzazione del ceto mercantile in
concomitanza con l'istituzione delle scuole
comunali. Le donne, che pure partecipavano
in misura ridotta al processo di
scolarizzazione, rappresentano nel Decameron
proprio questo nuovo pubblico,
non costituito solo da dotti e intellettuali,
ma anche da quei mercanti e banchieri
che gestivano la vita politica dei Comuni
e in particolare di Firenze.
Ancora alle donne l'autore si richiama
quando immagina di doversi difendere
dalle critiche di chi non condivideva la sua
scelta di comporre cento novelle sugli infiniti
casi umani, dai più nobili ai più bassi e
volgari. A chi lo invitava a smettere di pensare
alle vaghe donne e di tornare a occuparsi
delle Muse (che rappresentavano il
simbolo di una letteratura edificante e solenne),
Boccaccio risponde che anche le
Muse son donne, simili nel loro aspetto
proprio alle donne del mondo, di quel
mondo che rappresenta la sua fonte continua
d'ispirazione.
Nell'opera le donne entrano prepotentemente
in scena. La galleria di personaggi,
davvero vastissima, si connota per una notevole
varietà di caratteri femminili, che,
frutto certamente dell'immaginario, rispecchiano
però anche le tipologie di donne
reali.
Il Lo scrittore fiorentino Giovanni Boccaccio in un
affresco di Andrea del Castagno (1450 ca.).
Lisabetta, Ghismunda, Simona e Griselda
sono i nomi di alcune di queste eroine, l'una
diversa dall'altra, ma accomunate dalla
: passione sentimentale e protagoniste di
· amori infelici.
LISABETTA
Lisabetta, in nome dell'amore, osa sfidare
i fratelli che avevano ucciso il giovane Lorenzo,
perché di condizione sociale inadeguata
alla sorella. Quella della donna è
una sfida, terribile e macabra: dissotterra il
capo dell'amato e lo sistema in un vaso cui
dedica amorevoli cure; una volta scoperta
!dai fratelli, non teme di accusarli e di sfi-
1dare la legge che imponeva alle donne
l'obbedienza e la sottomissione all'uomo.
Cresciuta in una ricca famiglia di mercanlti
di Messina, dove l'intraprendenza dove-
·va essere all'ordine del giorno, Lisabetta
dimostra di avere assimilato pienamente la
lezione.
GHISMUNDA
Identico è il destino della nobile e colta
Ghismunda. Rimasta prematuramente vedova,
viveva a Palermo nella dimora del
padre Tancredi che, solo e vecchio, aveva
riversato sulla figlia tutti i suoi affetti.
Quando Tancredi scoprirà che questa ha
µn amante, un giovane valletto della sua
casa, non esiterà a eliminarlo, non per la
differenza di rango, ma perché travolto da
pn'insana gelosia a causa della quale arriverà
persino a fargli strappare il cuore per
donarlo alla figlia in una coppa d'oro. Inyece
di abbandonarsi al pianto e alla di-
~perazione, Ghismunda si oppone al padre
tiranno e proclama l'uguaglianza degli
~sseri umani di fronte alla passione e, con
la scelta di togliersi la vita, compie l' estremo
atto di libertà e autodeterminazione.
JIMONA
A queste donne di alto lignaggio ( Ghismunda)
e di ricca condizione sociale (Lisabetta)
si accosta l'umile Simona, una lai
aiuola fiorentina che si guadagna da vivere
lavorando duramènte; anche lei è vinta
dalla passione dell'amore per Pasquino,
un giovane di pari condizione sociale, anche
lui lanaiuolo: giovane, innamorata, po- I
grande pittore siciliano di tutti i tempi, Antonello
da Messina, e fu tra i luoghi privilegiati di asilo in
Italia per questi dotti bizantini. Tra di essi, il notissimo
studioso Costantino Lascaris, che inaugurò
a Messina una scuola di greco, frequentata anche
da Pietro Bembo, come da altri dotti italiani,
ricevendo, alla fine della sua vita, la cittadinanza
messinese. Giovanni Argiropulo, invece, ebbe
una cattedra allo Studio fiorentino. Suoi allievi furono
Landino, Ficino, Poliziano e tradusse in latino
le opere di Aristotele.
Tra i grecisti più illustri che furono a Bologna
emerge il cardinale Giovanni Bessarione (1402-
72), che ebbe una funzione importante nel tentativo
di riavvicinare la Chiesa greca a quella latina.
La sua biblioteca fu la base della formazione della
grande biblioteca Marciana di Venezia. Svolse
anche incarichi diplomatici per vari papi e fu premiato
con la nomina a cardinale.
Il ruolo degli intellettuali
e studiosi bizantini in Italia
Già prima del 1453, data della caduta di Costantinopoli,
sotto l'assalto degli Arabi di Maometto
II, alcuni studiosi bizantini erano giunti in Italia
e avevano subito guadagnato una grande fama.
In effetti, la cultura e le opere degli antichi Greci
erano poco conosciute in Occidente.
Durante tutto il Medioevo era rimasta l'impronta
della civiltà latina e la conoscenza della lingua
greca antica e dei suoi autori si era molto affievolita.
Questi intellettuali ebbero il merito di portare in
Italia i codici con le opere di Platone e di Aristotele,
aprendo così grandi orizzonti culturali agli
umanisti.
Uno di questi studiosi fu Manuele Crisolora
(1355-1415), il vero iniziatore dell'ellenismo in
Italia. Fu chiamato da Coluccio Salutati a insegnare
greco a Firenze e fece scuola ai principali
umanisti, come il Niccoli, Leonardo Bruni e Poggio
Bracciolini. Compose pure la prima grammatica
greca a uso dei latini.
Il più famoso di tutti, però, fu senza dubbio Giorgio
Gemisto Pletone (1355-1450), da Mistra
(l'antica Sparta), grande ammiratore di Platone.
Era nato a Costantinopoli verso il 1355, da nobile
famiglia ma poi, dopo varie vicissitudini, si era
fermato a Mistra, a quel tempo capoluogo di un
principato greco. Qui ricoprì anche cariche pubbliche
e fondò una Scuola filosofica.
Gemisto Pletone non si limitò a far conoscere le
opere di Platone ma volle anche proporsi come
un grande riformatore religioso. Promosse la restaurazione
degli antichi dèi pagani e annunciò
che «il mondo intero avrebbe avuto una sola e
identica religione. [ ... ] Ed avendogli domandato
io, se sarebbe stata la fede di Cristo o quella di
Maometto, mi rispose: nessuna delle due, ma
un'altra non dissimile da quella dei gentili» (questo
episodio viene raccontato da un suo acerrimo
avversario, Giorgio di Trebisonda).
Un altro grande studioso bizantino fu Demetrio
Calcondila, che, nato ad Atene nel 1424, si trasferì
in Italia nel 1447 e insegnò greco a Perugia, Padova,
Firenze e Milano, dove morì nel 1511; ebbe
come discepoli il grande poeta Poliziano e i figli
di Lorenzo de' Medici.
Calcondila tradusse Galeno e Isocrate, ma soprattutto
lasciò una grammatica greca (Erotemata,
1493 ), strutturata con uno schema originale di
domande e risposte.
• La decadenza
della Chiesa
Nell'Europa del IX-X secolo la Chiesa cristiana
versa in una situazione di grave crisi: il papa è
spesso soggetto all'influenza della potente nobiltà
romana e il clero non è animato da vocazioni autentiche
né preparato alla propria funzione. Con
l'investitura dei vescovi-conti il fenomeno da un
lato si attenua, perché gli imperatori nominano
spesso personaggi degni e autorevoli, dall'altro si
aggrava, perché il clero è coinvolto negli interessi e
nelle lotte politiche, ed esposto a nuove occasioni
di corruzione, come la simonia, cioè la vendita delle
cariche ecclesiastiche.
• Ordini religiosi
e movimenti laici per la riforma
Nel 910 viene fondato, con il monastero di Cluny,
un ordine religioso che lotta contro la corruzione
e si sforza di determinare un rinnovamento della
Chiesa. Infatti è forte la protesta popolare contro lo
scandalo del lusso e dell'immoralità degli ecclesiastici,
dalla quale nascono movimenti laici di riforma,
come la pataria, che contesta l'autorità religiosa
e politica dei vescovi indegni. Alla fine dell'XI secolo
nascono poi due nuovi ordini monastici, i certosini
e i cistercensi, che richiamano i monaci ai valori
della povertà, dell'umiltà e del lavoro manuale.
Leone IX (1002-54) rivendica l'autonomia della
Chiesa dal potere politico e la superiorità del papa
e della Chiesa di Roma su tutto il mondo cristiano.
Questo provoca nel 1054 lo scisma (separazione)
da Roma della Chiesa bizantina, che ancora
oggi permane.
• Teocrazia
e lotta per le investiture
Papa Gregorio VII (1073-85) cerca di trasformare
la Chiesa in una struttura coesa agli ordini del papa
e ribadisce che alla sua autorità' devono essere
sottomesse tutte le istituzioni, non solo religiose,
ma anche civili, e lo stesso imperatore (teocrazia).
Nel suo decreto del 1075, chiamato Dictatus papae,
inoltre, rivendica al solo papato il potere di investire
i vescovi-conti. Di fronte a ciò l'imperatore
Enrico IV reagisce convocando a Worms un'assemblea
di vescovi che depone il papa (1076).
Questi, a sua volta, scomunica l'imperatore, privando
il suo potere del fondamento di legittimità.
Enrico IV, allora, si umilia di fronte al papa, attendendo
il perdono per tre giorni, scalzo nella neve,
a Canossa, ma poi, ristabilita la propria autorità,
attacca Roma e assedia il papa, che viene salvato
dai Normanni, suoi alleati (1084). La lotta per le
investiture si conclude solo dopo la morte dei due
principali contendenti, quando, nel 1122, Enrico
V, figlio di Enrico IV, e papa Callisto II firmano il
concordato di Worms, che di fatto assegna il diritto
di nominare i vescovi-conti all'imperatore in
Germania e al papa in Italia.
• I movimenti eretici
I movim~ti popolari per la riforma religiosa considerano
l'affermazione di una Chiesa ricca e potente,
secondo i princìpi della teocrazia, com~ un tradi-.
mento delle loro speranze di rinnovaménto. Tra il
XII e il XIII secolo questi movimenti contestano
apertamente la dottrina e, soprattutto, le istituzioni
ecclesiastiche, per cui vengono accusati e combattuti
come eretici. I più radicali sono i catari (o albigesi)
che rifiutano i sacramenti e tutti gli aspetti
mondani della Chiesa, e si dedicano a severissime
pratiche ascetiche; veng;no sterminati nel 1208 da
una vera e propria crociata bandita da papa Innocenzo
III: Sono perseguitati anche i seguaci di Pietro
Valdo, chiamati "poveri di Lione" (o valdesi),
che affermano la necessità della povertà per i veri
cristiani e il diritto per i laici di predicare il Vangelo.
• La duplice azione della Chiesa:
Inquisizione e ordini mendicanti
La Chiesa non solo lotta in armi contro le eresie,
ma ne scoraggia la diffusione istituendo l' Inquisizione
(tribunale ecclesiastico che ricerca e condanna
i sosp~tti eretici). Cerca però anche di riavvicinarsi
a umili ed emarginati attraverso l'azione di
nuovi ordini, detti mendicanti perché votati a vivere
di elemosine, in modo da riacquistare la fiducia
di coloro che desiderano una Chiesa povera e santa:
i &ancescani di Francesco d'Assisi e i domenicani
di Domenico di Guzman, che predicano alle
folle la dottrina cristiana e assistono i fedeli con la
carità e la preghiera.
m II fatto che Boccaccio, nel Decameron, dichiari di
aver pensato alle donne come destinatarie ideali
delle sue cento novelle testimonia che, nel Trecento,
anche le donne avevano accesso alla cultura.
vera, Simona è il prototipo, declinato al
femminile, del popolo minuto della città
di Firenze, dove il proletariato urbano
· contava sulle forze, anzi sulle braccia, di
molte donne.
GRISELDA
Accanto a loro tante altre donne di ogni
categoria sociale. Chiude l'opera la nobiltà
d'animo di Griselda, una contadina andata
sposa al marchese di Saluzzo che, dopo
averla presa in moglie, continuava a
rinfacciarle la sua umile origine. Solo dopo
tredici anni di violenze e di soprusi, Griselda,
insuperabile esempio di moglie innamorata
e paziente, viene infine accettata
come moglie e signora. È la vittoria della
tenacia femminile, una tenacia propria di
chi è di umili origini, di chi si è formata alla
vita con continue fatiche.
Il Emilia, una delle donne protagoniste
delle novelle di Boccaccio,
rappresentata prima delle nozze.
Il Griselda, la tenace protagonista
dell'ultima novella del Decameron
di Boccaccio.
• L'origine dei Comuni
Lo sviluppo economico e sociale determina una
diffusa esigenza di affrancamento dai vincoli feudali
e di autonomia economica e politica. Nelle
campagne i contadini formano Comuni rurali collegandosi
per porre qualche limite al potere del sig?-ore
feudale. Le antiche città, sopravvissute grazie
alla presenza del vescovo, rifioriscono, e nascono
nuovi centri urbani. In molte città, nobili e borghesi
maturano interessi comuni e si associano
creando istituzioni di governo locali: si formano
coniurationes (associazioni giurate) tra i cittadini
più importanti, cui a volte i feudatari riconoscono
dei privilegi. Il fenomeno, diffuso in quasi tutta
l'Europa occidentale, si evolve quando queste associazioni
si affermano come nuovi poteri cittadini,
svincolati dalla tutela dei signori feudali e danno
vita ai Comuni, guidati da magistratur~ collegiali
e assemblee rappresentative.
• Le città marinare italiane
Alcune città italiane sul mare fungono da principali
intermediarie negli scambi con l'Oriente. In
principio l'iniziativa viene da Amalfi, libero Comune
nell'839, la cui autonomia è interrotta nell'XI
secolo dal dominio normanno. Pisa liberatasi
dai marchesi di Toscana, partecipa ali~ crociate
ed estende la propria egemonia sulle coste tirreniche,
fino a quando la rivalità con Genova pone fin~
alle ~ue fortune. Genova eredita i domini pisam
nel Tirreno e fonda basi e porti in Medio Oriente
e nel mar Nero; alla fine del XIV secolo è sconfitt~
da Venezia, dopo un lungo confronto, e decade
m _modo irreversibile. Venezia è una Repubblica
gmdata da un doge scelto tra gli esponenti delle
famiglie principali, di antica origine nobile ma
~edite al commercio; i suoi mercanti si spingono
fmo all'Estremo Oriente, ma l'arrivo dei Turchi
Ottomani e la scoperta dell'America (1492) danno
inizio alla sua decadenza.
• Federico I di Svevia
e lo scontro con i Comuni
Dopo la fine della dinastia di Franconia, una lunga
lotta per la successione al trono imperiale si
apre tra la casa di Baviera, i Welfen (da cui guelfi),
e la casa di Svevia, gli Hohenstaufen, possessori
del c_astello di Weiblingen (da cui ghibellini), che
termma con l'ascesa al trono di Federico I di Svevia,
detto il Barbarossa (1152), imparentato con
entrambe le fazioni. Federico I interviene in soccorso
al papa per abbattere il Comune popolare
creato a Roma da Arnaldo da Brescia e si fa inco-
(1155). Federico I afferma il
principio dell'autorità imperiale sui Comuni italiani
e sul papato nella Dieta di Roncaglia (1158) e viene
scomunicato dal papa Alessandro III sostenuto
dai Normanni e dai Comuni. La lotta,porta nel
1_1?2 alla 1istruzione di Milano, centro dell'opposizione
ali Impero; per reazione decine di Comuni
si alleano nella Lega Lombarda (1167). Questa nel
117 6 sconfigge le truppe imperiali a Legnano e costringe
l'imperatore prima alla pace di Venezia
( 1177), poi alla pace di Costanza ( 1183) con la
quale i .Comuni riconoscono formalmente' l'imperatore
come loro signore, ma conservano pienamente
la loro autonomia. Tramonta così il sogno
del Barbarossa di ricostituire un Impero universale
e cristiano.
• Le istituzioni comunali
Nel Comune inizialmente il potere esecutivo è attribuito
· a una magistratura collegiale, formata dai
consoli, eletta da un'assemblea (arengo) che detiene
il potere legislativo. Lo scontro tra le fazioni
nell' ~sse~bl~a è acceso: per evitare disordini spesso
s1 _attr~bm~cono ampi poteri a consigli più ristretti
o si affida temporaneamente il governo a un
podestà, in genere forestiero perché sia al di sopra
delle parti. Con il tempo aumentano la consistenza
numerica e il peso politico del "popolo", cioè la
borghesia dei commerci, dell'artigianato e delle
professioni. Il "popolo" è rappresentato dalle arti o
corporazioni (associazioni che riuniscono coloro
che esercitano la stessa professione o mestiere) che
ne difendono gli interessi, e in seguito assumon'o un
n._iolo poli_tico. ~gni arte si organizza con propri ordinamenti,
magistrature e milizie, che spesso si
contrappongono nelle lotte cittadine alle forze dei
magnati (i cittadini più ricchi e influenti, che detengono
il potere), riuscendo a volte a rovesciarne
il dominio e a instaurare un governo popolare.
CROCIATE,
pp. 251-55
ROTAZIONE TRIENNALE,
p.259
NUOVI GENERI LETTERARI,
pp. 262-63
• L'espansione dell'Europa
Alla fase di sviluppo dell'XI-XIII secolo corrisponde
una forte tendenza ali' espansione territoriale
e politica: la nobiltà europea muove alla
conquista di vasti territori sia verso l'Europa
orientale slava, sia verso il Medio Oriente e la
Spagna occupati dagli Arabi. Il fenomeno si deve
alla nuova abbondanza di risorse umane e materiali
rese disponibili dalla rinascita economica e
demografica, ma alla sua base ci sono anche motivazioni
religiose e politiche, frutto dell'influenza
conquistata dalla Chiesa teocratica sulla società.
Un altro aspetto dell'espansione europea è costituito
dai grandi viaggi alla scoperta di terre lontane
di missionari e mercanti, tra i quali sono celebri
le spedizioni in Cina, tra il 1271 e il 1295, del
veneziano Marco Polo, raccontate poi nel suo libro
Il Milione.
• La Reconquista della Spagna
Tra la fine dell'XI e l'inizio del XIII secolo, i re
iberici guidano i nobili di tutta Europa nella vittoriosa
guerra contro i Mori di Spagna, ispirata dalla
Chiesa, che prende il nome di Reconquista. Al
tollerante e colto dominio arabo, con il suo sviluppo
commerciale e la sua agricoltura specializzata,
si sostituiscono Regni feudali economicamente e
culturalmente arretrati, dai quali gli Arabi verranno
espulsi per ragioni religiose.
• L'espansione dei Normanni
Dopo aver conquistato la Francia del Nord e l'Inghilterra
(battaglia di Hastings, 1066) i Normanni
attaccano e conquistano la Sicilia araba sotto la
guida di Ruggero d'Altavilla (1091). Suo figlio
Ruggero II unifica i feudi normanni creando un
regno feudale amministrato da un'efficiente burocrazia.
• Le crociate
La conquista di Gerusalemme da parte dei Turchi
Selgiuchidi provoca in Europa una forte reazione
e papa Urbano II al concilio di Clermont (1095)
incita i cristiani ad armarsi per liberare il sepolcro
di Cristo, suscitando lo spirito della crociata. Dopo
la disordinata e fallimentare crociata spontanea dei
"pezzenti" guidati da Pietro l'Eremita, la crociata
nobiliare del 1096, capeggiata da nobili normanni
e francesi come Goffredo di Buglione, conquista
la città santa dopo lotte sanguinose (1099), per poi
fondare dei regni feudali, assai instabili a causa
delle rivalità reciproche. Dopo la riconquista di
Gerusalemme per man
( 1187), alla terza crociat
sovrani europei. Con la
quistata Bisanzio e si fo
riente. Con le ultime du
dette dal sovrano frances
1270, si esauriscono i te
Terra Santa.
• La società
A partire dall'XI-XII se
potere imperiale, combi
nomia acquisita dai sig
europea più sicurezza e
nomiche che offrono ag
lità e introducono una
crescita della popolazio
produzione agricola col
nute tramite disboscam
incolti. La diffusione di
denti (aratro pesante) e
più efficaci (rotazione tri
tenere maggiori rendim
coltivate. L'aumento de
le città una rete di mere
la società e offrono occas
pria condizione econom
do un'intensa migrazion
tà e favorendo il riemer
parse dal mondo medie
medici, notai...) o lana
(banchieri).
• La cultura
Alla rinascita economica
mento culturale che vede
e la nascita di nuovi gene
valleresco, il romanzo "c
fusione degli stili romani
e un notevole rifiorire de
nelle città la nascita di se
zione delle figure professi
struzione della borghesia
• L'Impero da Federico I
a Federico Il
L'imperatore Federico I, detto il Barbarossa, esce
sconfitto dalla lotta contro i Comuni e contro il
papa Alessandro III, che nel III Concilio Lateranense
ribadisce la sua indipendenza dall'Impero.
Federico I riesce però ad assicurare alla sua casata
il Regno di Sicilia, combinando il matrimonio del
figlio, il futuro Enrico VI, con Costanza d' Altavilla,
l'erede dell'ultimo re normanno.
Salito al trono imperiale alla morte del padre
(1190), Enrico VI riesce a domare le ribellioni dei
feudatari tedeschi e a esercitare una grande influenza
su tutta l'Italia, ponendo la stessa Roma
sotto il suo controllo. Enrico VI muore a trentadue
anni (1197) e lascia un figlio, il futuro Federico II,
che a soli tre anni è proclamato re di Sicilia, e qui
viene cresciuto dalla madre.
Nel 1198 il guelfo Ottone di Brunswick è eletto re
di Germania; seguono anni di lotte intestine, finché,
sostenuto dal papa Innocenzo III, nel 1209
diventa imperatore.
• Federico Il di Svevia
e lo scontro con il papato
Federico II a quattordici anni sposa Costanza
d'Aragona, una donna più anziana di lui che lo fa
entrare in contatto con la cultura europea. Federico
II vive a Palermo in un clima di tolleranza, di
apertura e ricco di stimoli; è un sovrano raffinato e
colto, conosce i classici e l'arabo e si circonda di
letterati e studiosi. Nel 1214, con la sconfitta di
Ottone di Brunswick a Bouvines contro i Francesi,
Federico II diviene re di Germania e, dopo la
morte di Innocenzo III (1216), riunifica le corone
dell'Impero e di Sicilia.
Il nuovo papa Gregorio IX (1227 -41) riafferma l'idea
teocratica e la superiorità della Chiesa sull'Impero:
appoggia una nuova lega di Comuni italiani
e attacca violentemente Federico II, che scomunica
per non aver organizzato la sesta crociata
in Terra Santa. L'imperatore tratta allora con il sultano
d'Egitto e ottiene il possesso dei luoghi santi,
ma non il perdono del papa, che lo accusa di collaborare
con gli infedeli.
• La sco.nfitta di Federico Il
e la fine della dinastia sveva
Tornato in Italia, Federico II ottiene la revoca della
scomunica e cerca di creare un'alleanza filoimperiale
nell'ItiÙia settentrionale per contrastare i
Comuni, che sconfigge nel 123 7 a Cortenuova. Ma
la resistenza dei Comuni, appoggiati dal nuovo papa
Innocenzo IV, continua, e Federico II, sconfitto
nel 1248 a Vittoria e nel 1249 a Fossalta, muore
nel 1250 senza aver portato a termine il proprio
progetto politico: fare dell'Italia e della Sicilia un
Regno unito e forte dentro l'Impero.
Alla sua morte, in Italia sale al potere il figlio Man-
&edi, mentre l'altro figlio, Corrado, cerca di farsi
eleggere imperatore. Corrado muore nel 1254 e
Manfredi viene ucciso a Benevento nella battaglia
contro Carlo d'Angiò, pretendente al trono di Sicilia
(1265). Il nipote Corradino, battuto a Tagliacozzo,
viene decapitato a Napoli nel 1268.
• Le istituzioni, la società, la cultura I
Nella concezione politica di Federico II il potere
imperiale è lo strumento terreno della giustizia divina,
cui ogni suddito è legato da un sacro vincolo
di fedeltà. Tra Chiesa e Impero non dovrebbero
sorgere conflitti, perché scopo di entrambi i poteri
è la salvezza dell'umanità. Nel 1231 Federico II
emana le Costituzioni di Melfi, che unificano la legislazione,
accentrano il potere in mano al sovrano
e proclamano l'eguaglianza dei cittadini davanti alla
legge.
In campo economico Federico II favorisce il commercio,
unificando pesi e misure, coniando monete
d'oro garantite dallo Stato e ricostruendo la flotta.
Su prodotti essenziali mette in atto una sorta di
statalizzazione, ma abolisce le dogane interne e introduce
nuove colture (cotone e canna da zucchero),
facendo rifiorire l'agricoltura.
In campo culturale Federico II è un grande mecenate
e la sua corte diventa un vero e proprio laboratorio
delle nuove istanze intellettuali. Fonda la
Scuola di Capua, dove si insegna l'arte dello scrivere
(ars dictandi), l'università di Napoli e la Scuola
salernitana di medicina. Ma la manifestazione
culturale più importante è la Scuola siciliana , formata
da poeti che scrivono in siciliano e "inventano"
il sonetto e la canzone. La scuola cessa di esistere
con la morte di Federico II, ma la sua esperienza
si trasferisce in Toscana e contribuisce alla
nascita del "dolce stil novo".
DANTE ALIGHIERI,
pp. 312-13
SIGNORIE FEUDALI E URBANE,
pp. 302-04
SCUOLE E UNIVERSITÀ,
pp. 307-09
CHIERICI VAGANTES,
pp. 310-11
• Guelfi e ghibellini in Italia
La distinzione, nata in Germania, tra guelfi e ghibellini
viene utilizzata in Italia per distinguere i sostenitori,
rispettivamente, del papato e dell'Impero
nella lotta tra i due poteri. Spesso, all'interno di
un Comune, tra le fazioni rivali nate sulla base di
interessi e clientele locali, e costituite da esponenti
sia dei magnati sia del popolo, una si schiera tra
i guelfi e l'altra tra i ghibellini.
• Le oligarchie cittadine
Le famiglie che ottengono posizioni di preminenza
nelle città tendono a concentrare il potere nelle
proprie mani, distribuendo le magistrature principali
tra i loro componenti: si costituiscono così in
alcune città i governi oligarchici. Per esempio a Venezia
l'oligarchia dei mercanti, a partire dal 1297,
esclude nuove immissioni alle più importanti magistrature
e nel 1310 crea una nuova potentissima
istituzione, il ·consiglio dei Dieci. A Firenze, alla
fine del XIII secolo, prevalgono i guelfi, che a loro
volta si dividono in bianchi (filoimperiali) e neri
(filopapali); vincono i neri e formano un governo
popolare che esclude i magnati dal governo, ma alla
metà del XIV secolo la reazione dei magnati
porta a un governo di tipo oligarchico. Alla vita
politica dell'epoca partecipa Dante Alighieri ( 1265-
1321), guelfo di parte bianca, che ne scrive nella
Divina Commedia.
• Le Signorie
L'instabilità politica dei governi comunali favorisce,
in alcune città, il consolidarsi della supremazia
di nobili e potenti signori feudali del contado (le
campagne circostanti alle città), come Ezzelino III
da Romano nel Veneto, i conti di Savoia in Piemonte,
i Montefeltro nelle Marche: si formano così
le prime Signorie feudali. In altre città, ma in
epoca più tarda, le magistrature cittadine si concentrano
in mano ai membri di una stessa famiglia,
come i Visconti a Milano, gli Este a Ferrara, i
Gonzaga a Mantova: nasce la Signoria urbana, dove
il signore della città, esponente di una famiglia
ricca e potente, governa svuotando di potere le
istituzioni comunali e trasmettendo la carica ai
propri discendenti.
• La società comunale
Nella società comunale c'è un'attenzione particolare
ali' esibizione della ricchezza e della potenza:
le famiglie dei notabili risiedono in eleganti palazzi
e maturano sensibilità per le arti e la letteratora,
mentre le autorità ci ·
realizzando luoghi d'inca
mercati o le piazze su cui s
munali. Acquisisce un rili
mercante, che forma l' éli
cerca di assimilarsi nei gu
nobili, anche se questi lo
sprezzandone le origini p
ca l'emarginazione degli
quartieri separati dal rest
cesso loro di esercitare il
bito ai cristiani come pec
riodi di crisi economica
delle loro case.
• La cultura
Nei Comuni lo sviluppo
tecipazione alla vita poli
la formazione di figure
svolgere importanti funz
necessario che i figli de
aritmetica, diritto e lati
ganizzano scuole pubblich
esigenza diffusa. Nascon
versità, libere associazio
che si autogovernano ra
ti, stabilendo regole e ob
lievi, elaborando i progr
studi. Queste istituzioni
te tentativi di ingerenza
munali, che vorrebbero a
riescono a mantenere la p
ciando di trasferirsi altro
gio e risorse alla città. Gli
spesso da una città all'alt
tes) per seguire le lezioni
vunque, godono di rispett
se le loro condizioni econ
costringono a cercare os
dedicarsi all'insegnament
per ricavare qualche guad
• Il progetto teocratico
di Innocenzo lii
Papa Innocenzo III (1198-1216) sviluppa il disegno
teocratico di Gregorio VII, impegnandosi in
un'azione politica volta ad affermare la supremazia
del papa anche sul piano temporale.
Egli assume la tutela di Federico II e lo candida al
trono imperiale; sostiene la Reconquista della Spagna
contro gli Arabi; promuove la quarta crociata
in Terra Santa; contrasta l'eresia catara in Provenza;
infine, un anno prima di morire, convoca a Roma
il Concilio Lateranense (1215) per riorganizzare
la Chiesa e rafforzarne il controllo sulla politica
europea.
• La figura e l'opera
di Bonifacio VIII
La crescente partecipazione della Chiesa alle questioni
temporali provoca la reazione di chi vorrebbe
una Chiesa attenta solo alle questioni spirituali.
Questa istanza pare affermarsi con l'ascesa al
papato di Celestino V (1294), un umile eremita,
scelto perché ritenuto facilmente manovrabile e
poi costretto ad abdicare da manovre politiche che
portano ali' elezione di Bonifacio VIII (1294-
1303 ), membro della potente famiglia romana dei
Caetani.
Spregiudicato e abile politico, Bonifacio VIII attacca
la famiglia rivale dei Colonna, costringendoli
a riparare in Francia; reprime le proteste degli
spirituali francescani; s'intromette nelle vicende di
Firenze e nella lotta tra Angioini e Aragonesi nell'Italia
meridionale. Inoltre, per riaffermare l' autorità
papale sul mondo cristiano e raccogliere offerte,
indice nel 1300 il Giubileo, promettendo ai
fedeli il perdono dei peccati in cambio di un pellegrinaggio
a Roma.
• Il contrasto tra il papa
e il re di Francia
Bonifacio VIII entra in contrasto con il re di Francia
Filippo IV il Bello per la decisione del sovrano
di tassare il clero e impedire alla Chiesa francese
d'inviare tributi a Roma. Il papa riafferma il suo
potere sulla Chiesa come unico e superiore a quello
di ogni re con la bolla Unom Sonctom (1302), ma
Filippo IV convoca un'assemblea di rappresentanti
dei ceti sociali del regno, gli Stati generali, che
ribadisce l'investitura divina e l'autonomia del potere
regio. Filippo IV, inoltre, accusa il papa di gravi
colpe e nel 1302 lo fa catturare; l'anno dopo Bonifacio
VIII muore.
• La "cattività avignonese"
e lo scisma d'Occidente
L'affermazione delle monarchie nazionali tende a
indebolire il potere del papato. Clemente V (1305-
1314), successore di Bonifacio VIII, è un cardinale
francese che, cedendo alle pressioni di Filippo il
Bello, trasferisce la corte papale ad Avignone, dove
risiederà fino al 13 77, subendo costantemente
l'influenza della monarchia francese, ma consolidando
le finanze e l'apparato burocratico della
Chiesa. Le critiche a questa secolarizzazione della
Chiesa èonvincono papa Gregorio XI a tornare a
Roma, ma i cardinali francesi reagiscono nominando
un antipapa (1378): si apre così lo scisma
d'Occidente, che durerà fino al concilio di Costanza
(1417).
• I movimenti pauperistici
Contro la secolarizzazione nascono anche movimenti
di protesta accomunati dall'ideale pauperistico
di una Chiesa spirituale, povera e vicina agli
umili. Tra di essi i gioachimiti, seguaci di Gioacchino
da Fiore, e gli spirituali francescani, che ritengono
di non dover possedere beni terreni e criticano
il lusso e la corruzione della Chiesa; sono
tutti dichiarati eretici e combattuti con una violenta
repressione.
Un movimento più radicale è quello degli apostolici
di frate Dolcino, nemici di ogni gerarchia sociale,
talvolta violenti e fautori di una sorta di comunismp
evangelico, che vengono sterminati nel
1307.
In Inghilterra prende vita il movimento dei lollardi,
guidati dal teologo francescano John Wycliffe
(1320-84), che non riconosce l'autorità né la funzione
della Chiesa e sostiene la necessità di un rapporto
diretto tra l'uomo e Dio, non mediato dal
clero, basato sulla lettura personale della Bibbia,
che viene perciò tradotta in inglese. I lollardi animano
nel 1381 una grande rivolta contadina e,
nonostapte la dura repressione, sopravvivono e
continuano a influenzare i movimenti religiosi successivi.
'
• La cultura
Con Francesco Petrarca (1304-74), poeta e saggista,
nasce una nuova figura di intellettuale, cosmopolita
e totalmente dedito allo studio. Il suo capolavoro
è il Canzoniere, la raccolta della sua produzione
poetica, scritto in volgare, ma importanti sono
anche i suoi saggi e poemetti in latino, e le sue
Lettere.
STATO PONTIFICIO,
pp. 341.-45
COSTITUZIONI DI CLARENDON,
pp.350,354
MAGNA CHARTA LIBERTATUM,
pp. 352, 355-57
• La fine dell'idea
di Impero universale
Morto Federico II l'Impero entra in una grave crisi,
perché incapace di svolgere il suo ruolo di governo
universale. In Italia e in Germania si assiste
alla formazione di piccoli principati e leghe cittadine,
mentre in altre regioni europee l'aspirazione
alla pace e alla sicurezza porta alla formazione di
Stati unitari.
• La Sicilia e l'Italia meridionale
Nel 1282 i nobili siciliani si ribellano agli Angiò facendo
intervenire Pietro III, re d'Aragona. La
guerra dura vent'anni e alla fine la corona di Sicilia
viene affidata a Federico d'Aragona, figlio di
Pietro III. Il Regno di Napoli resta così agli Angioini,
mentre gli Aragonesi regnano in Sicilia e
nel 1442 riusciranno a unificare sotto il proprio
potere tutta l'Italia meridionale.
• La penisola iberica
Viene raggiunta una relativa unità tra i Regni iberici
cristiani nella lotta per la Reconquista dei territori
occupati dagli Arabi, che vengono sconfitti a
Las Navas de Tolosa (1212). Si affermano quindi
il Regno di Castiglia, che si espande nelle regioni
centrali, e i Regni di Aragona e di Portogallo, che
si sviluppano sulle coste e si aprono ai traffici marittimi.
• I domini pontifici
Sui territori dello Stato pontificio il papato rafforza
il proprio controllo: accentra il potere togliendolo
ai signori locali; riforma l'elezione del papa, affidandola
al collegio dei cardinali; riordina i codici
legislativi e gli uffici finanziari che amministrano
tributi e offerte.
• La Francia
Nella Francia feudale la grande frammentazione è
lentamente superata dal rafforzamento della monarchia
capetingia, che allarga i propri domini e
crea con Luigi VII (1137-80) una prima rete di
funzionari regi, esautorando in parte i feudatari.
Il potere dei Capetingi viene però minacciato dalle
nozze tra l'inglese Enrico Plantageneto (il futuro
re Enrico II) e la francese Eleonora d' Aquitania:
in tal modo il sovrano inglese diventa anche
feudatario del re di Francia, ponendo le basi di un
conflitto secolare.
Filippo II Augusto (1180-
Francia, combatte gli Ingle
sconfiggendoli a Bouvines
ni del regno. Luigi IX, d
rafforza il prestigio della
fama di equità, indice due
e ristabilisce la pace con g
• L'ln hilterra
Il Regno d'Inghilterra na
stings ( 1066) dei Norma
quistatore su Angli e Sas
l'ordine amministrativo e
il sistema politico feudal
do e accentrato. Per or ·
1085 viene iniziata la
Book, il più antico catast
to il Medioevo. È un' op
ga minuziosamente tutti
nomi dei proprietari, le
dite relative, garantendo
trate fiscali regolari.
Enrico II (1154-89), pr·
Plantageneti, consolida 1
nistrativo e, con le Costit
sottomette il clero ingle
vocando la reazione
Becket, poi misteriosam
Sotto Riccardo I, detto
il regno è indebolito d
Giovanni, detto Senzater
di sfruttare l'assenza e la
pegnato nella terza croci
vanni Senzaterra prose
Francesi, ma Giovanni
(1214) da Filippo II. App
za del sovrano, i nobili in
mare la Magna charta I/ber
mita i poteri del re, vine
materia tributaria e mili
un'assemblea di venticin
Il figlio di Giovanni, Enri
riaffermare l'autorità regi
re un consiglio di quindic
no due cavalieri per ogn
per ogni città: si manifest
brionale di monarchia pa
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RIVOLTE POPOLARI,
pp. 399-401
TUMULTO DEI CIOMPI,
pp. 402-03
UMANISTI,
pp; 407-09
GIOVANNI BOCCACCIO,
pp. 406-07, 410-11
• Il Regno di Francia
e la guerra dei Cent'anni
Filippo IV il Bello (1285-1314) amplia il suo regno
e allarga la rappresentanza politica dei sudditi negli
Stati generali. Nel 1328, morto il re Carlo IV,
un'assemblea di nobili elegge re Filippo di Valois,
nipote di Filippo IV, ma contro questa designazione
si oppone il re d'Inghilterra Edoardo Ili, che,
essendo anch'egli imparentato con Filippo IV,
vanta diritti sul Regno di Francia. Scoppia la guerra
dei Cent'anni, così chiamata perché dura dal
1337 al 1453, che si conclude con la cacciata degli
Inglesi dal territorio francese.
• I Regni di Castiglia e d'Aragona
La relativa unità interna raggiunta dai Regni iberici
durante la Reconquista viene meno a guerra conclusa:
in Castiglia la nobiltà feudale recupera i poteri
tradizionali, mentre in Aragona il re è costretto
a riconoscere le Cortes, assemblee rappresentative
dei nobili e delle città.
• L'Impero
Gli ultimi fallimentari tentativi di restaurare la potenza
imperiale, scendendo in Italia e facendosi incoronare
dal papa, sono di Enrico VII ( 13 08-13) e
Ludovico il Bavaro (1314-47). Poi l'Impero diventa
un insieme di principati, senza un vero potere
centrale. Nel 1356, con la Bolla d'oro, il titolo imperiale
diventa elettivo.
• I territori pontifici
Durante la "cattività avignonese", a Roma l'assenza
del papa genera disordini, lasciando spazio
al tentativo repubblicano del popolano Cola di
Rienzo (1347), fino all'intervento restauratore
del cardinale Egidio di Albornoz ( 13 54).
• La peste e le rivolte
politiche e sociali
A partire dal 1348 l'Europa è sconvolta dalla peste,
venuta dall'Oriente e trasmessa dalle pulci dei
topi. I medici non sono in grado di curarla e le misure
preventive disposte dall'autorità sono poco
efficaci. Il calo demografico è dovunque gravissimo:
muore circa un terzo della popolazione europea,
provocando una pesante crisi economico-sociale.
L'aggravarsi della condizione contadina e altri fattori
come le guerre provocano grandi rivolte popolari.
In Francia, nel 1356, i mercanti parigini si
scontrano con il re, chiedendo effettivi poteri politici
per gli Stati generali. Nel 1357 divampa, rapida
e sanguinosa, un'insurrez·
tadini, la cosiddetta jacqueri
to dalla fame, che viene re
Anche in Inghilterra, nel 13
ta contadina, alla quale per
no John Wycliffe, ispiratore
lardi, dà una base teorica e
quali il rovesciamento dell'
le. A Firenze, nel 1378, gli
ciompi, si ribellano e chie
per partecipare al govern
successo iniziale, il tumult
si forma un governo oliga
• Le istituzioni e l
Le monarchie nazionali, ·
e in Inghilterra, si rafforz
teri tradizionali (nobili,
ni ... ), ma favoriscono la c
rappresentative, che i re
consultivi per l' approvaz·
della loro politica. In Fra
lo talvolta sembrano in g
lo di controllo politico,
Parlamento diventa con ·
peso della monarchia; a
1295, nel XIV secolo si di
la dei Lords e quella dei
In Italia, grazie al mecen
cune città, sorgono le ac
lettuali che studiano e co
siche; sono gli umanisti,
concezione dell'uomo, vis
prio destino.
Giovanni Boccaccio ( 1313-
una raccolta di cento no
che rappresenta mirabilm
della borghesia del tempo
corona, rapporti fino a quel
momento basati su
consuetudini che non
sempre venivano
rispettate. La Magna charta
era espressione degli
interessi di un gruppo di
aristocratici che
rivendicavano privilegi, ma,
nonostante questo, essa
produsse conseguenze che
andavano ben oltre i calcoli
ed i baroni, abbiamo di
nostra libera volontà garantito
e confermato con
una nostra carta la libertà
delle elezioni ecclesiastiche
- diritto della più
grande importanza per la
Chiesa - ed abbiamo
inoltre ottenuto che ciò
fosse confermato da Papa
Innocenzo III. La quale
libertà noi osserveremo in
perpetuo e talmente vorremo
che sia fatto dai nostri
eredi.
Abbiamo anche accordato
a tutti gli uomini liberi
del nostro regno, per noi
ed i nostri eredi in perpetuo,
tutte le libertà specificate
qui sotto, per essere
possedute e conservate da
essi e dai loro eredi come
provenienti da noi e dai
nostri successori in perpetuo.
Il riscatto
2, Venendo a morte un
conte, un barone, o altra
persona che possegga delle
terre direttamente per
concessione della corona,
in cambio del "servizio di
cavaliere", il suo erede -
se è maggiorenne - potrà
avere la sua eredità solo
su pagamento della antica
misura del "riscatto".
[Era una sorta di tassa di
successione. Questo articolo
mirava a fissare i vari
di chi l'aveva caldeggiata:
aprì la strada a una più
generale applicazione dei
princìpi che la ispiravano,
come la limitazione dei
poteri del sovrano secondo
la legge o la necessità
del consenso dei sudditi
per rendere operativi alcuni
provvedimenti.
tipi di "riscatto" secondo
il possedimento, sottraendoli
ali' arbitrio reale].
Ciò è a dire che l'erede o
gli eredi di un conte pagheranno
cento sterline
per l'intero possedimento
del conte, l'erede o gli
eredi di un cavaliere cento
scellini al massimo per
il "feudo di cavaliere"; e
ogni uomo che deve di
meno pagherà di meno,
secondo l'antico uso delle
proprietà ereditarie.
3. Ma se l'erede di tale
persona è un minorenne,
quando raggiunge la
maggior età deve avere
l'eredità senza pagare "riscatto".
Sui debiti
9. Né noi né i nostri balivi
[funzionari al servizio
dello sceriffo della contea]
. ci impadroniremo
delle terre e delle rendite
di chiunque per debiti,
finché i beni mobili del
debitore saranno sufficienti
a pagare il suo debito.
Non sarà chiesta
soddisfazione ai garanti
del debitore fintantoché
egli stesso sarà in grado di
pagare. Se il debitore non
potrà pagare per mancanza
di mezzi, i suoi garanti
saranno tenuti a far ciò.
Se essi lo vorranno potranno
impadronirsi delle
terre e delle rendite del
debitore fino a che riavranno
indietro la somma
che hanno sborsato
per lui, a meno che il debitore
non, riesca a dimostrare
di aver già soddisfatto
i suoi garanti.
Delle tasse
12, Nessuno scutagium
[somma che si pagava al
posto dell'obbligo di fornire
al re un certo numero
di cavalieri] od auxilium
[imposta straordinaria
in casi di emergenza]
sarà imposto nel nostro
regno se non per comune
consenso, a meno
che ciò non sia per il riscatto
della nostra persona,
per la nomina a cavaliere
del nostro figlio
maggiore e [una sola volta]
per il matrimonio della
nostra figlia maggiore.
Per tali fini sarà imposto
solo un ragionevole auxilium,
lo stesso vale per
gli auxilia della città di
Londra.
Libertà alle città
13. La città di Londra godrà
di tutte le sue antiche
libertà e libere consuetudini,
sia per terra che per
acqua. Noi vogliamo anche
che tutte le altre città
grandi e piccole, i borghi
ed i porti, godano di tutte \
Enrico II flil scomunicato e per conservare il potere,
nel 1172, si recò a Roma scalzo e con il saio
del penitente. Ben presto Thomas Becket divenne
simbolo della resistenza cattolica all'assolutismo
politico; per questo motivo, nel 1535, dopo che la
Chiesa d'Inghilterra si era staccata da quella di
Roma, il sovrano Enrico VIII fece smantellare la
tomba del santo, proibì il suo culto e gli intentò
un processo postumo, nel quale fu giudicato colpevole
di alto tradimento.
ì Il culto del santo Thomas Becket
Thomas Becket fu sepolto nella cattedrale di Canterbury
e ben presto si sparse la voce che il sangue
del martire aveva poteri miracolosi. I pellegrini
cominciarono ad affluire a migliaia e fiorirono
racconti e leggende di miracoli operati dal santo.
I pellegrini elessero la cattedrale di Canterbury
a luogo di pellegrinaggio alla pari di Roma o
di Santiago de Compostela, creando una nuova
serie di attività economiche legate ai souvenir e ai
servizi di ospitalità. La posizione della città, punto
di transito tra Londra e l'Europa, garantì la
prosperità della cattedrale e della città in generale.
I venditori ambulanti si posizionarono dovunque.
Si vendevano cartelle con il sangue di Becket
e medaglie con la testa del santo.
Successivamente, nel 1220, le spoglie di san Tommaso
furono spostate in un nuovo sacrario dietro
l'altare maggiore, nel quale venne esposto su una
piattaforma rialzata.
La Magna charta libertatum
Giovanni Senzaterra dopo la sconfitta di Bouvines
nel 1214 (non aveva partecipato direttamente
alla spedizione contro i Francesi, ma l'aveva finanziata),
perse definitivamente quasi tutti i territori
che possedeva sul suolo francese. Il suo potere
e la sua autorevolezza erano già stati profondamente
ridimensionati dal conflitto con il papa Innocenzo
III che l'aveva scomunicato. In seguito a
ciò dovette accettare un umiliante atto di sottomissione:
fu costretto a rinunciare al Regno di Inghilterra
e di Irlanda per vederselo poi riconsegnare
dal papa come beneficio feudale.
'La sconfitta e l'umiliazione subita ebbero un effetto
disastroso sull'autorità della monarchia e favorirono
la formazione di un'alleanza fra vescovi
e baroni che progettarono una rivolta. Il 17 maggio
1215 i baroni marciarono con le truppe su
Londra, che aprì loro le porte.
Il 15 giugno il re e i baroni si incontrarono e il 19
giugno fu compilato il testo definitivo della Magna
charta [ ooc. P. 356]. Per opera dell'arcivescovo
di Canterbury, Stefan Langton, le richieste dei
baroni furono trasformate in una sorta di dichiarazione
di diritti riguardante tutto il popolo.
La Magna charta fu perfezionata e confermata nel
1225 dal successore di Giovanni, Enrico III.
I princìpi della Magna charta
La Magna charta poneva dei limiti al potere regio.
Il sovrano, infatti, riconosceva i privilegi dei baroni
e del clero, le libertà e le antiche consuetudini
della città di Londra e di altri centri urbani.
Una questione fondamentale era quella dei tributi:
il re prometteva di non esigere altre imposte
senza il comune consenso del regno. I potenti
d'Inghilterra, in altre parole, ottenevano per
iscritto il diritto di contrattare con il re le forme e
la quantità della tassazione.
Il re ammetteva, inoltre, di lasciarsi coadiuvare e
condizionare nell'esercizio del potere da una curia
di baroni composta da venticinque membri.
La Magna charta affermava l'appartenenza di tutti
gli abitanti, qualsiasi rango sociale avessero, alla
nazione inglese e, di conseguenza, l' eguaglianza
di tutti dinanzi alla legge.
Una norma stabiliva che in ogni processo era necessaria
la presenza di una giuria e non del solo
giudice, spesso fedele esecutore degli ordini del
re. All'inizio la giuria comparve solo nei processi
a nobili o ecclesiastici ed era composta di pari
grado dell'accusato, ma successivamente la garanzia
venne estesa a tutti. Un altro principio fondamentale
fu quello dell' habeas corpus (significa letteralmente
"che tu abbia il tuo corpo libero"),
cioè la tutela dell'inviolabilità personale e il conseguente
diritto di ogni arrestato di conoscere la
causa del suo arresto e venne anche abolita la facoltà
del re di ordinare arresti a suo arbitrio.
Per quanto riguarda gli articoli della Magna
charta che si occupano del settore giudiziario si
può subito osservare che ancora oggi alcuni
princìpi affermati in quella sede sono alla base
dei procedimenti di giustizia di tutto il mondo
occidentale.
Le novelle di Geoffre Chaucer
poeta inglese Geoffrey Chaucer (1340 ca.-1400)
asce in una famiglia di ricchi mercanti di vino
he serve la reale casa inglese. Grazie alle relazioi
della sua famiglia Chaucer è educato a corte,
prima come paggio di Giovanni di Gaunt, poi come
valletto del re, e partecipa anche alla guerra
dei Cent'anni.
Nel 1372-73 Chaucer è in Italia al fine di raccogliere
prestiti per il re d'Inghilterra, da investire
nell'acquisto di armi per la guerra. Durante questi
suoi viaggi Chaucer ha anche la possibilità di
studiare le opere dei tre grandi trecentisti italiani:
Dante, Petrarca e Boccaccio.
Tornato in patria, ricopre importanti incarichi, fino
a quando la salita al trono di Enrico IV, figlio
di Giovanni di Gaunt, suo grande sostenitore, gli
permette di ritirarsi in una casa del Westminster,
dove muore il 25 ottobre del 1400.
Lo sguardo di Chaucer è quello di un uomo venuto
in contatto con una grande varietà umana e
con gran parte delle classi sociali dell'epoca. È un
profondo conoscitore del suo tempo, ma mantiene
sempre un certo distacco dalla società.
Il suo capolavoro è rappresentato da I racconti di
Canterbury (The Canterbury tales). È una raccolta
incompiuta di racconti in versi endecasillabi. L' opera
ci è arrivata in nove frammenti: abbiamo 21
racconti completi e tre incompleti.
I racconti sono compresi in una cornice-pretesto,
introdotta da un prologo generale che narra come
un gruppo di pellegrini di varia estrazione sociale
si incontrino in una taverna sul Tamigi, con l'intenzione
di compiere un pellegrinaggio alla tomba
di Thomas Becket a Canterbury. Dopo cena l'oste
si impegna ad accompagnare i pellegrini e, per ingannare
il tempo del viaggio, propone loro di narrare
quattro storie ciascuno, due ali' andata e due
al ritorno. Sarà lui stesso a giudicare quale sarà il
racconto più bello. Dopo la presentazione dei pellegrini,
più un canonico e uno scudiero che si aggregano
per via, hanno inizio i racconti.
1:1 Thomas Becket rappresentato in una vetrata della cattedrale
di Canterbury.
rrt:: l 1YTcUTu-c v u- · ,- colo r amv1 a ael mercante comincia a essere
1 vista come un lavoro necessario e perciò leciel
X-XI secolo la figura del mercante godeva ! to. In varie regioni d'Europa si organizzano
i una pessima fama. La Chiesa iscriveva la ! importanti fiere [ LETTURA]. Il mercante diventa
ercatura tra i mestieri "non grati a Dio", tra l una delle figure di rilievo della società e quello
e professioni impure e disoneste, perché era l italiano si impone come dominatore indiscusso
asata sul lucro. I nobili, allineati sulle posizio- j del commercio europeo. La proverbiale abilità
i della Chiesa, disprezzavano i mercanti [ LET· i e astuzia degli italiani viene sottolineata nel
TURA P. 359] e li consideravano dei perico~osi l diario di un commercia~te ~~gl~se, che a, pr~-
le loro libertà e libere
consuetudini.
Multe e ammende
20. Per una piccola trasgressione
un uomo libero
non potrà essere multato
che con la dovuta
proporzione; similmente
dovrà essere per una trasgressione
grave, senza
però arrivar mai a privare
completamente colui dei
mezzi di sussistenza. Parimenti
ai mercanti sarà risparmiata
la loro mercanzia
ed agli agricoltori i loro
utensili. Nessuna di
queste ammende sarà imposta
se non dopo la testimonianza
giurata degli
uomini probi del vicinato
sulla trasgressione.
21. I conti ed i baroni non
potranno essere colpiti da
ammenda che da parte
dei loro pari, e solo in
proporzione alla trasgressione.
22. Gli uomini di chiesa
saranno multati del proprio
secondo gli stessi
princìpi suesposti per i
laici, senza tener conto
dei benefici ecclesiastici.
Sulle unità di misura
35. Vi dovrà essere una
sola misura di vino, birra
e frumento in tutto il regno;
e cioè il "quarter"
londinese. Vi dovrà anche
essere un'unica altezza
per qualsiasi tipo di stoffa,
cioè di due "eli", tra
una cimosa e l'altra. La
stessa uniformità di misura
dovrà esservi per i pesi.
Sulla giustizia
38. Nessun balivo potrà
portare in giudizio un uomo
col solo sostegno della
propria affermazione,
senza produrre dei testimoni
attendibili che ne
provino la veridicità.
39. Nessun uomo libero
sarà arrestato, imprigionato,
privato dei suoi diritti
o dei suoi possedimenti,
messo fuori legge,
esiliato o altrimenti rimosso
dalla sua posizione,
né noi useremo la forza
nei suoi confronti o
domanderemo a ciò altre
persone, se non per giudizio
legale dei suoi pari e
per la legge del territorio.
40. Noi non venderemo,
né differiremo, né rifiuteremo
ad alcuno il diritto
o la giustizia.
Sulla libertà di movimento
nel paese
41. Tutti i mercanti potranno
entrare o uscire
dall'Inghilterra illesi e
senza timore, soggiornarvi
e viaggiarvi sia per terra
che per acqua per scopi
commerciali, senza che
possa essere loro imposta
alcuna esazione indebita,
secondo le antiche e buone
consuetudini. Questo
però non varrà in tempo
di guerra per coloro che
appartengono a un paese
nostro nemico. Trovandosi
tali mercanti nel nostro
territorio allo scoppio
della guerra, saranno
trattenuti, senza alcun
danno alle loro persone
ed alle loro mercanzie,
finché noi ed il nostro
primo giudice non avremo
appreso in quale modo
vengano trattati i nostri
mercanti che si trovino
nel paese in guerra
con noi. Se i nostri sono
ben trattati, altrettanto
bene lo saranno da n01
quelli del nemico.
42. In futuro ogni uomo -
purché rimanga a noi ligio
- potrà lasciare il nostro
regno o farvi ritorno sen -
za danno o timore, per
terra o per acqua, fuorché
per un breve periodo in
tempo di guerra, per il comune
vantaggio del reame.
Le persone che sono
state imprigionate o messe
fuori legge secondo le
leggi del paese, le persone
appartenenti ad un paese
in guerra con noi, ed infine
i mercanti - con i quali
ci si regolerà come è stato
detto sopra - sono
esclusi da quanto stabilito
in questo paragrafo.
Sui mercenari
51. Non appena la pace
sarà restaurata allontaneremo
dal nostro regno
tutti i cavalieri, sergenti e
balestrieri stranieri, e tutte
le truppe mercenarie
che sono arrivate - con
gran danno del paese -
con i loro cavalli e le loro
armi.
Sull'equità dei processi
52. Ogni uomo che sia
stato da noi privato delle
terre, dei castelli, delle libertà
o dei diritti, senza il
legale giudizio dei suoi
pari, ritornerà immediatamente
in possesso di
quanto perduto. I casi
controversi saranno decisi
dal giudizio dei venticinque
baroni cui fa riferimento
più sotto. Tuttavia,
nel caso che un uomo
sia stato privato di qualcosa
senza il giudizio legale
dei suoi pari, da parte
di nostro padre Re Enrico
o di nostro fratello
Re Riccardo e nel caso
inoltre che quanto a lui
tolto si trovi in nostr
possesso o nelle mani
persone sotto la nost
garanzia, noi dovrem
avere - a meno che
processo non abbia avut
inizio od un'inchiesta no
sia stata aperta per nostr
ordine, prima che noi
facessimo crociati - un
proroga della durat
usualmente concessa
crociati. Al nostro ritorn
dalla crociata - ovvero al
l'atto della nostra rin un
eia ad essa - sarà resa pie
namente ed immediata
mente giustizia.
Elezione dei rappresen
tanti dei baroni
61. Poiché noi abbiam
fatto tutte queste conces
sioni per Dio, per un mi
glior ordinamento del no
stro regno e per sanare 1
discordia che è sorta tr
noi ed i nostri baroni,
poiché noi desideriam
che esse siano godut
perpetuamente nella lor
interezza, accordiamo a
baroni le seguenti garan
zie:
• I baroni eleggerann
venticinque loro rappre
sentanti allo scopo d
mantenere e far osservar
con tutte le loro forze 1
pace e le libertà che son
state loro accordate
confermate con quest
carta.
• Se noi, il nostro prim
giudice, i nostri ufficiali
chiunque altro dei nostr·
funzionari offenderem
in qualsiasi modo un uo
mo o trasgrediremo alcu
no dei presenti articoli,
la cosa viene a conoscen
za di quattro dei venticin
que baroni suddetti, co
storo si presenteranno
ella Spagna fu
e di Elvira, anV
secolo a. C.
e emirato auto-
1232 divenne
nel 1492, entrò
Castiglia. Nodate
ai musulominazione
fua
serie di percreto
di espulazione
araba,
· da fra le città
a da sempre la
sintesi delle culture cattolica, araba ed
ebraica. Oggi vanta ancora la più importante
eredità architettonica musulmana in
Europa e una delle principali attrazioni
dell'intero continente: l' Alhambra.
L'ALHAMBRA
L'Alhambra è uno dei massimi capolavori
dell'arte e dell'architettura islamica ed è di
una bellezza incredibile.
Molto è stato scritto sul palazzo-fortezza e
i suoi giardini, ma nulla può preparare il
turista alla sua magnificenza.
IJ Granada, l'Athambra: uno scorcio del colonnato
che circonda il Patio del Los Leones (Cortile dei
Leoni).
Il Granada: una veduta della fortezza dell'Alhambra.
Il Granada, l'Alhambra: il Palacio Nazaries, residenza
dell'imperatore Carlo V.
Il rapporto tra i
mercanti e i nobili
Aron }. Gurevic descrive
l'aspirazione dei mercanti a
entrare a far parte dell'élite
cittadina. Per ottenere
questo, erano frequenti i
matrimoni di figlie di
mercanti con nobili senza
quattrini ma con un grande
nome e soprattutto era
indispensabile la
costruzione di
un'abitazione che fosse
l'immagine palese della
ricchezza e del potere
raggiunti e un tenore di
vita lussuoso fino
all'esagerazione e
all'eccentricità.
G li "uomini nuovi",
fattisi avanti
nell'attività
commerciale e finanziaria,
si distinguevano per
l'energia, lo spirito d'iniziativa,
la prontezza, ma
anche la sfrontatezza, l' egoismo,
l'atteggiamento
disinvolto nei confronti
di tutte le norme patriarcali
del tempo. Il possesso
della sola ricchezza
mobiliare non assicurava
però stima e prestigio
nella società feudale. Ecco
un caso caratteristico
per intendere il disprezzo
con il quale i nobili trattavano
il vertice agiato
urbano. Quando in una
città tedesca un membro
del Consiglio cittadino si
permise delle osservazioni
critiche nei confronti
di un cavaliere influente,
costui esclamò: «Anche
se il padrone e i porci si
trovano sotto lo stesso
tetto, continuano a non
aver nulla in comune».
Come quando un borghese
di Ravensburg cercò
in una lettera di "dare
del tu" a un cavaliere allo
1 l Domesday Book:
il primo catasto medievale
Il Domesday Book (letteralmente "Libro del giorno
del giudizio") è il più antico catasto del Regno
inglese e il primo in assoluto di tutto il Medioevo.
Per "catasto" s'intende la registrazione di tutti gli
appezzamenti di terreno e di tutte le case con i
nomi dei rispettivi proprietari e con la loro esatta
collocazione nel territorio. Quest'opera gigantesca
fu ordinata da Guglielmo il Conquistatore e il
censimento fu indetto nel 1085.
I funzionari reali vennero inviati in ogni contea
con una lista di domande che dovevano essere
rivolte ai responsabili di ogni cantone, di ogni
distretto e di ogni villaggio.
Ogni funzionario indiceva un'assemblea generastesso
modo di come il
cavaliere faceva con lui,
costui lo mise al suo posto
ricordandogli la propria
antica nobiltà, mentre
il suo corrispondente
non era altro che un borghese
e un mercante. Andasse
pure in birreria e
s'informasse sui carichi in
arrivo da Alessandria e
Barcellona, ma non s1
mettesse a provare la sua
origine! In Italia il confine
tra la nobiltà e il patriziato
era se non caduto,
almeno eroso, mentre in
Germania non lo era ancora.
È comprensibile, perciò,
che il patriziato urbano
aspirasse ad attenuare le
barriere di ceto che lo separavano
dall' aristocrazia.
A una parte dei mercanti
la strada "verso
l'alto" veniva aperta dal-
1' acquisto di vaste proprietà
terriere e dai matrimoni
misti cui ricorrevano
i cavalieri impoveriti,
che desideravano rimettere
in sesto gli affari
attraverso il matrimonio
con le figlie di mercanti
abbienti. A qualche cittadino
riusciva anche di
acquistare la dignità cavalleresca.
Caratteristica
dei mercanti-patrizi è l'aspirazione
a vivere nel
lusso. Per elevare il proprio
prestigio e fare impressione
sulla società,
essi si costruiscono case
di pietra e palazzi cinti
da torri. Gli edifici tardo-gotici
del patriziato
della Germania meridionale
e i palazzi rinascimen
tali dei mercanti italiani
avrebbero potuto
suscitare l'invidia dell'aristocrazia.
Alle finestre
delle case patrizie compaiono
i vetri, le stanze
sono riccamente arredate,
le pareti vengono ornate
di arazzi. Seguendo
l'esempio della nobiltà, i
mercanti si danno alla
caccia, lo "sport dei nobili".
Con l'aristocrazia
essi rivaleggiano nelle vesti
e negli ornamenti,
nonché nelle cerimonie
funebri che allestiscono
con la massima pompa.
Sui loro sepolcri vengono
innalzati lussuosi mole
della contea e rivolgeva le domande ai capi
delle comunità. Le risposte venivano date sotto
giuramento e tutti i presenti ali' assemblea potevano
intervenire e ampliare, correggere o smentire
le notizie fornite.
In questo modo, per ogni contea, si ottennero
indicazioni sul nome dei possedimenti, su quello
del loro proprietario e su quello dei proprietari
precedenti, sull'estensione dei terreni, sulle
colture praticate e sul valore dei beni.
Tutte queste notizie venivano riordinate in ogni
contea e poi trasmesse alla tesoreria reale che
provvedeva a ordinarle, a classificarle e a trascriverle
nel Domesday Book. Il volume fu redatto
per avere una precisa indicazione di tutti i diritti
feudali che spettavano al re e quindi per garantire
una regolare entrata fiscale.
e donne, ma in
arito che scrin
a una donna
di una signora della ricca borghesia mercantile.
L'autore del libro era un uomo attorno
ai sessant'anni e la moglie ne aveva
circa quindici. Nel Medioevo non ci si
scandalizzava per questa differenza d'età,
dal momento che i matrimoni a un certo
livello sociale venivano quasi sempre combinati.
Il libro è diviso in tre parti: nella
prima si tratta della religione e dei doveri
morali, nella seconda della gestione domestica
e nella terza, lasciata incompleta, di
giochi e divertimenti. Ogni aspetto della
vita matrimoniale viene analizzato e per
ogni momento della giornata sono fissate
minute regole di comportamento. Tutto
passa sotto la lente di ingrandimento del-
1' autore: in che modo deve vestirsi una
moglie, come deve parlare, come deve cucinare,
perfino come deve lottare contro le
pulci o coltivare il giardino.
L'AMORE CONIUGALE
Diciamo subito che l'opera offre un quadro
non consueto della vita matrimoniale
dell'epoca. All'inizio, infatti, le considerazioni
sul ruolo della moglie sono in perf etta
sintonia con la concezione medievale
del matrimonio: l'amore della moglie verso
il marito viene paragonato alla fedeltà
degli animali domestici verso il loro padrone:
«Vedi bene che gli animali domestici,
un levriero, un mastino, o un cane
più piccolo, sia per strada che a tavola o a
letto, sempre stanno vicino alla persona da
cui ricevono il cibo, e si allontanano dagli
altri, verso i quali sono scontrosi e feroci; e
se il cane si trova lontano dal padrone, il
suo cuore e i suoi occhi lo cercano sempre;
e anche quando il padrone lo frusta e gli tira
dei sassi, il cane gli va dietro, scodinzolando
e sdraiandosi davanti a lui, e cerca di
impietosirlo, e lo segue per fiumi e per boschi,
negli agguati e nelle battaglie. Considerato
tutto questo, per una migliore e più
forte ragione le donne, alle quali Dio ha
dato una coscienza e che sono ragionevoli,
debbono avere un perfetto e riverente
amore per i loro mariti; e quindi io ti prego
di avere il massimo affetto e la massima
intimità con tuo marito, chiunque esso
sia».
Più avanti, però, l'autore del libro, abbandonando
gli stereotipi medievali e cedendo
a un moto di profondo affetto per la
moglie, fa una descrizione del perfetto
rapporto matrimoniale che contraddice
l'immagine avvilente di una donna sottomessa
al marito e a qualsiasi suo volere:
«Nel nome di Dio - dice - io credo che
quando due persone buone e onorate sono
marito e moglie, ogni altro affetto sparisca,
distrutto e dimenticato, tranne l'unico
affetto dell'uno per l'altro. E mi sembra
che, quando essi siano l'uno insieme ali' altro,
debbano guardarsi l'un l'altro più di
quanto guardano gli altri, debbano abbracciarsi
e tenersi stretti e non parlare voIl
Un gruppo di giovani donne gioca a palle di neve
(particolare di un affresco del Castello del Buon
Consiglio di Trento).
Chaucer nei Racconti rappresenta tutto il mondò
contemporaneo. A comporre il grande quadro
intervengono le più diverse sfumature, dal patetico
all'umoristico, dal giocoso al tragico, dal licenzioso
al religioso. A Chaucer non interessano le
speculazioni metafisiche e colloca il suo poema in
una dimensione terrena e quotidiana. In questo
modo Chaucer riesce a tracciare una grandiosa
sintesi della vita del suo tempo in chiave realistico-borghese.
Ecco l'inizio del prologo dei Racconti di Canterbury:
Quando Aprile con le sue dolci piogge
ha penetrato fino alla radice la siccità di Marzo, /
impregnando ogni vena di quell'umore che ha
la virtù di dar vita ai fiori, {
quando anche Zeffiro col suo dolce /iato r
ha rianimato per ogni bosco e ogni brughiera
i teneri germogli; e il nuovo sole
ha percorso metà del suo cammino in Ariete,
e cantano melodiosi gli uccelletti
che dormono tutta la notte a occhi aperti
(tanto li punge in cuore la natura),
la gente allora è presa dal desiderio di mettersi
in pellegrinaggio
e d'andare per contrade forestiere alla ricerca
di lontani santuari variamente notz;
e fin dalle più remote parti d'ogni contea
d'Inghilterra molti si recano specialmente
a Canterbury,
a visitare quel santo martire benedetto
che li ha soccorsi quando erano malati.
La politica secondo Giovanni
di Salisbury
Il filosofo inglese Giovanni di Salisbury (1110-80)
studiò in Francia, dove frequentò le migliori
scuole dell'epoca (fra cui quella di Abelardo).
Tornato in patria, si mise a servizio degli arcivescovi
di Canterbury e fu testimone della drammatica
vicenda di Becket (vedi p. 354). Giovanni di
Salisbury affronta nella sua opera maggiore, il
Policratus, il tema della legittimità del potere del
sovrano e quindi del rapporto fra l'autorità religiosa
e quella politica. È interessante notare come
il filosofo inglese ponga come fondamento di una
società politica, e del potere che la governa, un
accordo fra le parti, fra popolo governato e sovrano.
Tra re e sudditi esiste quindi una relazione che
ha una reciprocità e che è fondata sulla legge.
I sudditi hanno perciò il diritto di mettere in discussione
l'esercizio del potere del sovrano valutando
la sua conformità alla legge.
Secondo Giovanni fonte di tutti i poteri è Dio e
quindi anche il potere politico deriva da lui. Ma
proprio per questo è necessario che l'esercizio del
potere sia conforme a leggi naturali di cui Dio è
fondamento e garanzia. «Vi sono dei precetti- dice
Giovanni - che hanno stabile necessità, che sono
legittimi presso tutti i popoli e che non possono,
in alcun modo, essere imptJnemente sciolti».
Anche il sovrano è tenuto a obbedire a queste
norme, e se non le segue il suo esercizio del potere
diventa illegittimo. «Tra un tiranno e un re - affe~ma
Giovanni- c'è un'unica capitale differenza:
che. il re obbedisce alla legge e governa il popolo
con i suoi editti rendendosi conto di esistere solo
per la sua utilità».
L'esistenza di leggi oggettive ed eterne consente
dunque ai sudditi di distinguere tra un legittimo
sovrano e un tiranno. Ma non solo perché secondo
Giovanni «uccidere un tiranno non solo è lecito,
ma è anche equo e giusto».
lo, il papato, coinvolto nella politie
a strutturarsi come un potere
ostruire un proprio Stato nell'Italia
sso tempo si oppone al tentativo
archie europee di imporre la loro
ori sempre più vasti e considerare
lero come sudditi. Il coinvolgimenelle
vicende politiche dell'Europa
tto periodo della "cattività avignopoi
il periodo dello scisma (1378-
i Costanza (1417) è un primo tenriforma
moralizzatrice della Chiesa
i fedeli e dei movimenti religiosi
Sintesi dell'un1 tà B p. 418 J
Francia meridionale, Avignone: una veduta del
Palazzo dei papi dalle rive del fiume Rodano.
1294 Viene eletto
papa Celestino V.
Viene eletto papa
Bonifacio VIII
1296
Bonifacio VIII
si scontra
con Filippo
IV il Bello
1294
Dante
Alighieri
scrive la
Vita Nova
1300
1305 Viene eletto papa,
sotto pressione del re di
Francia, un vescovo france
1309 Il papa si
trasferisce ad Avign
•.•..•...•.•..••••••.••.••••••••••••••••••.••••••••.....••.•.......•....•.•......•...........•.........•....••..••......
Austera e affascinante, ricca di decorazioni
in stile arabo di una bellezza sconvolgente,
riporta il visitatore al tempo dei
Mori, che ebbero in Granada il loro ultimo
avamposto in Europa.
Alcazaba, la fortezza musulmana dell'Alhambra,
risale all'XI-XII secolo e le sue
torri offrono uno splendido panorama sulla
città.
Il Palacio Nazaries è celebre per l'intricato
sultano, situat
dei giardini, co
vasche di acqu
stupende visu
giare nel vecch ·
cìn, cuore della
Case bianche,
le piazzette eh
giardini rigogli
gono i loro pro
poetico.
C'è poi il Sacr
con le caratteri
sto quartiere è
che se molti lo
genze dei turist
D Granada, l'Alha
Il Granada, una v
piano il quartiere
Il Giubileo è l'anno della remissione dei peccati e delle pene per i peccati. È anche l'anno della
solidarietà, della speranza e della penitenza sacramentale. Il Giubileo, detto anche Anno Santo,
può essere ordinario o straordinario.
Le origini del Giubileo risalgono al!' Antico Testamento. Nel capitolo XXV del Levitico,
in/att~ il popolo ebraico viene incoraggiato a far suonare il corno Gobel) ogni quarantanove
anni per richiamare Gobil) la gente di tutto il paese, dichiarando santo il cinquantesimo anno e
proclamando la remissione G obal) dei debiti di tutti gli abitanti. In/atti: secondo l'Antico
Testamento, il Giubileo portava con sé la liberazione generale da una condizione di miseria,
sofferenza ed emargz'nazione. ,
Il Cristianesimo ha attribuito al Giubileo ebraico un significato diverso. E infatti un perdono
generale, un'indulgenza aperta a tutti~ che il papa concede sotto determinate condizioni ai
fedeli. È quindi fondato sul valore delle indulgenze e sul potere che la Chiesa ha di elargirle.
In tutta la storia della Chiesa sono stati celebrati 26 Giubilei. Il primo Anno Santo viene
proclamato da papa Bonifacio VIII con la bolla Antiquorum habet, del 22 febbraio 1300, festa
della Cattedra di San Pietro.
• f !.L' ~CCONTÒ STORICO
Il progetto teocratico
di Innocenzo 111
Quando Costanza d'Altavilla morì (1198), la tutela
del giovanissimo figlio Federico venne assunta
da Innocenzo III, divenuto papa in quello stesso
anno. In base agli accordi di Melfi (1059), Federico
in quanto re di Sicilia era feudatario del pontefice;
questi estese in tal modo il suo controllo
anche sulle regioni meridionali della penisola.
Sviluppando la dottrina teocratica di Gregorio
VII, il nuovo pontefice ribadì la supremazia della
dignità papale. «Essa - sosteneva - governa le anime,
rispetto a quella regia, a cui sono sottomessi
N el XIV secolo viene pubblicata
l'opera del francese
Jean Froissart (1337-1404)
dal titolo Croniques. È una imponente
raccolta di cronache, aneddoti,
fatti minuti e descrizioni di
fondamentali eventi storici; in essa
Froissart racconta il flagello della
"peste nera", ma anche le rivolte
della jacquerie francese e dei contadini
inglesi. Questa enorme mole
di materiale ha fornito agli storici
preziose informazioni per ricostruire
le vicende dell'intero secolo.
Ma sull'evento più importante, la
diffusione della "peste nera", esistono
numerose altre testimonianze
storiche.
Il cronista siciliano Matteo di Piazza
è stato il testimone del primo
diffondersi del morbo in Italia.
Avevano attraccato a Messina dodici
navi genovesi che venivano
dall'Oriente e che portavano a
bordo marinai malati. Il cronista
annota diligentemente il fenomeno
dell'improvviso decesso di molti
messinesi e attribuisce questi
fatti a una punizione di Dio.
Troviamo echi della peste perfino
nelle fiabe norvegesi dell'epoca:
la malattia è rappresentata da una
vecchia che gira con un rastrello e
una scopa. Quando usa il rastrello
qualcuno si salva, quando usa la
scopa, invece, muoiono tutti.
Come vedremo, il poeta e scrittore
Giovanni Boccaccio scrisse una
mirabile prefazione al Decameron
in cui descrisse la situazione in Firenze
durante l'infuriare del terribile
morbo.
Sempre a Firenze morì di peste il
cronista Giovanni Villani; ne continuò
l'opera il fratello Matteo, descrivendo
con grande efficacia le
conseguenze in città provocate
dall'epidemia.
Il cronista senese Agnolo di Tura
perse ben cinque figli, ma riuscì a
conservare la lucidità necessaria
per consegnare ai posteri una eronaca
fedele e dettagliata di questo
terribile morbo.
La figura, però, più dotata di indipendenza
di giudizio e obiettività è
quella del cronista Konrad von Megenberg.
Contro le dicerie correnti,
per esempio, che attribuivano agli
ebrei la colpa del contagio, argomenta
che «gli ebrei a Vienna sono
più numerosi che in alcun'altra città
tedesca, che anche qui vi moiono
in COSÌ grande quantità da dover
ampliare il loro cimitero: è quindi
assurdo pensare che fossero stati
proprio loro a provocare il male».
Fonti molto interessanti sono le relazioni
dei medici, che non si limitano
alla conta dei morti, ma descrivono
anche gli effetti del morbo
e propongono i rimedi più diversi.
Un'altra fonte ricca di informazioni
è costituita dai verbali dei processi
istituiti contro le persone che si
pensava fossero colpevoli della
diffusione del morbo, soprattutto
gli ebrei.
lentieri o scambiarsi gesti se non fra di loro.
E quando sono separati, debbano pensare
l'uno ali' altro e dire dentro di sé:
"Quando lo rivedrò, farò questo e questo,
o gli dirò quest'altro, o lo pregherò di fare
questo o quello". E tutto il loro particolare
piacere, il loro principale desiderio e la
t loro perfetta gioia sarà di far piacere e di
obbedire l'uno ali' altro, se si vogliono
bene».
E ancora: «Se le donne - dice - non fossero
buone e i loro consigli buoni e utili, il
nostro Signore Iddio del cielo non le
avrebbe mai create, né le avrebbe chiamate
"aiuto" dell'uomo, ma piuttosto castigo
dell'uomo».
IL BUON COMPORTAMENTO
Il prezioso libretto scandisce anche minuiJ
ziosamente i momenti della giornata tipo
di una signora dell'alta borghesia. Certo,
la giovane moglie )?.On aveva tempo di annoiarsi.
Si alzava poco dopo l'alba, si lavava
la faccia e le mani, diceva le orazioni e
poi andava in chiesa accompagnata dalla
governante, con gli occhi sempre bassi e
un atteggiamento composto. Dopo la messa,
seguiva il lavoro dei servi e riceveva
l'amministratore. Se era in campagna, andava
a controllare il lavoro dei pastori, dei
vaccari e controllava i registri del fattore.
Verso le dieci del mattino veniva servito il
pranzo, che la giovane moglie aveva concordato
e preparato con la cuoca. Il pomeriggio
era dedicato allo svago: la signora
riceveva le mogli di altri ricchi mercanti,
oppure si dedicava al giardinaggio, alla
caccia con il falcone o faceva lunghe passeggiate
a cavallo. Più tardi, seguendo un
rituale antico, sedeva tra le serve per filare
la lana o ricamare o rammendare e smacchiare
le vesti che dovevano durare moltissimi
anni. Al ritorno del padrone, dopo
il lavoro, tutta la casa si mobilitava per la
li in questo affresc "
rate un gruppo di d<
tengono a ceti socia
senta con grande pr
ed eleganti abiti di 1
che una rassegna di
Ad abiti con stoffe t
petono ritmicament
cena e al tramon
che le porte foss
niugi andavano :
Il ritratto che ei
dunque, quello
tiene ormai a u
Comuni, della 1,
ricca e forte poli
mezzi.
universitatis conditor,
che può essere tradotto
con Come il fondatore
dell'universo. /I titolo
veniva ricavato sempre
dalle prime parole
della lettera, che
naturalmente era scritta
in latino.
11 contenuto della lettera
è molto importante
perché può essere
considerato come
presiedere al giorno e la
più piccola per presiedere
alla notte, così egli ha stabilito
nel firmamento della
Chiesa universale, espresil
manifesto del disegno
teocratico di Innocenzo lii.
È un documento
in cui il papa, senza
mezzi termini, riafferma
in modo netto
la supremazia del potere
spirituale su quello
temporale e quindi
il diritto del papato
a esercitare un potere
assoluto nei confronti
del mondo.
sa dal nome del cielo, due
grandi dignità: la maggi~-
re a presiedere - per così
dire - ai giorni cioè alle
anime, e la minore a preLa
straordinaria attività svolta da Innocenzo III e
il prestigio enormemente accresciuto della Chiesa
trovarono una conclusione solenne nel grande
Concilio Lateranense convocato a Roma nel
1215, con la partecipazione di prelati e di rappr~-
sentanti di principi e sovrani d'Europa. In esso,
dopo la condanna solenne dei catari e dei valdesi,
si decisero nuove misure di repressione per le
eresie; si stabilirono anche più severe regole di
comportamento per i membri del clero, la cui vita
dissipata alimentava lo scontento e favoriva la
diffusione dei movimenti ereticali; si decise inoltre
di allestire una nuova spedizione in Terra Santa,
per riscattare l'insuccesso della quarta crociata.
Innocenzo III si spense nel 1216, al culmine
del suo trionfo.
I movimenti chiedono il ritorno
della Chiesa alla povertà
La crescente partecipazione della Chiesa alle questioni
temporali aveva immerso il papato in un
clima di mondanità, distraendolo dal suo ruolo, e
in parte dalla sua autorità, di guida spirituale dell'universo
cristiano. In particolare, le scelte compiute
da papi come Gregorio VII (1073-85) e Innocenzo
III (1198-1216) - che avevano teorizzato
e lottato per affermare la superiorità del potere
ontificio su quello imperiale - avevano fatto del
apa un sovrano fra gli altri sovrani, con uno Stasiedere
alle notti cioè ai
corpi. Esse sono l'autorità
pontificia e il potere regio.
Così, come la luna riceve
la sua luce dal sole e per
tale ragione è inferiore a
lui per quantità e qualità,
dimensione ed effetti, similmente
il potere regio
deriva dall'autorità papale
lo splendore della propria
dignità e quanto più è con
essa a contatto, di tanto
maggior luce si adorna, e
quanto più ne è distante
tanto meno acquista in
splendore.
Ambedue questi poteri
hanno avuto collocata la
sede del loro primato in
Italia, il qual paese quindi
ottenne la precedenza su
ogni altro per divina disposizione.
E perciò, se pure noi dobbiamo
estendere l'attenzione
della nostra provvidenza
a tutte le province,
tuttavia dobbiamo con
particolare e paterna sollecitudine
provvedere all'Italia,
dove furono poste
le fondamenta della relig10ne
cristiana e dove
l'eccellenza del sacerdozio
e della dignità si esalta '
con la supremazia della
Santa Sede.
11 n papa Innocenzo lii riceve i rappresentanti del movimento
degli umiliati, ordine ispirato ai princìpi di povertà della Chie- \
sa primitiva (manoscritto del XV secolo).
to territoriale da difendere, con una diplomazia
ramificata che tesseva alleanze politiche e promuoveva
guerre, con il problema di assicurarsi introiti
fiscali sempre maggiori.
Questo coinvolgimento della Chiesa negli affari
politici non mancò di suscitare perplessità e critiche
tra i fedeli. Tutta la storia della Chiesa nel
Medioevo fu caratterizzata dalla presenza di predicatori,
ordini, tendenze di pensiero, movimenti
ortodossi o ereticali che si richiamavano a
un'impostazione "spiritualista" del messaggio
cristiano e della vita religiosa, con diversi gradi di
radicalità e di critica verso le gerarchie ecclesiastiche.
A maggior ragione, proprio nei difficili anni della
fine del XIII secolo, queste voci che predicavano
il ritorno allo spirito degli apostoli e alla
pratica della povertà evangelica ripresero vigore.
Celestino V,
il papa del "gran rifiuto"
La corrente degli spirituali francescani (vedi p.
381) difendeva le istanze di povertà della Chiesa,
di rinuncia ai beni materiali e al potere. Per qualche
mese sembrò che questa tendenza avesse il
sopravvento nella Chiesa, quando, nel 1294, fu
elevato al soglio pontificio Pietro da Morrone,
che assunse il nome di Celestino V. Il nuovo pontefice
era un anziano eremita, un uomo di fede
profonda e dalla moralità ineccepibile, anzi, m
odore di santità.
Naturalmente, anche la sua elezione dipese da ragioni
politiche e da sottili equilibri diplomatici.
Dopo due anni di trattative inconcludenti nel
conclave, infatti, fu Carlo II d'Angiò a far pendere
l'ago a favore del pio Celestino, pensando, come
in effetti avvenne, di poterlo facilmente controllare
e di fargli nominare diversi cardinali francesi
di suo gradimento. Celestino rimase disgustato
dall'ambiente della curia e si ritrovò coinvolto
in trame di potere cui era del tutto impreparato,
oltre che contrario. Così, dopo soli cinque mesi,
decise di ritornare alla vita eremitica e di abdicare:
un caso a tutt'oggi unico nella storia della
Chiesa, che infranse le speranze di coloro che vedevano
in lui la promessa di un rinnovamento.
Dante Alighieri, che nella sua vita aveva sempre
partecipato con passione alla politica e aveva sempre
stigmatizzato la corruzione della Chiesa, nella
Divina Commedia tratta molto severamente Celestino
V: lo colloca nell' Antinferno, tra gli ignavi.
La controversa figura
di Bonifacio VIII
Al "papa angelico" succedette il cardinale Benedetto
Caetani, con il nome di Bonifacio VIII
(1294-1303). I Caetani erano entrati da non molto
nel novero delle più potenti famiglie romane e
Benedetto aveva scalato posizioni nella curia grazie
alla sua azione di diplomatico della Santa Sede.
Era dunque un uomo molto abile, di notevole
esperienza e spregiudicato in ogni genere d'intrigo
politico.
Bonifacio VIII represse le proteste dei francescani
spirituali, che continuarono le loro agitazioni
con l'appoggio dei Colonna, famiglia rivale dei
Caetani. Nei confronti dei Colonna, allora, il nuovo
pontefice prese provvedimenti radicali: fece
attaccare e distruggere Palestrina e altre loro roccaforti,
costringendoli a riparare in Francia. Insomma
Bonifacio VIII, dopo la parentesi di Celestino
V, riprese e portò al culmine la politica temporale
del papato e la difesa degli interessi della
propria famiglia, suscitando lo sdegno di molti
oppositori. Jacopone da Todi, il francescano spirituale
e grande poeta, lo definì addirittura «il
messaggero dell'Anticristo».
La politica di Bonifacio VIII
Per soccorrere i suoi due maggiori alleati, il Regno
angioino e Firenze (che sperava di inglobare
nello Stato della Chiesa), Bonifacio VIII intervenne
nei contrasti tra Angioini e Aragonesi. Egli era
stato eletto durante la guerra dei Vespri, che contrapponeva
appunto le due casate in Italia meridionale;
Bonifacio prese la parte dei primi, mentre
i Colonna appoggiavano gli Aragonesi,
questi ultimi propose, invano, la Sardegna in
cambio della Sicilia. Successivamente, affidò a
Carlo di Valois, fratello del re di Francia, il compito
di pacificare i guelfi di Firenze, divisi in bianchi
e neri. In realtà, sia il papa sia il principe francese
erano da tempo in trattative con Corso Donati,
capo dei neri, e appoggiavano completamente
questi ultimi, consentendo loro di mandare in
esilio gli avversari, tra cui Dante Alighieri. Si andava
però profilando la rottura dell'alleanza fra il
papato e il re di Francia.
La lotta tra Bonifacio VIII
e Filippo IV di Francia
Nel 1296 Bonifacio VIII vietò ai sovrani europei
di tassare il clero senza la preventiva approvazione
da parte dell'autorità pontificia.
Il provvedimento era rivolto contro i re d'Inghilterra
e di Francia, i quali, in guerra fra loro e
quindi bisognosi di denaro, avevano leso il privilegio
dell'esenzione fiscale del clero. Ma mentre
il re inglese obbedì, Filippo IV il Bello (1285-
1314) replicò con un decteto ingegnoso: bloccò
I papi nel Xlii secolo
- lnnocenzoV
- AdrianoV
lfl;ff:EI Onorio IV
ifi};t;fEI Niccolò IV
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