venerdì 1 dicembre 2017

Enciclopedia di Storia: il Medioevo tra 500 e 1500

da sola il potere, in quanto le usanze dell'epoca non prevedevano tale opportunità per le donne. Sposò allora l'ultimo discendente maschio della famiglia di Teodorico, Teodato, ma questi la fece rinchiudere e poi uccidere. Poco dopo, Teodato fu a sua volta assassinato da un generale, Vitige, che divenne re. Giustiniano, nel frattempo, stava mettendo in atto i suoi piani di riconquista dell'Occidente. Come pretesto, poteva sostenere che la delega a governare l'Italia conferita dall'imperatore Zenone a Teodorico era personale e che dunque non valeva per i suoi successori. Ir:iviò quindi un corpo di spedizione al comando del valoroso e abile generale Belisario. La prima tappa di Belisario fu in realtà l'Africa settentrionale, dove abbatté il Regno dei Vandali e lo incorporò nei domini bizantini (534). Sbarcò poi in Sicilia e risafi l'Italia, occupando Roma e Ravenna; Vitige venne condotto prigioniero a Costantinopoli. . Dopo questa vittoria Giustiniano, ritenendo ormai chiusa la partita con i Goti in Italia, richiamò in patria Belisario affinché bloccasse le iniziative di guerra dei Persiani. Ma i Goti non si rassegnarono alla perdita del potere e, sotto la guida del nuovo re Totila, riaccesero presto le ostilità. Totila, tra il 541 e il 546, riconquistò Roma, Napoli e tutta l'Italia meridionale; per assicurarsi il favore della popolazione, liberò i contadini dalle tasse e dall'obbligo di prestare servizi gratuiti ai loro padroni, sicché molti contadini presero le armi e combatterono al suo fianco. La guerra, con successi alterni, si trascinò per più di dieci anni. Fu un conflitto tremendo, che devastò la penisola causando danni immensi: grandi città come Milano e Napoli vennero distrutte e gli abitanti trucidati, Roma fu assediata e presa per tre volte dai Goti, grandi carestie spopolarono ulteriormente le città [ ooc. P. 84]. Roma, che all'apogeo dell'Impero aveva circa un milione di abitanti, nel 561 non ne contava più di ventimila. Giustiniano, infine, inviò in Italia il generale Narsete, che nel 552 sconfisse i Goti a Gualdo Tadino, in Umbria (dove trovò la morte anche Totila) e l'anno seguente li batté definitivamente presso Napoli. L'Italia entra a far parte dei territori dell'Impero d'Oriente Nel 554 Giustiniano emanò la Prammatica Sanzione [ DOC. p. 86], una costituzione imperiale formulata allo scopo di stabilire provvedimenti eccezionali e con la quale l'imperatore decretava il nuovo assetto politico e amministrativo dell'Italia. La Prammatica Sanzione segnò la riduzione della penisola italiana a una provincia dell'Impero romano d'Oriente e stabili la sua capitale a Ravenna; con tale costituzione Giustiniano ripristinava d'autorità la situazione anteriore alla guerra gotica, stabilendo, tra l'altro, la revoca di tutte le concessioni fatte da Totila ai contadini, la restituzione ai vecchi proprietari romani dei terreni espropriati e degli schiavi liberati. Anche in Italia, a Ravenna, in particolare si sentì l'influenza della politica culturale di Giustiniano, che cercò di annullare tutti i segni della precedente dominazione gotica e abbeID la città con monumenti che dovevano celebrare la rinnovata unità imperiale. Le chiese di San Vitale e di Sant' Apollinare in Classe, con i loro splendidi mosaici, sono la testimonianza della dominazione bizantina e dell'arte bizantina in Italia. Di particolare interesse è la chiesa di San Vitale, (oriente e Occidente. La situazione finanziaria costruita vicino al mausoleo di Galla Placidia: è ! peggiorò rapidamente, la minaccia persiana toruna chiesa a pianta centrale, ottagonale, che ri- i nava a incombere e gli Arabi si facevano sempre chiama la contemporanea architettura bizantina, i più pericolosi; l'esercito non era in grado di consoprattutto nella cupola monumentale. L'interno, ! trollare tutti i territori conquistati. Nella primavemolto decorativo, è uno sfavillio di mosaici e di 1j ra del 569 l'Italia subì l'invasione dei Longobardi marmi preziosi. Fra i mosaici di particolare mae- 1 ] che si riversarono nella penisola senza un piano di stosità sono quelli che raffigurano Giustiniano e :! occupazione preciso; fu così che diverse regioni Teodora con i loro seguiti. ' italiane (la Romagna, le Marche, l'Umbria, la Pu- ::, glia, la Calabria e la Sicilia) rimasero sotto il con- :1 trollo dell'imperatore d'Oriente. Eraclio e lo scontro !i Una figura importante tra i successo ,r df Giustitra Bizantini e Persiani \i niano fo--Eradio. l!ll._generale di,é>figine romano- -=-=---~=--==-="---=-"--=.c.c'-=-=-~~ --=-.c.--=-..c~~------ ~ · african( che resse il tronàYa:i" 610 al 641. Con Giustiniano morì nel 565 e con lui anche il sogno !: questo imperatore, abba&lonat;;ra·-rutto le mire di creare un Impero che tornasse ad abbracciare !\ in Occidente, naq _1u6 0 una nuova civiltà e un norme per il riassetto dell'Italia che è ricordato con il nome di Prammatica Queste norme avevano lo scopo di ristabilire l'autorità del potere imperiale sull'Italia e in particolare manda del Senato da Atalarico, da Amalasunta regal madre e da Teodato siano inviolabilmente osservate, come pure vogliamo che integralmente restino in vigore quelle fatte da noi e da Teodora di pia memona, nostra consorte, non autorizzandi reintegrare i maggiori proprietari terrieri, e cioè l'aristocrazia senatoria, di tutti i beni tolti loro dai provvedimenti di Totila. Leggiamo alcuni dei ventisette articoli della Sanzione. do alcuno a derogare da ciò che dalle predette persone fu concesso per qualsivoglia ragione o titolo. IL Ciò che fu fatto o donato dal tir::i.nno Totila a qualsiasi Romano, o ad alcun altro, non sarà conI ~ / .:... .. , \ servato nella sua validità, e prescriviamo che tali cose vengano dai detentori restituite agli antichi proprietari; poiché ciò che da lui fu fatto in tempo di tirannide non si deve riguardare come legittimo nei nostri tempi. IV. Nel caso in cui taluno avesse di propria autorità invaso i beni di un assente o di un prigioniero, per esempio le greggi, o li avesse trattenuti rivendicandoli a sé, ritornato l'assente o liberato il prigioniero, egli dovrà restituire tali cose senza dilazione alcuna al medesimo o agli eredi suoi. Che se questo tale fosse morto, l'autorità della legge porta che la restituzione venga fatta ai suoi eredi. VII. Siamo venuti a conoscenza che, mentre i nemici assediavano Roma o altre città, furono fatti molti contratti da parte dei Romani assediati e che presentemente si rescindono tali contratti. Quindi prescriviamo che nessuno abbia facoltà di rescindere, cessata l'incursione dei nemici, i documenti sottoscritti, dovendo tutti i contratti fat- • LA SOCIETÀ E LE ISTITUZIONI L'organizzazione sociale dei Germani La struttura fondamentale della società germanica era il clan (sippe), formato dall'unione di più famiglie patriarcali imparentate fra loro. Il clan costituiva un'unità economica, militare e politica del tutto autonoma e autosufficiente. I capi-clan dei Visigoti e dei Burgundi, destinate esclusivamente alle popolazioni romane dei due Regni barbarici, l'editto viene imposto da Teodorico alla rigorosa osservanza sia dei Romani sia dei Goti. Proponiamo la traduzione delle più interessanti tra le 154 norme di cui consta l'editto. Si può notare come Teodorico e i suoi successori mostrino ancora un sostanzia/e rispetto nei confronti della tradizione romana: essi, infatti, si esprimono con editti e non con leggi, perché le leggi erano prerogativa dei soli imperatori, mentre gli editti erano di competenza dei magistrati. diedero vita, probabilmente già in età molto antica, a periodiche riunioni assembleari. Sostanzialmente democratica, la società germanica conobbe forme di monarchia elettiva entro le quali l'assemblea degli uomini liberi, che veniva periodicamente riunita (thing), manteneva di fatto tutti i poteri, compreso quello giudiziario. Queste assemblee - che si svolgevano nelle notti di novilunio o di plenilunio, secondo un calendario costruito sulle fasi lunari e non solari - esprie i sono giunte frequenti lamentele che nelle province c'è chi calpesta le leggi. E benché nessuno, là dove la legge è sovrana, possa sostenere l'ingiustizia, noi tuttavia, solleciti della pace di tutti, prospettandoci i casi che potrebbero verificarsi, per risolvere questi casi abbiamo voluto pubblicare il presente editto, affinché, salvo il rispetto del diritto pubblico e la devozione da tutti dovuta a tutte le leggi, Barbari e Romani sappiano dal presente editto come comportarsi secondo gli articoli qui elencati. Sulla corruzione dei giudici I. Stabiliamo in primo luogo che, se un giudice si lasci corrompere con denaro per giudicare a danmevano le decisioni del "popolo", che quindi consisteva nell'unione libera e volontaria di diversi clan [ DOC. P. 70]. In caso di guerra, l' assemblea nominava come comandanti alcuni Il Una corona votiva, proveniente dal tesoro di Guarrazar (621-672), capolavoro dell'oreficeria visigota. no di un innocente contro le leggi e le disposizioni del diritto pubblico, sia condannato a morte. Sulla legittima difesa XV. Chi respinge a mano armata un aggressore, non è da ritenersi omicida in quanto, quale difensore della sua vita, non risulta colpevole in nulla. Sui rapimenti XVII. Il rapitore di una donna libera o di una vergine, con i suoi complici e manutengoli, dopo provata la sua colpa, sia messo a morte; e se la rapita era consenziente sia parimenti uccisa. Sui delatori XXXV. Chi adducendo a pretesto l'utilità pubblica per giustificare il suo comportamento, si fa de- Erano la forza e l'arbitrio a governare il mondo medioevale. I signori feudali si arrogavano ogni diritto sui loro sudditi, pretendevano tasse odiosamente alte in denaro o in natura, e chiedevano sacrifici ancora più infami, come lo ius primae noctis, il diritto di passare la prima notte con ogni nuova sposa del feudo. La vita in campagna era miserabile, i contadini vivevano come schiavi e potevano subire dure . . pumz10m, per esempio se avevano cacciato di frodo nel territorio dei loro signori. Imperversavano tra gli uomini terribili malattie come la peste e la lebbra, le carestie rendevano ancor più penosa una vita che per giunta era accompagnata da un'ossessiva paura della morte, come dimostra il tema della danza macabra ricorrente nella letteratura e nella pittura. Dietro tutto ciò vi era almeno una profonda vita religiosa? Per niente. Le generali convinzioni religiose erano fortemente influenzate da residui pagani, che la diffusa ignoranza alimentava ulteriormente. [ .. .] Abbiamo cercato di riassumere i più diffusi luoghi comuni sul Medioevo. In questo breve saggio non possiamo confutarli uno per uno, ma vogliamo almeno cercare di mettere a nudo alcune lacune e contraddizioni che possono relativizzare alcune concezioni, e stupire chi vi rifletta. Per prima cosa diciamo che in questo suolo oscuro sono le radici della nostra civiltà europea. [ .. .] Nel Medioevo è facile trovare, accanto a una data realtà o situazione, il suo contrario. Un Medioevo bellicoso, governato dalle armi, nelle mani dei cavalieri? Certo. Ma anche un Medioevo pacifico, un'epoca ampiamente smilitarizzata. Così, per esempio, ai guerrieri del "Medioevo feudale" non interessava tanto uccidersi a vicenda, quanto prendere prigionieri e liberarli poi dietro il pagamento di un riscatto. E proprio dal mondo medioevale sono usciti alcuni dei più accaniti pacifisti cristiani di tutti i tempi. Un Medioevo dominato dalla mistica, in cui l'economia e la società avevano soltanto un valore secondario? Può essere. Ma poi incontriamo il fatto che le comunità religiose [ ... ] rivolgevano la massima attenzione all' economia, organizzavano dissodamenti e bonifiche, rendevano coltivabile la terra, davano da mangiare nelle loro abbazie a innumerevoli lavoranti, fondavano manifatture, costruivano strade, proteg- . gevano mercati. La più bella lode all'utilizzo artigianale e tecnico dell' energia idrica è stata scritta da Bernardo di Chiaravalle, uno dei più grandi mistici fra gli spiriti religiosi diquel tempo." Un Medioevo dogmatico, caratterizzato dal tenebroso potere dell'Inquisizione? Per niente, perché l'Inquisizione pontificia nacque solo alla fine del dodicesimo secolo come tribunale ecclesiastico, che non avrebbe mai potuto esercitare un potere se i governi mondani non gli avessero fornito il loro appoggio. Il suo compito era decidere su casi di eresia, e tuttavia nella stessa epoca la discussione teologica era libera e vivace: per esempio san Bernardo, il grande devoto di Maria, fu un awersario della dottrina dell'Immacolata Concezione di Maria. Non fu il Medioevo che visse i tempi più duri del dogma e dell'Inquisizione, ma lo splendente rinascimento. Un Medioevo irrazionale, guidato soltanto dalla fede e dalla superstizione, e che rimaneva chiuso alla logica, alla razionalità e alla tecnica? Fu anche così, ma allo stesso tempo il Medioevo fu uomini di particolare valore o autorità: questi, che erano soltanto "primi fra pari", dovevano sempre rispondere del loro operato all'assemblea. Solo in epoca più tarda i comandanti militari eletti cominciarono ad assumere caratteri di sovrano e, con la formazione dei Regni romano-barbarici, dopo la fine dell'Impero romano d'Occidente, si affermarono stirpi reali prestigiose. In ogni caso, le figure dei sovrani germanici furono sempre limitate nel loro potere dall'assemblea. Dopo gli uomini liberi (hariman), la minoranza che possedeva l'intero potere, venivano gli aldii, uomini semiliberi legati alla terra quasi come servi della gleba. Infine c'erano gli schiavi, quasi sempre prigionieri di guerra o individui catturati durante le razzie. Interessante era l'uso del comitatus, cioè l'abitudine di aggregare i giovani delle famiglie meno in vista a quelli delle famiglie più importanti, facendoli diventare compagni (comites) inseparabili in pace e in guerra. Questo modello di fedeltà personale avrebbe influenzato, tramite le legislazioni romano-barbariche, le istituzioni feudali del Medioevo, divenendone anzi una delle caratteristiche salienti. latore - che noi proclamiamo senz'altro persona esecranda - anche se dice il vero, non deve per legge essere ammesso a testimoniare; se poi fosse comunque portato in giudizio e non riuscisse a provare quanto dichiara al- 1' autorità costituita, sia bruciato vivo. Sull'adulterio XXXVIII. Adulteri e adultere, convinti in sede di giudizio, non sfuggano alla pena capitale; e parimenti siano puniti mezzani e complici dello stesso delitto. XXXIX. Chi ha favoreggiato un adulterio mettendo a disposizione la sua abitazione, oppure ha fatto pressione sulla donna perché acconsentisse ali' adulterio sia condannato a morte. Sul divorzio LN Non tolleriamo indiscriminati scioglimenti di matrimoni. Pertanto mogli e mariti non rescindano il vincolo coniugale se non per i giusti motivi previsti dalla legge. Le cause legittime di divorzio sono: se il marito sarà stato in giudizio dimostrato dalla moglie omicida, malefico o violatore di tombe. Il marito hà il diritto di ripudiare la moglie se l'avrà potuta dimostrare m giudizio adultera, malefica o an- èhe come volgarmente si dice, ruffiana. Il marito si tenga la dote e i doni nuziali, che però gli imponiamo di conservare a favore dei figli comuni. Analogamente la moglie riabbia la sua dote e i doni nuziali: questi ultimi conservi a~ch'essa per i Il diritto germanico Per i Germani non esistevano delitti e pene, ma solo offese personali e vendette. Quando una famiglia o un clan subiva un'offesa, la vendetta (o faida) costituiva non un diritto ma un obbligo; le faide potevano durare molti anni e provocare lo sterminio di intere generazioni. In epoca successiva, si introdusse la possibilità di lavare l'offesa con il pagamento di una somma, detta guidrigildo (dal germanico widregild, "ricompensa"), commisurata all'importanza della , persona o della famiglia colpita. Per gli atti contro _ la comunità interveniva invece un magistrato, eletto dall'assemblea degli uomini liberi, che infliggeva pene severe [ DQC. P. 68]. Per questioni gravi era ammesso il duello per risolvere la contesa. In età medievale, poi, il diritto germanico prevedeva il ricorso ali' ordalia, una prova fisica il cui esito avrebbe manifestato il giudizio infallibile di Dio. I due contendenti, infatti, dovevano affrontare terribili dimostrazioni di coraggio (come immergere un braccio nell'acqua bollente o camminare sui carboni ardenti) e chi riusciva a superarle era considerato innocente. figli comuni. La facoltà per essa di risposarsi o no è regolata dalle precedenti leggi. Sui sacrifici pagani CVIII. Chi venga colto a sacrificare secondo il rito pagano, nel caso si tratti di ministri del culto o stregoni, dopo accurata inchiesta, siano condannati a morte; coloro che assistono ai sacrifici, nella loro qualità di complici, se sono di condizione sociale elevata, abbiano i beni confiscati e siano condannati all'esilio perpetuo; se sono di umile condizione, siano condannati a morte. Sui servi della gleba CXLII. Sia lecito a ciascun padrone trasferire dai fondi, che possiede legittimamente, i coloni di ambo i sessi, anche se originari, ad altri luoghi di sua proprietà oppure adibirli a servizi in città, di modo che siano acquisiti a quei fondi nei quali risulti che essi si sono trasferiti per volontà del padrone oppure siano registrati nel personale di servizio utilizzato in città. Sia anche lecito ai padroni alienare gente di tale condizione, anche senza terra o parte di essa, purché vi sia atto scritto, oppure cederla, venderla o donarla a chi vogliono. Sugli Ebrei CXLIII. Circa i Giudei si conservino i privilegi loro concessi dalle leggi: dato che vivono secondo costumanze proprie, in caso di lite, essi hanno il diritto di avere come giudici i loro rabbini. Tacito scrive la Germania nel 98. È un'opera che si sofferma a descrivere minuziosamente nella prima parte gli usi e i costumi dei Germani, nella seconda le varie tribù germaniche. vivono su un territorio ferace di messi, inadatto agli alberi da frutta, ricco di bestiame, per lo più di piccola taglia. Gli dei hanno negato ai Germani l'argento e l'oro. Neppure il ferro abbonda, a giudicare dal tipo di armi. Infatti in guerra pochi usano spade e lance d'una certa lunghezza: portano delle aste o, per dirla col loro nome, delle framee. Pochi indossano corazze, pochissimi poi un elmo di cuoio o di metallo. Così si organizzano Con questo studio sui Germani Tacito si oppone alla retorica imperiale della sua epoca, nella quale i barbari erano rappresentati soltanto come i rozzi nemici che Roma affrontava vittoriosamente. nella vita civile: scelgono i re per nobiltà di sangue, i comandanti in base al valore. I re non hanno potere illimitato o arbitrario e i comandanti contano per l'esempio che danno [. .. ]. Sulle questioni di minore importanza decidono i capi, su quelle più importanti, tutti; comunque anche quelle di cui è arbitro il popolo subiscono un preventivo esame da parte dei capi. da Tacito, Germania, trad. M. Stefanoni, Garzanti, Milano 1991 La vita quotidiana dei Germani I Germani vivevano in piccole comunità o insediamenti sparsi. Le costruzioni erano di legno e abbastanza semplici. Le scoperte archeologiche testimoniano tuttavia che nelle zone occupate da Germani esistevano luoghi fortificati, i burga, da cui derivano i nomi delle città che terminano in -burg (come Wiirzburg, in Germania) o -bury (come Canterbury, in Gran Bretagna). Presso le tribù germaniche non esisteva la proprietà privata dei terreni: le terre via via occupate venivano spartite tra i clan, ciascuno dei quali provvedeva a sua volta a suddividere la propria parte tra le famiglie che lo componevano. L' agricoltura, del resto, era primitiva e tendeva semplicemente a sfruttare il più possibile, nell'immediato, il terreno strappato alla foresta. Proprio l'arretratezza delle tecniche agricole, che non consentiva di sfruttare a lungo gli stessi terreni, spiegherebbe la grande mobilità dei Germani. Successivamente le migrazioni furono provocate, come abbiamo già visto, dalla forte spinta da est da parte di popolazioni asiatiche. Durante le migrazioni centinaia di migliaia di persone, compresi donne, vecchi e bambini, si spostavano con tutti i loro averi e il bestiame. Le donne, con i bambini, assistevano da vicino alle battaglie e, in caso di sconfitta, si suicidavano e uccidevano i propri figli per sfuggire alla prigionia e alla schiavitù: questo spiega perché alcuni esiti rovinosi di guerre locali o contro i Romani segnarono la fine di intere tribù. Il loro abbigliamento risultò singolare per i Romani, dal momento che gli uomini indossavano una sorta di calzoni con un corto mantello sulle spalle. L'uso delle "brache" si diffonderà poi velocemente in tutto il mondo occidentale. L'economia nei primi secoli dell'Alto Medioevo Dopo il crollo dell'Impero romano d'Occidente la terra apparteneva soprattutto ai ricchi signori della classe sociale dei potentes, per la maggior parte senatori, magistrati o alti ufficiali venuti alla ribalta nel III e nel IV secolo. La loro potenza era il prodotto della ricchezza, dei grandi latifondi, che erano organizzati in aziende chiamate villae. I patrimoni dei potentes crescevano continuamente, perché i piccoli proprietari si affidavano a loro per trovare protezione e difesa dalle continue scorrerie dei barbari e anche dalla pressione fiscale; in cambio della protezione cedevano ai potentes la loro terra. Dei beni ceduti potevano avere il godimento pieno per un certo tempo secondo un patto dell'antico diritto romano (precarium, da cui precariato). Al protettore dovevano prestazioni e servizi gratuiti e parte del raccolto. La società altomedievale era una società rurale e quindi l'agricoltura era l'asse portante dell' economia. Ma nei primi secoli dell'Alto Medioevo le invasioni e le guerre misero a dura prova il sistema economico: chi seminava non aveva la certezza di poter raccogliere e, se anche il raccolto veniva portato a termine, il rischio di perderlo a causa di una razzia era molto alto. La fame, il freddo e la paura erano gli inseparabili compagni del contadino, costretto a vivere su una terra poco fertile, circondata dalle foreste. La sua dieta era a base di pane, ma poiché spesso mancava, si nutriva di erbe, radici e di quello che trovava nel bosco. Quando il clima impediva l' aratura o distruggeva le messi, alla consueta povertà si aggiungevano le carestie e le pestilenze. Anche i proprietari subivano questa situazione, ma con conseguenze meno drammatiche. In un tale contesto, venute meno le grandi vie di comunicazione romane e sparita la monetazione, l'economia si ridusse sostanzialmente a un livello primario e cioè alla produzione per uso strettamente personale, con forme di baratto per procurarsi i beni mancanti. La religione nella società dell'Alto Medioevo La cultura medievale nacque dall'incontro-scontro tra cultura classica e concezione religiosa cristiana. Queste due visioni del mondo e dell'uomo risultavano incompatibili soprattutto su un punto, cioè il destino dell'uomo dopo la morte. I cristiani lo ritenevano un problema fondamentale, i pagani sostanzialmente secondario. A questo problema è strettamente collegato il carattere più rilevante della civiltà cristiana altomedievale: il suo essere essenzialmente antimondana, volta alla trascendenza, convinta che la vera vita sia quella che l'anima affronta dopo la morte. La vita terrena era vista come una prova, una faticosa preparazionè alla vita vera, quella dell' aldilà, dove il premio della felicità eterna era concesso soprattutto a coloro che più avevano sofferto nella vita terrena. La storia degli uomini nel suo insieme era considerata come la proiezione di un disegno della provvidenza. Ogni individuo, per così dire, recitava solo una parte di cui ignorava le ragioni e le finalità, che restavano imperscrutabili perché scritte da Dio. L'uomo era insomma un pellegrino cui interessava la meta (cioè la salvezza), non il viaggio (cioè la vita mortale). A livello popolare, per tutto il Medioevo (e a maggior ragione nell'Alto Medioevo), la religiosità cristiana rimase intrisa di riti e credenze che affondavano le loro radici nel paganesimo. La presenza di tante tribù germaniche sul territorio dell'Impero aveva finito con l'aggiungere a questa singolare commistione tra religione cristiana e paganesimo anche i culti germanici. Soprattutto nelle campagne, la popolazione passava disinvoltamente dalla celebrazione della messa a riti di propiziazione delle forze naturali, talvolta di origine antichissima e che nulla avevano di cristiano. La Chiesa percepiva questo problema e per cristianizzare più profondamente le masse favorì il culto dei santi e delle loro reliquie. Il Cristianesimo non può sussistere se si nega la divinità di Cristo o il dogma della Trinità, mentre il culto dei santi non ha affatto questa stringente necessità teologica. In altre parole, esso si innestò sul Cristianesimo come una specie di elemento accessorio: da un lato i santi offrivano un efficace modello di vita cristiana, dall'altro potevano soddisfare certe inclinazioni della religiosità popolare. Infatti, i santi potevano intercedere presso Dio e soprattutto compiere miracoli; a loro, quindi, ci si rivolgeva per i problemi di tutti i giorni (avere un buon raccolto, guarire da una malatti_a, ottenere in genere una protezione) e si poteva sperare in risultati pratici. Nel Medioevo, insomma, i santi rappresentarono per certi aspetti la versione cristiana di un antichissimo senso del magico, che credeva necessario propiziarsi l'azione dei vari spiriti e delle forze che influiscono sulla vita quotidiana dell'uomo. Riti magici, spiriti e folletti Nel contesto religioso che abbiamo descritto, erano ovviamente diffuse molte credenze di tipo genericamente magico. Costituivano una parte importante della mentalità popolare e, spesso, si intrecciavano con la religione cristiana. L'antica fiducia che alcuni uomini potessero indovinare il futuro era rimasta ben salda tra i ceti più umili. Come nell'antichità, le tecniche divinatorie erano le più varie: i magi esaminavano le stelle; i negromanti evocavano i morti o i demoni versando sangue umano nell'acqua; gli idromanti scrutavano l'acqua per trarre auspici; gli arioli ottenevano risposte recitando formule e invocazioni attorno agli altari di idoli pagani; gli aruspici esaminavano le interiora delle bestie; gli àuguri osservavano il volo e il canto degli uccelli; i genetliaci stabilivano il destino di un uomo basandosi sulla posizione degli astri nel giorno della sua nascita; i sortilegi traevano indicazioni sul futuro dalla lettura delle Sacre Scritture. La Chiesa condannava soprattutto i sortilegi; rispetto agli altri, invece, si mostrò piuttosto tollerante. Era, inoltre, diffusissima la credenza che i morti potessero tornare nel mondo dei vivi. Particolarmente temuti erano i morti suicidi, i criminali rimasti insepolti, i bambini nati morti (quindi rimasti senza battesimo) e le donne morte di parto. Si - pensava che questi spiriti non riuscissero a trovare pace nell'aldilà e che quindi sfogassero la loro ira sui vivi; per questo motivo tutti, fin da bambini, imparavano riti e formule che servivano a tenere lontani i morti malvagi. Nell'Alto Medioevo, tutti i villaggi erano circondati da immense foreste, interrotte da piccole radure strappate faticosamente dall'uomo alla vegetazione. Il bosco era considerato un luogo abitato da spiriti, malvagi o buoni: una credenza antica di millenni, risalente ai primi culti degli elementi naturali (gli alberi, i fiumi, le sorgenti). I folletti, personificazioni dello spirito della vegetazione, diventeranno poi protagonisti di mille fiabe e leggende. Il millenarismo Un tema ricorrente nell'Alto Medioevo fu la fine del mondo, il dies irae (cioè il giorno del giudizio). Si tratta ovviamente di un tema che aveva a che fare con la concezione religiosa, ma si mescolava in misura notevole con una lettura simbolica e fantastica di alcuni testi e del mondo naturale. Il Venerabile Beda, un erudito benedettino inglese vissuto fra il VII e l'VIII secolo, fissò le date dei principali avvenimenti storici e giunse alla conclusione che l'umanità avrebbe avuto la sua fine nell'anno Mille. Ansie millenaristiche, attese di immani disastri, ma anche del ritorno di Cristo sulla Terra, si diffusero quindi sia tra i dotti sia a livello popolare. Si parlava anche dell'Anticristo (una figura dell'Apocalisse) che avrebbe regnato sul mondo prima della sua fine. • LA CULTURA L'istruzione e la cultura Le istituzioni scolastiche romane erano prevalentemente pubbliche, ma lo sgretolarsi dell'Impero le aveva cancellate. Nel Medioevo fu la Chiesa ad assumere integralmente il compito della trasmissione della cultura e dell'istruzione. Gli elementi del sapere, del resto, si erano ridotti notevolmente e l'educazione, anche quella dei signori, si fondava soprattutto su contenuti religiosi e precetti morali. Poiché la Chiesa rimase l'unica istituzione dell'Occidente capace di istruire ed educare, la conseguenza fu la clericalizzazione del sapere: tutta la cultura divenne espressione e prodotto degli uomini di Chiesa, praticamente gli unici a conoscere la lettura e la scrittura. Tuttavia va anche considerato che gli uomini colti erano a loro volta una ristretta minoranza fra gli uomini di Chiesa. Nei primi secoli del Medioevo, infatti, il basso clero, cioè la maggioranza dei religiosi che operavano nelle sperdute parrocchie di campagna, aveva una preparazione culturale scarsissima. Questi uomini di Chiesa condividevano molto spesso le credenze e le superstizioni dei contadini, in bilico, come abbiamo visto, fra Cristianesimo e paganesimo. La quasi totalità della popolazione era analfabeta, e l'analfabetismo riguardava anche i gruppi dirigenti non clericali. Pare che lo stesso imperatore Carlo Magno, promotore di una politica culturale di grande respiro e di una riforma dell'istruzione, avesse imparato a scrivere solo in tarda età. L'incontro-scontro fra la Chiesa e la cultura classica I veri maestri della cultura altomedievale furono i padri della Chiesa, le cui opere (la cosiddetta "patristica") costituivano la base di ogni conoscenza e, insieme, la mediazione più sicura con la cultura classica. Fra gli autori pagani che venivano letti, troviamo Cicerone, Virgilio, Orazio e Ovidio, che costituivano esempi per l'apprendimento di grammatica e retorica, ma che subivano una severissima censura dei contenuti. La tradizione classica era riconosciuta superiore dal punto di vista formale, anzi offriva un modello di perfezione che si pensava non superabile. Ma, ovviamente, il problema stava nel fatto che questi testi non erano stati toccati dalla rivelazione, non contenevano la verità cristiana. Nella mutata concezione del mondo il sapere non veniva più considerato un valore in sé ma era subordinato alla rivelazione, alla "vera" conoscenza. Perciò l'atteggiamento della Chiesa nei confronti della tradizione classica fu di rifiuto in termini dottrinali, ma di costante assimilazione nella pratica: da un lato si studiavano i classici per potersene servire, dall' altro si rifiutavano i loro valori filosofici e morali. Per le ragioni che abbiamo detto, gli intellettuali medievali non rispettavano l'integrità dei testi pagani, ma estrapolavano materiali da utilizzare nelle più svariate occasioni, isolando, le opere dal loro contesto storico e culturale. E chiaro che in questo modo potevano accadere grossolani travisamenti, perché ci si ostinava a cercare nelle opere classiche valori e significati vicini al Cristianesimo, presentimenti e prefigurazioni della verità cristiana. Soprattutto la poesia si prestava a una lettura di questo tipo e il caso più significativo fu l'interpretazione di certi passi di Virgilio. Per esempio, l'età dell'oro preannunciata dal poeta nella IV Egloga delle Bucoliche fu interpretata come l'avvento dell'era cristiana attraverso lanascita del Cristo (in realtà Virgilio intendeva esaltare la futura nascita del figlio di Ottaviano). Fu san Paolo che iniziò questo procedimento applicandolo alle Sacre Scritture con la definizione dei quattro significati del linguaggio biblico: letterale (il testo significa esattamente ciò che dice); allegorico (l'autore esprime e il lettore individua un significato nascosto, diverso da quello letterale); morale (i significati morali del testo); anagogico (si cercano nel testo significati spirituali o mistici). !' .,,": :,:; ... - r. -... ~ ~=""~ ,.... - o- ...- 'lo- ....... ......... ·:.; .• t ~ ~ é1'. X HJ- : \;e; ;-... ~ .. . 'k ~ ... ',:J';..- ...... .>- <><= .... \ .... . ·'· X J J lì La lettura allegorica non fu applicata solo ai libri, ma anche al mondo e alla natura. A questo proposito si parla di allegorismo medievale, che si fonda sull'idea religiosa e filosofica che ogni cosa che ricade sotto i nostri sensi è permeata di soprannaturale ed è segno di una realtà divina, in quanto l'universo visibile è solo una sorta di maschera. Era infatti molto diffuso spiegare i fenomeni naturali o gli avvenimenti storici ricorrendo alla magia o alla religione. L'organizzazione della scuola medievale A partire dall'anno Mille, presso monasteri e cattedrali furono create delle scholae dove gli insegnanti (scholastici) elaboravano le proprie dottrine. Dalla tradizione classica la scuola ecclesiastica medievale ricavò interessi, strumenti, metodi e ordinamento degli studi. Esistevano due livelli di istruzione: il primo prevedeva l'insegnamento della scrittura e la lettura, il far di conto e il canto. Il livello superiore era organizzato intorno a sette discipline, o "arti", divise in due gruppi: il trivio, che comprendeva grammatica, retorica e dialettica; il quadrivio, che comprendeva aritmetica, geometria, astronomia e musica. _ Privilegiate nell'insegnamento erano le arti del ~-trivio, ritenute indispensabili per la comprensio- _ ne dei testi sacri. Per queste materie si utilizzavano testi di autori classici, accuratamente selezionati e, naturalmente, epurati dai contenuti non in linea con la dottrina cristiana. La lin ua e la scrittura Un caso rappresentativo dei mutamenti dell'Alto Medioevo è quello della lingua. Nessuna delle popolazioni germaniche che s'insediarono nell'Impero riuscì a imporre la propria lingua; in tutte le regioni di antica e radicata presenza romana (Italia, Gallia, Spagna, Dacia, coste adriatiche orientali, fascia costiera dell'Africa settentrionale) la lingua parlata rimase il latino . . Comunque, già ai tempi dell'Impero la lingua parlata non era omogenea: c'era il latino classico, utilizzato nelle scuole, nei tribunali, nelle opere letterarie e scientifiche, nei discorsi ufficiali; e c'era poi un latino colto, che si era evoluto rispetto al lessico e alla pronuncia del latino classico e rappresentava la lingua della nobiltà e degli intellettuali. Da questi due idiomi cominciò a diversificarsi sempre più, fin dal I secolo a.C., il latino parlato dalle classi popolari, il cosiddetto latino volgare (da vulgus, "popolo"). Tutto questo processo costituiva una delle prime avvisaglie della trasformazione che avrebbe favorito lanascita dei diversi dialetti volgari e, successivamente, delle lingue neolatine (italiano, provenzale, francese, spagnolo, catalano, portoghese, rumeno ecc.). Tra il VI e l'XI secolo, i volgari si arricchirono di prestiti derivati via via dalle parlate germaniche, mentre il latino scritto si allontanò sempre più dalla norma classica, a causa delle intrusioni di volgarismi lessicali e della progressiva semplificazione della sintassi. I pochissimi che sapevano scrivere e avevano una qualche formazione culturale erano bilingui, cioè scrivevano in un latino sufficientemente corretto e parlavano in volgare: si trattava dei chierici, cioè di persone dotte, laici o ecclesiastici; gli altri, nella quasi totalità analfabeti, conoscevano solo la lingua con cui si esprimevano: il volgare. La letteratura Non conosciamo nessuna produzione letteraria del mondo delle tribù germaniche e questo è del tutto naturale, visto il loro nomadismo. I Germani, comunque, così come i Greci, tenevano in gran conto i cantori, i bardi, che, passando di tribù in tribù, e poi nei vari regni, cantavano le gesta dei loro dèi e dei loro eroi. Da questa tradizione orale nasceranno poi le grandi saghe poetiche che si sono tramandate per iscritto fino a oggi. nuovo Impero, quello bizantino propriamente detto: un Impero che aveva come lingua ufficiale il greco, la cui capitale tornò a essere chiamata Bisanzio, e i cui costumi si fecero sempre più orientali. Durante il regno di Eraclio, l'Impero romano d'Oriente cominciò a perdere i territori italiani, che passarono sotto la dominazione dei Longobardi. Mantenne infatti solo la Sicilia e la zona costiera dell'Adriatico. Eraclio dovette affrontare i Persiani, che negli anni precedenti avevano saccheggiato Gerusalemme ( città santa per i cristiani) e avevano minacciato la stessa Bi3>anzio. Riuscì a spingersi fino alla capitale Ardashir, dove distrusse il tempio di Zoroastro, il principale centro di culto persiano; i Persiani reagirono ponendo l'assedio a Bisanzio, che tuttavia seppe resistere. La guerra si concluse due an - ni dopo, nel 628, quando l'imperatore inflisse una disfatta totale ai Persiani in Assiria e rientrò in trionfo a Bisanzio. Eraclio avviò un'importante riforma interna, riorganizzando il territorio imperiale in temi. Si trattava di province militari guidate da uno stratega (di nomina imperiale), sempre pronto ad agire militarmente nella propria area territoriale e che si doveva occupare del reclutamento in loco del- 1' esercito. Da quel momento, le milizie imperiali non furono più composte da mercenari, sgravando così le casse dello Stato di costi enormi. Intanto però, sia per l'Impero bizantino sia per ti al tempo dell'assedio conservare la loro efficacia e che nessun pregiudizio possa derivare ai proprietari per la perdita dei medesimi; infatti la ragione del diritto non consente che ciò che è stato fatto legalmente venga annullato per casi fortuiti. X. Prescriviamo che il pagamento delle contribuzioni si debba fare formalmente nei consueti luoghi e tempi, senza che il sopravvenire dei nemici possa produrre alcuna innovazione al pagamento dei tributi, dovendo per l'avvenire farsi ogni pagamento giusta la consuetudine e il tenore delle nostre leggi tanto nella cassa erariale quanto nella provincia. XIII. A ciascuno deve restituirsi la proprietà. Ci risulta che alcuni, dopo scacciati i nemici dalle province coli' aiuto di Dio, si appropriarono del bestiame dagli stessi nemici abbandonato e che in precedenza apparteneva a terzi; prescriviamo quindi che, esaminata la causa, venga restituito a ciascuno quanto gli spetta. quello persiano, entrambi provati dalla lunga guerra che avevano combattuto, si profilava un nuovo' pericolo: l'Islam. Alla metà del VII secolo Siria, Palestina ed Egitto furono le prime perdite che l'impetuosa espansione araba inflisse a Bisanzio. La dinastia isaurica (717-867) e l'iconoclastia f.frà l'VIII e il IX secolo, dopo una fase trava~ llta da lotte intestine, regnò a Bisanzio una dina- Ìstia di imperatori provenienti dall'Isauria (una Jregione dell'Asia Minore), il cui fondatore fu !Leone III (717-740). f'A quel tempo gli Arabi erano entrati nell'Egeo e ·~vevano conquistato Creta e Cipro; ormai pun- 'tavano alla conquista della stessa Bisanzio e pro- '.1~rio nell'anno in cui Leone III salì al trono ten- 'i:arono, come già altre volte, l'impresa ma furono ! respinti. Bisanzio avrebbe resistito all' espansioh e islamica (prima araba e poi turca) ancora per sette secoli, e anzi, in certi periodi tornerà temporaneamente a espandersi a spese dei popoli confinanti. La lotta fra Cristianesimo e Islam avrebbe rap- . presentato uno dei tratti costanti di tutta la storia medievale dell'Oriente mediterraneo, e in parte anche dell'Occidente. Ma l'imperatore Leone III è ricordato soprattutto come colui che avviò una violenta lotta religiosa, l'iconoclastia, che dilaniò l'Oriente cristiano per più di un secolo [ ooc. P. 88]. Gli iconoclasti erano contrari a ogni forma di culto delle immagini sacre; questa posizione non era solo religiosa, bensì nascondeva precisi intenti politici. Il culto delle immagini si era, infatti, diffuso ampiamente, soprattutto nel mondo orientale, favorito dai grandi monasteri (vedi p. 92). Nel 726 Leone III cercò di limitare appunto il potere dei monasteri (che nel tempo avevano ammassato grandi ricchezze) con un editto che proibiva il culto delle immagini della Madonna e dei santi, ne ordinava l'immediata distruzione, e prevedeva la confisca di molti terreni per distribuirli ai piccoli proprietari. Il conflitto divampò violentissimo, a tratti con i caratteri di una vera e propria guerra civile, e coinvolse anche l'Occidente. La Chiesa di Roma si oppose all'iconoclastia e prese posizione contro Tra le risoluzioni adottate dalla Chiesa bizantina per condannare il culto delle immagini spicca quella presa alla fine del concilio di Costantinopoli del 754. Gesù, fonte per noi di salvezza, così come un tempo aveva inviato i suoi discepoli e apostoli, per annientare i nostri errori, allo stesso modo ha fatto sì che i nostri pii imperatori si opponessero alla nuova idolatria. Poiché non poteva ammettere che la Chiesa fosse più a lungo tormentata dalla malizia dei demoni, ha convocato la santa riunione dei vescovi. [. .. ] Dopo aver esaminato le decisioni dei sei concili ecumenici, ci siamo con - vinti che l'arte colpevole I lavori di questo concilio, al quale non parteciparono i vescovi della Chiesa occidentale, furono guidati dal vescovo Teodosio di Efeso. della pittura costituiva un sacrilegio contro il dogma della nostra salvezza. [. . .] Cristo significa Dio e uomo; ne consegue che in quell'immagine di Dio e dell'uomo, egli ha contaminato con audacia insensata la natura divina con la carne creata, in una fusione che non deve mai avvenire. Egli si è dunque reso colpevole di un doppio sacrilegio: aver preteso di rappresentare la natura divina, che non deve mai essere rappresentata, e aver mescolato la natura divina all'umana. l'imperatore, condannandolo nel 731. Il VII concilio ecumenico di Nicea (787) condannò nuovamente l'iconoclastia che riprese tuttavia con gli imperatori Barda e Teofilo. La Chiesa di Roma domandò aiuto ai Franchi ed ebbe inizio così una nuova fase della storia dell'Occidente sotto la guida del regno dei Franchi e del papato: l'incoronazione di Carlo Magno a imperatore d'Occidente da parte del papa, nell'800, fu il gesto che indicò, fra l'altro, la fine dell'obbedienza papale agli imperatori bizantini. Nell'843, un editto dell'imperatrice Teodora segnò la definitiva sconfitta degli iconoclasti e reintrodusse il culto delle immagini. La dinastia macedone (867-1081) Con la dinastia macedone l'Impero riacquistò una notevole solidità interna e tornò a essere la potenza egemone del mondo orientale, contrattaccando gli Arabi, il cui Impero si era nel frattempo frammentato in diversi regni indipendenti, e riconquistando la Siria e l'isola di Creta. La figura più importante della dinastia macedone fu Basilio II (976-1025). Durante il suo lungo regno si risolsero i conflitti con le popolazioni barbariche che premevano da tempo ai confini balcanici. Basilio sconfisse i Bulgari ma, dopo la vittoria, preferì pacificare la regione, concedendo alla Bulgaria l'autonomia religiosa, culturale e amministrativa. Intanto, all'interno dell'Impero, aumentava il potere dell'aristocrazia terriera: essa si impadroniva sempre più dei possedimenti della piccola proprietà contadina - che per secoli aveva costituito una delle forze più solide dell'Impero - inglobandoli nei grandi latifondi. Nell'XI secolo, mentre i problemi alle frontiere si aggravavano nuovamente, si consumò la frattura definitiva con l'Occidente cristiano. Nel 1054, infatti, la Chiesa cattolica romana e la Chiesa d'Oriente, che si proclamava "cristiana ortodossa", si scomunicarono a vicenda (una scomunica ritirata formalmente solo nel 1965). Le motivazioni religiose dello scisma riguardavano il modo di concepire il rapporto fra le persone della Trinità, da tempo materia di contrasti fra i teologi, e il diritto del vescovo di Roma (cioè il papa) al primato su tutti i cristiani, primato che la Chiesa orientale negava. Natural- mente, però, la questione implicava anche la rivalità politica tra Roma e Bisanzio. La dinastia dei Comneni (1057-1185) I Comneni erano una grande famiglia aristocratica di proprietari terrieri. Sotto la dinastia a cui diedero vita, l'Impero godette di grande splendore e prosperità, ma all'esterno si crearono le situazioni che l'avrebbero condotto alla rovina: i Turchi, che avevano spodestato gli Arabi alla guida del mondo islamico, aumentavano infatti la loro pressione e i popoli slavi minacciavano la ribellione. Nel 1096 la prima crociata della cristianità occidentale partì per la Terra Santa; giunta a Bisanzio, fu accolta con sospetto dalle genti dell'Impero, che vi vedevano, non a torto, un atteggiamento ostile nei loro confronti. Nel 1204, in occasione della quarta crociata, Bisanzio cadde addirittura nelle mani dei crociati. Protagonisti dell'evento furono i Veneziani, che ambivano a sostituirsi a Bisanzio nelle rotte commerciali per l'Oriente, i quali s'impadronirono di un grandioso tesoro custodito ancora oggi nella basilica di San Marco a Venezia. La dinastia dei Paleologi (1261-1453.,__ _____ _ La conquista di Bisanzio da parte dei crociati nel 1204 e la salita al trono addirittura di uno straniero, il conte di Fiandra, costituirono una svolta determinante nella storia dell'Impero bizantino. Nel 1261 i Bizantini riconquistarono il potere e si affermò la dinastia dei Paleologi, ma ormai il territorio dell'Impero si era ridotto esclusivamente alla regione circostante la capitale. Intanto, in Asia Minore, prendeva il sopravvento la potenza dei Turchi Ottomani: le incessanti guerre civili interne favorirono la loro avanzata e, il 29 maggio 1453, dopo una strenua difesa, Bisanzio cadde nelle loro mani. L'imperatore Costantino XI Paleologo morì combattendo in difesa della capitale e con lui ebbe fine il lungo percorso dell'Impero romano d'Oriente e della civiltà bizantina. Le origini del monachesimo cristiano in Oriente Un aspetto importante della cultura bizantina fu rappresentato dalla diffusione del monachesimo [ DOC. P. 97]. Nell'epoca delle invasioni barbariche, di fronte alla caduta delle istituzioni romane e alla perdita di ogni fiducia nel futuro, molti cittadini cristiani si ritirarono in luoghi appartati, per vivere la propria esistenza nella contemplazione e nella preghiera. Questo fenomeno è stato definito monachesimo ed ebbe origine da pratiche di vita eremitica [ LETTURA P. 91] diffuse in Medio Oriente anche in epoche precedenti. Nel II secolo a.C., per esempio, alcuni gruppi di Il Le grotte di Qumran, nei pressi del mar Morto, in cui sono stati trovati antichi manoscritti di carattere religioso. Ebrei si stabilirono nella zona del mar Morto, in completo isolamento dal mondo. Conosciamo questa esperienza perché, tra il 1947 e il 1956, in alcune grotte della zona sono stati trovati numerosi manoscritti di carattere religioso. Si trattava di una comunità che lavorava, studiava e scriveva, vivendo in povertà. Su questo esempio nacque, secoli più tardi, il monachesimo cristiano orientale: nel III secolo gruppi sempre più numerosi di persone si avventurarono in zone desertiche dell'Egitto, dove vissero in solitudine, povertà e preghiera. Fra i motivi che generarono questo fenomeno vi fu il desiderio di seguire integralmente l'esempio di Cristo, che era rimasto quaranta giorni nel deserto e che aveva detto: «Va', vendi quello che hai e dallo ai poveri». L'ideale, quindi, era di una vita vissuta nella rinuncia totale alle soddisfazioni corporali, nel controllo delle passioni, nell'assoluta povertà e castità. Il monachesimo orientale prescriveva ai monaci di vivere in solitudine, separati dal mondo: con la nascita del monachesimo occidentale (vedi p. 134), invece, anche la Chiesa contribuì alla creazione di un mondo nuovo in cui preghiera e lavoro, contemplazione e vita in comunità avevano uguale dignità. Le soluzioni estreme: gli eremiti e gli stiliti Fin dall'inizio, il monachesimo cristiano assunse varie forme. La soluzione estrema fu l' eremitismo ( dal greco eremos, "solitario"), cioè la scelta di una vita vissuta in rigorosa solitudine e in luoghi spesso inaccessibili. Alcuni di questi eremiti - o anacoreti ( dal greco anachorein, "ritirarsi") - divennero famosi. Erano venerati per la loro saggezza e alle loro grotte o capanne convenivano folle di fedeli per sentirli parlare, per confessare i propri peccati, per avere un consiglio. , Assai diffuse tra gli eremiti furono diverse forme di mortificazione del corpo: così si metteva in atto una pratica penitenziale e, allo stesso tempo, purificatriI.' eremita. una scelta alternativa John Gordon Davies, uno studioso inglese della Chiesa primitiva, partendo dall'analisi della vicenda del primo monaco Antonio, analizza alcune delle cause della diffusione della pratica ascetica in Oriente. L' ideale di una vita mortifi~ata non era mai stato assente nel Cristianesimo, fin dal suo inizio, e nel II e III secolo molte comunità avevano un gruppo interno di vergini e di asceti. Nella seconda metà del III secolo, numerosi uomini adottarono la vita anacoretica e tra questi va ricordato soprattutto Antonio. Antonio nacque nel 251 circa nel villaggio di Conias nel Medio Egitto, da genitori benestanti. Poco dopo la loro morte, quando aveva ancora diciotto anni, rinunciò a tutta la sua eredità per mettere in pratica il messaggio del Vangelo «Vendi ciò che hai», e si mise sotto la tutela di un vecchio asceta, che viveva alla periferia del villaggio; là egli lavorò manualmente, pregò e lesse la Bibbia. Per trentacinque anni, durante i quali visse un po' in una tomba e un po' in un castello abbandonato, si dedicò alle pratiche ascetiche, finché la sua fama di ce, che doveva consentire un più diretto contatto spirituale con Dio. Una di queste forme, tra le più estreme, fu quella degli stiliti [ LETTURA P. 92], ossia persone che vivevano anche per lunghi periodi sopra alte colonne (dal greco stylos, "colonna"). Lo stilita più famoso fu Simeone il Vecchio, un siriano vissuto nella prima metà del V secolo; l'agiografia cristiana racconta che egli visse per tre anni nel deserto su una colonna, in digiuno e quasi sempre ritto in piedi. Naturalmente anche gli stiliti divennero oggetto di venerazione e sotto le loro colonne si radunavano folle numerose, che pregavano, chiedevano benedizioni o addirittura profezie. D Gli stiliti, diffusi soprattutto in Oriente, erano circondati dalla venerazione popolare. In un rilievo dell'epoca è rappresentato uno stilita sulla sua colonna mentre riceve del cibo. santità non attrasse tali folle che egli, in cerca di una maggiore solitudine, si ritirò nel deserto. Molti, tuttavia, lo seguirono e, costruendo delle celle vicino alla sua, vissero una vita semi-eremitica, sotto la sua guida. A parte due visite in Alessandria, rimase in un relativo isolamento e morì il 17 gennaio 356. Mentre sarebbe peccare di eccessivo semplicismo considerare Antonio come il fondatore del monachesimo cristiano, non ci può essere dubbio che l' esempio della sua vita esercitò una notevole attrazione su molti che erano portati, per le circostanze del tempo, a volgere le spalle al mondo. La pace della Chiesa aveva praticamente chiuso la lista dei martiri, all'interno dell'Impero, e i monaci vennero fuori in gran numero, presentandosi, in un certo senso, come eredi del loro esempio eroico di virtù. La crescente secolarizzazione della Chiesa, dovuta alle incursioni di opportunisti e di pagani semi-convertiti, portò molti a protestare. I padri del deserto in realtà non fuggirono tanto dal mondo in se stesso quanto dal mondo all'interno della Chiesa. Ci furono, naturalmente, altre influenze a favorire il movimento monastico. Fra l'altro la persecuzione aveva spinto a rifugiarsi nel deserto molti cristiani e una volta là, essi si erano accorti che era possibile I cenobiti e i primi monasteri Il termine cenobita viene dal greco koin6s, "comune" e bios, "vita", quindi indica il membro di una comunità. Esempi di vita associata tra cristiani, in luoghi isolati dalla civiltà, sorsero già nel III secolo (vedi p. 90). A quanto sappiamo, il primo monastero vero e proprio fu fondato nel 320, in Egitto. La comunità eleggeva una sua guida, l'abate, che fissava tutte le norme della vita in comune. Pochi decenni più tardi, nella seconda metà del IV secolo, il vescovo Basilio di Cesarea (città delS alendo sulla sua colonna, lo Stilita faceva / in qualche modo voto lli stabilità. Non si tratta di un voto f li . I atto esp c1tamente, ma, come mostri no le storie degli Stiliti,! sono tutti ben decisi a non discendere, e la loro costanza contrasta ~tranamente con lo spirito errabondo di cui prima hanno talvolta dato prova. Si resta stupiti nel vedere la costanza di questi asceti nelle torture inaudite che infliggono loro l'immobilità, il rigore delle stagioni e i pericoli che corrono durante le tempeste. [ ... ] Gli Stiliti stavano generalmente in piedi. Tale posizione è per così dire la parte essenziale della loro rude penitenza. E pare che esla Cappadocia) dettò le regole del monachesimo orientale. Evidentemente, dunque, esso doveva essersi già diffuso. Basilio rafforzò moltissimo il potere dell'abate, regolamentò il digiuno e stabilì come colonne portanti della comunità monacale l'ubbidienza (il dovere principale del monaco), il lavoro, la povertà e la castità. All'inizio, nel III e nel IV secolo, il monastero non era altro che un insieme di ripari naturali o di rozze capanne in cui i monaci vivevano quasi sempre soli. Nel V secolo cominciarono a essere costruiti in Siria e in Egitto edifici di pietra, protetti da mura e addossati a una basilica. Nel XII secolo i monasteri orientali erano ormai simili a un castello, tanto che venivano usati anche per funzioni militari di difesa del territorio. Nel millennio di vita dell'Impero bizantino, i monasteri aderenti alla riforma di Basilio ebbero un'importanza eccezionale, sia per la grande preparazione culturale dei monaci sia per la loro vicinanza alla vita e alle esigenze del popolo. Dopo l'invasione turca, nel X:V secolo, questa importanza venne meno, ma ancor oggi in Grecia e nel mondo slavo esistono monasteri che si ispirano al pensiero di Basilio. Fra i più celebri vi è quello sul monte Athos, in Grecia. si non abbiano preso altra posizione se non perché costretti da malattia. Il cibo degli Stiliti, si capisce, era dei più semplici, era quello della maggior parte degli eremiti, con questa differenza che il loro approvvigionamento dipendeva maggiormente dagli amt1 esterni. Gli Stiliti la cui fama attirava grande concorso di popolo o che stavano in prossimità di un grande centro popolato, erano sicuri di non mancare del necessario; ma nei luoghi poco frequentati il loro isolamento li esponeva a morire di fame.[ .. . ] Noi comprendiamo difficilmente che questi pii uomini abbiano potuto agire in tal modo senza tentare la Provvidenza. La semplicità è la loro grande attenuante. Una delle più dure penitenze che alcuni Stiliti si imponevano era la privazione di sonno. Il loro breve riposo gli Stiliti lo prendevano senza dubbio appoggiati contro il parapetto. La difficoltà di farsi sentire dalla folla dipendeva molto dall'altezza della colonna e dai polmoni dello Stilita. La grande colonna di Simeone il Vecchio era alta da 16 a 18 m. Si capisce come i biografi abbiano avuto · cura di annotare che egli era obbligato a gridare non soltanto per dominare il tumulto che talvolta si produceva, ma anche per dare il benvenuto a quelli che aspettavano il loro turno di salire. • LA SOCIETÀ E LE ISTITUZIONI La società bizantina La società bizantina aveva una struttura gerarchica rigidamente piramidale. Al vertice stava l'imperatore che, dopo avere sottratto al Senato la maggior parte dei poteri, era ormai divenuto un monarca assoluto di stampo orientale [ LETTURA P. 94]. Sotto di lui vi erano la corte, i funzionari, i militari e le autorità ecclesiastiche che, con Giustiniano, assunsero un grande potere;· in cambio questi ceti privilegiati offrivano un appoggio quasi incondizionato all'imperatore. La società era divisa in varie fasce. Ceti privilegiati erano senza dubbio gli artigiani e i mercanti, che traevano grandi vantaggi dal fatto che Bisanzio era al centro dei più importanti traffici internazionali. Nelle campagne i contadini si dividevano tra piccoli proprietari e affittuari. Vivevano quasi tutti in piccoli villaggi e gli abitanti erano legati tra loro da un vincolo di responsabilità comune. Se un contadino, per esempio, non riusciva a pagare le tasse, l'intera comunità ne rispondeva davanti ali' erario. [ ... ] Dall'alto della loro colonna questi solitari esercitavano un vero apostolato [. .. ]. Certo la folla è attirata dallo spettacolo strano che lo Stilita offre al suo sguardo. Ma essa non subisce meno la seduzione che esercita sugli animi la carità unita alla più completa rinuncia. Ed è quello il segreto della fiducia che questi uomini ispirano [ ... ]. Si è detto degli Stiliti che essi costituivano una "deviazione" del monachesimo. Perché deviazione? Sarebbe più giusto considerarli come una branca del ramo orientale dell'istituzione monastica. È fiorita in condizioni che non esistono più, e, aggiungeremo francamente, il cui ritorno non è del tutto auspicabile. La Chiesa occidentale, che non si è mostrata favorevole a essi, s'ispirava a una visione più elevata della vita monastica. Il fine supremo della vita spirituale, in effetti, non è di perseguitare i corpi. Si può rendere omaggio alle buone intenzioni di questi uomini che hanno cercato di realizzare in se stessi qualcosa di una tale esistenza sovrumana; ma dispiace che molti abbiano tenuto a riprodurne quasi soltanto il tratto meno essenziale, e che il loro istinto religioso non li abbia aiutati a scartare ciò che si prestava precisamente alle critiche. da H. Delehaye, I santi stiliti, Picard, Parigi 1923 La rifondazione del diritto L'ambito al quale Giustiniano si dedicò con maggior cura, quello al quale ancora oggi in tutto il mondo civile è accostato il suo nome, fu senza ombra di dubbio quello giuridico-legislativo. Egli, infatti, si propose di dare avvio alla riorganizzazione dell'intero corpo legislativo che Roma aveva approntato in nove secoli della sua storia a partire dalle Leggi delle Dodici Tavole del 451 a.C. Scelse così un esperto giurista, Triboniano, al quale affidò il compito di rivisitare, riorganizzare, sistemare l'imponente materiale giuridico e legislativo che la civiltà romana aveva prodotto per «fare delle leggi certe e indiscutibili» perché sulla legge si fonda la società degli uomini. Questo compito era il compito dello Stato, che allora si incarnava nell'imperatore voluto da Dio. Il risultato fu la creazione del Corpus iuris civilis, un vero e proprio ripensamento del sistema legislativo ereditato dai Romani, in cui l'antica tradizione romana venne rispettata, ma anche riletta alla luce delle nuove esigenze dell'Impero bizantino. Ne è una prova il fatto che le prime tre delle quattro parti in cui è diviso il Corpus furono scritte in latino, la quarta in greco, in omaggio alla lingua che dalla metà del VI secolo divenne la lingua ufficiale dell'Impero. Queste sono le quattro parti del Corpus iuris civilis: 1. il Codice, che raccolse tutte le costituzioni imperiali promulgate da Adriano in poi; 2. il Digesto (dal latino Digesta, cioè "cose raccolte ordinatamente") o Pandette (dal greco Pandéktai, cioè "che accolgono, comprendono tutto"), che raccolse i pareri dei più illustri giuristi di tutti i tempi; 3. le Istituzioni, una specie di manuale che descriveva i princìpi generali del diritto privato; 4. le Novelle, l'insieme delle leggi imperiali emanate dallo stesso Giustiniano dopo il 534, anno in cui l'intero Corpus fu emanato. Giustiniano, in questo suo ambizioso progetto, voleva rendere evidente la diretta continuità fra il suo Impero e quello romano e contemporaneamente dimostrare che solo il diritto poteva essere il garante della stabilità dell'Impero. Con Giustiniano entrò dunque nella storia del pensiero, e pertanto della civiltà, l'idea dello Stato fondato sul diritto. Tale immensa opera giuridica fu il risultato di più culture, che vennero così a sommarsi. Fondamentale fu il recupero del diritto romano, al quale Alexander Kazhdan, storico russo, in questo passo puntualizza la funzione e il significato del ruolo de/l'imperatore nella società bizantina. L a prima funzione dell'imperatore era quella rappresentativa: egli impersonava l'Impero bizantino, simbolizzava, incarnava in forma materiale e sensibile la sua implicita potenza. La dottrina politica bizantina presentava 1'imperatore come una divinità terrestre. Imitare Dio era il primo dovere d~ll'imperatore e tutto il rituale · della vita di corte era destinato a ricordare il legame segreto tra il basileus e il re del cielo. Durante le udienze ufficiali l'imperatore sedeva su un trono a due posti: nei giorni feriali sedeva sul trono di destra e nei giorni festivi su quello di sinistra, lasciando libero quello di destra per Crin.\;. n1utm1l'-'"'èn1.1ntdi; t\tcim~c~ ttmm.1~ ... 1t'tN,1 l(lllPf~lT.lll:;'lllll lt))l~ll ,11 hl,·nr, mmamn m,l\1 mc1iq1c5,.1m1111. ~ 1p. "' a::::~. \lluro111,1a1111<'111~ ,, ~ ·J (~lutl\\'1Xl>:mmu ~ "~-.""''"·"=-··~;- 1 'l \' ,. I' "'"""" t-• 1 :\Hl~;- H:· .' \ 1 t •11 ~ìiLt ut . ·,:~t . ,. . ,n.1:n~v1r. i:-., t.Cf"uiffln\ ... lll\ ,.1t14ntti-. [\--tt.1l"l-,l:tn1troJ1 ; U. ([lFIN, •!t,I.Jt'ltllllXll n,f.<'.tl:li\'11 tt\il1UJ f~~~~::K~;~:~~~{~~~!!~~:~tLW. - ~ ....... UUHltn,.,u~-itur-.t'(;t . . 1\1 Una pagina miniata del Digesto in cui un giudice, circondato da giuristi, esprime il suo giudizio. sto, simbolicamente rappresentato da una croce che veniva posta sul trono. L'imperatore era trattato come una entità cosmica e veniva spesso chiamato con l'epiteto «sole». [. .. ] Il basileus era una figura sacrale; la sua abitazione era un palazzo sacro, i suoi vestiti, come il palazzo, erano sacri. L'oro e soprattutto la porpora erano il simbolo della grandezza dell'imperatore; egli sedeva su cuscini di porpora, firmava con inchiostro rosso e soltanto lui poteva indossare calzari di porpora. La comparsa in pubblico dell'imperatore si trasformava in un rito: si stabiliva inanticipo quali cittadini potevano incontrarlo e con quali parole dovevano riverirlo. Il culto dell'imperatore costituiva uno degli elementi della religione di Stato. Ma anche nel culto dell'imperatore, la divinizzazione del sovrano era accompagnata da una ostentata umiliazione. Coperto da un mantello di seta ricamato di perle l'imperatore teneva nelle mani non soltanto la «potenza», il simbolo del potere terreno, ma anche l' akakia, un sacchetto pieno di polvere che ricordava la caducità del suo essere. Appena salito al trono il sovrano doveva scegliere il marmo per il proprio sarcofago. Dopo una vittoria egli rientrava in città a piedi, mentre sul suo cocchio che marciava da- Giustiniano volle ispirarsi, che si arricchì dell'influenza del diritto greco-ellenistico, in vigore in tutte le comunità ellenizzate. A tutto ciò si sommò una forte impronta cristiana: al di là del fatto che Giustiniano ritenesse che l'ordine giuridico derivasse dalla teologia, tanto da invocare l'aiuto di Dio per la sua opera, rilevanti furono anche le interpretazioni di alcune istituzioni, come il matrimonio, che divenne un legame di natura divina. L'economia Per Costantinopoli passava, e continuò a passare per molti secoli, la strada dell'economia bizantina, un'economia floridissima che rappresentò una delle leve della stabilità dell'Impero bizantino. La città fu, infatti, primo emporio dell'Impero, principale luogo di scambi e di commerci, che avvenivano per mare e per terra, luogo dove fiorì anche una ricca e varia produzione artigianale, che forniva manufatti pregiati e oggetti di lusso da esportare. Dall'India i mercanti bizantini importavano spezie, profumi e avorio; dalla Cina seta; dalla Persia gioielli e pietre preziose; dall'Egitto, almeno fino al VII secolo, grandi quantità di grano; vanti tirato da cavalli bianchi veniva posta l'icona della Madre di Dio che veniva venerata come la vera imperatrice. Il basileus doveva chinare la sua testa non solo davanti a Dio e alla morte: secondo una tradizione consolidata, a imitazione di Cristo il sovrano doveva, una volta l'anno, lavare i piedi ad alcuni poveri di Costantinopoli. Il carattere rappresentativo è un indice del fatto che non veniva divinizzato il singolo imperatore o una famiglia imperiale ma il potere in1periale in quanto tale; e questo appare con particolare evidenza nella convinzione dei bizantini che l'incoronazione purificasse tutti i peccati, anche quello gravissimo dell'omicidio. Il culto dell'imperatore alimentava la fiducia nel- 1' eternità dell'Impero. Spesso però la funzione rappresentativa trasformava il sovrano in un manichino da parata. La sua giornata era regolata da un severo cerimoniale di ingressi e di uscite dalla sala del trono e i pesantissimi abiti che indossava rendevano queste cerimonie delle vere torture. La funzione rappresentativa incatenava l'imperatore alla capitale: egli doveva mostrarsi al balcone in determinati giorni, passeggiare sulla strada principale di Costantinopoli, presenziare alle cerimonie religiose celebrate nella basilica di Santa Sofia. Altra funzione dell'impedalla Siria e dall'Asia Minore cotone e zucchero. Costantinopoli divenne così il grande mercato dell'Impero, dove ruotavano enormi interessi gestiti da ricchi e potenti mercanti. Proprio durante il regno di Giustiniano finì il monopolio cinese della seta: durante la metà del VI secolo, secondo lo storico Procopio, fu introdotta la coltivazione del baco da seta per merito di alcuni monaci, il che rappresentò una "svolta" di grande rilievo nell'economia bizantina [ ooc. P. 96]. Se il commercio rappresentò l'attività primaria dell'economia bizantina, non va sottovalutata l'agricoltura, che vide la presenza di grandi latifondi e di numerose piccole proprietà agricole, le quali riuscirono a mantenersi autonome grazie a interventi di sostegno da parte dell' autoriratore era quella di giustiziare. Gli imperatori bizantini fecero largo uso delloro diritto di condannare a morte o alla mutilazione o all'esilio i propri sudditi; egli poteva anche confiscare i loro beni e sostituirli negli incarichi che ricoprivano nell' amministrazione dello Stato. Nei confronti del singolo suddito i poteri del basileus erano illimitati, indipendentemente dalla posizione sociale del suddito. 1.:illimitato diritto dell'imperatore a fare giustizia non venne mai messo in discussione a Bisanzio. La terza e certamente la più importante funzione dell'imperatore può essere definita come funzione amministrativa e legislativa. 1.:imperatore non era soltanto il giudice, l'amministratore e il legislatore supremo: egli era l'incarnazione del diritto. Secondo il diritto romanobizantino tutto ciò che voleva il sovrano aveva valore di legge. Il basileus era al di sopra della legge. Solo raramente troviamo nella pubblicistica bizantina idee che contraddicono questo principio e quindi soltanto di rado troviamo l'affermazione che il re debba osservare le leggi e in particolare quelle fissate. dalle Sacre Scritture, le regole del concilio ecumenico e infine le norme del diritto romano. da A.P. Kazhdan, Bisanzio e la sua civiltà, trad. G. Arcetri, Laterza, Bari 1955 tà centrale, soprattutto per opera di Giustiniano e di Eraclio. La protezione imperiale salvaguardò sempre la piccola proprietà, dove i contadini sapevano trasformarsi, all'occorrenza, in valenti soldati, pronti a difendere la loro terra, e perciò l'Impero, dalle invasioni nemiche. Sintomo della floridezza economica dell'Impero fu la sua moneta, il solido, una moneta d'oro, di buona lega, che dominò i mercati fino al X-XI secolo. Lo storico Procopio di Cesarea nella Guerra gotica racconta come, per opera di alcuni monaci, fu introdotta a Bisanzio la coltivazione del baco da appreso con quale mezzo sarebbe possibile che la eta si producesse sul suoo romano. All'imperatore, che insistentemente li interrogava e chiedeva loro se dawero così fosse, risposero i monaci che la seta è prodotta da certi bachi ai quali la natura è maestra e li obbliga costantemente a tal lavoro; che sarebbe bensì impossibile trasportar costà viventi quei bachi, ma facile e spedito trasportare la loro semenza; da ciascun seme nascono uova mnumerevoli, le quali uova molto tempo dopo la loro nascita vengono dagli uomini ricoperte di stabbio [conseta, che fino a quel momento era stata monopolio della Cina e della Persia. cime] e così, riscaldate per tempo bastevole, producono animali. All'udir ciò l'imperatore, fatta promessa a coloro di grandi donativi, li incitò a confortare le loro parole con l' opera. Ed essi, recatisi nuovamente in Serinda, portarono poi le uova a Bisanzio, e fattele nel modo che abbiam detto tramutare in bachi, questi nutrirono con foglie di gelso, e quindi per opera loro cominciò nell'Impero romano la produzione della seta. da Procopio di Cesarea, La guerra gotica, IV, 17, trad. D. Comparetti, TEA, Milano 1994 m Il recto e il verso di un solido coniato durante il regno di Giustiniano. La religione ufficiale e le eresie Nel 529 Giustiniano chiuse l'Accademia di Atene, accusata di paganesimo. Da quel momento l'Impero romano d'Oriente divenne cristiano e iniziò anche una lotta violenta contro le eresie. In particolare la Chiesa aveva dovuto affrontare le gravi controversie sorte sulla natura di Cristo, che avrebbero potuto minare l'essenza stessa e la peculiarità della religione cristiana. La più rilevante eresia fu quella di Ario, prete alessandrino, vissuto nel IV secolo, che nell'impegno di corroborare l'aspetto monoteistico della religione cristiana, sostenne che Cristo era dinatura umana, la prima creatura di Dio padre, suo creatore. La sua affermazione andava, però, a stravolgere il fondamento primo del Cristianesimo, cioè la natura divina di Gesù. Scomunicato dal vescovo di Alessandria, fu costretto a fuggire-dalla città, ma trovò l'appoggio di molti vescovi d'Oriente e d'Occidente, il che gli procurò molti seguaci, fra i quali il missionario Ulfila, che diffuse le idee di Ari o fra i Germani. L'arianesimo fu condannato ufficialmente dal concilio di Nicea, presieduto dallo stesso Costantino. Nonostante la condanna, l'arianesimo continuò a diffondersi, soprattutto fra i Goti, i Burgundi e i Vandali e questo rese più difficile l'integrazione fra Germani e Latini. Accanto ali' arianesimo sorse nel V secolo un'altra eresia, il monofisismo, che sosteneva la natura esclusivamente divina di Cristo negando la sua natura umana. Questa "soluzione" alla questione cristologica si diffuse soprattutto in Egitto. Nella stessa Bisanzio esistevano gruppi che proclamavano apertamente la loro condizione di ere- tici e questo creò una serie di conflitti sanguinosi che Giustiniano riuscì a eliminare con l'uso della forza. La tensione era tale che nel VII secolo gli Arabi, che avevano occupato Bisanzio, vennero accolti come liberatori. La religione bizantina, pur nell'ambito cristiano, assunse due aspetti fondamentali: il culto delle reliquie e delle immagini. Nelle basiliche, ma anche nella chiesa del villaggio più sperduto, venivano esposte le reliquie più incredibili, come le bende che avevano fasciato Gli intellettuali pagani . . e I monaci Nel primo brano incontriamo l'opinione sui monaci di una certa parte I Cristiani introdussero ne' sacri luoghi i così detti monaci, uomini alla forma, ma porci nel vivere: i quali anche in pubblico pativano e facevano infinite turpitudini da non dirsi [forse allude al fatto che i monaci non si lavavano]. di intellettuali pagani, ostili alla diffusione del monachesimo. Il secondo brano è tratto da una lettera di Libanio, scrittore pagano e filosofo greco, vissuto nel IV secolo. In questo passo scrive all'imperatore Teodosio denunciando i Ma a loro sembrava già un compito encomiabile il prendere a giuoco quanto v'ha di più sacro; perché ogni uomo che portasse l'abito nero poteva fare tutto ciò che voleva come un tiranno e fare in pubblico ogni sconcezza: a tal punto di virtù Gesù neonato, la spugna con l'aceto usata dal soldato romano, la lancia che aveva trafitto il costato di Gesù, naturalmente la croce della passione e poi una quantità infinita di ossicini, brandelli di veste, di pelle, falangi o mascelle di ogni genere di santi. Il culto delle immagini, poi, divenne talmente ossessivo da trasformarsi in idolatria: per questo motivo nell'VIII secolo la Chiesa bizantina tentò di proibire queste forme di religiosità, scatenando una lotta durissima che terminò solo nell'843. monaci come distruttori dei templi pagani. Nel terzo brano leggiamo che cosa pensa dei monaci Rutilio Namaziano, un poeta latino di origine gallica, vissuto tra il IV e il V secolo, che nel 415 lasciò Roma e attraversò l'Italia per raggiungere la Gallia. avevano costoro condotta l'umanità! E codesti monaci si cacciarono in Canopo [città egiziana famosa per i suoi templi pagani]; costringendo gli uomini a comportarsi non da seguaci di intellettuali divinità, ma di schiavi, e schiavi non buoni [allude al fatto che Gesù era morto sulla croce come uno schiavo]. da Eunapio di Sardi, storico del IV secolo Q uesti uomini vestiti di nero che mangiano pm degli elefanti, e che, a furia di bere, stancano le mani degli schiavi che loro servono il vino fra i canti; questi uomini che nascondono i loro disordini sotto un pallore procuratosi con taluni artifizi. Sì, sono costoro, o imperatore, che, a dispetto della legge sempre in vigore, muovono guerra ai templi. Essi portano legna per appiccarvi il fuoco, pietre e ferro per rovinarli: coloro che non ne hanno, si servono delle loro mani e dei loro piedi. Abbattono i tetti, demoliscono i muri, rovesciano le statue, strappano di terra gli altari. Quanto ai sacerdoti, bisogna che tacciano o periscano! Distrutto un tempio, si corre a un altro, poi a un terzo, e così di seguito. Essi accumulano trofei su trofei, a dispetto della legge. da Libanio, Lettera alt' imperatore Teodosio • LA CULTURA Una cultura multietnica A Costantinopoli nel V e nel VI secolo a.C. si parlava latino: il latino era la lingua ufficiale dell'Impero proprio lì nel cuore dell'Oriente greco, dove anche i Greci parlavano e scrivevano in latino, in ossequio alla romanità. Solo alla fine del VI secolo il latino fu soppiantato dal greco, che rimase la lingua dell'Impero. A Costantinopoli parlavano latino anche tutti coloro che lì giungevano dai luoghi più lontan;: dalla Siria, dall'Egitto, dalle città greche, dall'Occidente. La capitale era un crogiolo di etnie che conferivano alla città l'aspetto di una metropoli internazionale, anzi di una città multietnica. ' ~ -..:ui -r,1 O-t):> u À_W K;è }..LJ> V "f': cro,u.._.O.&. ·~Mo, ò ~ oc • - - n - , ~u-o'-f-'--'- ·l(r~ù 0-,:J..J.irpop~ <,,i~ u.irp H C u.-0 I, -==-t' ~~---arv e ·~oun;cur~. --h oo p • a...c . K'.;1' a.I -rro 01(_ o ~ La letteratura popolare In campo strettamente letterario i Bizantini non mostrarono grande originalità. Divennero molto popolari numerosi romanzi che ricalcavano gli schemi del romanzo ellenistico. Questi romanzi avevano un impianto quasi sempre uguale e potrebbero essere definiti una "soap opera" dell'antichità. Si cominciava sempre con lo sbocciare dell'amore tra un giovane plebeo povero e una giovane nobile e ricca, o viceversa. L'amore veniva subito contrastato e i giovani, mostrando sempre una sfortuna incredibile, si dovevano separare, andando incontro ad avventure e sventure a ripetizione. Pirati, mercato degli schiavi, lavoro nelle miniere di sale, stragi efferate erano alcuni dei normali inconvenienti in cui venivano coinvolti. Dopo tutto questo, i due giovani si ritrovavano e si scopriva che il plebeo, il più povero tra i due, era invece ricchissimo e di alta nobiltà. A questi schemi si ispirarono parecchi autori dell'Ottocento e del Novecento, anche importanti, che, per campare, scrivevano sui giornali romanzi a puntate di scarso valore. Ovviamente, per tener desta l'attenzione dei lettori, ogni puntata doveva terminare con un mistero da risolvere: queste opere dell'Ottocento furono chiamate in francese Jeuilletons o romanzi d'appendice, perché venivano pubblicate, appunto, in dispense, come appendice, sui quotidiani. Gli epigrammi Più dignitosa, invece, è stata la produzione poetica, incentrata sull'epigramma, una forma di poesia ridotta ali' essenziale con caratteristiche satiriche o moralistiche. I due epigrammisti più famosi furono: Agatia di Mirrina, retore, poeta e storico; è andato perso il suo poema in 9 libri Dafniache, mentre ci sono arrivati 98 suoi epigrammi e un'opera storica in 5 libri sul regno di Giustiniano; Paolo Silenziario che era un funzionario di Giustiniano; di lui abbiamo 78 epigrammi e alcuni poemetti. Successivamente gli epigrammi vennero inseriti in varie raccolte, fino a quando alla fine del X secolo, Costantino Cefala fece redigere un'amplissima raccolta, che, dal manoscritto in cui ci è pervenuta, conservato a Heidelberg, nella Biblioteca Palatina, prende appunto il nome di Antologia Palatina. Testimonio principe della poesia greca, l'Antologia copre poco meno di un millennio e contiene 3500 epigrammi ripartiti in 15 libri, divisi per argomenti. I filologi bizantini La cultura bizantina si caratterizzò per il forte amore per l'erudizione: per molti aspetti, si trattò di una cultura di dotti, accademica, che trovò il suo centro nell'ambiente dell'università di Costantinopoli, creata da Costantino nel 330 e rimasta per tutta la storia dell'Impero il fulcro della vita intellettuale, dell'insegnamento e della trasmissione del sapere. La solida formazione scolastica di una classe dirigente competente e organica al regime rappresentò uno dei punti di forza nella storia dell'Impero, e gli permise di non venire travolto nei periodi di crisi. Di fondamentale importanza fu l'attività di recupero e salvataggio delle principali opere della cultura greca. Questi testi furono studiati, analizzati e commentati nelle biblioteche delle principali città dell'Impero, sorte e fiorite durante l'ellenismo, come Alessandria e Pergamo, e soprattutto nell'università di Costantinopoli, dopo che Giustiniano decretò la chiusura della Scuola di Atene, in quanto pagana e ritenuta poco in sintonia con il potere politico e religioso dell'Impero. Per secoli i dotti bizantini si impegnarono nella trascrizione e nel commento di opere classiche e profane, oltre che ecclesiastiche e religiose. La maggior parte dei manoscritti più belli di opere classiche fu eseguita a Costantinopoli e, se non ci fosse stata l'opera dei copisti bizantini del IX e del X secolo, non sapremmo quasi nulla di Platone, di Sofocle, di Tucidide. L'arte La tendenza allo specialismo e ali' erudizione ha originato, in seguito, l'accezione negativa del termine "bizantino", diventato sinonimo di un modo di discutere o ragionare inutilmente contorto e cavilloso. Così non era in origine e la cultura bizantina non soltanto ha salvato l'ingente patrimonio classico, ma ha saputo anche elaborare risultati artistici estremamente originali e creativi nel- 1' ambito dell'architettura e della decorazione. I palazzi reali fondevano la tradizione classica con quella orientale, ma di loro è rimasto ben poco. Rimangono invece le chiese, con la tipologia del tutto nuova della pianta a croce con i bracci uguali e l'enorme cupola che le sovrasta al centro. Nella decorazione, il mosaico raggiunse vertici di perfezione mai più toccati. Gli esempi più famosi si trovano a Ravenna, soprattutto nelle chiese di San Vitale e di Sant' Apollinare in Classe, fatte costruire da Giustiniano. Le scuole e gli insegnanti Grande rilievo ebbe l'intellettuale laico predisposto all'insegnamento in una società, dove la Chiesa non aveva il monopolio sull'istruzione. Molte scuole elementari sorgevano nei centri di provincia e spesso nei villaggi, anche se la città rimaneva il centro culturale primario e, fra le città, Costantinopoli. Nella capitale vi erano una scuola superiore e, nell'XI secolo, due facoltà distinte, quella giuridica e quella filosofica. Qui insegnavano docenti laici, come laici erano i responsabili delle scuole; essi godevano pari dignità dei magistrati dello Stato e potevano conferire personalmente con l'imperatore. Percepivano un buon stipendio, un abito di seta l'anno e beni in natura. Essi potevano restare in carica a vita, ma, se negligenti o incompetenti, potevano essere allontanati dal loro incarico. L'insegnante nella scuola studiava e preparava le lezioni. C'erano anche scuole private, dove spesso insegnavano dotti famosi e dove venivano istruiti i figli delle famiglie aristocratiche. Frequentavano le scuole dei monasteri i giovani che si accingevano a diventare monaci. A Costantinopoli esisteva inoltre una scuola superiore del patriarcato, frequentata da persone adulte che studiavano in gruppo anche questioni scientifiche, soprattutto di medicina, scienza particolarmente fiorente nella cultura bizantina. li, la "regina delle città" ~-································· .....•.••..•.•.••..•..•.••.........••..•........................................ a loro capitale "re- é qostantinopoli esse tutto il suo za in un periodo in e, sotto i colpi dei overi villaggi quao gli imponenti ruassata grandezza. ecolo, Costantinonilione di abitanti, ccidente non suclima eccellente, raramente molto ano possibilità di gricole e orticole, sce; pesce, verdure e pane costituivano la dieta fondamentale di gran parte della popolazione per l'intero periodo della storia bizantina. Per i cibi freschi, la città era quasi del tutto autosufficiente e si doveva importare solo il grano. All'interno dell'area cintata dalle mura, una serie di collinette permetteva varietà di coltivazione ed esperimenti nella sistemazione del terreno, lasciando contemporaneamente spazio sufficiente per giardini e per la raccolta dell'acqua, elementi ugualmente essenziali per la vita, specialmente in tempo di assedio. L'acqua giungeva alla città mediante una serie di acquedotti in parte sotterranei, in parte superficiali, ma, in caso di rottura o di altro incidente che interrompesse la distribuzione, erano state costruite moltissime cisterne, alcune aperte, simili a laghetti, altre sotterranee, coperte da tetti sostenuti da innumerevoli colonne e archi. Oggi restano circa quaranta cisterne coperte; una delle più imponenti è conosciuta dai Turchi come "la cisterna delle mille e una colonne", e un'altra, ancora piena d'acqua, come "il palazzo sotterraneo". Esse sono, insieme a molte altre, strutture architettoniche di singolare bellezza. Con l'aggiunta dell'acqua piovana, esse avrebbero rifornito d'acqua la popolazione per il più lungo assedio, mentre gli acquedotti che portavano acqua alla città erano un lusso per la fornitura di acqua fresca e abbondante, più che una vera necessità». I DIVERSI VOLTI DELLA CAPITALE A Costantinopoli convissero diverse città: quella politica, quella produttiva e commerciale, quella religiosa, quella militare, quella intellettuale e artistica e quella dei divertimenti, del lusso sfrenato e del piacere. La città offriva ai visitatori un colpo d'occhio incomparabile per la bellezza dei suoi monumenti, nei quali era ancora presente lo stile greco classico, per l'enorme quantità di statue collocate nelle piazze e nei fori, per le sue larghe strade ornate di portici splendidamente decorati, per il lusso delle sue case e per le sontuose decorazioni delle chiese. Era attraversata da una via principale, la Mesé, che portava dalla Porta d'Oro alla piazza dell' Augusteon, dove si trovavano l'Ippodromo, la chiesa di Santa Sofia e il Palazzo imperiale, composto da vari edifici costruiti sul declivio della collina che digradava verso le rive del mar di Marmara. A corte vivevano artisti di ogni genere: pittori, mosaicisti, architetti, letterati, poeti, tutti dediti all'esaltazione dell'imperatore in carica e della sua gloria. Oltre a questi, sotto Giustiniano, Costantinopoli contò sulla presenza dei massimi studiosi di diritto romano, impegnati nella gigantesca opera di riordino e di sintesi di tutta la giurisprudenza latina. L'ippodromo era il più importante centro di divertimento e di spettacolo. Si diceva che a Costantinopoli «si trovavano tutti gli spettacoli che potevano rallegrare le orecchie e gli occhi», e gli imperatori, sempre alla ricerca del favore del popolo, come nella Roma dei secoli passati, organizzavano spettacoli gratuiti di ogni tipo: corse di carri, cacce di animali, combattimenti tra e con belve feroci, rappresentazioni comiche da circo. A queste si aggiungevano le rappresentazioni teatrali: erano particolarmente richieste le farse e le pantomime, piuttosto che le tragedie classiche. D Sopra, una veduta di Istanbul nei pressi del Ponte di Galata. A fianco, l'acquedotto romano. La città, eretta a capitale dell'Impero romano d'Oriente da Costantino con il nome di Costantinopoli, assunse il nome attuale nel 1760. SANTA SOFIA: IL FIRMAMENTO AL POSTO DEL TETTO Simbolo dell'Impero e della cultura bizantina, la chiesa di Santa Sofia sorse per volere di Costantino, ma fu riedificata da Giustiniano, che chiamò alla direzione dei lavori Artemio di Traile, architetto geniale, che fece della chiesa il monumento della città e della Chiesa ortodossa. La chiesa presenta una originalissima soluzione architettonica, perché concilia l'impianto a tre navate, tipico della basilica cristiana (vedip. 17), con un tipo di copertura estroso, orientale nella sua magnificenza monumentale. Domina la copertura, un'enorme cupola che si amplia in due semicupole alle estremità, il che le conferisce un'imponenza unica e nuova. Così la descrisse un funzionario di corte: «Chiunque alza gli occhi allo splendido firmamento del tetto, osa a mala pena fissare con lo sguardo la sua circolare distesa, cosparsa delle stelle del cielo, ma volge gli occhi al marmo verde tenero al di sotto [. . .]. Chiunque mette piede dentro al sacro tempio vorrebbe vivere lì per sempre, e dai suoi occhi sgorgano lacrime di gioia. Così per consiglio divino, sotto la sorveglianza degli angeli, il tempio fu costruito di nuovo». La basilica a cupola rappresentò la manifestazione di un profondo mutamento spirituale e intellettuale: è il trionfo della cultura orientale che vince sull'anima apollinea greca; la cupola di Santa Sofia, oltre a celebrare la vittoria sui nemici esterni e interni, documenta il progressivo orientalizzarsi dell'Impero. Capolavoro della tecnica, vide l'impiego di 10 000 operai; venne usato il marmo bianco del Proconneso, quello verde dell'Eubea e quello rosa di Sunnada. Dall'Egitto arrivò il porfido, dalla Tessaglia e dalla Laconia la breccia; oro, argento, pietre preziose dalle altre zone dell'Impero. Uno dei mosaici di cui è abbellita la chiesa raffigura Costantino e Giustiniano con al centro la Vergine, patrona della città: Costantino tiene in mano un modello della città con le mura da lui edificate, Giustiniano un modello di Santa Sofia. La scena è altamente simbolica, perché rappresenta l'ideale continuità fra l'Impero romano e la nuova realtà, rappresentata dall'Impero di Giustiniano. Il 25 dicembre 537, dopo cinque anni di lavori, la chiesa fu consacrata. Giustiniano arrivò in carrozza insieme a una folla in delirio; quando ammirò il capolavoro pare che abbia esclamato: «Dio sia lodato! Salomone, ti ho superato». Il Una veduta ester ccessione a Maometto uerra santa, la jihad mayyadi e e l'inizio della a, con particolare 'Occidente lla religione araba nel a, del diritto e dei i Stati ente il patrimonio dagliAraçi onseguenze che to nella cultura ndo la tradizione religiosa musulmata dell'Egira (622), gli Arabi diventaella storia mondiale nel 634. È sotto e inizia la prima fase di espansione ico con l'occupazione della Siria, una parte del territorio dell'Impero ta della città di Gerusalemme. Una spansione si registra con il califfato 661 -750), mentre con la dinastia 750 -1258) l'Impero musulmano e poi entra in una crisi profonda isgregazione. l:espansione islamica n la dinastia dei Tu rchi Selgiuchidi 570 Nascita di Maometto (Muhammad) 622 L:imperatore bizantino Eraclio marcia contro i ,.Sintesi dell'unit!, _EJ p. 212 i Granada: un versetto del Corano in un rilievo su una parete dell'Alhambra. 622 Egira (migrazione) a Medina di Maometto 630 Maometto entra trionfante a La Mecca 643 Rotari emana un editto in cui si cerca di conciliare gli usi germanici con il diritto latino 632-634 684 Inizia la guerra In Cina sa nta (jihad) 750-1258 Dinastia degli Abbasidi ALTO MEDIOEVO 788-809 Califfato 726 Leone 111 lsaurico a Bisanzio proibisce il culto delle immagini 732 di Harun al-Rashid Carlo Martello All'inizio del VII secolo gran parte del territorio arabo apparteneva all'Impero bizantino e a quello persiano, anche se la regione era controllata dai capi tribù arabi e dai mercanti più agiati. Questo frammentato mondo tribale fu unificato da Maometto, che estese la sua influenza sull'Arabia. Già prima del 650 risultavano sottomessi l'Egitto, la Siria, l'Iraq e le regioni occidentali della Persia. Con la dinastia degli Omayyadi la capitale dell'Impero fu spostata a Damasco e iniziò L i 6 i a o Augila N ESPANSIONE MUSULMANA NEL VII-IX SECOLO "Egira": nel 622 Maometto ~ si reca a Medina un nuovo periodo di espansione. Furono assoggettate le regioni comprese tra il Marocco e l'Afghanistan, la Spagna e l'Asia centrale. Alla fine del X secolo partirono dall'Afghanistan altre spedizioni militari che raggiunsero la valle dell'Indo e riusciroD Impero romano d 'Oriente all'inizio dell'espansione araba Conquiste arabe Territori unificati da Maometto (622-632) .....J Conquiste dei califfi omayyadi (634-750) Dinastia dei Fatimidi nell'Africa settentrionale 999 Il vichingo Leif Eriksson approda sulle coste del I; Labrador I, _J Unificazione dell'Arabia con Conquiste dei califfi abbasidi (750-850) Abu Bakr (632-634) 1055 BASSO MEDIOEVO 1258 Il selgiuchide Tughrul Beg assume il potere a Baghdad 1099 1 Conquista della città di Gerusalemme da parte dei crociati l 1122 A Worms si sta bilisce un concordato tra il papa e l'imperatore I Mongoli conquistano Baghdad Tra l'VIII e il X secolo, durante la dinastia degli Abbasidi, Baghdad divenne la capitale dell1Impero arabo e, come vedremo in questa unità, raggiunse il massimo splendore. Fino a pochi decenni fa, la città conservava ancora numerose testimonianze di questo suo glorioso passato, ma gli aspri conflitti militari promossi e subiti dall1Iraq, tra la fine del XX e gli inizi del XXI secolo, hanno irrimediabilmente compromesso molte delle splendide testimonianze del suo passato. Nell'arco di meno di quindici annz~ infatti~ Baghdad è stata sottoposta a centinaia di bombardamenti. Oggi nulla rimane della sua grandiosità passata. Perfino il Museo di Arte Antica, uno dei più importanti del mondo perché racchiudeva i capolavori artistici dell'antica Mesopotamia, è stato saccheggiato. I: organizzazione dello Stato si sta ora faticosamente ricostituendo: si cerca di creare una nuova forma di istituzioni e di superare le difficoltà create dalla guerra e dal terrorismo. Chi è stato a Baghdad parla di una città morta, con le vie ridotte a sentieri colmi di macerie, che ha perso perfino la struttura di una città, per ridursi a un insieme di quartieri~ ognuno dei quali funziona come una piccola comunità di paese. Tutti gli impianti di irrigazione che, in qualche modo, avevano funzionato fino a poco tempo fa, sono stati abbandonati e ora il Tigri e l1Eu/rate scorrono senza alcun controllo: la loro acqua, comunque, a poco servirebbe, perché gran parte della popolazione è fuggita dalle campagne e l'agricoltura, già povera e tecnologicamente arretrata, ora viene praticata pochissimo. La popolazione vive ormai, per larga parte, di sussidi~ perché ogni/orma di lavoro è gravemente ostacolata, o resa impossibile, dalla situazione di guerra. L'Islam L'Islam - che assieme al Cristianesimo è oggi la fede religiosa più seguita al mondo, con oltre un miliardo di fedeli- rappresentò, seicento anni dopo la nascita di Gesù, una gigantesca rivoluzione religiosa, culturale e politica che, partendo dalla penisola arabica, si diffuse con incredibile rapidità in immensi territori, dall'Oriente fino alla Spagna. Esso costituì il punto d'incontro di popoli di vari continenti, di diversissime culture e tradizioni, i quali, pur conservando la propria individualità, trovarono nell'Islam il fondamento delle loro strutture civili, sociali e politiche, oltre che una fonte d'ispirazione e di condizionamento nella cultura, nell'arte e nelle scienze. L a fonte più importante e completa per lo studio della vita di Maometto e della fondazione dell'Islam è senza dubbio il Corano. In questo testo sacro troviamo una serie di norme di comportamento, spesso anche minute, che ci permettono di tracciare un quadro preciso anche della società e dei costumi. Nella storia dell'Islam, poi, sono numerosissimi gli storici che hanno descritto gli eventi più importanti come le crociate, le guerre di conquista e i rapporti con i paesi Gli Arabi prima di Maometto La penisola arabica, quasi interamente desertica, fra il VI e il VII secolo era abitata da tribù nomadi, i beduini, che costituivano la maggioranza destranieri. Prima dell'XI secolo ricordiamo studiosi insigni come alTabari e al-Bahadhuri e nel Xlii secolo compare il dizionario biografico dell'Islam, un'opera monumentale, con migliaia di voci, compilato da lbn Khallikan. Altre fonti interessanti sono i cronisti al servizio dei vari califfi, incaricati di scrivere la biografia del loro padrone ma anche la storia del regno. Dalla parte opposta, grande interesse rivestono le cronache regionali e cittadine dei luoghi che furono invasi o saccheggiati dagli Arabi. Non mancano in campo cristiano storici che si sono interessati alla storia degli Arabi, anche se le loro opere risentono di un'impostazione religiosa che li porta ad attribuire agli Arabi solo caratteristiche negative. Ma le fonti più significative della storia e della cultura araba sono i grandiosi monumenti che ancora oggi esistono in Europa e in Oriente. Basterà citare, per tutti, gli splendidi palazzi di Granada, di Siviglia, di C6rdoba, esempi eclatanti di una civiltà raffinatissima. gli abitanti, e da comunità sedentarie, riunite nelle città carovaniere. Alla base di questa società vi erano i clan, che riunivano i discendenti da uno stesso antenato comune ed erano guidati da uno sheykh (termine che nella lingua locale significava "vecchio" , "signore"). Ogni clan era composto da diverse famiglie "allargate", sottoposte all' autorità del padre che guidava i suoi discendenti maschi e le loro famiglie. Il clan era fondato sulla primogenitura maschile, mentre le donne svolgevano un ruolo subalterno. L'Arabia appariva quindi un mosaico di tribù disperse e l'organizzazione politica non si fondava su una struttura statale formata da istituzioni, ma sull'orgoglio, la saggezza e l'astuzia dei capi tribù. Le tribù si combattevano fra loro in un clima di perenne rivalità, costituendo di volta in volta alleanze sempre provvisorie. La religione dell'antica Arabia era frantumata come il suo popolo. Era politeistica, a base animistica ( concezione secondo cui ogni cosa e ogni fenomeno dell'universo sono dotati di anima e vivono una vita divina), con una moltitudine di esseri potenti, i ginn, che dominavano la vita degli uomini tentandoli e ispirandoli. Essi si annidavano ovunque, nelle pietre, negli alberi, negli animali ecc. Alcune divinità vere e proprie si collocavano al di sopra dei ginn: ogni tribù se ne attribuiva diverse ed era dotata di luoghi di devozione specifici. Erano divinità di origine mesopotamica e semitica, divinità astrali, come la triade Venere, Luna e Sole, a cui, alla Mecca, era unito il culto del Dio Abramo, in ebraico Elohim, in arabo Allah. Le divinità erano adorate con forme di idolatria, i santuari e i luoghi dei loro culti erano meta di pellegrinaggi di natura non solo religiosa ma anche commerciale. Era una religione elementare, ed è possibile affermare che il mondo arabo sentisse l'esigenza di una religiosità più profonda, sulla scia della diffusione, anche se limitata, dell'Ebraismo e del Cristianesimo, che esercitarono grande influenza sulle origini dell'Islamismo e sull'elaborazione dei suoi princìpi. Tuttavia comune in tutte le tribù era il culto per un particolare santuario, la Kaaba della Mecca. La Mecca era uno dei principali centri commerciali sulle coste del mar Rosso; alla fine del VI secolo la città era dominata da poche famiglie di commercianti che possedevano ricchezze immense, mentre aumentava continuamente il numero dei nullatenenti. La miseria cresceva, il traffico commerciale e religioso arricchiva solo pochi mercanti già ricchi, a cui la febbre del guadagno aveva fatto dimenticare le leggi di solidarietà che regolavano la vita delle tribù arabe, e questo aveva modificato profondamente la società. La tradizione narra infatti che non si proteggevano più le vedove e gli orfani, non si assistevano i poveri, non si dava più importanza alla solidarietà familiare e tribale. Il disordine sociale era tale che anche le donne, tradizionalmente escluse dalle attività, si dedicavano al commercio. Si trattava di uno sconvolgimento totale delle leggi della tradizione, che provocò un profondo disagio nella società araba: in tale contesto si affermò la figura di Maometto. L La storia del mondo islamico inizia nell'anno 622, quando Maometto lascia La Mecca ed emigra a Yathrib, che da allora in poi sarà chiamata Medina, cioè la città del profeta e città sacra dell'Islam, ed è scandita in quattro grandi momenti. L'età degli Arabi, che va dai primi del VII secolo alla prima metà dell'VIII secolo. È una fase di grande espansione in cui l'Islam è "patrimonio" degli Arabi. In questo periodo si assiste all'unificazione di tutte le tribù arabe e all'avanzata dei loro eserciti in Siria (636), in Persia (637), in Egitto (641) e in Cirenaica (641). L'età dell'incontro fra tradizioni arabe e culture straniere, che va dalla seconda metà dell'VIII secolo fino al 1050 circa. Questo è il periodo della conquista della Spagna a ovest (711) e delle terre poste alla foce dell'Indo a est, è il periodo in cui si affermano i califfi Omayyadi, gli eserciti islamici assediano Bisanzio (718) e vengono respinti dai Franchi in Europa, con la battaglia di Poitiers (732). Nel 750 la dinastia degli Omayyadi venne sostituita da quella degli Abbasidi, sostenuta dai Persiani; la capitale fu spostata da Damasco a Baghdad (fondata nel 762). L'Islam si stabilizzò sul piano territoriale e l'elemento persiano sottrasse agli Arabi la guida del mondo musulmano (deriva da mus/im, cioè "seguace dell'Islam"). Una terza fase può essere denominata l'età dell'egemonia turcomongola e va dalla metà dell'XI secolo fino al 1800 circa. In questo periodo l'Islam entra nel- Il L'arcangelo Gabriele appare a Maometto in una grotta del monte Hira, nei pressi de La Mecca, e gli comunica la primarivelazione: «Maometto, tu sei l'eletto di Allah». Maometto e la rivelazione Muhammad, che attraverso la forma turca Mehemet è stato italianizzato in Maometto, nacque in Arabia nella città carovaniera e commerciale di La Mecca intorno all'anno 570, da un ramo minore della potente tribù dei Coreisciti ( Quraish), custodi del santuario della città. La tradizione ha ammantato la sua nascita di mistero e di prodigi, ma le uniche notizie storiche sull'infanzia di Maometto ci tramandano il fatto che quando nacque era già orfano di padre e che la madre, Amina, morì pochi anni dopo. L'orfano visse per qualche tempo nella numerosa famiglia del nonno e, alla morte di questi, presso lo zio, la vita delle popolazioni dell'Asia centrale, dei Mongoli e, soprattutto, dei Turchi. Grazie alla potenza degli eserciti dell'Impero turco-ottomano il mon- , do musulmano si espande in Euro- , pa, Africa, Asia centrale, India e Malesia. Vi è infine l'età dell'imperialismo e del rinascimento arabo, che va dalle campagne di Napoleone al fondamentalismo del XIX e XX secolo. In questo periodo l'Islam si confronta con la modernità e il mondo · occidentale. Abu Talib, commerciante, al cui seguito si recò in Siria, in Palestina e in Mesopotamia. Da questi viaggi egli riportò suggestioni e influenze profonde riguardo al mondo cristiano e giudaico. La tradizione sostiene che in una notte dell'anno 611, il ventisettesimo giorno di quello che sarebbe poi diventato il mese di Ramadan ( considerato sacro perché in quel mese fu rivelato il Corano, il libro sacro dell'Islam), mentre era intento a pregare e a meditare, a Maometto apparve "il compagno sommo", identificato poi con l'arcangelo Gabriele, che gli comunicò la prima rivelazione di Allah. Gli tese infatti una pergamena coperta di segni, inducendolo a recitare quelli che poi sarebbero divenuti i primi versetti del Corano: «Nel nome di Dio, clemente e misericordioso! Grida in nome del tuo Signore, che ha creato l'uomo da un grumo di sangue! Grida! Perché il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato l'uso del calamo, ha insegnato all'uomo ciò che non sapeva». Fu la rivelazione. Nei tre anni successivi, Maometto, che nel frattempo si era convinto di essere stato scelto come profeta, non si dedicò alla predicazione pubblica e fece proselitismo solo fra gli intimi. Il periodo della predicazione In seguito a una nuova rivelazione, Maometto iniziò a predicare in pubblico nella sua città, La Mecca, scatenando subito le prime tensioni religiose in seno alla sua stessa tribù. La tribù dei Coreisciti, quella di Maometto, dominava La Mecca, città che era emersa sulle altre dell'Arabia centrale per una serie di felici coincidenze, quali la sua collocazione nel punto nodale dei ricchi traffici mercantili, l'abilità dei suoi commercianti, ma soprattutto la presenza del santuario della Kaaba, meta di pellegrinaggi, che aveva conseguito una certa preminenza sugli altri luoghi sacri dell'Arabia. Il gruppo dirigente di La Mecca vedeva nella nuova religione predicata da Maometto una minaccia ai propri interessi e ai propri dèi, adorati nella Kaaba: se il culto tradizionale avesse perso importanza, sarebbero infatti cessati quei pellegrinaggi che portavano ingenti ricchezze alla città e alla tribù. L'Egira e la lotta tra Medina e La Mecca Alla fine, nel 622, contestato, ostacolato in ogni modo e perseguitato, il profeta ruppe con quelli del suo clan e migrò a Yathrib (chiamata in seguito Medina) con un piccolo gruppo di seguaci e compagni: è questo l'anno dell'Égira, che gli islamici per tradizione hanno stabilito come inizio della loro era (allo stesso modo della nascita di Cristo per i cristiani) [ 51 P. 106]. Giunto a Medina, Maometto pose le basi del suo potere religioso e, insieme, politico, proponendo un patto di alleanza fra i compagni di La Mecca e i medinesi: la cosiddetta "Costituzione di Medina". Fu questo il primo passo verso lo spirito dell' Ummah, la comunità musulmana, l'insieme dei fedeli, senza distinzione di razza o di censo, uniti nell' accettazione della parola di Dio rivelata da Maometto. Il profeta Maometto si stabilì dunque a Medina, continuando a ricevere transfughi dalla Mecca, che diventavano ogni giorno più numerosi, finché arrivarono anche tribù beduine per stringere un patto con lui. Il suo potere a poco a poco si consolidò e si estese a tutta l'Arabia. Pochi mesi dopo l'arrivo a Medina, Maometto e i suoi seguaci, per assicurarsi la sopravvivenza, ricorsero all'antica tradizione beduina, la razzia, aspetto normale della vita del deserto arabo, basata su un'economia di sussistenza. Le carovane che si potevano colpire erano quelle dei ricchi commercianti meccani, in viaggio verso la Siria. L'occasione si presentò nel marzo del 624: una grande carovana, costituita da più di mille cammelli e scortata da decine di mercanti, stava per transitare di ritorno da Gaza. Questa razzia, che è ricordata come la battaglia di Badr, è considerata la prima grande vittoria del profeta, quella che ne accrebbe enormemente il prestigio in tutto il mondo arabo. Da questo momento, il prinro in cui l'Islam trionfò per mezzo delle armi, non si parlò più di razzia, ma di guerra santa. La lotta e il trionfo di Maometto Nella primavera del 625 i meccani decisero di vendicare la sconfitta di Badr e marciarono contro Medina con un esercito di 3000 uomini. Il profeta e i suoi uomini furono sconfitti. La sconfitta creò grosse difficoltà a Maometto. Pagani ed ebrei, che a Medina erano numerosi, ricchi e forti, si ribellarono alla sua autorità e solo la fedeltà dei suoi gli consentì di governare la situazione. Nel 627 i meccani attaccarono nuovamente Medina con un esercito di 1 O 000 uomini, ma furono sbaragliati alle porte della città con l'insperato aiuto di una improvvisa tempesta di sabbia che sconvolse il campo dei meccani. Dopo la vittoria Maometto fece i conti con i nemici che si annidavano nella sua città: gli ebrei, che avevano par- ~.:>- • -~ ... . , .e, .... \ ~ ,:,."":' ~ ' ~ . teggiato per i meccani e non avevano mai accettato di convertirsi alla predicazione di Maometto, pagarono il prezzo più caro. Il profeta fece scavare grandi fosse nel mercato di Medina, fece portare tutti gli uomini legati sull'orlo delle fosse e li fece decapitare uno a uno. Le vittime furono circa mille; le donne e i bambini furono venduti come schiavi, i loro beni confiscati. Fu in questa occasione che Maometto decise che la direzione della preghiera non sarebbe stata più Gerusalemme, ma La Mecca. Nel gennaio del 630, col pretesto dell'omicidio di un suo seguace, marciò su La Mecca con un'armata di 10000 uomini. I ricchi mercanti della città si convertirono e i meccani accettarono le sue condizioni. L'll gennaio 630 Maometto e i suoi entrarono trionfanti nella città: egli, a dorso di un cammello, fece sette volte il giro della Kaaba e, dopo averla purificata dai demoni e dagli altri dèi che la circondavano, la riconsacrò al culto e proclamò La Mecca città santa dell'Islam. Alla morte di Maometto, il paganesimo era ormai scomparso da La Mecca e la maggior parte della penisola arabica riconosceva l'autorità religiosa e politica del profeta. Gli immediati successori di Maometto e l'espansione dell'Islam L'8 giugno 632 Maometto morì a Medina, dove venne sepolto, senza lasciare alcuna disposizione per l'avvenire. Nemmeno il Corano aveva risolto i problemi istituzionali della comunità, perché le disposizioni per organizzare la vita politica e religiosa a Medina venivano prese dal profeta di volta in volta, ed erano concepite per una comunità che aveva in lui l'unica guida. Quindi non c'erano state decisioni riguardo ai vari poteri dello Stato e nemmeno riguardo alla loro delega. Dopo la morte del profeta, pertanto, il mondo islamico attraversò un momento di profonda crisi, in cui scoppiarono gravissime discordie, problemi e divisioni, che mai hanno trovato soluzione definitiva. Maometto, in quanto profeta, non poteva avere successori, ma qualcuno, almeno nel ruolo di capo dei credenti, doveva prendere le redini della comunità. Le discussioni sulla questione della successione generarono tre "partiti": i compagni che volevano che il successore fosse scelto fra i primi seguaci del profeta; i legittimisti che ritenevano ovvia la successione per via ereditaria e indicavano Alì, genero e cugino del profeta, in quanto ritenevano che la scintilla divina sopravvivesse nelle persone di famiglia; i potenti de La Mecca che ritenevano che l' onore della successione spettasse all'aristocrazia dei Quraish, alla grande stirpe degli Omayyadi. che conquistò Gerusalemme nel 638, e il patriarca cristiano che reggeva la città. Si tratta di un documento importante per capire l'atteggiamento degli Arabi nei confronti delle popolazioni vinte. ebrei non sarà permesso di vivere con loro a Gerusalemme. [ ... ] Dovranno esigere che bizantini e ladri lascino la città. Se costoro se ne andranno, saranno sicuri della loro vita e delle loro proprietà fino a che raggiungeranno il loro paese. Ma ai bizantini che preferiranno restare, verrà data garanzia se accetteranno gli stessi impegni di coloro ai quali, tra gli abitanti di Aelia, compete il tributo. [. .. ] Quelli del contado che si trovavano prima in città potranno, qualora lo desiderino, restare con gli stessi obblighi di coloro cui s'addice il tributo; quelli che preferiranno Prevalse il partito dei compagni. Nei primi drammatici momenti dopo la morte di Maometto l'Islam fu salvato da Omar che, secondo un antico rituale arabo pose le sue mani su quelle di Abu Bakr, il compagno più fedele del profeta, nominandolo califfo, cioè successore del profeta dell'Islam sulla terra: con Abu Bakr nasce il califfato. l~·.X·~·1IJ.ù0-tf<~;1 'i.}·b'-U~~t1b~l~t:;:.Jl.!Uù1.~L) , '""''~ ~ ,v.:~ ~J.-:J'.h.-t;~ lt!r~J~}l;Jl ~ con Carlo Martello, maestro di palazzo dei Merovingi (vedi p. 156), che a Poitiers li sconfisse in uno scontro che assurse a simbolo del- 1' eroica resistenza dei paesi cristiani coni:ro l'Islam. La fine della dinastia degli Omayyadi Gli Omayyadi, nonostante i seri dissidi interni, amministrarono con grande saggezza il loro enorme Impero: introdussero l'arabo come lingua ufficiale dell'amministrazione e accelerarono il processo di fusione della civiltà araba con quelle dei popoli vinti. Ciò sollevò contro i califfi omayyadi il risentimento degli Arabi più tradizionalisti, attivi soprattutto nella regione della Persia, che si ribellarono all'ultimo califfo omayyade, Marwan II, sconfitto nel 750. A capo dell'opposizione agli Omayyadi fu un discendente diretto di uno zio di Maometto, Abu alAbbas che, sterminati i membri della dinastia precedente, conquistò il califfato (750): alla strage sopravvisse Abd al-Rahman, che si rifugiò in Spagna dove fondò l'Emirato degli Omayyadi di C6rdoba. L'età degli Abbasidi Il vero capostipite della dinastia degli Abbasidi fu al-Mansur (754-775), che fondò la città di Baghdad [ LETTURA p. 114], ma l'età d'oro di questo califfato coincise con al-Mahadi (775-785), Harun al-Rashid (788-809) e al-Ma'mun (813-833), califfi di grande personalità e prestigio. Sotto al-Mansur e al-Mahadi il califfo, assumendo i tratti caratteristici di un monarca orientale, si circondò di una corte numerosissima. Furono istituite le cariche di visir, che presiedeva un consiglio di cui facevano parte i capi dei vari ministeri, quella di berid, capo della polizia segreta, e quella di qadi, giudice supremo. L'Impero fu diviso in province soggette a governatori che rispondevano del loro operato al visir, ma che con l'andare del tempo agirono con sempre maggiore indipendenza. L'avvento della nuova dinastia abbaside rappresentò per il mondo musulmano l'inizio di una nuova epoca: gli Arabi persero progressivamente la loro posizione di privilegio rispetto agli altri popoli e nell'Impero conquistarono ben presto ruoli importanti i musulmani di origine non araba (Persiani, Turchi, Curdi e Spagnoli), che affiancarono gli Arabi costituendo una nuova e po. tente classe dirigente dell'Impero. La capitale dell'Impero abbaside fu spostata da Damasco a Baghdad (762), una città di nuova fondazione; l'Islam si trasferì così nel cuore della Mesopotamia, crogiolo delle culture e delle tradizioni mediterranee e orientali. Questo trasferimento di capitale condannò la regione del- 1' Arabia, culla dell'Islam, a una progressiva perdita d'importanza politica oltre che economica. Sul piano amministrativo fu particolarmente curata l'omologazione delle popolazioni vinte alla cultura e all'amministrazione dei vincitori. Vennero reclutati su larga scala funzionari di origine persiana, che portavano con sé il bagaglio di competenze e di specializzazioni amministrative acquisito sotto la vinta dinastia sassanide. L'Impero islamico assunse con la dinastia degli Abbasidi caratteri sempre più orientali, soprattutto nei cerimoniali di corte, che divennero estremamente fastosi. I sovrani della nuova dinastia furono contemporaneamente capi politici e imam (guide spirituali), e difesero in modo intransigente l'ortodossia sunnita. Anche l'esercito fu riorganizzato e gradualmente divenne multietnico e mercenario. Ciò costituì, alla lunga, un pericolo per lo stesso potere del califfo, in quanto i capi militari divennero sempre più potenti e autonomi. Ne derivarono cpnflitti che portarono l'Impero abbaside, a partire dalla metà del X secolo, alla disintegrazione. Il califfato di al-Rashid Con il califfato di Harun al-Rashid, "il ben diretto", la dinastia degli Abbasidi raggiunse il massimo splendore. Contemporaneo di Carlo Magno (VIII-IX secolo), Harun al-Rashid fu ammirato da tutto l'Occidente per la ricchezza e il fasto della sua corte, per la raffinata cultura di cui fu promotore, ma fu anche molto temuto per la potenza dei suoi eserciti. Egli è il sovrano nottambulo di cui si racconta nel famoso libro di novelle Le mille e una notte. Gli anni del suo califfato furono caratterizzati da una crescita economica sia agricola sia commerciale, che fu favorita anche dall'elaborazione di · tecniche di pagamento evolute, come la cambiale e il pagamento differito (shakk, da cui deriva il termine francese chèque, "assegno"). da, che nella tradizione divide col marito la gloria e la raffinatezza attribuite loro da generazioni successive, non tollerava sulla propria tavola altro vasellame che quello d'oro o d'argento, tempestato di gemme. Essa dettava la moda nel bel mondo, e fu la prima ad adornare le sue calzature con pietre preziose. Si narra che essa spendesse in un pellegrinaggio santo tre milioni di dinari, compresa la spesa per rifornire d' acqua la Mecca da una sorgente situata a 25 miglia di distanza. Il fasto e la magnificenza della corte venivano ostentati pienamente in occasione di cerimonie come l'insediamento del califfo, le cerimonie nuziali, i pellegrinaggi e i ricevimenti in onore degli inviati stranieri. La cerimonia nuziale del califfo al-Ma'mun con la diciottenne Buran figlia del suo visir al-Hasan ibn Sahi, fu celebrata nell'825 con una spesa talmente favolosa da rimanere nella letteratura araba come una delle indimenticabili bizzarrie dell'epoca. Sembra che durante lo sposalizio, un migliaio di perle di eccezionale grandezza venissero fatte cadere da un vassoio d'oro sulla coppia che sedeva su una stuoia dorata tempestata di perle e zaffiri. Una candela di ambra grigia del peso di duecento libbre trasformò la notte in giorno. Palle di muschio, ognuna delle quali conteneva un biglietto col nome di una proprietà, di uno schiavo o di altri doni simili venivano fatte cadere sul capo dei principi reali e dei dignitari. Nel 917 il califfo al-Muqtadir ricevette a Palazzo con gran pompa e cerimonia gli inviati del giovane Costantino VII, la cui missione implicava evidentemente lo scambio e il riscatto di prigionieri. Il seguito del califfo comprendeva 60 000 cavalieri e fanti, 7000 eunuchi bianchi e neri e 700 ciambellani. Durante la parata sfilarono un centinaio di leoni, e nel palazzo erano appesi 38 000 tendaggi, dei quali 12500 erano dorati, oltre a 22 000 tappeti. Gli inviati rimasero così meravigliati e ammirati, da confondere in un primo momento l'ufficio del ciambellano e poi quello di visir con la sala reale delle udienze. Essi furono colpiti in particolare dalla Sala dell' Albero, che conteneva un albero artificiale d'oro e d'argento che pesava 500 000 dramme, tra i rami del quale si potevano ammirare uccelli degli stessi metalli preziosi, costruiti in modo da cinguettare mediante congegni automatici. Nel giardino essi rimasero molto stupiti di fronte agli alberi di palma il cui sviluppo era stato arrestato artificialmente, e che, grazie a una coltivazione speciale, producevano datteri di varietà rare. Nei bazar della città arrivavano porcellana, seta e muschio dalla Cina; spezie, minerali e tinture dall'India e dall'arcipelago Malese; rubini, lapislazzuli, tessuti e schiavi dai paesi turchi dell'Asia centrale; miele, cera, pellicce e schiavi bianchi dalla Scandinavia e dalla Russia; avorio, polvere d'oro e schiavi neri dall'Africa orientale. Le merci cinesi venivano vendute in un bazar speciale. Le province dell'Impero stesso inviavano per mezzo di carovane o per mare i loro prodotti domestici: riso, grano e lino dall'Egitto; vetro, metalli e frutta dalla Siria; broccati, perle e armi dall'Arabia; sete, profumi e verdure dalla Persia. Le avventure di Sinbad il Marinaio, che formano uno dei racconti più noti delle Mille e una notte, sono state a lungo considerate un ampliamento dei veri racconti di viaggi fatti da mercanti musulmani. I mercanti ebbero un ruolo molto importante nella comunità di Baghdad. I membri di ogni corporazione e di ogni gruppo commerciale avevano i loro negozi nello stesso mercato come oggi. da P.K. Ritti, Storia degli Arabi, La Nuova Italia, Firenze 1966 Il califfato di al-Ma'mun Il califfato di al-Ma'mun rappresentò il periodo di massima fioritura culturale: l'Islam scoprì la filosofia e la scienza greca in seguito alle traduzioni promosse dal califfo, che fondò a Baghdad nell'832 la "casa della sapienza", cui collaborarono i più eminenti studiosi cristiani e musulmani. Inoltre al-Ma'mun, per consentire agli scienziati arabi la verifica delle conoscenze astronomiche, mediche e fisiche che venivano apprese dalle opere tradotte, promosse la realizzazione di nuovi osservatori astronomici, di scuole mediche, di ospedali e di laborf!-tori di chimica e fisica. Gli intellettuali musulmani svilupparono anche elaborazioni scientifiche e filosofiche originali: fra i tanti ricordiamo il filosofo spagnolo Averroè (1126-98) e Avicenna (980-1037), medico e filosofo persiano (vedi pp. 124-25). Il dominio musulmano fu assai positivo per la Sicilia: gli Arabi vi importarono nuove colture, come il cotone e gli agrumi, e dettero impulso alle attività di tessitura e di lavorazione di lino e seta. Questa rinascita economica fece della Sicilia una delle grandi mete dei mercanti delle Repubbliche marinare (veneziani, amalfitani e genovesi). Anche da un punto di vista culturale la Sicilia rinacque: la cultura araba, quella greca, quella berbera e quella latina si fusero lasciando tracce nei dialetti, nell'architettura, nella cultura popolare e nella toponomastica. L'Impero arabo comincia a disgregarsi A partire dalla metà del IX secolo l'autorità del potere centrale divenne sempre più debole. I primi Stati autonomi che si costituirono al di fuori del califfato, dopo la Spagna (756), furono l'Egitto e la Tunisia. Gli Arabi di Tunisia fra 1'827 e 1'878 si impossessarono di Malta, Pantelleria e della Sicilia, da cui condussero scorrerie fino in Provenza. Gli episodi più importanti furono il saccheggio di Roma nell'846 e la battaglia navale di Ostia nell'849, nella quale però i Saraceni (come erano chiamati i musulmani stanziati nel Nord Africa) furono sconfitti. Il punto debole dell'Impero abbaside era la sicurezza, soprattutto a nord-est, in quanto dall'Asia si spingevano verso i suoi confini numerosi e agguerriti popoli nomadi. La crisi politica dell'Impero, la corruzione interna, le spinte centrifughe delle varie province verso l'indipendenza divennero sempre più forti. In poco tempo, a partire dalla metà del IX secolo, l'esercito sfuggì al controllo del califfo e passò nelle mani degli alti funzionari (amir) chiamati emiri. Si estesero le rivolte a carattere religioso e il governo centrale, troppo debole, non riuscì a impedire che i movimenti di secessione politica sfociassero nell'instaurazione di numerose dinastie ed emirati locali. La penetrazione turca Il processo di disgregazione dell'Impero islamico si manifestò anzitutto nell'Africa settentrionale, in Spagna, in Egitto e in Sicilia. Ma il colpo di grazia venne, nel corso dell'XI secolo, dai Turchi Selgiuchidi, una popolazione originaria delle steppe dell'Asia poi convertitasi all'Islam. I Selgiuchidi penetrarono gradualmente nell'Impero musulmano e vi acquisirono un sempre maggiore potere, perché il califfo, per difendere il proprio Stato, era costretto ad accoglierli come soldati mercenari. Nel 1055, approfittando della debolezza del califfato, un condottiero selgiuchide, Toghrul Beg, mise di fatto fine al potere degli Abbasidi, anche se il califfato proseguì formalmente per altri due secoli. Nel 1258 Baghdad venne conquistata dagli eserciti mongoli, che uccisero l'ultimo califfo abbaside. o, in origine la me luogo di insioni, per l'ama, per l'insegnaea: un cortile o cosparso di uro di mattoni; fila di tronchi a rgilla e di foglie piccole fortezze, o ncoverars1 m e dei nemici di hee, come quelsono ispirate aletta dai seguaci : un vasto cortida portici e galpreghiera, divisa archi, il cui muione de La Meccoperto da una cupola maggiore e fiancheggiata da altre minori e circondato al- 1' esterno da numerosi altri edifici. Accanto alle grandi moschee sorge infatti la scuola, Madrasa, un edifico destinato al- 1' insegnamento religioso superiore, affiancato spesso da un centro di ricerca e insegnamento coranico e dall'Hammam, un luogo destinato alla cura del corpo e d'incontro sociale per uomini e donne. Elemento fisso di una moschea è il minareto, l'alta torre dalla quale il muezzin ripete l'appello alla preghiera. Il I fedeli nel momento della preghiera all'interno di una moschea del Cairo, in Egitto. 11 n cortile della moschea dell'Imam a Esfahan, in Iran. Da notare le splendide decorazioni che ornano tutte le pareti dell'edificio. • LA SOCIETÀ E LE ISTITUZIONI La società araba La società araba era dominata dalla figura del califfo, che aveva diritto di vita e di morte sui suoi sudditi. In analogia con il governo dello Stato, anche nella famiglia il regime era decisamente patriarcale. Il capo famiglia era il depositario di un'autorità pressoché assoluta, mentre le donne avevano una posizione sociale subordinata, anche se a loro era affidata la conduzione della casa e spesso l'educazione e la crescita dei figli. I commercianti, i mercanti, gli armatori e gli artigiani furono incoraggiati e aiutati dal governo nel loro lavoro e godevano di una buona posizione sociale, a causa soprattutto del dominio che gli Arabi si conquistarono su tutte le vie commerciali del bacino del Mediterraneo e sulle vie terrestri di comunicazione verso l'Estremo Oriente. In fondo alla scala sociale stavano i contadini, sempre in lotta con un terreno spesso arido, e sfruttati dai grandi proprietari terrieri. Il libro sacro: il Corano Il Corano, dall'arabo Qur'an "lettura", "recitazione", è il libro sacro che contiene la rivelazione che Dio (tramite l'arcangelo Gabriele) fece al suo profeta. Gli insegnamenti, prima appresi a memoria e saltuariamente scritti, furono poi riuniti in un testo unitario e ufficiale, redatto sotto il terzo califfo, Uthman (644-656). Il libro è composto da 114 sure (capitoli), a loro volta divise in versetti di di~a lunghezza e ordinate non secondo la cronologia della rivelazione, ma dalle più lunghe (quelle in cui Maometto, divenuto ormai capo della comunità musulmana, enuncia leggi civili, princìpi di fede, esortazioni di ordine morale e prescrizioni liturgiche) alle più corte. C'è un'unica eccezione: il testo si apre con una breve sura di sette versetti, che contiene la preghiera fondamentale per i musulmani. Il Corano è tradizionalmente diviso in tre parti: - i precetti e le leggi (ahkam); - le storie e le leggende riguardanti soprattutto i profeti precedenti Maometto (qisas); - le esortazioni e gli ammonimenti a operare bene e gli inni alla gloria e alla potenza di Dio (mawa'Iz). Dunque il Corano stabilisce i precetti rituali, morali e giuridici della nuova religione. Non è solo un testo religioso perché, oltre a un discorso su Dio e a un insieme di regole morali, contiene un codice giuridico, alla base della Shari'a ancora oggi vigente in molti paesi islamici e una serie di precetti relativi alla vita quotidiana. In seguito al .testo sacro fu aggiunta la Sunna ("tradizione"), cioè l'insieme dei detti, delle azioni e dei comportamenti di Maometto, che devono essere considerati come modelli per i credenti. Ecco alcuni passi del Corano che riguardano l'atteggiamento che il marito deve tenere nei confronti della moglie. dio ha creato nel loro ventre, se esse credono in Dio e nel Giorno del giudizio Universale. Ché è più giusto che i loro mariti le riprendano quando si trovano in questo stato, se vogliono rappacificarsi. Esse agiscano coi mariti come i mariti agiscono con loro, con gentilezza; tuttavia gli uomini sono un gradino più in alto e Dio è potente e saggio. Il ripudio v'è concesso due volte: poi dovete o ritenerla con gentilezza presso di voi, o rimandarla con dolcezza; e non v'è lecito riprendervi nulla di quel che avete loro dato. [. . .] Dunque se uno ripudia per la terza volta la moglie essa non potrà più lecitamente tornare da lui se non sposa prima un altro marito; il quale se a sua volta la divorzia, non sarà peccato se i due coniugi si ricongiungono, se pensano di poter osservare le leggi di Dio. [. . .] Non prendete dunque a gabbo i segni di Dio, ma siate grati per la grazia che Dio v'ha elargito, per il libro che v'ha rivelato [Corano], e pei savi preI punti fondamentali della dottrina dell'Islam L'Islam è fondato su cinque obblighi fondamentali del credente, detti anche "i pilastri dell'Islam": la testimonianza di fede, che consiste nell' affermazione di due fondamentali verità: «Non esiste altro Dio all'infuori di Allah» e «Maometto è il suo profeta»; la preghiera, che deve essere recitata cinque volte al giorno con il capo rivolto a La Mecca (all'alba, a mezzogiorno, al pomeriggio, al tramonto del sole e all'inizio della notte), dopo aver compiuto le abluzioni rituali di purificazione; il digiuno nel mese del Ramadan; il pellegrinaggio ai luoghi santi de La Mecca, che ogni musulmano deve compiere almeno una volta nella vita. Al centro delle devozioni la Kaaba e la pietra nera. L'insieme del territorio de La Mecca è considerato sacro e, per accedervi, i pellegrini devono indossare un abito cerimoniale, costituito da due pezzi di stoffa bianca senza cucitura; l'elemosina è un dovere, corrispettivo spirituale delle tradizionali virtù di ospitalità e di generosità caratteristiche del mondo arabo; una parte dell'elemosina è lasciata alla volontà dell'incetti coi quali v'ammonisce, e temete Iddio e sappiate che Dio sa tutto. E quando ripudiate le donne e sian giunte al termine fissato pel ripudio, non impedite di sposare i loro mariti, se s'accordano fra loro umanamente. E le madri divorziate allatteranno i loro figli per due anni se il padre vuole completare l' allattamento, e il padre è obbligato a fornir loro gli alimenti e le vesti, con gentilezza; comunque nessuno può essere obbligato a fare più di quanto può: né la madre soffra danno per il figlio, né il padre; e l'erede ha gli stessi obblighi. [ ... ] Se qualcuno di voi muore e lascia delle mogli, queste attenderanno per quattro mesi e dieci giorni; trascorso questo periodo, non avrete, o tutori, alcuna responsabilità di quello eh' esse vorran fare di se stesse onestamente. Badate che Dio sa ciò che fate! [. .. ] Non c'è nulla di male se ripudierete le donne prima di averle toccate o prima ancora di aver loro fissato una dote; ma assegnate loro mezzi per vivere, ricchi o poveri ciascuno secondo le proprie possibilità, in modo umano: è un dovere, questo, per colui che è benefico. dividuo, l'altra parte è istituzionalizzata sotto forma di contributo del fedele alle spese della collettività, che oggi, in molti paesi musulmani, s'identifica con il prelievo fiscale dello Stato. A questi fondamenti dell'Islam, alcuni aggiungono la jihad, che significa "lo sforzo per il regno di Dio", comunemente tradotto con il termine "guerra santa", cioè partecipazione alla lotta armata per l'espansione o la difesa dell'Islam; in realtà, più correttamente, il termine va inteso come sforzo personale da parte di ciascun fedele nel contenimento delle pr~prie passioni o come ricerca di ascesi. La poligamia e la concezione della donna Sul piano etico e sociale il Corano ratificava molti dei precetti e delle norme preesistenti nei clan patriarcali arabi, cercando però di controbilanciarli. Ogni musulmano può sposare fino a quattro mogli, a patto però che sia in grado di mantenerle provvedendo a tutte in modo equo [ ooc.l Le disposizioni che riguardano l'eredità sono particolarmente innovative: le figlie possono ereditare, anche se la lo- ro parte è la metà di quella destinata ai maschi. Altrettanto rivoluzionario è l'atteggiamento di difesa della dignità della donna e l'affermazione del suo diritto alla felicità. Questo, pur accompagnandosi a norme di rigoroso pudore, da cui deriva l'uso del velo, fa sì che la donna sia protetta contro gli abusi o contro le conseguenze del ripudio, forma di divorzio musulmana. Le norme del Corano Nei paesi a cultura.araba la religione e il diritto erano uniti inscindibilmente; per esercitare correttamente la giustizia occorre, infatti, tenere conto dei giudizi del giudice supremo, che è Dio. Questo spiega perché nell'antichità non sono mai esistiti testi di leggi, ma solo norme comportamentali desunte dal Corano. Il Corano presenta un minuzioso diritto penale, ancora oggi in vigore in alcuni paesi, che prevede anche punizioni corporali: la lapidazione in caso di adulterio se è la donna a compierlo, cento colpi di frusta se è l'uomo, l'amputazione della mano destra in caso di furto e, se il colpevole ripete il reato, l'amputazione dell'altra mano. È ammessa la legge del taglione, occhio per occhio dente per dente, ma non deve provocare altra vendetta. Il Corano prescrive anche come un musulmano debba mangiare e bere: la legge islamica proibisce il consumo della carne di maiale e degli animali che non sono stati dissanguati; proibisce gli alcolici e stabilisce varie altre regole di tipo alimentare. Non si deve soffiare sul cibo, si devono evitare l'aglio e la cipolla crudi prima di recarsi alla moschea e non bisogna dissetarsi da recipienti d'oro e d'argento. Anche l'abbigliamento è contemplato nelle norme del Corano: gli uomini devono portare il turbante, non possono indossare abiti di seta o di broccato; è proibito portare gioielli preziosi ma è consentito l'uso di profumi. Per le donne è proibito l'uso della parrucca, diffuso tra le donne ebree. Nelle abitazioni tutti gli oggetti a forma di croce, gli strumenti musicali e gli otri di vino sono proibiti, unico lusso consentito è l'uso dei tappeti. L'economia I califfi favorirono i contadini piccoli proprietari e limitarono le grandi proprietà agricole. Dovunque, anche nelle terre conquistate, si diffuse un' agricoltura specializzata, resa più agevole dalle opere di irrigazione, in cui gli Arabi erano abilissimi. Vennero coltivati frutteti, agrumeti, canna da zucchero, palma da dattero, ma anche piante non alimentari come il lino, il cotone e il gelso, pianta questa indispensabile per l'allevamento del baco da seta. Tali prodotti servirono per creare manifatture tessili, che divennero famose anche fuori del mondo arabo. Anche il commercio ebbe un grande sviluppo: periodicamente le carovane trasportavano merci e prodotti agricoli per tutto l'Impero. Mar Mediterraneo, mar Rosso, oceano Indiano videro le loro acque solcate da numerose flotte mercantili arabe. Una voce importante nell'economia araba fu la pirateria contro gli infedeli: nel IX secolo spedizioni navali arabe giunsero a saccheggiare la stessa Roma, la Liguria, la Provenza, le coste bizantine in Italia e in Grecia. Gli scambi commerciali con paesi lontani diffusero in Europa molti nuovi prodotti: la canna da zucchero in Sicilia, il riso in Spagna, il cotone in Sicilia e in Africa. Dalla Cina gli Arabi appresero la lavorazione della seta e la fabbricazione della carta, che trasmisero poi ai paesi europei. Gli Arabi e la guerra di conquista Come poterono gli Arabi in così poco tempo espandersi in territori tanto vasti? Gli Arabi, innanzi tutto, possedevano un'incredibile forza d'urto militare sostenuta da una micidiale tecnica, tipica dei beduini che comparivano all'improvviso e, dopo aver colpito e depredato il nemico, scomparivano sui loro velocissimi cammelli. Altri elementi fondamentali della conquista furono l'entusiasmo religioso, l'attrattiva del bottino, il genio militare dei grandi condottieri arabi che seppero convogliare le energie dell' espansionismo beduino. Ma la spinta ad abbandonare le proprie terre per occupare quelle degli "infedeli" venne soprattutto da ragioni di tipo economico: si trattò essenzialmente di una espansione mercantile. Le piste commerciali furono il principale obiettivo dei conquistatori arabi e quella che essi costruirono fu essenzialmente una civiltà di città, i centri principali della loro rete di traffici. Gli Arabi, inoltre, dominarono anche i traffici marittimi sia nel mar Mediterraneo, che per molti secoli fu un "lago musulmano", sia nell' oceano Indiano. La tolleranza verso i vinti Il successo dell'Islam fu dovuto anche al fatto che esso seppe venire incontro alle esigenze delle popolazioni conquistate, anzitutto di quelle dell'Impero bizantino. A queste popolazioni maltrattate, sfruttate, gravate di tasse, gli Arabi sembravano promettere una maggiore eguaglianza sociale, predicata dal Corano, la tolleranza religiosa e un minor carico fiscale: da molti l'Islam fu visto quasi come una liberazione. Gli Arabi erano fieri della loro fede, ritenuta superiore a qualunque altra, e cercavano di convertire con la forza i pagani. Per quanto riguardava invece i fedeli delle religioni monoteiste, ebrei e cristiani, cioè "i popoli del libro" (la Bibbia), i conquistatori arabi consentirono loro di continuare a praticare i propri culti dietro pagamento di una tassa (gizya). Sul piano amministrativo, i vincitori vissero a spese dei paesi conquistati, attribuendo a ogni combattente un regolare stipendio. ly_inti erano soggetti al pagamento di un tributo, stabilito annualmenie-aal governatore "a:rabo, gen~ralmente meno oneroso di--quello -pteté~_i -àaI-Bizantini; erano inoltre esentati dal servizio militare, onore e onere riservato ai musulmani. Le amministrazioni locali f~rono solo -in parte -modificate: gli eserciti si accampavano fuori dalle città conquistate, più che altro interessati al pagamento delle imposte. • LA CULTURA La difesa della cultura classica Un grande impulso alla diffusione della cultura fu dato dall'introduzione della carta, che, sostituendo la pergamena, troppo costosa, e il papiro, troppo fragile, consentì la diffusione del possesso del libro. La carta, inventata in Cina fra il I e il II secolo, era rimasta sconosciuta per molto tempo al resto del mondo. Dopo la battaglia di Talas del 751, alcuni artigiani cinesi, imprigionati dagli Arabi, svelarono i segreti della produzione di questo prezioso materiale in cambio della libertà. A Baghdad, circa cinquanta anni dopo, sorse la prima manifattura per la fabbricazione della carta, il cui uso si diffuse rapidamente nel mondo islamico. Nel IX secolo la biblioteca del monastero di San Gallo possedeva 36 volumi, mentre la biblioteca di Cordoba ne aveva circa 500 000. Fu proprio attraverso questo importante centro di traduzione dei testi classici che il mondo musulmano prima, e l'Occidente europeo cristiano poi, conobbero le opere dei grandi filosofi e scienziati antichi come La lingua e la scrittura arabe La lingua e la scrittura arabe sono fra le più conosciute del mondo grazie alla grande diffusione della religione islamica. Oggi la lingua araba è parlata da più di 200 milioni di persone. La lettura sempre identica del Corano ha conservato questa lingua intatta per molti secoli. Aristotele, Platone, Euclide, Tolomeo, Galeno, Archimede, Ippocrate, per citare solo i maggiori. I cristiani europei, che ormai non conoscevano più il greco, poterono quindi venire a contatto con i pensatori greci dell'antichità attraverso le traduzioni dal greco in arabo grazie alla Spagna islamizzata. G razie all'Islam la lingua araba ha potuto arrivare fino a noi: il Corano, libro sacro dei musulmani è scritto in arabo. Questa lingua, all'origine, era solo uno dei tanti dialetti semitici della penisola arabica. Oggi la lingua araba, parlata da più di 200 milioni di persone, si colloca al sesto posto nel mondo, prima del francese e del tedesco ed è una delle lingue ufficiali delle Nazioni Unite. Molte lingue non semitiche, in passato, hanno usato la scrittura araba: è il caso del persiano, del turco e del maltese. Ancora oggi il persiano e altre lingue indoeuropee usano i caratteri arabi per la loro scrittura. La lingua araba ha la particolarità di essere molto La letteratura ricca di consonanti e povera di vocali. Queste vocali vengono pronunciate in modo attenuato e talvolta il n6stro orecchio fa fatica a distinguerle. Delle 28 lettere ben 17 hanno un suono assolutamente diverso rispetto all' alfabeto italiano. I.: arabo grazie alla lettura del Corano, sempre identica nei secoli, ha conservato intatta questa ricchezza di suoni evitando l'usura fonetica subita generalmente dalle altre lingue nel corso della loro evoluzione. I.:arabo è una scrittura alfabetica composta da 28 lettere; solo tre vocali (a, i, u) sono simili a quelle della lingua italiana; le vocali brevi non si scrivono. Si scrive e si legge da destra a sinistra, quindi per leggere un libro scritto in arabo bisogna iniziare Le più antiche testimonianze della storia della letteratura araba nascono tra i popoli nomadi del deserto dell'Arabia settentrionale all'alba del VI secolo. Sono poesie orali tramandate per secoli dai cantori (ruwat), raccolte e codificate sotto l'Islam verso l'VIII secolo e considerate da sempre espressione dell'antica società araba. Specchio fedele della vita di quell'epoca, parlano di amori, di guerre, di diatribe fra tribù, di caccia. Molte sono le raccolte e anche i poeti; la più famosa è la collana delle sette Mu' allaqat, che racchiude le più celebri poesie di autori tra i quali figurano Nabigha, il poeta della tribù di Dhubyan, grande viaggiatore, e la poetessa ~-Khansa, famosa per lè sue elegie per la morte dei due fratelli. Sotto gli Omayyadi, che resteranno al potere per un secolo (661-750), la poesia scopre temi diversi, dettati dal nuovo clima politico e sociale. Così accanto alla poesia beduina nasce quella cittadina, quella di corte, quella erotica, quella bacchi- . ca. Il califfo omayyade Walid Ibn Yasid canta le passioni, il vino e l'amore, mentre Omar Ibn Abi Rabia diventa l'esponente principale del filone erotico. Nel periodo abbaside si afferma soprattutto la prosa, con l'apporto di storici, geografi, scienziati, filosofi, biografi e traduttori. Un autore famoso è, per esempio, Ibn al-Mukaffa, che scrive racconti in prosa rimata ricchi di fantasia e invenzioni su episodi di vita realmente accaduti. L'arte decorativa e l'architettura Per quanto riguarda l'arte, la proibizione da parte della religione di rappresentare la figura umana azzerò la produzione pittorica e statuaria, mentre ebbero un enorme impulso l'architettura e le arti decorative, che adottarono motivi geometrici. I palazzi arabi costruiti in Spagna, a Granada, Siviglia, C6rdoba, o nello Yemen mostrano un'eccezionale capacità di fondere la leggerezza dell'edificio con la natura, in un susseguirsi di giardini lussureggianti, fontane, grandi piscine e portici, il tutto decorato con smalti di vivacissimi colori che riproducono in molti casi frasi del Corano. 1Gli studi scientifici I f Una volta completate le loro straordinarie conquiste, gli Arabi svilupparono un grande interesse per le arti e le scienze e in questo furono molto aiutati dalla cultura greca e bizantina. Nel 529 Giustiniano chiuse l'Accademia Platonica e molti intellettuali bizantini si trasferirono in Persia, portando con sé le opere dei grandi scrittori greci, in particolare di Aristotele. Dagli autori greci inoltre essi appresero la geometria, la botanica, la medicina, la geografia. Lo stesso Almagesto, la più importante opera araba di astronomia, non è altro che la traduzione della classica opera di Tolomeo, il grande geografo di Alessandria d'Egitto. Tuttavia, in alcuni settori, come l'algebra, la medicina, la botanica o la chimica, furono proprio gli Arabi a dare contributi originali con nuove idee e nuove scoperte, e fu l'Europa occidentale a riceverli e assorbirli da loro. Il più noto contributo della cultura araba al mondo occidentale è il sistema di numerazione decimale; fu introdotto in Italia e poi nel resto dell'Europa dall'italiano Leonardo Fibonacci alla fine del XII secolo. Gli scienziati arabi Gli scienziati arabi si impadronirono della cultura scientifica greca e di quella indiana, ma svilupparono poi contributi originali alla storia della scienza. Universalmente riconosciuto come il padre della chimica, Jabir lbn Haiyan (Geber) svolse la sua opera nella città di Kufa, in Iraq, dove morì nel- 1' anno 803. Scrisse più di 100 trattati monumentali, ventidue dei quali trattano di chimica e alchimia. In questa scienza introdusse investigazioni sperimentali, creando le basi della chimica moderna. Studiò principalmente le quantità definite del- le sostanze coinvolte in reazioni chimiche, per cui si può dire che aprì la strada alla legge delle proporzioni costanti. Il suo contributo alla chimica, di fondamentale importanza, include il perfezionamento di tecniche scientifiche quali la cristallizzazione, la distillazione, la calcinazione, la sublimazione ed evaporazione, nonché la creazione di diverse appar~cchiature per la conduzione di tali studi. Il maggiore successo pratico di J abir fu la scoperta dei minerali e degli acidi, preparati per la prima volta con l'ausilio di alambicchi, invenzione che rese il processo di distillazione semplice e sistematico. J abir fu un pioniere nello sviluppo di numerosi processi chimici, cui diede nomi che sono rimasti nel vocabolario scientifico occidentale. Muhammed Ibn Musa al-Khwarizmi (780-850) nacque nell'Uzbekistan e si trasferì da bambino a Baghdad. Fu uno dei più grandi matematici del tempo e introdusse in questa scienza il concetto di algoritmo, che da lui prese il nome. Al-Khwarizmi è universalmente conosciuto come il fondatore dell'algebra: il nome algebra, infatti, deriva dal suo libro Al-Jabr wa al-Muqabilah, che presenta un' esposizione piana ed elementare delle soluzioni di equazioni, specialmente di secondo grado, e regole per effettuare operazioni su espressioni binomiali. Yaqub Ibn lshaq al-Kindi (800-873) è conosciuto in Occidente come Alkindus e fu filosofo, astronomo, fisico, matematico e geografo. Nato in Iraq, fu il primo fisico a determinare sistematicamente il dosaggio di medicinali e droghe. Contribuì alla geometria sferica assistendo al-Khwarizmi negli studi astronomici, e i suoi lavori posero le basi dell'aritmetica moderna. Abbas Ibn Firnas (non si conosce la data di nascita, muore nell'888) è un personaggio curioso perché realizzò nella Spagna islamica il primo tentativo di volo umano, secoli prima di Leonardo da Vinci. Abul Qasim al-Zahrawi (936-1013) fu il più grande chirurgo del Medioevo. Conosciuto in Occidente come Albucasis, fu l'inventore di nuove tecniche chirurgiche e di strumenti e l'autore di una famosa enciclopedia medica. Tre volumi della sua enciclopedia trattano di tecniche chirurgiche, incluse quelle da lui inventate, e catalogano con diagrammi e illustrazioni 200 strumenti chirurgici. I suoi libri costituirono testi di riferimento nelle università europee per cinque secoli. Molto conosciuto in Occidente, specialmente da quando i suoi scritti furono tradotti in latino durante il Rinascimento, fu Ibn al-Haythan (965-1039), più noto nel mondo occidentale come al-Azhen, i cui più importanti contributi sono nel campo dell'ottica. Ancora oggi si sente parlare del "problema di al-Azhen", che chiede di trovare su uno specchio sferico il punto in cui la luce proveniente da una certa sorgente viene riflessa verso l'occhio dell'osservatore. Abu Raihan al-Biruni (973-1048) fu astronomo, fisico, matematico, geologo. Introdusse per primo nella scienza il metodo dell'osservazione diretta ed è considerato per questo uno dei padri della scienza moderna. Al-Biruni scoprì sette modi differenti per trovare la direzione del nord e del sud, e le tecniche matematiche per determinare con esattezza l'inizio delle stagioni. Scrisse dei movimenti del Sole e delle eclissi, mettendo a punto perfezionati strumenti astronomici. Molti secoli prima rispetto al resto del mondo, al-Biruni scrisse della rotazione della Terra attorno al proprio asse e fece calcoli accurati di latitudine e longitudine, descrisse la Via Lattea e, come fisico, determinò il peso specifico di diciotto elementi. Al-Idrisi (1099-1166) è stato uno dei più grandi geografi di tutti i tempi. Disegnò la prima mappa del globo ed eseguì mappe geografiche per re Ruggero II di Sicilia. Nel testo Il libro di re Ruggero, trattato geografico di tutti i paesi allora conosciuti adoperò metodi di proiezione, per passare dalla forma sferica della Terra al planisfero, molto simili a quelli usati da Mercatore quattro secoli più tardi. L'opera medica di Avicenna Ibn Sina, noto come Avicenna (dalla storpiatura della pronuncia in Spagna di Ibn Sina, divenuto Aven Sina, da cui poi Avi Cenna), nacque nel 980 a Kharmaithen (presso Bukhara), in Asia centrale, nell'attuale Uzbekistan. All'età di tredici anni intraprese gli studi di medicina, e già a sedici era padrone della materia. Studiò poi logica e metafisica fino a diventare l'intellettuale più famoso del mondo arabo. Visse in un periodo di grande instabilità politica e le alterne vicende della potenza araba nella sua terra lo costrinsero a viaggiare. Di giorno lavorava come medico e come. amministratore e di notte riuniva intorno a sé i suoi studenti per discussioni filosofiche e scientifiche. Morì ad Hamadan, in Persia (ora Iran), nel 1037. Avicenna scrisse circa 450 opere, delle quali circa 240 sono arrivate a noi. Di queste, 150 sono di filosofia mentre 40 sono dedicate alla medicina, i due campi cui contribuì in misura maggiore. Scrisse anche di matematica, psicologia, geologia, astronomia e logica. Le due opere più importanti di Avicenna sono Il libro della guarigione e Il canone della medicina. Il libro della guarigione è un'enciclopedia scientifica che si occupa di logica, scienze naturali, psicologia, geometria, astronomia, aritmetica e musica; contiene una serie di dotte dissertazioni su argomenti scientifici diversi estrapolati dalle opere di Aristotele. Il canone della medicina è il libro più famoso nella storia della medicina. In Medio Oriente e in Europa fu il testo di insegnamento e il compendio di scienza medica più diffuso, tanto che venne tradotto in latino. Il filosofo Averroè Ibn Rushd (il nome Averroè viene dalla storpiatura in lingua spagnola di Ibn divenuto Aven e Rushd) nacque in Spagna, a C6rdoba, nel 1126. La sua famiglia apparteneva a una classe sociale elevata e quindi ebbe modo di costruirsi una cultura vastissima. Durante un viaggio a Marrakech notò una stella che non si poteva vedere sotto i cieli spagnoli: Canepe; l'osservazione di questo fenomeno gli permise di intuire la rotondità della Terra. Durante un altro viaggio a Marrakech, Averroè conobbe lbn Tufail, medico del califfo Yussùf ibn Ya'qùb, e questi lo incaricò di tradurre e com- 1 mentare le opere di Aristotele, perché era troppo vecchio per questo lavoro e le traduzioni fino allora esistenti erano troppo oscure. Averroè accettò e s'impegnò in un lavoro che durò più di 15 anni, ma l'opera del grande filosofo greco fu quasi interamente tradotta. Alla morte del califfo, Averroè mantenne un posto di primissimo piano come medico di corte e confidente del successore di quest'ultimo Ya' qub detto al-Mansur. A causa, però, delle sue tesi filosofiche, cadde in disgrazia, il sovrano lo esiliò nella città di Lucena (Elisana), vicino a C6rdoba. Averroè morì a Marrakech, solo e dimenticato, nel 1198. Averroè non si limitò a tradurre le opere del filosofo greco Aristotele, ma scrisse anche dei lunghi commenti alle sue teorie, esponendo le proprie idee filosofiche. Una di queste suscitò lo scandalo degli intellettuali arabi di allora e provocò non solo il suo esilio ma Il posto degli Arabi nella storia Lo storico Atiyah presenta efficacemente in questo passo la traccia che gli Arabi hanno lasciato nel mondo attuale, sia nella civiltà che nella lingua. e ome il mondo antico, all'incirca a partire dal 600 a.C., fu dominato dai Greci e dai Romani, e il mondo moderno è stato dominato dall'Europa occidentale e dal nuovo mondo che da essa è nato, così il Medio Evo fu dominato dagli Arabi. Il posto che gli Arabi hanno occupato nella storia, o l'influenza che essi hanno esercitato sul suo corso, possono essere valutati secondo tre diversi criteri. In primo luogo [. .. ] gli Arabi hanno lasciato una traccia indelebile della loro presenza sulla carta geografica del mondo, arabizzando in maniera permanente la maggior parte del Medio Oriente e tutta l'Africa del nord. In queste regioni complessivamente circa 70 milioni di uomini oggi parlano arabo e in un senso o nell'altro si definiscono Arabi. In secondo luogo, gli Arabi diffusero la religione musulmana ben oltre le frontiere del mondo arabo. Attraverso la conquista ( quando il loro Impero si stendeva dalla Spagna alla Cina e aveva un' estens10ne quasi doppia di quella che aveva avuto l'Impero romano) o attraverso il commercio e l' espansione culturale, essi portarono la fede predicata dal loro Prof eta nel cuoanche la distruzione delle sue opere e la loro cancellazione dalla storia della cultura araba. Averroè, infatti, sosteneva che la realtà ha ricevuto da Dio una struttura definita e perfetta, compiutamente comprensibile per la nostra ragione. Le interpretazioni del Corano possono quindi variare tra coloro che tramite la riflessione razionale e scientifica giungono al senso nascosto della rivelazione, e coloro che ne afferrano solo il senso immediato ed esterno; i primi sono i filosofi e i secondi sono i teologi e i credenti. Un eventuale conflitto apparente tra le diverse interpretazioni può essere risolto da un'esatta interpretazione filosofica. Queste tesi, che istituivano una superiorità della ragione e della filosofia sulla fede religiosa, scatenarono le ire sia dei teologi arabi sia dei teologi cristiani. Le opere di Averroè, infatti, vennero bruciate dagli Arabi, ma nell'Occidente incontrarono uno straordinario successo, tanto che la Chiesa le condannò ripetutamente e l'appellativo di "averroista" divenne sinonimo di "eretico". re dell'Asia, a sud fino al- 1' estremità sud-orientale della penisola di Malacca e al di là del mare fin negli arcipelaghi delle Indie Orientali. Il numero dei Musulmani nel mondo odierno è di circa 350 milioni, una grande comunità monoteistica che s1 estende in tutto l'emisfero orientale e tuttora vive, essenzialmente, una vita in gran parte regolata dai dogmi e dalle leggi sociali enunciate nel Corano. Sebbene sei settimi di coloro che formano questa società non siano Arabi o non parlino arabo, pure essa rappresenta il prodotto delle idee e delle iniziative degli Arabi, contributo, questo, alla storia non meno importante della creazione del più limitato ma più compatto e omogeneo mondo arabo. In terzo luogo, gli Arabi, all'apice della loro fioritura creativa, a Damasco e a Baghdad, come a Toledo e a C6rdoba, furono alla testa della civiltà mondiale e, sia attraverso quello che essi stessi crearono che attraverso quanto appresero dall'antica Grecia, dalla Persia e l'India e trasmisero agli altri. [ ... ] L'inglese ha parecchie centinaia di parole di origine araba, molte delle quali hanno carattere più o meno internazionale, se non altro nelle lingue dell'Europa occidentale. Le parole arsenale, sloop, cable, traffic, tariffe monsoon (in italiano rispettivamente: arsenale, imbarcazione da corsa, cavo, traffico, tariffa e monsone) sono di origine araba, ulteriore prova questa del grande ruolo svolto dagli Arabi nella navigazione durante il Medio Evo. Anche algebra, algorism, zero, alchemy, chess, Le mille e una notte titolo originale in (in cui il numero ifra reale, ma è il come in molte aluantità), è indub- . letteratura orienciuto in assoluto, e degli occidenta- . o sunti dell' opee animano le faincipessa Shahraaginario di tanti me Alì Baba e i o con la sua lamviaggi di Sindbad bini conoscono 'opera originale, a è animata in tutrande sensualità. o la redazione decconti che hanno tradizione orale e a redazione scritra, formata da una ollegamento con i biente indiano e ra persiana. Con la a parte degli Arabi a loro forma quasi ente la loro redanegli ambienti culcolo circolava una onti intitolata Milin arabo con il tiI e il XVI secolo · one indiano, pernifestano parti che greco-bizantino e e, a testimonianza bi e queste cultuque, Le mille e redazione definialle parti che ab- ..... . . . ........... ······ ·················· •....••..........•. biamo detto, anche favole e novelle tratte dalla letteratura popolare. LA CORNICE DEI RACCONTI Il re Shahriyàr, re di un Impero non ben precisato, che si stendeva dalle Indie fino alla Cina, deluso e infuriato per il tradimento della moglie concepisce un odio mortale per l'intero genere femminile. A causa di ciò egli ordina al visir, che è anche il padre di Shahrazàd, di condurgli una fanciulla ogni notte: avrebbe passato la notte con lei e la mattina seguente ne avrebbe ordinato l'esecuzione. La strage continua per tre anni finché Shahrazàd, bella, saggia e coraggiosa, non si offre di passare la notte col re dicendo al padre: «O rimarrò in vita, o sarò il riscatto delle vergini musulmane e la causa della loro liberazione dalle mani del re e dalle tue». Shahrazàd, per non essere messa a morte dal vendicativo re, per mille e una notte tiene desta la curiosità del sovrano con i suoi racconti straordinari, ora incatenati l'uno all'altro come anelli di una collana, ora rinchiusi l'uno nell'altro come in un sistema di scatole cinesi. Quando Shahrazàd smette di raccontare, il re Shahriyàr ormai ha dimenticato per amor suo l'antico odio per le donne; il tempo e la fantasia l'hanno riconciliato con la vita. Shahrazàd ha salvato se stessa e ben più di mille e una fanciulla. Questa la storia-cornice: una storia di per sé straordinaria, che offre Shahrazàd al- 1' ammirazione di lettori, imitatori, poeti e artisti. Shahrazàd è diventata per l'Occidente la regina-madre di tutte le odalische che hanno popolato da secoli le letterature europee, le gallerie d'arte e i palcoscenici dei balletti. Per il mondo arabo Shahrazàd è il simbolo della forza dell'intelligenza, del fascino della parola, del potere di seduzione e in questo senso Shahrazàd rappresenta tutt'altro che il modello dell'odalisca sensuale e passiva, caro all'immaginario occidentale. In realtà essa è una donna attiva, abile, astuta, artefice della propria salvezza e di quella delle altre donne, capace di suscitare amore nel sovrano e di conservare vivo in lui questo amore. Proponiamo ora qualche breve estratto di una delle famose novelle, Le avventure di Sindbad il marinaio. L'ISOLA-BALENA La nave di Sindbad attracca a un'isola coperta di alberi dai quali pendono /rutti succulenti. Molti passeggeri scendono a terra, ma... 1 Mentre ce ne stavamo così, godendoci la bellezza di quel sito, a un tratto sentimmo la terra che tremava sotto i nostri piedi e udimmo il capitano che, sporgendosi dalla murata della nave, gridava: «Passeggeri, salvatevi! Fate presto! Risalite subito a bordo! Lasciate ogni cosa, se tenete alla vita! Fuggite l'abisso che si spalanca sotto di voi! Perché l'isola su cui vi trovate non è un'isola, ma una balena gigantesca, che da tempo immemorabile si è adagiata in mezzo al mare. La balena è rimasta così da tanto tempo che il mare l'ha ricoperta di sabbia, e le sono cresciuti sul dorso gli alberi che vedete! Voi, accendendo i fuochi per cucinare, l'avete risvegliata, ed ecco che ora si muove e vi trascinerà con sé negli abissi! Salvatevi, abbandonate tutto!». Udendo queste parole del capitano, i passeggeri, presi dal terrore, si misero a correre verso la nave abbandonando le loro robe, i fornelli, le pentole. Ma la balena era già in movimento e la nave stava già levando le ancore, così che solo alcuni riuscirono a salire a bordo. Gli altri, quelli che si trovavano più lontano o che si erano attardati a raccogliere le loro cose, furono travolti dalle onde e sommersi nel mare profondo. Io fui fra questi ultimi. Ma Allah Altissimo e Misericordioso mi salvò dalla morte facendomi capitare sotto mano un grosso mastello di legno, di quelli che si usano per fare il bucato. Io mi ci misi sopra a cavalcioni e muovendo disperatamente i piedi come fossero remi cercai di raggiungere la nave che si allontanava a vele spiegate. La seguii per un pezzo, finché non la vidi sparire all'orizzonte, e mi ritrovai in mezzo al mare, solo e derelitto, sicuro ormai di morire. Per una notte e un giorno, fui sballottato dalle onde e dai venti. Alla fine le correnti marine mi gettarono contro un'isola rocciosa. Aiutandomi con le mani e con i piedi riuscii ad attaccarmi a dei cespugli e a salire in cima alle scogliere. Quando toccai terra, mi esaminai il corpo e vidi che era tutto gonfio -e martoriato e che i piedi recavano i segni dei morsi dei pesci. Ma non sentivo alcun dolore, tanto ero sfinito. Mi gettai a terra e per la stanchezza svenni. UN UOVO SCAMBIATO PER UNA CUPOLA Sindbad viene abbandonato dai compagni su un'isola e si dispera. Sentendomi impazzire, quasi in preda a un sortilegio, cominciai a camminare avanti e indietro senza sapere dove andassi né che cosa facessi. Alla fine mi arrampicai su un albero altissimo e cominciai a scrutare l'orizzonte, ma non vidi altro che cielo e mare, alberi e uccelli, isole e sabbia. Tuttavia, dopo un poco, guarda che ti riguarda, scorsi in lontananza verso l' estremità dell'isola una forma biancheggiante. Scesi dall'albero e mi diressi a quella volta e, quando fui abbastanza vicino, mi accorsi che quell'oggetto bianco era una grande cupola che si levava alta verso il cielo. Cominciai a girarle intorno, ma non riuscii a trovare né porte né pertugi. Cercai di arrampicarmi, ma la cosa mi riuscì impossibile, perché la cupola era straordinariamente liscia e non offriva alcun appiglio. Tracciai un segno per terra nel luogo in cui mi trovavo e girai attorno alla cupola constatando che la sua circonferenza era di buoni cinquanta passi. Mentre me ne stavo lì a lambiccarmi il cervello sul modo migliore di entrare in quella cupola, ecco che d'un tratto il sole si oscurò, come se una grande nuvola lo avesse coperto. La cosa mi meravigliò moltissimo perché eravamo d'estate e il cielo era limpido e terso; allora levai in alto gli occhi e vidi un uccello dalla mole enorme e dalle ali larghissime che, volando nell'aria, aveva nascosto completamente il sole all'isola. A quella vista il mio stupore non ebbe limiti; ma subito ricordai di aver sentito viaggiatori e pellegrini raccontare di un uccello e~orme, chiamato Rukh, che abitava in una certa isola e che nutriva i suoi piccoli con gli elefanti. Non ebbi più dubbi che la cupola che aveva attirato la mia attenzione fosse un uovo del Rukh. Mentre io non finivo di meravigliarmi per le opere dell'Onnipotente, l'uccello si posò sulla cupola e cominciò a covarla, accovacciandosi con le zampe tese indietro. In questa posizione si addormentò, sia lode all'Insonne! Quando fui sicuro che l'uccello dormiva, mi avvicinai, sciolsi il turbante e lo attorcigliai facendone una corda robusta e molto resistente e me ne legai strettamente un capo alla \;Ìta; l'altro capo lo assicurai a una zampa dell'uccello dicendomi: "Chissà che questo uccello non mi porti in una terra dove siano uomini e città; questo sarà meglio che rimanere in un'isola deserta". Quella notte non dormii per tema che l'uccello volasse via all'improvviso. Non appena apparve in cielo il primo chiarore dell'alba, il Rukh si alzò dall'uovo, spalancò le enormi ali e, gettando un grido assordante, si levò in volo trascinandomi con sé. Salì e salì tanto in alto che pensai avesse raggiunto il limite del cielo; poi, a poco a poco cominciò a discendere fino a che prese terra in cima a un'alta collina. sociale ed economie::a enze del trapasso quella medievale dello ·:scontro tra · hi e la posizibne deha· eJ èonftitt,éi " : \ de'tta nascita · ~ns~ e le cohseguenze no ebbe t economisa e ,sociale obardi penetrano in Italia da Oriente e mente Cividale, Aquileia, Padova e Veespugnano Pavia che diventerà la capigno. Nel 576 entrano a Susa e portaccupazione dell'Italia settentrionale. Il spansione continua poi verso sud dui Autari (584-590) e di Agilulfo (590- i Longobardi hanno ormai occupato la n parte della Puglia. Durante il regno 652) vengono portate a termine le ul- . Il regno longobardo si consolida trono Liutprando (712-744). L'.interei Franchi (756) metterà fine a un redaile continue lotte fra duchi. 529 San Benedetto fonda l'abbazia di Montecassino 529 Giustiniano fa chiudere l'Accademia filosofica di Atene, accusandola di paganesimo In questo bassorilievo è stato rappresentato un gruppo di cavalieri longobardi che combatte durante la battaglia di Pavia. 568 574 I longobardi I longobardi guidati da Alboino occupano scendono in Italia Spoleto 600 Conversione al Cattolicesimo della corte longobarda del re Agilulfo Et-~ A partire dal 568 i Longobardi - un popolo proveniente dalla Pannonia - penetrarono all'interno dei confini di quello che era stato l'Impero romano. Guidati dal loro re Alboino, i Longobardi devastarono l'Italia settentrionale, poi l'Umbria e la Toscana. Spingendosi ancora a sud, con una serie di incursioni travolsero le g1a scarse resistenze dell'Impero bizantino. L'.occupazione longobarda non fu sistematica: a lungo sfuggirono al loro controllo zone del Veneto e della Romagna, l'area di Roma, parte della regione appenninica, della Puglia, della Calabria e infine le / isole. /, ,· :1/ MEDIOEVO 754 758 Prima discesa Desiderio vittoriosa di Pipino in Italia -'-'I - n2 747 Gli Arabi giungono Pipino fino alla valle I detronizza inferiore dell'Indo Childerico lii IJ.. MAR MEDITERRANEO L'ITALIA LONGOBARDA 1 Conquiste iniziali :...J (568-590) 1 Conquiste del =I VII secolo _J Territori contesi tra Longobardi e Bizantini I Tirreno Conquiste al tempo di _J Liutprando (712-744) Conquiste al tempo di Astolfo (7 49-756) _J Dominio bizantino 77Z Il papa Adriano I invoca l'aiuto dei Franchi m Carlo scende in Italia, sconfigge Desiderio a Pavia 7frl Nuova spedizione in Italia di Carlo Prime sedi dei 0 duchi longobardi • Altre sedi del VII e VIII secolo Quando si va da Frosinone verso Cassino si vede sul!' alto di una collina un enorme edificio bianco diventare sempre più imponente mentre si sale verso la cima. È l'abbazia di Montecassino. Sorta sui resti di due templi dedicati a Giove e ad Apollo e di un presidio romano, l'abbazia di Montecassino deve la sua fondazione a san Benedetto. Attorno al 529 egli gettò le fondamenta della casa per i monaci e dei due oratori. Distrutto dall'invasione longobarda, il monastero risorse quando i benedettini tornarono a Montecassino intorno al 720. La seconda distruzione avvenne per mano dei Saraceni, ma il monastero risorse ancora nella seconda metà del secolo. I} ultima distruzione di Montecassino fu la più incredibile e tragica. Durante la seconda guerra mondiale l'abbazia si trovò a essere lungo la cosiddetta ({linea Gustav", che, secondo i tedeschi~ avrebbe dovuto bloccare l'avanzata degli alleati. Tra il 15 e il 18 febbraio del 1944, caddero su Montecassino tonnellate di bombe. Dopo la totale distruzione, una complessa opera di riedificazione ha ridato al!' abbazia l'aspetto originario, con la grandiosa basilica a tre navate e la sua pianta rettangolare aperta sul disegno dei tre chiostri, del XVI e XVIII secolo. Nel 1950 sono state ritrovate le reliquie di san Benedetto e di santa Scolastica, ora sistemate nel!' altare maggiore. I} abbazia conserva tuttora la sua famosa biblioteca, pur gravemente compromessa dalle distruzioni belliche: del ricchissimo patrimonio, /rutto di un immenso lavoro culturale, oggi si conservano ancora oltre 1000 codici~ 40 000 pergamene e tutto il fondo delle opere a stampa con 250 incunaboli. I Longobardi invadono l'Italia non ritennero strategicamente importante il controllo della penisola italiana. L'Italia si trovò così ben presto esposta a una nuova minaccia: l'invasione dei Longobardi. Con la guerra gotica, alla metà del VI secolo (vedi p. 85), l'imperatore d'Oriente Giustiniano aveva abbattuto il Regno romano-barbarico degli Ostrogoti e aveva stabilito il suo dominio sull'Italia. Nel 565 l'imperatore morì e i suoi successori I Longobardi, un popolo di origine germanica, si erano stanziati in Pannonia (l'odierna Ungheria) all'inizio del VI secolo, divenendo federati dell'Impero d'Oriente. I loro costumi feroci e selvaggi erano conosciuti da storici come Strabope, D ue sono le principali fonti storiografiche per il conflitto tra Longobardi, papato e Franchi. Per la storia dei Langobardi è fondamentale l'Historia Langobardorum di Paolo Diacono. Paolo di Warnefrido, detto Paolo Diacono, nacque a Cividale poco dopo il 720 da una famiglia longobarda stanziata nel Friuli. Studiò a Pavia alla scuola del grammatico Flaviano e fu alla corte dei re longobardi Rachi, Astolfo e Desiderio; fu storico, poeta e scrittore religioso. Divenuto famoso per le sue qualità e per la sua cultura (conosceva anche un po' di greco), fu nominato precettore di Adelperga, figlia di Desiderio e moglie del duca di Benevento. Dopo la caduta del Regno longobardo, anche per l'amarezza causatagli da questo , avvenimento, Paolo entrò nel mqnastero di Montecassino. Il re dei Franchi Carlo Magno, tornato in Italia nel 781, lo invitò a recarsi in Francia, per collaborare alla realizzazione della sua politica culturale. Paolo lavorò con Alcuino di York e ritornò in Italia per ritirarsi dopo quattro anni nuovamente nell'abbazia di Montecassino. Qui compose il suo capolavoro, l'Historia Langobardorum e qui morì negli ultimi anni dell'VIII secolo. L'Historia Langobardorum consta di 6 libri e narra le vicende di quest_o popolo dalle origini fino al 7 44, cioè fino al regno di Liutprando, quando i Longobardi raggiunsero l'apice della loro potenza. Per i Franchi la fonte più completa è l'Historia Francorum di Gregorio di Tours (538-594). L'opera consta di 10 libri e l'autore la considera la prosecuzione naturale della storia romana. La narrazione è disordinata e spesso confusa, ma offre una mole impressionante di dati per chi voglia documentarsi sui Franchi. Non manca, in stile tipicamente altomedievale, il gusto per il meraviglioso e per il miracolistico, ma la caratteristica principale di quest'opera è la ricerca costante di obiettività e un realismo spesso impressionante. Velleio Patercolo e soprattutto Tacito, che narrano con dovizia di particolari il terrore che incutevano questi uomini seminudi, dalle lunghe capigliature e dalle lunghe barbe, usi a combattere con una ferocia e un coraggio senza pari. Nel 568 una massa di Longobardi, guidata dal re Alboino e composta da circa 40 000 uomini (seguiti da donne, bambini, vecchi, animali e da tutte le loro masserizie), giunse ai confini nordorientali della penisola. Dilagò nella pianura padana senza incontrare alcuna resistenza e poi ancora verso il centro e il sud della penisola. La popolazione italica era stremata da tanti anni di scorrerie e di guerre e i Bizantini non avevano la forza militare per opporsi in campo aperto agli invasori; si ritirarono nelle loro città fortificate, soprattutto lungo la costa, dove · potevano ricevere aiuti via mare. La resistenza fu quindi assai scarsa con qualche eccezione, come Pavia, che resistette tre anni, divenendo poi la capitale del Regno longobardo. La suddivisione dell'Italia Il dominio longobardo, detto Longobardìa, si estese presto sull'Italia del Nord, la Toscana (Tuscia) e i territori di Spoleto e di Benevento. In ognuna delle principali città di questi territori prese il potere un capo militare longobardo, un duca. Ai Bizantini rimasero la regione intorno a Ravenna (sede dell'Esarcato, cioè del governatore bizantino) con le città di Ferrara, Bologna e Andria; la cosiddetta Pentapoli, cioè la zona adriatica con le cinque città di Rimini, Fano, Ancona, Senigallia e Pesaro; Roma, Napoli, la Puglia, la Calabria e le isole maggiori (Sicilia, Sardegna, Corsica). Dunque, per la prima volta dai tempi dell'unificazione romana, si ruppe l'unità politica dell'Italia, che aveva resistito al crollo dell'Impero e alle precedenti invasioni (sarebbe stata ricomposta solo tredici secoli più tardi, con il compiersi del Risorgimento italiano). Al loro arrivo in Italia, i Longobardi erano una popolazione tra le più primitive fra i Germani, barbari tra i barbari, come li aveva definiti lo storico bizantino Procopio di Cesarea. Al contrario di quanto avevano fatto i Goti, i Longobardi non cercarono nessuna forma di collaborazione e tanto meno di integrazione con la popolazione italica; ruppero la tradizione politico-amministrativa precedente escluden- t :, I 1, • do dal potere la classe senatoria italiana, che in molti casi fu anche espropriata dei suoi patrimoni fondiari. Grave fu anche il conflitto con il clero che aveva tentato di difendere la popolazione locale. Per un certo tempo, dunque, i Longobardi si comportarono come conquistatori e vissero di un'economia di rapina nei confronti dei vinti . .::B In questa placca metallica, che guarniva una fibbia, è rappresentato un cavaliere longobardo con lancia e scudo. I successori di Alboino: Autari e Agilulfo CìniJ -il cavaliere iniziò-a ricevere-la-sp-aà.a, -( -Nell'ambito del codice di comportamento del cavasimbolo del potere e della forza, dalle mani di un i liere spicca prima di tutto la sua vocazione alla Il rituale dell'investitura Riportiamo qualche passo tratto da un volume del grande storico del D alla seconda metà del secolo XI in poi, vari testi, i quali non tardano a farsi sempre più numerosi, commcrnno a menzionare che nel tale o talaltro luogo s'è svolta una cerimonia destinata - dicono - a "fare un cavaliere". Il rituale implica parecchi atti. Al postulante, di solito appena uscito dall' adolescenza, un cavaliere più anziano consegna anzitutto le armi significative del suo futuro stato, in particolare, la spada. Segue poi quasi sempre un gran colpo assestato dal padrino sulla gota o sulla nuca del giovane col palmo della mano: la paumée (palmata) o colée (accollata) dei testi francesi. I poemi mostrano volentieL ri l'eroe che si sforza di Medioevo Mare 8/och, in cui si ricostruiscono alcuni aspetti salienti della cerimonia dell'investitura. Particolare attenzione viene rivolta alla cristianizzazione de/l'investitura da parte della Chiesa. non piegare sotto quel rude colpo: l'unico - osserva un cronista - che un cavaliere debba ricevere senza restituirlo. Infine, una manif estazione sportiva terminava la festa. Il nuovo cavaliere balzava a cavallo e correva a trafiggere o ad abbattere con un colpo di lancia una panoplia fissata a un palo: la "quintana". Via via che gli ambienti cavallereschi acquistarono più chiara coscienza di quel che li separava dalla massa "senza armi" innalzandoli al di sopra di essa, si fece sentire sempre più imperioso il bisogno di sanzionare, per mezzo di un atto rituale, l'ingresso nella collettività così definita: sia che il nuovo ammesso fosse un giovinetto che, nato di famiglia nobile, ottenesse di essere accolto nella società degli adulti, sia che si trattasse, molto più di rado, di qualche fortunato parvenu che una potenza da poco acquisita, la forza o l'abilità sembrassero eguagliare ai membri delle antiche prosapie [ ... ]. Ma in una società avvezza a vivere sotto il segno del sovrannaturale, come avrebbe potuto il rito della consegna delle armi, in origine meramente profano, non ricevere un'impronta sacra? Due usanze, entrambe assai antiche, servirono di punto di partenza all'intervento della Chiesa. Anzitutto, la benedizione della spada. Il futuro cavaliere deponeva un momento la spada sull'altare: alcune preghiere accompagnavano o segmvano questo gesto. Ispirate dallo schema generale della benedizione, esse assunsero ben presto una forma appropriata a una prima vestizione. Quanto alle pratiche accessorie - il bagno purificatore, imitato da quello dei catecumeni, la veglia d'armi - non sembra che siano state introdotte prima del secolo XII, né che siano state altro che eccezionali. Così la veglia non era sempre consacrata a pie meditazioni: a dar retta a un poema del Beaumanoir, accadeva talvolta ve_- nisse trascorsa in maniera profana. La spada così consacrata - sebbene nessuno si sogni di vietare di sguainarla, in caso di necessità, contro i nemici o quelli del signore - il cavaliere l'ha ricevuta, anzitutto, per metterla al servizio delle buone cause. Già le vecchie benedizioni della ··················-···································································································· te, a causa sopratdella popolazione dono dei campi, dell'Alto Medioedove il clima era più numerosa, le entro limiti abbata l'Europa orienoschi impenetraazi. bero nell' econortanza fondamenropria fonte di viben oltre l' aspet- . re l'ambito psicoollettivo. · dente a uomini ·, lupi, ma anche ggiravano in gran La gente comune e zone, previo pae poteva anche esrede catturate. Le frivano anche pelli calde per l'inverno e le grandi querce erano fondamentali per l' alimentazione dei maiali che si cibavano soprattutto di ghiande. I lupi venivano cacciati spietatamente non tanto per difendere la vita degli inermi contadini, quanto perché con le loro pelli si confezionavano pellicce che erano molto apprezzate dai nobili. La selva, dunque, come luogo di vita, ma anche, e spesso, come fonte di pericoli e di terrori ancestrali. Durante il giorno le attività nei boschi fervevano, ma di notte ogni lavoro si fermava. Nessuno osava muoversi sui sentieri dei boschi di notte: con il rarefarsi degli scambi e dei contatti con altre comunità le strade si erano rovinate e molte zone divennero impraticabili. Oltre a ciò, le foreste erano popolate di ladri e briganti che non esitavano a uccidere per depredare i viandanti. I nobili, anche di giorno, si muovevano con scorte armate e la storia di Robin Hood è molto significativa al proposito, anche se in questo caso la figura del brigante è stata trasformata in quella di un virtuoso che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Ma la selva, soprattutto di notte, risvegliava terrori che venivano dal profondo, legati a tradizioni secolari. La maggior parte dei contadini, anche se battezzati, coltivava in modo particolare il culto degli alberi e delle sorgenti. Era abituale l'uso dei sacrifici fatti al lago o alle grandi querce secolari. La tradizione veniva direttamente dai Druidi celtici e i contadini, in alcune ricorrenze, gettavano nel lago e depositavano ai piedi degli alberi piccoli doni per garantirsene i favori. E così di notte gli alberi, al buio, si animavano e voci arcane correvano tra i rami, suscitando il terrore dei poveri coloni. Un'altra fonte di terrore erano le streghe e i maghi che, secondo le leggende, si riunivano periodicamente nelle radure per celebrare i riti satanici. Ogni contadino tremava all'idea di diventare, senza volerlo, un testimone di questi sabba, perché Satana non avrebbe mai lasciato vivo l'incauto. D Un cacciatore segue a cavallo i cani durante una caccia nel bosco. Cacciare nel Medioevo era un privilegio esclusivo dei signori . . 1\1 I cacciatori si fermano a pranzare nel bosco interrompendo una battuta di caccia. La lin ua e la letteratura In questo periodo le strade del latino e delle lingue volgari si allontanano (vedi p. 74). In Francia si parla correntemente il volgare francese, detto "lingua romanza". Il latino resta come lingua degli scritti ecclesiastici e anche dell'amministrazione dello Stato, anche se in questo settore viene progressivamente sostituito dal volgare. La Chiesa raccomanda ai vescovi di farsi capire dai fedeli rinunciando al latino. Ecco il testo della delibera del concilio di Tours dell'813 che impone l'uso del volgare: «All'unanimità abbiamo deliberato che ogni vescovo tenga omelia, contenenti le ammonizioni necessarie a istruire i sottoposti circa la fede cattolica, secondo le loro capacità di comprensione, sull'eterno premio ai buoni e sull'eterna dannazione ai malvagi, e anche sulla futura resurrezione e il giudizio finale, e con quali opere si possa meritare la beatitudine, con quali perdersi. E che si studi per tradurre comprensibilmente le medesime omelie nella lingua romana rustica o nella tedesca, affinché più facilmente tutti possano intendere quel che è detto». Non esiste in questo periodo una letteratura dei Franchi. Cominciano, però, a diffondersi e a diventare popolari una serie di storie fantastiche, ambientate in luoghi misteriosi [ ooc.]. L'isola degli immortali È una storia che nasce in Irlanda e narra di una ella parte settentrionale del Munster c'era un lago in cm c'erano due isole, una abbastanza grande e l'altra abbastanza piccola. La più grande aveva una chiesa venerata da tempi remoti, la più piccola aveva una cappella curata devotamente da alcuni uomini celibi chiamati «adoratori del cielo». Nessuna donna o animale magica isola in cui la gente non muore mai, anche se è affetta da mali gravissimi. Il fatto curioso è che il concetto di immortalità non viene affatto unito al concetto di salute e giovinezza. di sesso femminile aveva mai potuto mettere piede sull'isola più grande senza andare immediatamente incontro alla morte. Ciò era stato provato più volte con gli esempi di cagne, gatte o altri animali di sesso femminile. Quando vemvano portati m quel luogo, per qualche tentativo, morivano llnmediatamente. Cosa degna di attenzione è quella che succede agli m Re Artù e Lancillotto circondati dagli altri cavalieri della Tavola R XV secolo. uccelli: mentre i maschi si posano ovunque sui cespugli che vi sono nell'isola, le femmine si limitano soltanto a sorvolarla e ad abbandonare lì i loro compagni e, come se fossero pienamente consce del suo singolare potere, evitano l'isola come la peste. Nell'isola più piccola nessuno è mai morto o può morire di morte naturale. Di conseguenza essa è stata chiamata l'isola degli immortali. Ciò nonostante a volte gli abitanti soffrivano di malattie mortali e trascinavano la loro agonia malgrado tutto, senza poter morire. Quando non c'era rimasta alcuna speranza, quando si rendevano conto che non avevano più nemmeno un briciolo di vita da spendere e le forze venivano meno, essi erano così angustiati che preferivano morire piuttosto che trascinare una esistenza da morti. Allora si lasciavano trasportare su una imbarcazione nell'isola più grande, e, non appena toccavano il suolo, esalavano il loro ultimo respiro. Un'altra isola la troviamo nel mare occidentale del Connacht, che si dice fosse stata consacrata da San Brandano. In quest'isola i corpi umani non venivano seppelliti e non andavano in putrefazione, ma venivano lasciati all'aperto e restavano incorrotti. - - - --. ----- e degli Ungari S., ~ C' t a,_ ,s e-' '?) ~ -S • '!i rio il Grosso (888) la disgregazioolingio, iniziata nell'843, si compie. a dall'888 al 955 Ungari, Normanpiono scorrerie in tutta l'Europa; a o solo i signori locali. La ricostituizzazione politica solida si avvia nel ne di Sassonia diventa re di Germanominato re d'Italia e nel 955 sconel 962 Ottone viene consacrato imlidamento della struttura dell'lmpeoi successori della casa di Sassonia, 3), Ottone lii (983-1002), Enrico Il sercitare il potere controllando un n Europa. 827 I Saraceni iniziano la conquista della Sicilia Berengario 11, re d'Italia presta omaggio all'imperatore Ottone I. 860 I Vareghi fondano il Principato di Novgorod 892 899 I Vichinghi Inizia attaccano l'Inghilterra La fontana della giovinezza e della vita . . . Il tema della ricerca dell'eterna giovinezza e della fonte della vita è antichissimo. In questa storia medievale, d'origine sconosciuta, si parla di una congiura contro un re che porta all'uccisione, con il veleno, di tutti i suoi cavalieri. Il figlio del re, però, saprà ridare la vita ai morti, placando la disperazione di suo padre. «Il re aveva un figlio molto giovane, il quale vedendo il padre in un tale stato di frustrazione e di dolore gli si fece vicino e disse: "Padre, non disperate, io so come riportare in vita i vostri amati cavalieri. Non lontano da qui c'è un piccolo regno, abitato da bellissime fanciulle, le quali hanno un giardino in cui esiste ogni sorta di meraviglia. Tra le tante cose meravigliose del giardino c'è una fonte dalle magiche virtù. Infatti se la sua acqua viene aspersa sul corpo delle persone morte, queste vengono riportate immediatamente in vita. Perciò vi chiedo il permesso di andare alla ricerca di questa fonte e di portare qui per voi l'acqua che potrà ridare la vita ai vostri fedeli sudditi". Il re pur di riportare in vita coloro che erano morti per colpa sua, concesse al figlio di partire. Il giovane si mise subito in viaggio, da solo, per la terra delle bellissime fanciulle, custodi della suddetta fonte, pensando lungo il tragitto a come fare per riuscire a convincerle delle sue buone intenzioni. Giunto, infine, nei pressi del loro regno, gli si fecero incontro alcune bellissime fanciulle, vestite di candidi abiti che lasciavano intravedere le loro sinuose e perfette forme. Il giovane rimase estasiato da tali bellezze; mai aveva visto donne talmente belle. Fattosi coraggio, il giovane spiegò il motivo della sua venuta e del dolore del padre per la perdita dei suoi uomini più fedeli a causa di un uomo malvagio che era stato condotto alla corte dallo stesso re, ed elevato a grandi onori e colmato di benefici. Le fanciulle ascoltarono con attenzione ciò che il figlio del re raccontò loro, infine dissero sorridenti: "Sappiamo che tu dici il .vero; un animo candido e innocente come il tuo non potrebbe mai mentire, per questo potrai avere accesso alla nostra fonte. Solo agli animi puri ed esenti da peccato è consentito avvicinarsi e prendere l'acqua che restituisce la vita tolta a tradimento ingiustamente". Detto ciò, lo accompagnarono nel meraviglioso giardino, dove il giovane poté vedere tante meraviglie, che nessuno può descriverle a parole, e qui raccolse in un vaso dell'acqua che sgorgava da questa fonte, situata al centro del giardino, ali' ombra dei rami di un ampio albero e attorniata da uccelli che con il loro canto creavano un suono quasi ecclesiale. Pace e tranquillità regnavano in quel luogo, e fu non senza pochi rimpianti che il giovane prese commiato dalle fanciulle e da quel luogo. Ritornato di corsa al palazzo, si recò nel luogo dove giacevano i corpi esanimi e li sonno mort senza del re, stati avvelen qua della fo suo figlio. G l Medioevo la morte appariva come un evento del tutto naturale, che seminava sì dolore ngoscia, ma veniva accettato come un aspetto fondamentale e caratterizzante della vita ana. Le riflessioni sulla fine dell1 esistenza erano così frequenti e comuni che uno storico me Philippe Ariès la definisce una «morte addomesticata». La morte era sentita, in/atti~ me qualcosa di normale e da accettare: alla morte non c'era via di scampo. Nella icologia collettiva medievale era l1 «evento certo» per eccellenza, la livella che portava ustizia e pareggiava ogni divisione, un avvenimento che, per la sua normalità, bisognava pettare sereni. ggi la caduta di ogni idealismo, la relativizzazione dei sistemi di valori e il pieno sviluppo · una società di massa hanno accentuato lo smarrimento che ci prende di fronte a questo ento. La morte è vissuta ai nostri giorni come una rottura, come una deficienza della ostra struttura originaria, come una malattia da combattere, e non come un passaggio, una ppa della vita. el X secolo l'Europa fu investita da una massicia ondata di invasioni che portarono alla defini~ iva dissoluzione la fragile costruzione politica di , ~rlo Magno. Da nord calarono i Normanni, da ,lld vennero i Saraceni, cioè i pirati musulmani, ·à· est, dalle pianure della Pannonia (l'odierna insieme di popolazioni originarie della penisola scandinava e dello Jiitland. Erano divisi in due ceppi principali: i Vichinghi, stanziati nelle attuali Danimarca e Norvegia, e i Vareghi, che occupavano la parte orientale della Scandinavia (all'incirca l'attuale Svezia), da dove penetrarono nelle pianure della Russia. Qui avrebbero poi costituito i Principati di Novgorod, Smolensk e Kiev, entrando in contatto con l'Impero romano d'Oriente e con gli Arabi, e sarebbero arrivati a mettere Bisanzio sotto assedio diverse volte fra la metà del IX e la metà dell'XI secolo. ngheria), gli Ungari. Queste invasioni durarono iù di 100 anni, fino alla metà dell'XI secolo, e ortarono morte e distruzione in tutta l'Europa ccidentale. ~ \ •: \ ,-·, [, ' 1 1 Normanni Con il nome generico di Normanni, cioè "uomini del Nord" , gli europei del tempo indicavano un Mentre le tribù germaniche si erano progressivamente integrate nell'Impero romano, o in quello carolingio, i Normanni erano sempre rimasti isolati e non si erano convertiti al Cristianesimo. Erano da tempo conosciuti come abili navigatori e predoni, ed episodi di razzie e saccheggi si erano verificati fin dal IX secolo; le loro leggere imbarcazioni non avevano bisogno di fondali profondi, O . ltre ai numerosi reperti arc~eologici e agli ~difici che s1 sono conservati, per questo periodo abbiamo alcune fonti storiografiche molto importanti. Un punto di riferimento fondamentale resta sempre la monumentale raccolta di atti, documenti e cronache che va sotto il nome di Monumento Germaniae Historica, ma possediamo anche opere di storici e cronisti vissuti nel X secolo. Uno di questi è Liutprando da Cremona (920-972): fu ambasciatore a Costantinopoli e, dopo essersi scontrato con il re d'Italia Berengario Il, si rifugiò in Germania alla corte di Ottone I. Tornato in Italia al seguito dell'imperatore, nel 961 fu nominato vescovo di Cremona. Ci ha lasciato tre opere fondamentali per la storia italica del periodo. Nel Libro dei re e dei principi d'Europa Liutprando, più che fare storia, si lancia in una violenta requisitoria contro quei regnanti che, a suo dire, non erano degni del trono. Con il Libro sulle imprese di Ottone I esalta la figura e le opere dell'imperatore allora regnante. Interessante è anche la Relazione sulla legazione costantinopolitana, scritta dopo la sua esperienza di ambasciatore a Bisanzio. Un altro importante storico è Widukindo di Corvey che nella sua opera dal titolo Rerum gestarum saxonicarum libri tres descrive con efficacia e grande documentazione le origini dei popoli sassoni e la storia di Avari e Ungari. Una personalità interessante è senz'altro quella di Rodolfo il Glabro (985-1047). Fu un monaco cluniacense e le sue Cronache dell'anno Fra il IX e il X secolo l'Europa subì una nuova ondata di invasioni della quale furono protagonisti a nord i Normanni, a est gli Ungari e a sud i Saraceni. A fronteggiare queste invasioni non vi era un organismo politico solido e unitario e perciò esse furono respinte localmente, con scarsa efficacia, dai signori feudali. La ricomposizione politica dell'Europa iniziò con l'elezione di Ottone I di Sassonia, re di Germania, che unificò i cinque grandi ducati tedeschi: Lorena, Franconia, Sassonia, Baviera e Svevia. La corona di re d'Italia ottenuta da Ottone a la sua consacrazione a imperatore associarono il destino politico dell'Italia a quello della Germania. OCEANO ATLANTICO L'EUROPA INTORNO AL 1000 E LE INVASIONI DEL IX-X SECOLO - Sacro Romano Impero ~ Normanni· ~ Saraceni ~ Ungari ALTO MEDIOEVO 936 955 962 Sale al trono Ottone I annienta Papa Giovanni Xli Ottone I il Grande gli Ungari a consacra Lechfeld imperatore Ottone I 962 976 Nel Regno di Castiglia, I Turcomanno I in Spagna, comincia la Selgiuq conlotta contro i musulmani I quista la Persia 980 Ottone Il scende in Italia per riaffermare la sua autorità 980 Nel Regno di Kiev comincia a diffondersi il Cristiane-I simo 987 1002 Enrico Il, imperatore di Sassonia. Arduino d'Ivrea, re d'Italia .. 1024 1037 Corrado Il Corrado Il il Salico re emana la di Germania Constitutio de feudis 1024 Lo stile 1037 romanico si Muore il grande afferma in studioso arabo Europa Avicenna aliti e più facili le ruberie. Nessuno riuscì quindi ostacolare la conquista vichinga di buona parte elle isole britanniche, della Normandia e della icilia. I loro successi erano dovuti soprattutto ala rapidità nell'azione, garantita da veri e propri eparti speciali d'assalto. Vichinghi erano spinti nella loro espansione anche da interessi commerciali: per raggiungere i ricchi mercati orientali si addentrarono nelle pianure russe e per reperire pellicce di orso polare e avorio di tricheco si spinsero in Groenlandia e nel Nord America. La navigazione attraverso gli insidiosi mari del Nord e il tempestoso oceano Atlantico dimostrano la straordinaria abilità marinara di queste popolazioni, sia nella costruzione delle navi sia nella conoscenza degli elementi naturali, unita a un eccezionale spirito di scoperta. La conquista normanna dell'Inghilterra Dopo il crollo dell'Impero romano d'Occidente, in Inghilterra si erano infiltrate le popolazioni germaniche degli Angli e dei Sassoni. Agli inizi del IX secolo, i regni anglosassoni si unificarono sotto un'unica corona e subito dovettero affrontare le prime incursioni normanne. Il re Alfredo il Grande (871-899), colui che diede all'Inghilterra le prime leggi, non riuscì a impedire che i Normanni si insediassero nel Nord dell'isola. La lotta fra Anglosassoni e Normanni proseguì a lungo, con successi alterni, finché nel 1066 il duca di Normandia Guglielmo il Conquistatore sbaragliò il re Aroldo II nella battaglia di Hastings, conquistò il trono inglese e instaurò una salda monarchia feudale. potevano così risalire i fiumi per molti chilometri e raggiungere anche città e paesi posti all'interno. Furono assalite e saccheggiate città come Amburgo, Siviglia, Pisa e, fra 1'885 e 1'886, fu posta sotto assedio perfino Parigi [ ooc. P. 195 ]. Con le loro navi piccole e agili, i Normanni si spostavano velocemente lungo le coste, ma è anche accertato che, facendo base in Groenlandia, superarono l'Atlantico e toccarono l'America settentrionale. Nel X secolo, le occasionali scorrerie normanne si trasformarono in una vera e propria espansione con la conquista di nuovi territori. Nel 911 gruppi di Normanni si stanziarono lungo le coste settentrionali della F ran - eia, si convertirono al Cristianesimo e ottennero dal re il possesso della terra che da loro prese il nome di Normandia. I duchi di Normandia sarebbero poi partiti alla conquista dell'Inghilterra. I.: espansione vichinga fu caratte rizzata da aggressioni e violenz che avevano come scopo la con I Vichinghi quista di terre fertili da coltivare, I fondazione di basi commerciali e 1 Furono chiamati Vichinghi quei gruppi di guerrieri-navigatori che, provenendo dalle regioni scandinave delrapina di beni di prestigio. Le ragioni eh spinsero le popolazioni scandinave a cercare fortuna per mare sono ancora incerte; si ritiene che la causa principale sia stato l'in- 1' attuale Norvegia e Danimarca, ter- cremento demografico verificatòsi in ma- . . ronzzarono con numerose scorrene le popolazioni delle coste francesi e britanniche. Il nome deriva probabilmente da un loro mitico re: Viking. Il periodo di espansione per mare di queste popolazioni va dall'VIII all'XI secolo. drepatria: alcuni gruppi furono costretti a emigrare da una terra che, per le difficili con-· dizioni ambientali, non poteva sostentare un 1 grande numero di abitanti. Questa ragione può essere collegata alla coeva crisi dell'Impero franco, che rendeva più deboli le difese dei popoli asmille, in cinque libri, raccontano la storia d'Europa dal 900 fino ai suoi tempi. La sua opera è inquinata fortemente dall'idea che sta alla base del racconto storico e cioè ricercare sempre e soltanto la mano di Dio nella storia dell'uomo. Lo studio delle popolazioni vichinghe rappresenta un caso esemplare del metodo utilizzato dagli storici per tentare di ricostruire i numerosi aspetti di una civiltà: in questo caso, infatti, i ricercatori dispongono di diverse fonti, talvolta contraddittorie, e devono confrontarle accuratamente per stabilire la veridicità delle informazioni. Le imprese dei Vichinghi furono riferite da cronisti dell'epoca: si trattava soprattutto di resoconti di guerre e di saccheggi, che contribuirono ad alimentare il mito di un popolo violento e sanguinario. Queste narrazioni, quindi, presentano un aspetto parziale della storia, perlopiù influenzato dal terrore degli sconfitti, e contengono scarse indicazioni riguardanti la vita quotidiana dei Vichinghi. Per colmare tale lacuna, si può ricorrere agli scavi archeologici, dai quali si ricavano numerose informazioni su come vivevano i Vichinghi; questo anche grazie alla particolare umidità del suolo dei paesi nordici, che ha permesso la conservazione di materiali normalmente deperibili, quali il legno, il cuoio e i tessuti. I dati provenienti dalla ricerca archeologica costituiscono, inoltre, un importante termine di confronto per quei documenti storici che rappresentano il mondo vichingo in forma figurativa. e conse uenze delle invasioni -----.-;;_.-- ,_ ...,_.,_.--~--- li storici concordano sul fatto che le invasioni ll'Europa non ebbero conseguenze solo negati- [ LETTURA]. Contribuirono infatti a mettere in oto proc~ssi di tr~sf~rma~ione economie~ ~ so-JM ·. ale. Le esigenze d1 difesa mdussero a fortificare }•, iverse città e le persone che qui arrivarono per.,,{ ovare riparo stimolarono la rinascita dei centr( !~; rbani. Le frontiere dell'Europa cristiana si allar-=-'\""- arono (con il Regno d'Ungheria) e, passato il pe- ,} } colo i commerci e gli scambi ricevettero un no- ::i:t.1 ' i~ vole impulso. Nelle campagne la fuga e la mi- . t . razione di grandi masse contadine spezzarono i : garni tra signori e servi della gleba che avevano i aratterizzato l'età carolingia. Si generarono, in- ; omma, un nuovo dinamismo, un'ansia di rinnoamento e talvolta moti di rivolta che contribuiroo alla cosiddetta rinascita dell'anno Mille. Ottone I re di Germania e imperatore (93---=6'---.,9,1--#-7___,. 3)_ _ _ _ Dopo Enrico I di Sassonia, che a Unstrutt aveva inferto una prima sconfitta agli Ungari (933 ), in Germania salì al potere il figlio Ottone I, che fu eletto Lo storico medievalista Georges Duby delinea con efficacia gli effetti che le invasioni degli Ungari, dei Vichinghi e dei Saraceni ebbero su/l'Europa di allora. aspetto cambiò. Qùando i Carolingi mantenevano la pace, le mura delle città erano servite da cave per la costruzione dei nuovi edifici delle cattedrali, la cui dimensione aveva sospinto le attività economiche verso la periferia dei nuclei ancora pre-urbani. A partire dalla metà del IX secolo si cominciarono a erigere attorno alle città della Gallia o ai monasteri delle fortificazioni che, il più delle volte, resistettero agli attacchi. Il loro ruolo difensivo diventò il fondamento della vitalità urbana. Esso incoraggiò i fuggitivi a riversarsi nelle città con le loro ricchezze. Tale concentrazione aiutò ad accumulare risorse per uno sviluppo futuro. Così, non solo non vi fu, generalmente, alcuna frattura nell'attività urbana, ma le città furono in un certo senso stimolate dai pericoli incombenti sul territorio circostante. I più esposti alla devastazione delle bande di predoni furono i monasteri isolati e le campagne. Molti grandi complessi fondiari e villaggi perdettero una parte dei loro lavoratori, razziati dai trafficanti di schiavi. Ma l'eco- .. /i Mc~N -oR\1\l dm'.w n i &'x pt.111.t 171..!Xì J me;"ptttì-..R.- 1mpcrtt· ·) -Ovtfcru.o tuo 1m.po:iro ~ r-tnfu-Orl0Hl -rntipb,imr.l Una miniatura, appartenente a un codice del X secolo, che rappresenta l'incoronazione di Ottone I. nomia rurale era troppo primitiva per soffrire gravi perdite da queste intrusiom, e l'equipaggiamento delle aziende troppo elementare per essere completamente dissestato. Nella maggior parte delle regioni è dubbio che le incursioni dei pagani abbiano causato molto più danno materiale di quanto non ne provocassero ogni anno le continue rivalità fra i potenti. La popolazione fuggiva davanti agli invasori con il suo bestiame; dopo l'allarme, di solito ritornava a lavorare su una terra che non era stata in nessun modo danneggiata. Non costava molto ricostruire la propria capanna, e numerosi contadini si ristabilivano presumibilmente molto presto nel quadro abituale della signoria. Ma le incursioni e il terrore che esse ispiravano determinarono spesso ampie rmgrazioni contadine, che privarono i grandi possessi della manodopera indispensabile alla loro valonzzaz10ne. Per di più, quando fuggivano di fronte ai Vichinghi, ai Saraceni o agli Ungari, molti servi e dipendenti coglievano l'opportunità per spezzare i legami che li vincolavano ai loro padroni. Essi si stabilivano altrove, al servizio di nuovi signori, che li trattavano come uomm1 liberi e li sfruttavano meno duramente. Perché, per ripopolare di lavoratori i loro possessi, i gran- DOCUMENTO I Normanni assediano Parigi Tra /'885 e /'886 i Normanni posero Parigi sotto assedio e Abbone, un monaco, scrisse un poema, intitolato L'assedio di Parigi, in cui P arla con gioia, tu che sei stata salvata da Dio onnipotente, o Lutezia, come venivi chiamata un tempo. Un'isola si allieta di accoglierti. Un fiume stende intorno a te in cerchio perfetto le sue braccia che carezzano esaltava il valore dei difensori della città ma soprattutto, con espressioni alate e retoriche, esaltava la città stessa, vista come una sorta di creatura sacra e inviolabile. Offriamo un saggio di questo poema che ci ha permesso, comunque, di conoscere direttamente un episodio storico. le tue mura. A destra e a sinistra, sulle tue sponde, si levano dei ponti, opponendosi alle onde. Si vedono delle torri che vegliano su di loro da una parte e dall'altra, nell'interno della città e oltre il fiume. Parla dunque, tu che sei la più bella delle città, e racconta del dono che ti fece la gente danese, amica di Plutone. Ecco il dono che i crudeli ti offrirono: settecento navi eccelse e una innumerevole moltitudine di barche. Il letto profondo della Senna se ne trovò a tal punto ingombro, fino a un po' più di due leghe a valle, che ci si chiedeva con sorpresa dove si fosse nascosto il fiume. La forza dei cristiani stava tutta in duecento campioni, mentre mille volte quaranta, cioè quarantamila, era il numero dei loro feroci avversari. Dopo il fallimento (del primo assalto) le donne dei Danesi si strappano i capelli e scoppiano in lacrime. Ciascuna si rivolge al proprio marito: «Da dove vieni? Stai fuggendo dalla torre? Lo so bene. Figlio del diavolo, nessuno di voi riuscirà a trionfare». [Non riuscendo a prendere la città, i Normanni cominciano a saccheggiare le campagne circostanti]. Fanciulli di tutte le età, giovani, vecchi canuti, i padri, i figli e anche le madri, tutti vengono uccisi. Massacrano il marito so gli occhi della moglie e moglie sotto gli occhi marito; i figli muoiono presenza dei genitori. servo ottiene la libertà; padrone, al contrario, venta servo. Questa te ricca viene privata di tu i suoi tesori: dappertu ferite sanguinanti, sa cheggi che portano tutto, crudeli assassin fiamme divoranti, o que questa frenesia. Es non incontrano ostaco nel fare ciò che voglion preceduti come sono d una visione sanguinari tuttavia, in mezzo ag scontri terribili, Parigi re sta là, in piedi, senza pau ra, ridendo dei dardi eh cadono su di lei. [Nel giugno 886 nuovo as salto alla città]. Una sensa zione di terrore si impa dronisce di tutta la città dei suoi abitanti. Non c'è un luogo che sfugga alla guerra. I giavellotti e le frecce cadono sulle torri come la pioggia sui campi. Pesanti palle di piombo e . grosse pietre fanno gemere gli scudi. Da una parte e dall'altra i proiettili volano incrociandosi nell'aria. Niente può passare tra il Gli Ungari .,;1/.< hura padana, le coste adriatiche e gran parte del ,i i- territorio germanico e francese [ DOC. P. 196]. Se i Normanni (e i Saraceni) si spostavano per via'iilJ n. re di Germania Ottone I, figlio di Enrico I di d'acqua, da est e via terra vennero invece gli l!n-,,"' F; Sassonia, inflisse loro una sconfitta decisiva nel gari, una popolazione nomade e bellicosa dell'Eu-f.~1 955, presso Lechfeld, e li costrinse a ripiegare in ropa orientale. ·; }. Pannonia. Erano originari delle steppe della Mongolia e, in- j , Le scorrerie diminuirono e poi cessarono per latorno al IX secolo, avevano raggiunto le pianÙre -:Ji'\sciare il passo a un'organizzazione statale stabile e della Pannonia (regione che da loro prese il nome ;_: unitaria. di Ungheria). J:f Nel 997 il loro re Stefano I si convertì al CristiaGli Ungari, noti per la loro ferocia, in genere evi-.;f nesimo e, da allora, il Regno di Ungheria assunse tavano i castelli fortificati e le città meglio difese, tL 'una funzione fondamentale per l'Occidente: coper assalire fattorie, monasteri, villaggi isolati. NeliJ stituì la prima linea di difesa contro l'avanzata dei primo trentennio del X secolo attaccarono la pia-' ! Turchi Ottomani. ominio sugli abitanti delle tesse e al potere politico ella città, ma si evince nche l'assoluto potere e/l'imperatore su tutte le erarchie ecclesiastièhe. uesto documento è tratto ai Monumenta Germaniae istorica, fondamentale raccolta di fonti medievali relative a/l'Impero nostro Impero e per la ricompensa della eterna remunerazione. Perciò sia a conoscenza la solerzia di tutti i fedeli della Santa Chiesa e nostri, tanto presenti come futuri, che Uberto, vescovo della chiesa di Parma, presentandosi alla nostra demenza ha chiesto che noi lo arricchissimo di quelle cose che spettavano al regio potere e alla pubblica funzione, e specialmente di quelle per le quali la sua chiesa veniva lacerata dalla parte del contado, cioè che noi trasferissimo le cose e le famiglie tanto di tutto il clero di quello stesso vescovato in qualunque luogo si trovino, quanto di tutti gli uomini che abitano per diritto pubblico dentro la medesima città, sotto la giurisdizione e dominio e distretto della stessa chiesa, così che avesse la potestà di deliberare e di decidere tanto sulle cose e famiglie del clero sopradetto, quanto anche sugli uomini che abitano dentro la stessa citt.à e le cose e le famiglie loro, come se fostrovò subito immischiato in continui conflitti con i grandi elettori del Regno. Subito dopo la sua salita al trono, Enrico II il Litigioso, duca di Baviera, pretese per sé la Svevia e la Marca orientale (l'attuale Austria). Scoppiò una vera e propria guerra che si concluse nel 976 con la sconfitta e la prigionia di Enrico. Contemporaneamente, Ottone II si trovò a lottare contro Aroldo II, re di Danimarca, e Boleslao II di Boemia, che tentavano di liberarsi dai vincoli di vassallaggio che avevano con l'imperatore. Sconfitti i ribelli e trovato un accordo con Lotario, re di Francia, sul possesso della Lorena, Ottone II poté finalmente dedicarsi all'Italia. Nel 980 scese in Italia e affermò l'autorità imperiale su Roma, dove le fazioni pro e contro l'Impero lottavano per il dominio sulla città e il controllo del papato. Per assicurarsi un appoggio contro gli Arabi, Ottone I gli aveva fatto sposare la principessa bizantina Teofano, figlia del potente rappresentante in Italia dell'Impero d'Oriente. Ma il matrimonio non servì a nulla, perché quando Ottone II scese con un grande esercito nel Sud dell'Italia per cacse presente il conte del nostro palazzo. Noi considerando e valutando la utilità per la dignità dell'Impero sopradetto e per tutti i mali che spesso accadono fra i conti dello stesso contado e i vescovi della medesima chiesa, perché sia eliminata interamente ogni passata lite e scisma e perché lo stesso vescovo con il clero a lui affidato viva pacificamente e attenda alle preghiere senza alcuna moledare gli Arabi dalla Sicilia, i Bizantini non intervennero. Nel 982, l'imperatore fu sconfitto dai Saraceni a Capo delle Colonne, in Calabria, e riuscì a salvarsi a stento. Pochi mesi dopo, nel 983, morì vittima della malaria a Roma. Ottone lii (983-1002) Alla morte del padre, Ottone III aveva tre anni. La madre Teofano gli fece da reggente e affidò la sua educazione a raffinati intellettuali tra cui il benedettino Gerberto d' Aurillac, arcivescovo di Reims. Nel 996 Ottone assunse la corona imperiale e venne chiamato a Roma da papa Giovanni XV, in lotta contro una parte della nobiltà romana che voleva restaurare l'antica repubblica sotto la protezione dell'Impero d'Oriente. Una volta giunto a Roma, Ottone vi rimase, si disinteressò della Germania e cominciò a concepire il disegno di restaurare l'antico Impero e riportare in auge la classicità del primo imperatore cri- guardie dei cnstlam mseguono ormai le retroguardie di quelli; colà avviene una scaramuccia in cui i pagani ebbero vittoria. Ali' avvicinarsi del grosso dell'esercito, non immemori della fuga, riprendono il cammino intrapreso. I cristiani giunsero contemporaneamente agli idolatri al fiume Brenta: infatti i cavalli troppo stanchi non davano agli Ungari la possibilità di fuggire. I due eserciti giunsero dunque nello stesso tempo, separati soltanto dall'alveo del fiume. Gli Ungari costretti dalla paura promettono di consegnare tutto il bottino, i prigionieDOCUMENTO Il saccheggio dell'abbazia di Farfa Nel 998 Ugo, un monaco di Far{a, scrisse la storia della sua abbazia. L'abbazia benedettina di Farfa, nel Lazio nord-orientale, fu fondata nel VII secolo; fiorì dopo il X secolo, diventando un importante centro religioso e culturale, celebre per i suoi codici miniati. Leggiamo un brano tratto dal Cronicon Farfense nel quale Ugo racconta di un assalto saraceno avvenuto qualche decennio prima. I Saraceni attaccarono il monastero sforzandosi di espugnarlo dopo averlo circondato, ma non vi riuscirono. ri, tutte le armi e i cavalli, tenendone però uno solo a testa con cui poter ritornare; aggiungono questo al peso della loro richiesta che, se li lasciassero ritornare dopo aver dato tutto, salva soltanto la vita, avrebbero promesso di non invadere più l'Italia, dando i loro figli per ostaggi. Però i cristiani, accecati dalla superbia, continuano a minacciare i pagani come se li avessero già vinti. [ .. .] Gli Ungari disperati dopo questa risposta, radunati tutti i più forti, si confortano fra di loro a vicenda. [. .. ] Rafforzati gli anlllli con questa esortazione, Infatti il venerabile Pietro, fiducioso nell'aiuto di Dio e sostenuto dall' azione dei soldati, cacciando spesso i Saraceni dai confini del monastero li faceva inseguire più lontano, e uccidendone molti, rimaneva sicuro per molti giorni. Ma quelli soggiogavano intanto tutti i luoghi vicini e li devastavano e sempre ritornavano al monastero pronti a combattere. Il predetto abate, avendo sostenuto questi attacchi per sette anni continui insieme con i suoi monaci e vedendo che Iddio abbandonava del tutto il popolo cristiano, a causa dei suoi peccati, e che egli non poteva ragionevolmente resistere più a lungo alla furia dei pagani, preso consiglio, divise i frati e i tesori in tre parti. Una la mandò a Roma, l'altra nella città di Rieti, con la terza egli dispongono delle insidie su tre parti, essi stessi traversano direttamente il fiume e si precipitano in mezzo ai nemici. Moltissimi cristiani, stanchi della lunga attesa dei messaggeri, erano smontati da cavallo per l'accampamento · a ristorarsi di cibo. Gli Ungari li trafissero con tanta velocità che ad alcuni infilzarono il cibo in gola, ad altri sottrassero coi cavalli il mezzo di fuggire, e tanto più agevolmente li uccidevano m quanto avevano visto che erano senza cavalli. Infine, ad accrescere la rovina dei cristiani, vi era una stesso si rifugiò nella Contea di Fermo dopo avere abbandonato del tutto il monastero [. .. ]. Quando uscirono i monaci, i Saraceni entrarono e invasero il luogo dopo averlo perlustrato, ma decisero di non distruggere nulla dell'edificio, che a essi appariva splendido, bensì di entrarvi e di abitarvi quanto a essi sembrasse opportuno. Dopo questi fatti, i Saraceni incominciarono a entrare a far rapina entro i confini della Contea di Fermo, per la qual cosa l'abate di nuovo volto in timore, raccolti i suoi monaci e soldati, edificò un castello sul monte Mantesano. Lì rimasero finché fu sedata quella persecuzione, perché secondo l'antica opinione i Saraceni rimasero entro i confini d'Italia per quarantotto anni. Specialmente abitavano nella non piccola discordia f di loro. Alcuni non so non combattevano cont gli Ungari, ma desiderav no che i loro vicini cade sero; e quei perversi fac vano ciò perversamen per questo scopo: se cad vano i vicini, essi so avrebbero regnato più beramente. Mentre tr scurano di venire in aiut ai bisogni dei vicini e br . mano vedere la loro mo te, incorrono essi stes nella propria. Fuggon così i cristiani e i pagan infieriscono, e quelli eh prima non erano riusciti supplicare con i doni, no provincia Valeria che è occupata da alti monti nei quali sempre trovavano rifugio. Andavano dal mar Tirreno ali' Adriatico e fino al Po per fare rapina e sempre ritornavano negli stessi monti, di qui al fiume Liri, che volgarmente è detto Garigliano, dove avevano le navi con le quali trasportavano li ideali di Ottone lii non bbero effetti politici mmediati, ma ottennero ul lungo periodo portanti risultati ulturali. rgli il desiderio di recuerare l'antico retaggio. on si creda in Italia», riveva Gerberto, «che ltanto la Grecia possa antare la romana potena e la filosofia del suo peratore. Nostro, sì, ostro, è l'Impero romao ! La sua forza è fondaa sulla fertile Italia, sulla opolosa Gallia e Germaia e sugli intrepidi regni degli Sciti. Nostro Augusto sei tu, o Cesare, imperatore dei Romani che, uscito dal più nobile sangue della Grecia, superi i Greci in potenza, dòmini i Romani per diritto ereditario e vinci entrambi in sapienza e in eloquenza». Con l'aiuto di Gerberto, divenuto papa Silvestro II, Ottone si diede a mettere in pratica i progetti di rinnovare l'Impero e riportare Roma al posto che le spettava come città imperiale e centro del mondo cristiano. La politica di Ottone, per quanto priva di risultati pratici, ebbe un rilevante significato storico poiché segnò il sorgere di una coscienza europea. Tutte le forze che avevano contribuito a formare l'unità dell'Europa medievale vi sono rappresentate: le tradizioni bizantine e carolinge dell'Impero cnstiano, l'universalismo ecEnrico Il (1002-24) e le lotte tra i feudatari in Italia Ottone III non lasciò eredi. Gli succedette il duca cli Baviera Enrico IV, imparentato con la casa di Sassonia, che divenne imperatore con il nome di Enrico II (detto lo Zoppo). Questi si distinse per il suo appoggio alla riforma moralizzatrice della Chiesa e fu amico di Odilone di Cluny, uno dei grandi riformatori. Enrico nel 1004 scese in Italia, dove regnava il caos a causa delle incessan - ti lotte tra feudatari. Combatté contro Arduino d'Ivrea, un feudatario minore che - sostenuto dalla feudalità laica - aveva cercato di ricostituire un Regno d'Italia indipendente. ·Enrico, sostenuto dalla feudalità ecclesiastica, sconfisse Arduino e si fece incoronare re d'Italia; si recò poi a Roma dove fu proclamato imperatore dal papa. Corrado 11 (1024-39) Enrico II fu l'ultimo imperatore della dinastia sassone. Alla sua morte, nel 1024, fu innalzato altroclesiastico del papato, gli ideali spirituali dei riformatori monastici, l'umanesimo carolingio di Gerberto. Essa segna così il punto in cui le tradizioni del passato confluiscono e vanno sommerse nella nuova cultura dell'Occidente medievale; essa guarda indietro a sant'Agostino e a Giustiniano, e innanzi, a Dante e al Rinascimento. È vero che l'ideale di Ottone III, dell'Impero come comunità dei popoli cristiani governata dalle concordi e interdipendenti autorità dell'imperatore e del papa, era destinato a non effettuarsi mai nella pratica; nondimeno, esso mantenne una specie d'esistenza ideale pari a quella di una forma platonica, che di continuo doveva cercare una materiale realizzazione nella vita della società medievale. L'ideale politico di Ottone, inoltre, non fu così sterile di risultati pratici come di solito si crede, perché i brevi anni del congiunto governo di Ottone e di Gerberto videro nascere i nuovi popoli cristiani dell'Europa orientale. Si deve alla loro azione, se questi popoli ricevettero un' organizzazione ecclesiastica propria, condizione indispensabile per l'indipendenza delle loro culture nazionali. adattato da C. Dawson, La formazione del!' unità europea dal secolo V all'XI, Einaudi, Torino 1939 no Corrado II (detto il Salico) della casa di Franconia (o salica), che dominò la Germania per quasi tre secoli. Il principale problema che Corrado dovette affrontare fu il ruolo politico che avevano assunto i feudatari maggiori. Costoro, ottenuta l'ereditarietà dei feudi, avevano costituito una rete di piccoli regni quasi autonomi e, a ogni occasione, mettevano in dubbio l'autorità del re-imP,eratore. A questi continui tentativi di ribellione, ormai tradizionali nei rapporti tra l'imperatore e i grandi vassalli, si aggiunse un fatto nuovo e cioè il contrasto tra i grandi feudatari e i loro sottoposti, i valvassori, cioè i feudatari minori. Questi ultimi reclamavano con particolare vigore l'ereditarietà dei loro benefici e lo svincolo dalla sudditanza verso i potenti vassalli. Il movimento di rivolta fu particolarmente vivace nell'Italia settentrionale, tanto che a Milano il conflitto tra valvassori e grande nobiltà feudataria sfociò in uno scontro armato. Il vescovo della città, Ariberto d'lntimiano, prese le parti dei grandi feudatari ma non ottenne l' appoggio dell'imperatore. Il vescovo, allora, fece sollevare la città, scatenando la borghesia mer- ; re di Germania nel 936. La sua principale ambizione politica era quella di restaurare l'eredità di Carlo Magno e di riportare in vita il Sacro Romano Impero. Per raggiungere questo obiettivo Ottone cercò e ottenne l'appoggio del clero tedesco, un appoggio che si rivelò determinante per contenere le rivendicazioni di autonomia e le frequenti ribellioni dell'aristocrazia feudale laica. Il sovrano concesse a molti vescovi un solido potere politico in città e in feudi importanti [ ooc. P. 2001. Del resto, lo stesso sovrano si riservò addirittura il potere di nominare vescovi e abati, ovviamente scegliendoli tra la nobiltà fedele alla casa di Sassonia. Inoltre, collocò in posizioni chiave diversi membri della sua stessa famiglia. Mentre rafforzava la sua posizione in Germania, Ottone intervenne nelle dispute che riguardavano la penisola italiana dove, da circa un cinquantennio, diversi potenti locali si contendevano la carica di sovrano. Scese in Italia e nel 951 si fece incoronare re, inaugurando un rapporto privilegiato fra Germania e Italia che avrebbe caratterizzato gran parte della storia politica medievale. Pochi anni dopo, nel 955, Ottone inflisse una sconfitta definitiva agli Ungari a Lechfeld, e per questa vittoria - che gli conferì la fama di difensore della cristianità - venne chiamato il Grande. di proprietari furono probabilmente costretti a rendere più flessibile il sistema dei tributi e dei servizi. Può ben essere, perciò, che il colpo delle invasioni abbia provocato modificazioni negli oneri dei poderi contadini. Non appena ricompare, alla fine dell'XI secolo, una documentazione dettagliata, vediamo che le condizioni dei concessionari sono di gran lunga meno dure che ali' epoca dei primi politici carolingi. Tutto ciò, alleviando il peso esercitato sui coltivatori dei campi, li stimolò nel lavoro quotidiano, favorendo il dissodamento della terra e la crescita demografica. Le corvées vengono sostituite con tributi in denaro, e si vedono le chiese rurali ingrandire progressivamente nel corso dei secoli IX e X. Tutti questi segni testimoniano un allentamento delle maglie sociali che permise alle forze vitali, a lungo represse dalle costrizioni consuetudinarie, di far scattare lo sviluppo economico. Alle basi più profonde dell'economia, gli effetti traumatici delle ultime invasioni sembrano essere stati responsabili di una spinta in avanti che in definitiva si rivelò benefica. Essa liberò le tendenze espansive del mondo rurale, che varie restrizioni tenevano ancora in scacco al tempo di Carlo Magno. da G. Duby, Le origini del!' economia europea, Laterza, Roma-Bari 1975 Il suo progetto imperiale si compì nel 962, qua do papa Giovanni XII lo incoronò solennemen imperatore nella basilica romana di San Pietro. In quello stesso anno, Ottone emanò un doc mento, il Privilegium Othonis, G~ J.Iale_tic nobbe e riconfermò~ territoriali de èniesa, ma stabilìcneoccorrev; il consenso-de -J'imf~iafofè Rèr l'ele:z:i~ e d_el papa Géc. P. 205 Dobbi~o t en~re presente che in quegli anni papato era screditato perché la nobiltà romana contendeva il soglio pontificio senza esclusione colpi. I pontefici si succedevano l'uno ali' altro molti morirono assassinati in congiure ordite dall famiglie nobili; lo stesso Giovanni XII fu accusat di incesto, simonia, sacrilegio e fu deposto nel 96 dopo essersi opposto alle pretese di Ottone. +D Ottone Il (9 Ottone II salì al trono imperiale nel 973, alla morte del padre, e dedicò tutti i suoi sforzi al compimento del progetto paterno: conquistare l'Italia meridionale. Aveva ricevuto un'educazione raffinata a opera dello zio Bruno di Colonia e da Guglielmo di Magonza, ma non ebbe modo di dedicarsi, come avrebbe voluto, ai suoi studi perché si otitico della Chiesa e istituzioni ecclesiastiche ebbero nel corso del X XI secolo un ruolo politico sempre più impornte. Da molti secoli queste istituzioni svolgevano n ruolo sociale ed economico decisivo grazie al restigio, ali' autorevolezza e agli ingenti patrimoi di cui disponevano. Durante la crisi dei poteri ubblici, causata dal crollo dell'Impero carolinio, le istituzioni ecclesiastiche mostrarono di avela forza sufficiente a supplire alla dissoluzione elio Stato. Vescovi e abati iniziarono a esercitare ·rettamente poteri pubblici di ogni genere orgaizzando il prelievo fiscale, la circolazione monearia e la difesa delle città dagli assalti degli invaori ungari, normanni e saraceni. Grazie ai diritti di immunità questi poteri erano a volte più estesi di quelli di cui disponevano le signorie laiche. L'esercizio di fatto del potere politico favorì col tempo la formazione di signorie territoriali ecclesiastiche attorno alle grandi proprietà dei monasteri o dei vescovadi, attorno ai castelli che dipendevano dal vescovo o dall'abate. La formazione di queste signorie fu anche favorita dall'intervento degli stessi sovrani che concedevano diplomi di immunità e diritti feudali ai vescovi e agli abati, cercando di assicurarsi la loro fedeltà e per arginare le pretese dei signori laici. Un ruolo decisivo ebbero anche le famiglie aristocratiche titolari di poteri pubblici perché erano in grado di condizionare le nomine di abati e vescovi. Il sistema di potere di Ottone I Ottone I cercò di presentarsi in Europa come il vero erede di Carlo Magno, ma sul piano dell'azione politica fu costretto ad agire assai diversamente. Ottone dovette fare i conti con una realtà politica caratterizzata da una grande &ammentazione: non c'era più un sistema amministrativo capace di collegare il centro del regno alla periferia. I signori territoriali ormai non erano più dei funzionari, dei rappresentanti del potere regio, ma esercitavano in piena autonomia la loro sovranità. E gli stessi signori ecclesiastici, che Ottone integrò nella gestione del potere, costruendo così il cosiddetto sistema della Chiesa imperiale, erano ben altro che dei docili esecutori delle sue volontà. Molto spesso l'imperatore piuttosto che concedere poteri riconosceva una sovranità che di fatto veniva già esercitata. Del resto la distinzione fra signori laici ed ecclesiastici, a ben vedere, è piuttosto relativa perché gli uni e gli altri appartenevano tutti al medesimo e ristrettissimo gruppo di famiglie aristocratiche. Il Questa miniatura rappresenta il re David. Protagonista della storia di Israele narrata nella prima parte della Bibbia, l'Antico Testamento, questo re era spesso rappresentato nei codici medievali. Veniva ricordato come simbolo di saggezza e di corretto rapporto con il potere temporale, sempre esercitato riferendosi alla volontà di Dio. stia, tanto per la salvezza nostra come per la stabilità del Regno, concediamo e permettiamo e dal nostro diritto e dominio trasferiamo nel di lui diritto e dominio completamente e gli affidiamo le mura della stessa città e il distretto e il telonio [sistema daziario] e ogni pubblica funzione tanto dentro la città quanto fuori da ogni parte della città per lo spazio di tre miglia [...] e le strade regie e il corso delle acque e tutto il territorio coltivato e incolto ivi giacente e tutto ciò che appartiene allo Stato. Per di più concediamo anche che tutti gli uomini che abitano dentro la medesima città o entro i confini sopraindicati, ogni volta che abbiano una eredità o un acquisto o una famiglia non debbano corrispondere alcuna prestazione da lì ad alcuna persona del nostro Regno, né osservare il placito di chiunque se non del vescovo della chiesa di Parma, ma abbia il vescovo della stessa chiesa licenza di definire e deliberare e decidere tutte le cose e le famiglie tanto di tutti i membri del clero dello stesso vescovato quanto anche di tutti gli uomini che abitano entro la città predetta e di tutti coloro che risiedono sul territorio della chiesa predetta, con contratto di affitto, di livello ovvero di precària [particolari forme di concessione in usufrutto], ovvero castellani e così trasferiamo dal nostro diritto e dominio nel suo diritto e dominio. stiano, Costantino. Seguì l'idea o, meglio, l'illusione politica di estendere a tutta la cristianità e a tutti i popoli ancora da convertire l'Impero di Roma, centro del potere sia temporale sia religioso. Ottone eliminò i nobili romani che lo osteggiavano e fece nominare papa il suo precettore Gerberto, che assunse il noine di Silvestro II. Il progetto di riforma dell'Impero Ottone III formò una corte sul modello di quella bizantina, dette ai suoi funzionari nomi greci e romani e ordinò che solo il diritto romano fosse osservato nei tribunali. Nel suo progetto di rinnovamento (renovatio imperii) c'era anche una radicale riforma della Chiesa che prevedeva la totale sottomissione dei vescovi al papa [ LETTURA P. 202]. Ottone III suscitò, però, l'opposizione dei vescovi-conti tedeschi, che non accettavano la supremazia assoluta del pontefice e delle grandi case nobiliari tedesche offese dal suo disprezzo verso tutto ciò che non era romano o greco. D'altra par te, l'aristocrazia romana non assistette certo pas sivamente ali' opera di chi voleva sottrarle il su tradizionale potere. Vi furono diverse ribellioni a Roma contro le iniziative politiche di Ottone III, finché una sollevazione popolare nel 1001 locostrinse a fuggire dalla città. L'imperatore riparò nella fortezza di Castel Paterno, vicino a Viterbo, dove morì nel 1002. veniva ritenuto costruito ad arte dalla stessa curia romana per giustificare i suoi possessi terrieri e la teoria della soggezione dell'imperatore rispetto al papa. Ottone lii, con questo famoso editto, proclama ufficialmente falsa la Donazione di Costantino, ma ribadisce, comunque, il suo assenso al possesso da parte della Chiesa di vasti territori. È evidente il concetto sotteso: questi possessi vengono concessi generosamente dall'imperatore, ma non sono un diritto della Chiesa. In questo modo si ribadisce fermamente la superiorità politica de/l'Impero rispetto al papato. [1] Ottone, servo degli Apostoli e, secondo la volontà di Dio salvatore, Imperatore Augusto dei Romam. [2] Noi proclamiamo Roma capitale del mondo, riconosciamo che la Chiesa romana è la madre di tutte le Chiese, ma anche che per la trascuranza e l'incapacità dei suoi pontefici, da tempo ha appannato i titoli del Suo splendore. [3] Infatti essi, non solamente hanno venduto e hanno distratto con certi sistemi sbrigativi dal Patrimonio di San Pietro possessi che erano fuori della città, ma - e non l' affermiamo senza dòlore - pure dei beni che possedevano nella stessa città regia [Roma], incorrendo in una irregolarità maggiore, a prezzo di incanto li diedero alla comunità; e spogliarono San Pietro, San Paolo, i loro stessi altari, e al posto di una riparazione, seminarono sempre confusione. Certi papi si spinsero al punto da annettere la maggior parte del nostro Impero alla loro potestà apostolica. [ 4] Tali sono infatti i testi da loro stessi inventati, peratore ma anche la funzione sacerdotale; grazie a essa egli diventava il supremo protettore della cristianità e della Chiesa di Roma. Punto di forza della politica di Ottone, dunque, è anche il continuo rafforzamento del ruolo sacrale del sovrano; Ottone fu sempre molto attento alla comunicazione simbolica, esibendo fin dalla sua incoronazione a re di Germania, avven.uta ad Aquisgrana, un cerimoniale grandioso che ereditava i fasti della tradizione imperiale carolingia e bizantina. Ed è proprio richiamando esplicitamente questo ruolo, garantito dalla unzione, che Ottone promulgò il Privilegium Othonis [ ooc. P. 205 ]. Dopo avere ribadito diritti e proprietà della Chiesa, e rimediante i quali il diacono Giovanni, soprannominato "mutilo" (aveva le dita mozze) ha redatto in lettere d'oro un decreto eh' egli ha attribuito m modo menzognero a tempo lontano ponendolo sotto il nome di Costantino Magno. [. . .] [6] Rigettati, di conseguenza, questi falsi decreti e queste scritture fittizie, noi doniamo, in virtù della nostra liberalità, a San Pietro dei beni che sono nostri; non conferiamo a lui dei beni che gli appartengono come se fossero di nostra pertinenza. Alla stessa maniera che, per l'amore di San Pietro, noi abbiamo eletto papa il Signor Silvestro, nostro maestro, e, a Dio piacendo, l'abbiamo ordinato e creato [pontefice] seremss1mo; allo stesso modo, per amore di papa Silvestro, noi offriamo a San Pietro dei doni del nostro pubblico dominio, affinché il maestro abbia cosa da offrire al nostro principe Pietro da parte del suo discepolo. [7] Noi offriamo dunque e doniamo a San Pietro otto contee, per amore del nostro maestro papa Silvestro, affinché egli le tenga per l'onore di Dio e di San Pietro, per la sua salute e per la nostra, e le amministri per la prosperità del suo apostolato e per quella del nostro Impero. E da amministrare gli concediamo Pesaro, Fano, Sinigallia, Ancona, Fossombrone, Cagli, lesi, Osimo, così che nessuno osi inquietare San Pietro o in qualche modo dargli fastidio. [8] E chi presumerà farlo, perda tutto quello che possiede e San Pietro abbia le cose sue. [9] E perché ciò sia osservato da tutti per sempre, abbiamo confermato questo nostro decreto con la nostra mano, che sia a lungo, con l'aiuto di Dio, vittoriosa, e abbiamo ordinato di insignirlo del nostro sigillo, perché valga per lui e per i suoi successori. Segno del Signor Ottone invittissimo imperatore dei Romani, augusto. da M. Bendiscioli -A. Gallia, Documenti di ston"a medievale, Mursia, Milano 1971 allacciandosi alla Constitutio romana approvata da Ludovico il Pio nell'824, volle riaffermare il principio che il papa, dopo essere stato eletto dal clero e dal popolo di Roma, doveva prestare giuramento all'imperatore. Con questa affermazione Ottone apriva un'epoca di violenta conflittualità fra potere politico e potere religioso, una conflittualità che non esplose immediatamente soltanto perché le aspre lotte per l'elezione del papa, che avevano visto come protagonista l'aristocrazia romana, avevano portato alla elezione di pontefici deboli e a volte indegni [ ooc.], e quindi indebolito gravemente l' autorità pontificia. Con papa Gregorio VII la questione diventerà ineludibile (vedi p. 226). I cantile e imprenditoriale, guidata da Lanzone della Corte. Ben presto, però, i ribelli cacciarono sia il vescovo sia i grandi feudatari e nel 1045, dopo la morte di Ariberto d'Intimiano, ottennero di partecipare al governo di Milano. Per frenare l'anarchia e l'arroganza dei grandi feudatari, Corrado II concepì il disegno di appoggiarsi ai feudatari minori. In quest'ottica, emanò nel 1037 l'Edictum de bene/iciis, divenuto poi famoso come Costituzione dei feudi [ DOC. P. 179], con la quale riconosceva l'ereditarietà dei feudi minori e poneva i piccoli feudatari alle dirette dipendenze dell'imperatore, svincolandoli dalla sudditanza verso i feudatari maggiori. Enrico lii (1039-56) Alla morte di Corrado II, nel 1039, salì al trono di Germania e d'Italia il figlio Enrico III ( detto il Nero). Il nuovo imperatore decise di recarsi subito a Roma per farsi incoronare. Richiamandosi al Privilegium Othonis, proclamò la superiorità dell'imperatore e definì la Chiesa suddita del potere temporale. Dopo aver deposto ben tre papi, fece nominare quattro pontefici a lui fedeli, sostenendo il suo diritto di intervenire direttamente nelle faccende religiose. La grande svolta che portò allo scontro diretto tra papa e imperatore si ebbe nel 1049, quando salì al soglio pontificio Brunone, cugino di Enrico III, con il nome di Leone IX. Malgrado fosse stato designato direttamente dal- 1' imperatore, si fece acclamare papa dal popolo, per sottolineare il suo distacco dal potere laico e la completa autonomia della Chiesa. Sotto di lui si consumò nel 1054 lo scisma (o scissione) con la Chiesa d'Oriente (vedi p. 225). Subito dopo la morte dell'imperatore Enrico III, papa Niccolò II fece approvare da un concilio tenutosi a Roma un decreto nel quale si dichiarava che il papa poteva essere eletto solo dai cardinali e che l'imperatore, il popolo e il resto del clero potevano esprimere soltanto un parere, un gradimento del tutto formale e non vincolante a elezione avvenuta. Quando, nel 1073, diventò papa Ildebrando di Soana con il nome di Gregorio VII, strenuo sostenitore dei movimenti riformatori della Chiesa e convinto assertore dell'assoluta autonomia del papa rispetto all'Impero, i tempi furono maturi per la lotta con l'imperatore. l'il Ariberto d'lntimiano, raffigurato in un affresco della basili ca di Galliano, in provincia di Como, favorì inizialmente !'asce sa al trono di Corrado Il il Salico, ma in seguito si inimicò l'imperatore e fu costretto a lasciare Milano dopo una insurrezione popolare. a contessa Matilde o•••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••• e a Canossa" luogo comu- I · ·azione di issione delle propnamene, "andare a ta quando a on una rmtrie attive e ri d'altezza castello di davanti al onte levao IV stette il perdono € D veva trovato rifugio zza della contessa. gegnato: Enrico IV orza del papa stava munica (atto graviso politico, perché all'obbligo di obbescomunicato), menstava nell'obbligo di V L L I , perdonare un penitente. E infatti, dopo nemmeno un anno, Enrico, ormai perdonato, ricominciò tutto daccapo, come se nulla fosse accaduto. I papi, le contesse, gli imperatori sono stati travolti dalla forza del tempo, ma Canossa ha conservato un suo fascino, tenebroso nella visione del castello e tortellinesco nella bonomia dei suoi abitanti e nella bontà dei suoi cibi. Attorno al minuscolo D Il marchese Tedaldo e la moglie Giulia, primi signori di Canossa e antenati di Matilde. paese e al suo interno Matilde impazza. La trovi nell'insegna dei ristoranti, degli alberghi, nelle etichette dei vini e perfino in alcuni tipi di salumi. Una minima audience, invece, hanno conquistato Enrico IV e Gregorio VII, forse troppo seriosi e cupi per diventare testimonial dei piaceri dell'esistenza. Dal castello di Matilde la vista spazia su tutta la pianura e non si fa fatica a immaginare Gregorio VII che dal torrione più alto vede con crescente preoccupazione avvicinarsi la lunga teoria di soldati e di carriaggi della scorta di Enrico IV Le rovine sono state restaurate accurata:: mente e un piccolo museo offre una serie di oggetti e documenti interessanti dell' epoca di Matilde e dei periodi successivi. Ma se parliamo di Canossa non possiamo fare a meno di parlare della castellana, la contessa Matilde di Canossa, una donna che, indubbiamente, ha fatto la storia. Il sistema di potere istituito da Ottone, quindi, si differenzia da quello creato da Carlo Magno perché la realtà del suo tempo non concesse a Ottone la possibilità di costruire una vera e propria organizzazione statale, con una amministrazione fiscale, una serie di leggi scritte e una amministrazione della giustizia. Ottone, mediando fra i vari potentati che di fatto riconobbe, costruì un sistema di alleanze che faceva capo alla figura del sovrano, scegliendo e variando di volta in volta gli alleati secondo piani strategici diversi. Il Privilegium Othonis Nel 962 Ottone I ottenne il titolo imperiale coronando così il progetto politico avviato con la sua incoronazione a re di Germania. Il cerimoniale fu tale da evidenziare l'intreccio fra sovranità politica e funzione sacerdotale che si incarnavano in un solo uomo: l'imperatore. Il rito della sacra unzione amministrato dal papa, infatti, consacrava non ~olo il potere politico dell'imIl Privilegium Othonis e l'elezione del papa o Ottone, per grazia di Dio augusto imperatore, per disposizione della divina provvidenza, mediante questo patto di riconferma, prometto e offro a te, beato Pietro, principe degli Apostoli e custode del regno dei cieli, e per te al vicario tuo, il sommo pontefice e universale papa Giovanni XII, con lo stesso titolo di potere di giurisdizione dai vostri predecessori sino a ora esercitato, la città di Roma con il suo ducato e Ottone I confermò al papa Giovanni Xli il possesso di tutte le terre che da Carlo Magno in poi erano state concesse al papato. In cambio, riservò per sé il parere vincolante circa l'elezione del papa. con il suo suburbio e con tutti i villaggi e territori montani e marittimi, spiagge e porti, assieme a tutte le città, castelli, fortezze e villaggi della Tuscia, con tutte le località e territori di pertinenza delle soprascritte città, nonché l'esarcato di Ravenna nella sua integrità, con le città, circoscrizioni, fortezze e castelli, i quali beni Pipino e Carlo, eccellentissimi imperatori di santa memoria, nostri predecessori, trasferirono da tempo al beato Pietro e ai vostri predecessori con atto di donazione. Lo stesso dicasi del territorio della Sabina, così come da Carlo, nostro predecessore, fu concesso integralmente al beato apostolo con atto di donazione; così pure per ciò che concerne i territori della Tuscia Longobarda e i territori della Campania. Inoltre, a te, beato Pietro apostolo, e al tuo vicario papa Giovanni e ai suoi successori, per la salvezza dell'anima nostra e di quelle di nostro figlio e dei nostri parenti, offriamo le città e le fortezze appartenenti al nostro proprio Regno, e cioè: Rieti, Amiterno, Porcona, Norcia, Valva e Marsica e, in altro territorio, Teramo con le sue pertinenze. Tutte queste soprascritte province, città e distretti, fortezze e castelli, villaggi e territori, unitamente ai demani, per la salvezza della nostra anima e di quelle di nostro figlio e dei nostri parenti e dei nostri successori e per il bene di tutto il popolo dei Franchi, riconfermiamo, in modo che le detengano nel diritto, nel governo e nella giurisdizione, alla sopraddetta Chiesa tua, o beato apostolo Pietro, e per te al vicario tuo, padre nostro spirituale, Giovanni, sommo pontefice, papa universale e ai suoi successori, sino alla fine del mondo, fatto salvo il potere nostro e quello di nostro figlio e dei nostri successori, come è sancito nel patto e nella conferma di promessa di papa Eugenio e dei suoi successori, laddove si specifica co- ti. Nell'episodio qui contato vennero favoriti /l'incredibile mportamento degli lici, comandati dal re rengario, che non si contentarono della ttoria e spinsero alla sperazione gli Ungari. uesti reagirono in modo prevedibile, sbaragliando schiere dei "cristiani", me li chiama Liutprando. enso e innumerevole, si · ·gono in Italia, passano ltre Aquileia e Verona, citfortificatissime, e giunono senza alcuna resistenza a Ticino, che ora è denominata con l'altro nome più bello di Pavia. Il re Berengario non poté stupirsi a sufficienza di un fatto tanto preclaro e mai visto (prima d'allora infatti non aveva neppure sentito parlare di questa gente). Mandò lettere ad alcuni, messaggeri ad altri, per ordinare a Italici, Toscani, Volsci, Camerinesi e Spoletini di venire a un centro di raccolta e si formò un esercito tre volte più forte di quello degli Ungari. Quando re Berengario vide attorno a sé tante truppe, rigonfio di superbia e attribuendo il trionfo sui uistano la Sicilia ell'Europa cristiana vennero chiamati Saraceni i ruppi di pirati musulmani che, partendo dal ord Africa e dalla Spagna araba, fra il IX e il X secolo, fecero scorrerie e costituirono poi basi in Provenza e in Italia meridionale [ DOC. P. 1971. A queste azioni di pirateria si affiancarono anche progetti di espansione più importanti. L'Emirato di Tunisi iniziò nell'827 la conquista della Sicilia, cacciando i Bizantini, e poi aggredì le Baleari, Bari e Taranto. nemici più al gran numero suo che a Dio, da solo con pochi trascorreva il tempo in una città dandosi ai piaceri. Che poi? Appena gli Ungari contemplarono sì grande moltitudine, costernati nell'animo, non riuscirono a deliberare che fare. Avevano grande timore di combattere, non potevano assolutamente fuggire. Però, ondeggiando fra l'una e l'altra cosa, preferirono fuggire anziché combattere. Sotto l'incalzare dei cristiani, attraversarono a nuoto il fiume Adda, ma in modo che moltissimi per la troppa fretta morirono affogati. Gli Ungari presero il salutare consiglio di mandar messaggeri a chiedere pace ai cristiani per poter ritornare incolumi, restituendo tutta la preda e il bottino. I cristiani rigettarono del tutto questa richiesta e (ahi dolore!) li insultarono; intanto preparavano le catene con cui legare gli Ungari, piuttosto che le armi con cui ucciderli. Non potendo i pagani addolcire l'animo dei cristiani con questa proposta, pensando che fosse migliore la vecchia idea, cercano di liberarsi iniziando la fuga, e così fuggendo arrivano nelle vaste campagne di Verona. Le avanNell'846, un gruppo di Arabi arrivò fino a Roma. I sovrani europei non avevano una flotta in grado di opporsi ai Saraceni, cosicché essi dominavano le rotte del Mediterraneo. Occorreva contrastarli sulla terraferma. La lorÒ base fortificata alla foce del Garigliano, tra Campania e Lazio, venne distrutta nel 915 dalle truppe bizantine e dei ducati di Capua e di Napoli, e quella in Provenza fu assalita e conquistata nel 972 dai soldati del conte di Provenza. Private di questi importanti punti d'appoggio, le scorrerie saracene andarono via via esaurendosi. • LA CULTURA La cultura alla corte degli imperatori di Sassonia Presso la corte ottoniana si creò un centro culturale molto importante nel quale operarono lo storico Liutprando da Cremona, Ratherius da Liegi, autore di prose morali, e Hroswitha, una monaca del convento di Gandersheim che dedicò alla figura di Ottone I il poema in esametri Imprese del- !' imperatore Ottone. Il più dotto autore occidentale del tempo, però, fu Gerberto d' Aurillac, arcivescovo di Reims ed educatore del piccolo Ottone III: fu matematico, astronomo, filosofo e divenne papa con il nome di Silvestro II. Sul piano letterario ebbero grande diffusione le vite di santi ed eroi e le descrizioni di eventi meravigliosi o funesti, perlopiù completamente inventati. Ebbe grande successo La navigazione di san Brendano, che racconta un fa~tastico viaggio con visioni dell'inferno e del paradiso terrestre, compiuto dal monaco irlandese Brendano; quest' opera è stata considerata una delle fonti della Divina Commedia di Dante Alighieri. Vennero anche composti poemi epici dalla levatura piuttosto modesta, mentre è senza dubbio interessante il romanzo Ruodlieb, pervenutoci purtroppo in frammenti, considerato come una delle prime manifestazioni del romanzo cavalleresco. La cultura e la scrittura dei Vichinghi Le grandi imprese marinaresche e le epiche conquiste dei guerrieri più valorosi costituivano l' oggetto di numerosi poemi che i Vichinghi si tramandavano di generazione in generazione, perlopiù in forma orale. Per molto tempo, infatti, presso questi popoli la scrittura fu considerata un' attività magica, riservata a pochi iniziati, che conoscevano i segreti delle rune, i caratteri del loro alfabeto. Le rune (dal germanico run, che significa "mistero") sono l'unica forma di scrittura sviluppata dai Vichinghi: l'origine di questo alfabeto è sconosciuta, ma la forma di alcune lettere fa pensare a un'influenza greca e celtica. I Vichinghi usavano le rune per incidere pietre commemorative in cui erano narrate imprese eroiche, ma anche per propiziare gli spiriti. Con il passare dei secoli, le rune furono usate anche per scopi pratici: nel corso di scavi archeologici sono state rinvenute etichette di legno con iscrizioni che dovevano essere affisse a merci conservate nei magazzini. i Vichinghi .....•.......•....•.•...•.•.•........•.....••.••..••.•••••.•.................•.••••..••••••..•. ···················· gen, per poi risarcorso. All'inizio desti battelli che vano solo l'equielli, pur mantedel passato, trari. Hanno nomi arald (Re Harald) l (Sole di mezzala medesima che i sui loro veloci e. La pista è una e il pilota compie di acrobazia, fera un piccolo caanifesta un lieve e poi è sempre nte la neve e il E TEMPESTE tamente, costegfiordi principali, pre un villaggio ra (ed è rimasto) o tribù di Vie tempeste nel edicavano alla rdi il mare è non in temper chi ha vio che i Viffrontare il LE ISOLE LOFOTEN E LA PESCA DEL MERLUZZO Ma ecco che il postale dirige verso ovest e affronta una lunga traversata in mare aperto per arrivare ali' Arcipelago delle Lofoten, diventate famose non solo per la pesca del merluzzo ma anche sul piano letterario con le innumerevoli descrizioni, alcune decisamente fantasiose, dei gorghi del Maelstrom. In realtà, non esiste alcun gorgo mostruoso capace di inghiottire intere navi, ma solo pericolose correnti di marea che si formano negli stretti bracci di mare tra un'isola e l'altra. Le isole Lofoten sono una delle località più inospitali del mondo: non esiste vegetazione ma solo muschi e licheni, il vento le spazza perennemente e in inverno ghiaccio e neve coprono ogni cosa. Eppure i Vichinghi riuscirono a vivere:, si accorsero che il vento aveva la proprietà di asciugare i pesci pescati di tutti i loro umori e quindi permetteva di conservarli per lungo tempo. Ancora oggi il merluzzo seccato al vento è un cibo noto in tutto il mondo. Dalle Lofoten, attraversando un braccio di mare famoso per la furia dei marosi, si torna sulla costa norvegese. LA COSTA OCCIDENTALE, TERRA DEI VICHINGHI Le case delle cittadine rivierasche sono tutti prefabbricati a un solo piano per resistere al vento che spira violento e non manca mai un piccolo museo della pesca o della civiltà vichinga. In queste zone desolate le comunità vichinghe vivevano in grandi capanne di legno, spesso in comunità, per ·t, godere di un maggiore riscaldamento. I musei descrivono sempre i banchetti pantagruelici, accompagnati da omeriche bevute di birra, che sì svolgevano alla partenza, ma, soprattutto, al ritorno dalle razzie. È questo uno stereotipo che non si sa quale credibilità abbia ma che è stato ripreso in innumerevoli saggi, romanzi e films. L'immagine comune è quella di omoni con elmi cornuti in testa, coperti di folte pellicce, maneschi e violenti, con una voce roboante e uno sguardo truce, gonfi di birra e di sidro. In realtà, la tradizione poetica dei Vichinghi, quasi sempre orale, ma tramandata poi dai cronisti del luogo, mostra una certa raffinatezza nell'espressione e un , mondo fantastico di grande creatività e interesse. E finalmente la nave attracca a Bergen, nel sud della costa occidentale, una città affascinante con bellissimi edifici e la famosa baia su cui si affacciano, perfetD Nella parte superiore di questa pietra incisa si vedono due guerrieri che combattono, nella parte inferiore è rappresentata la nave che porta nell'aldilà gli eroi morti in battaglia. tamente restaurati, i variopinti magazzini della Lega Anseatica, la lega mercantile che nel XV secolo arrivò a unire 164 città. LE NAVI VICHINGHE: I DRAKKAR In questo periodo di recessione in tutti i settori della società e quindi di stasi anche nel miglioramento delle tecnologie, spicca l'abilità dei Vichinghi nel costruire le loro navi, con le quali arrivarono anche a toccare, sembra, le coste dell'America settentrionale. Essi giungevano a bordo di imbarcazioni lunghe e strette - chiamate drakkar - a causa della prua ornata da una testa di drago o di mostro - e razziavano interi territori, giocando sull'elemento sorpresa e sulla scarsa organizzazione alla difesa. Con il drakkar i Normanni potevano risalire molto profondamente il corso dei fiumi o navigare in mare aperto: il Reno, il Tamigi, La Senna, la Loira portarono i Vichinghi a fruttuose razzie nelle città che I/a I resti restaurati di una antica nave vichinga scoperta nei pressi di Oslo. Il Una nave vichinga. tròvarono sulla loro rotta di navigazione, seminandovi distruzione e morte e ritornando carichi di bottino. Possediamo numerosi esemplari di queste navi, conservati per circostanze in molti casi fortuite. LA NAVE DI GOKSTAD Uno splendido esempio è rappresentato dalla nave di Gokstad, un'imbarcazione che, tumulata con un corpo di guerriero, si è conservata nell'argilla. L'esame dello scafo rivela una tecnica di costruzione assai avanzata. Si tratta di un'imbarcazione aperta, costruita in legno di quercia, adatta non solo alla navigazione costiera ma anche a quella in mare aperto. Lunga circa ventisei metri per quasi sei di larghezza, ne misurava due dalla chiglia al parapetto. L'albero raggiungeva i quattordici metri. I suoi fianchi hanno fori per sedici paia di remi e il fatto che né su questa nave né su altre compaiano tracce di banchi per i vogatori lascia supporre che questi si servissero di panche mobili, o tali da essere facilmente rimosse ali' occorrenza. Lungo le murate, la nave di Gokstad portava ancora sessantaquattro scudi appesi. Questi scudi compaiono spesso nelle rappresentazioni di navi vichinghe; si ritiene che non facessero parte dell' equipaggiamento personale dei guerrieri, ma Danimarca. avessero semplic rativo. La chiglia co, mentre il fase che le assi dello una ali' altra, co con pelo di anim della nave era t legno. Il timone co di quercia as della nave in pr una sbarra alla governarlo. Risp di poppa, aveva · re manovrato da zo, anche con il pa e la prua te pite, che portano grandi e penetr ni paurose e fant stare grande imp • Le grandi migrazioni Il delicato equilibrio che si era stabilito sulle frontiere orientali dell'Impero viene rotto a partire dal IV secolo, quando cominciano a premere sulle tribù germaniche popoli nomadi provenienti da est. Tra essi spiccano gli Unni, che modificheranno l'assetto etnico dell'Europa, costringendo i Germani a cercare scampo verso ovest, al di là dei confini romani. • La società dei Germani I Germani sono divisi in clan patriarcali, dominati dall'aristocrazia dei guerrieri, e sono governati dall'assemblea dei capi, i più valorosi tra i quali poi diventano re. Vivono in semplici villaggi coltivando la _ terra comune e si spostano in grandi migrazioni collettive quando il terreno, esaurito, diviene sterile. I contrasti interni sono risolti dalla vendetta (faida) o dalle terribili prove del "giudizio di Dio". Sono abili nel fabbricare efficaci armi in ferro, e nell'oreficeria. Inizialmente politeisti, abbandonano poi le loro divinità guerriere per l'arianesimo (la dottrina eretica di Ario). • I Regni romano-barbarici I popoli germanici che nel V secolo migrano verso ovest penetrano facilmente le difese dell'Impero in declino e occupano territori in cui, progressivamente, costituiscono Regni romano-barbarici: i Visigoti si insediano in Spagna; Alamanni e Burgundi, poi inglobati dai Franchi, occupano la Gallia e le sponde del Reno; i Vandali si impadroniscono dell'Africa settentrionale; gli Angli e i Sassoni si stabiliscono in Britannia; gli Ostrogoti e i Longobardi occupano in successione l'Italia. • L'Italia sotto gli Ostrogoti Gli Ostrogoti, guidati in Italia dal re Teodorico per ordine di Bisanzio, sconfiggono Odoacre (494) e costituiscono un regno che, come gli altri, si regge sulla separazione tra la componente romana, che lo amministra, e quella germanica, che lo difende militarmente. Ma il tentativo di integrare tradizioni e abitudini, dividendo equamente le terre, elaborando un codice di leggi comune e facendo della corte di Ravenna, la capitale, un importante centro d'arte e di cultura, fallisce: gli Ostrogoti rifiutano molti aspetti della civiltà romana, e i contrasti religiosi con Bisanzio li spingono, in quanto ariani, a perseguitare i cristiani. Alla morte di Teodorico (526), la situazione rimane instabile. • Che cos'è il Medioevo Il Medioevo, considerato un'età oscura dai rinascimentali ed esaltato invece dai romantici, è un periodo lungo, articolato e complesso in cui si mescolano elementi di involuzione e di progresso. Per convenzione lo si fa iniziare nel 476, con il crollo dell'Impero romano d'Occidente, e terminare con il 1492, la data della scoperta dell'America. Gli storici distinguono un Alto Medioevo, durato fino all'anno Mille, e un successivo Basso Medioevo. • La società, la religione, la cultura Nei Regni romano-germanici le strutture della civiltà romana si trasformano: le città si spopolano per le invasioni e le carestie; le tasse spingono i contadini a cedere la terra a potenti latifondisti; le entrate fiscali si riducono; secondo il principio della personalità del diritto, Romani e Germani vivono insieme, ma con leggi diverse. La lingua latina si allontana dal canone classico con la nascita del volgare, diversificandosi per aree geografiche nell'incontro con le parlate germaniche. La religione cristiana influenza profondamente la visione del mondo altomedievale. La provvidenza guida la storia degli uomini: la vita è un pellegrinaggio lungo il quale sacrificio, penitenza e disdegno per i valori mondani possono far ottenere la salvezza. Specie nelle campagne, il Cristianesimo lotta contro i residui di paganesimo e superstizione: a questo scopo viene istituito il culto dei santi. La Chiesa ha il monopolio del sapere e lo trasmette rendendolo coerente con la dottrina e la morale cristiana: sono fondamentali le Sacre Scritture e le opere dei padri della Chiesa, mentre i testi classici, utilizzati nelle scuole dall'XI secolo, sono filtrati in modo da eliminare o reinterpretare in chiave religiosa gli elementi ritenuti estranei allo spirito cristiano. ICONOCLASTIA, p.87 MITI E COMUNITÀ MONASTICHE, pp. 90-92 SCUOLE, p.99 • L'Impero d'Oriente (o bizantino) L'Impero bizantino eredita e rielabora la tradizione dello scomparso Impero romano d'Occidente: resiste alla pressione dei barbari, dei Persiani e dell'Islam; mantiene a lungo un alto livello di civiltà e un ruolo centrale nell'economia mediterranea. È caratterizzato, come le monarchie orientali, dall'unione del potere politico con quello religioso nella persona dell'imperatore. Cuore dell'Impero è la capitale Bisanzio (Costantinopoli), grande metropoli dai diversi volti. La sua posizione ne fa il nodo centrale delle vie commerciali, di terra e di mare, tra Oriente e Occidente, assicurando la circolazione dei suoi prodotti artigianali di lusso e, per i ricchissimi mercati e il porto, la possibilità di continui traffici, garantiti dall'affidabilità della moneta d'oro coniata dall'Impero, il bisante. • Giustiniano e il progetto di un Impero universale Giustiniano (527-565) rafforza la monarchia bizantina accentuando la sacralità dell'imperatore. Affiancato dalla moglie Teodora, progetta di ricostruire un Impero universale, romano e cristiano, che riporti l'ordine nel mondo. Perciò incarica i giuristi di riordinare le leggi romane in un codice, il Corpus iuris civilis, a cui per secoli tutte le legislazioni si rifaranno. Giustiniano affida poi al generale Belisario il compito di riconquistare l'Occidente: in breve tempo l'Africa viene incorporata nell'Impero (534), mentre l'Italia diventa una provincia bizantina solo grazie a Narsete (552), dopo una lunga e sanguinosa guerra contro i Goti e il loro re Totila. • Il lento declino dell'Impero Dopo Giustiniano l'Impero non è in grado di mantenere i territori occidentali, che vengono occupati dai Longobardi. L'imperatore Eraclio (610-641), sconfitti i Persiani che premevano a oriente, consolida l'Impero bizantino attraverso la riforma dei temi, province di confine affidate a uno stratega, che arruola e mantiene un esercito senza pesare sulle casse imperiali. La dinastia isaurica (717-867) deve fronteggiare gli Arabi, che puntano alla conquista di Bisanzio. Sotto l'imperatore Leone III (717-740) la Chiesa di Roma si allontana da quella bizantina in seguito all'iconoclastia, il divieto di adorare le immagini imposto dall'imperatore (726), aprendo una crisi che si concluderà nel 1054 con lo scisma tra le due confessioni. Inizia il lento declino dell'Impero, che vede alternarsi diverse dinastie di imperatori. I domini si restringon grava la crisi interna dovu fondersi del latifondo. N in mano ai Turchi Ottom • Il monachesimo e le dottrine eretich Fin dal III secolo, in Orie sto spinge alcuni religiosi cietà e a vivere in povert nunciando a tutto. Questi un modello di santità per esempio, altri scelgono u delle comunità monastiche, le quali nel IV secolo Bas regole del digiuno, del lav Sempre nel IV secolo si di trina eretica di Ario, che umana di Cristo, figlio di tre nel V secolo sorge il m la natura divina di Cristo, • La cultura bizan Verso la fine del VI secol tato dal greco come ling letteratura classica vengo copiati nelle grandi bibli Pergamo e dell'università salvato un patrimonio c bizantino si distingue anc la classe dirigente, curata scuole pubbliche e privat diffonde l'epigramma, un ali' essenziale, con intenti Grande fortuna hanno an zione ellenistica, racconti dopo mille peripezie e dr cabile lieto fine. • Gli Arabi prima di Maometto Prima di Maometto la penisola arabica è abitata da tribù di beduini nomadi, divise in clan e spesso in lotta tra loro, e da comunità di mercanti delle città carovaniere. Ogni tribù venera divinità diverse (politeismo animistico), ma tutte hanno in comune il culto degli idoli della Kaaba, il santuario de La Mecca. • Maometto e la nascita dell'Islam L'afflusso di pellegrini arricchisce i mercanti de La Mecca, tra i quali figurano i familiari di Maometto che, nato verso il 570, si dedica al commercio fino al 611, quando Allah, unico vero Dio, gli si rivela e gli comanda di parlare in suo nome, come lo stesso Maometto racconta nel Corano, il libro sacro dell'Islam, che egli scrive sotto l'ispirazione di Allah, di cui si considera il profeta. La predicazione di Maometto, rivolta anche contro l'ingiustizia sociale, suscita l'opposizione dei ricchi mercanti. Nel 622 (l'anno dell'Egira, da cui gli islamici iniziano il conteggio degli anni) Maometto fugge a Medina con pochi fedeli. Il numero dei seguaci aumenta e con essi Maometto organizza la lotta armata, giustificata dalla fede, contro i potenti de La Mecca. Nel 630 conquista la città, facendone il luogo santo dell'Islam, in direzione del quale ancora oggi i fedeli pregano nelle moschee di tutto il mondo. Maometto viene riconosciuto come la massima autorità religiosa e politica nella maggior parte del- 1' Arabia. • La nascita del califfato e l'espansione dell'Islam Morto Maometto (632), l'Islam è diviso: nella lotta interna prevalgono i primi compagni del profeta e Abu Bakr è il primo califfo ("successore"). Dopo di lui viene designato Omar, fondatore delle istituzioni dell'Islam, che guida i musulmani nella rapidissima conquista di Vicino Oriente, Mesopotamia, Persia ed Egitto (634-641). I successivi califfi Uthman (644-656) e Alì (656-661), cadono vittun'e delle lotte interne e il califfato diventa ereditario nelle mani della potente stirpe degli Omayyadi. Questi portano la capitale a Damasco e rendono il potere politico in parte autonomo da quello religioso, provocando la reazione degli sciiti, contrari alla laicizzazione, contro gli ortodossi sunniti. In quest'epoca l'Islam si espande a est fino all'India e a ovest su tutto il Nord Africa fino alla Spagna. Agli Omayyadi si sostituisce dal 750 la dinastia degli ~bbasidi, co? la quale la civiltà islamica raggiunge il suo mass1mo splendore. La nuova capitale, Baghdad, è sede di una corte ricchissima, in cui i califfi gestiscono il potere come re orientali, affiancati da un primo ministro, il visir. • La fine dell'Impero arabo Diverse parti dei domini islamici occidentali (Spagna, Tunisia, Egitto) cominciano a rendersi indipendenti tra l'VIII e il IX secolo, sotto la guida degli emiri, alti funzionari che hanno il controllo dell'esercito. Nell'XI secolo l'autorità del califfo di Baghdad si sgretola anche in Oriente: gli Abbasidi cedono progressivamente all'avanzata di un altro popolo musulmano, i Turchi Selgiuchidi, che conquistano Baghdad nel 1055. • La società, la religione, la cultura La società araba è dominata dal califfo, che ha un potere assoluto su tutti i sudditi. In ogni famiglia l'autorità è nelle mani del capofamiglia; ogni musulmano può avere fino a quattro mogli, ma leggi avanzate proteggono la donna dagli abusi e ne affermano il "diritto alla felicità". Gli artigiani e i mercanti godono di sostegni da parte dello Stato, mentre i contadini, sfruttati dai grandi proprietari terrieri, vivono una vita misera. La base fondamentale della religione e della società islamica è il Corano, il libro sacro diviso in 114 sure (capitoli). Nel Corano religione e diritto sono strettamente uniti, quindi, accanto a norme morali e religiose, vi sono norme giuridiche, precetti igienici e di costume. Agli Arabi si deve il recupero e lo studio delle opere dei grandi pensatori greci dell'antichità tradotti in arabo e conservati nella biblioteca di Cordoba in Spagna. Gli Arabi raggiungono vette altissim~ soprattutto in campo scientifico, ad esempio con Muhammed Ibn Musa al-Khwarizmi, il matematico che ha introdotto il concetto di algoritmo, con Abul Qasim al-Zahrawi, considerato il più grande chirurgo del Medioevo, e soprattutto con il filosofo Averroè, che sostiene il primato della ragione e della filosofia sulla fede religiosa. ORDINE BENEDETTINO, pp.136-37 MONASTERO, pp.138, 149 CURTIS, pp. 142-44 • L'Italia divisa tra Longobardi e Bizantini Nel 568 il popolo germanico dei Longobardi, guidato dal re Alboino, penetra nella pianura padana e si impadronisce in breve tempo di tutta l'Italia settentrionale, della Toscana e dei territori di Spoleto e Benevento. I Bizantini, che sotto Giustiniano avevano riconquistato la penisola, mantengono solo alcune regioni costiere: l'Esarcato con Ravenna, la Pentapoli nelle Marche, la Puglia, la Calabria, Roma, Napoli e le isole maggiori. · • Il dominio longobardo in Italia Morto Alboino (572), il successore Autari (584- 590) prevale solo dopo una lunga lotta. Egli rafforza il potere regio assegnandosi vaste proprietà, controllando i duchi tramite ispettori chiamati gastaldi e cercando alleanze con altri popoli germanici. La conversione dei Longobardi (ariani) alla religione cattolica, voluta dal re Agilulfo (590-615) e da sua moglie Teodolinda, ne favorisce la civilizzazione e in parte l'integrazione con gli Italici. Il re Rotari (636-652) istituisce la capitale a Pavia ed emana un codice di leggi scritte. Alla sua m9rte inizia un lungo periodo di anarchia. Liutprando (712-744) ristabilisce l'autorità reale e, per ridurre all'obbedienza i duchi ribelli, cerca l'aiuto del papa, cedendogli il castello di Sutri (728) e dando così avvio al potere temporale della Chiesa. La crisi dell'iconoclastia (726) provoca la rottura dell'alleanza tra la Chiesa di Roma e i Bizantini; quindi, contro la minaccia del re Astolfo (749-756) che tenta di completare l'occupazione dell'Italia, il pontefice Stefano II (752-757) è costretto a cercare l'aiuto dei Franchi. Nel 756 il re franco Pipino il Breve scende in Italia e sconfigge i Longobardi, dando inizio al loro declino. • La società e le istituzioni I Longobardi non rispettano la cultura romana né tentano di integrarsi con gli Italici, ma li sottomettono con durezza e ne sfruttano il lavoro. Le tribù, divise in clan, sono guidate da duchi, capi guerrieri spesso rivali tra loro, che difficilmente riconoscono l'autorità di un 're. L'editto di Rotari è considerato il fondamento del diritto longobardo e afferma la concezione germanica della giustizia, ma mitigata: il guidrigildo, cioè il pagamento di un'ammenda per riparare al torto1 sostituisce la tradizionale faida, il diritto dell'offeso alla vendetta. L'editto regola però la vita dei soli Longobardi, mentre gli Italici continuano a seguire le norme del diritto romano. • Il monachesimo Il monachesimo si svilup IV secolo: a Milano, con · Francia e in Irlanda. Nel avviene a opera di missio lombano, ma soprattutto eia, fondatore nel 525 del sino e dell'ordine benedett le la vita è regolata da no nanza di preghiera e lavo tazione rientrano tra gli o sto consente la conservazi turale del Cristianesimo ( tura religiosa) e in parte classica latina e greca. Le attraverso la copiatura d cosiddetti codici. Per pot deli anche un sostegno m ganizzano in modo da ess tosufficienti: i monasteri, stri e alla biblioteca, pos magazzini e botteghe. I tempo, essi divengono presso i quali si svolgon gianali. • L'economia curt La società altomedievale difficile migliorare il prop cambiare mestiere o tipo prietario terriero ha un terno del suo possediment divide la terra tra i coloni distribuzione dei prodotti una relativa autosufficien vazione sono però arretra pena per il consumo, e la sera, sempre minacciata d sono ridotti; le comunicaz· per la presenza di banditi, stamenti per il commercio , e-. • Le origini del Regno dei Franchi I Franchi sono un gruppo di tribù germaniche che nel III secolo si stanziano lungo il Reno, sul confine tra le attuali Francia e Germania. Sono divisi tra Salii (le tribù del Nord) e Ripuari (le tribù del Sud). I Salii fanno la storia del primo periodo e con il re Meroveo danno or~gine alla dinastia dei Merovingi. Nel V secolo il re Clodoveo vince i Ripuari e occupa gran parte della Gallia ma alla sua morte il regno viene diviso tra i quat{ro figli. Comincia u1;1 periodo d~ congiure, lotte intestine e tradimenti che dura fmo al 613, quando Clotario II riunisce tutto il regno nelle sue mam. • Da Carlo Martello a Carlo Magno Nel VII secolo si affermano i maestri di palazzo, che diventano più potenti dei re. Al principio dell'VIII secolo la Gallia è minacciata dall' espansione degli Arabi, che, conquistata quasi tut_ta _la Spagna e varcati i Pirenei, nel 732 sono respmt1 a Poitiers dal maestro di palazzo Carlo Martello. Sperimentata l'importanza della cav~lleria_, . egli rafforza l'esercito concedendo terre al nobili cavalieri in cambio del servizio e della fedeltà. Si può dire che nasce in questo modo il feudalesimo. Il figlio di Carlo Martello, Pipino il Breve, approfitta dell'aiuto richiesto dal papato, minacciato in Italia dai Longobardi, per farsi consacrare re e rendere stabile il proprio potere (751). Morto Pipino, nella lotta tra i figli per il trono prevale Carlo, poi detto Magno, che nel 773 rompe un'alleanza con i Longobardi e, sceso in !talia in soccorso al papa, li sconfigge, ponendo fme al loro dominio. • Il Sacro Romano Impero La politica di Carlo Magno è costantemente tesa all'espansione territoriale: a est conquista i territori di Sassoni e Avari, a sud quelli di Bavari e Arabi. Giustificata dalla volontà di diffondere la fede e dalla necessità di terre per assicurarsi la fedeltà dei nobili, l'espansione porta alla conquista di un dominio vasto, ma in realtà fragile nella struttura, per l'incapacità del potere centrale di controllare efficacemente il territorio. Il potere personale di Carlo Magno, tuttavia, si rafforza nell'800, quando papa Leone Ili, in cambio del suo intervento in una contesa che lo opponeva alla nobiltà romana, lo incorona imperatore del Sacro Romano Impero, affidandogli la missione di governare la cristianità e rafforzandone la legittimazione e il prestigio come erede dell'Impero romano. In questa vicenda si trova il fondamento del dualismo politico tra papato e Impero che caratterizza tutto il Medioevo. La fragilità della costruzione di Carlo_ 1'.la~no si manifesta alla sua morte (814), quando il figlio Ludovico, detto il Pio per la sua religiosità, stenta a mantenere l'unità dell'Impero a causa delle lotte fra i tre figli, che infatti, dopo la sua morte, si spartiscono l'Impero (spartizione di Verdun, 843 ). • La società, le istituzioni, la cultura Carlo Magno governa affidando ai conti il controllo di vasti territori e ai marchesi le regioni di confine mentre i vescovi hanno sede nelle città e le ammb:iistrano. Annualmente i funzionari vengono riuniti nella Dieta per discutere e deliberare. I missi dominici ispezionano l'Impero verificando l'applicazione dei capitolari, decreti imperiali che regolano i rapporti tra i sudditi e contengono norme in difesa degli strati più deboli della popolaz10ne. Nell'Impero la produttività della terra è ridotta e non ci sono beni sufficienti per alimentare i mercati: questo impone a ciascuna villa di produrre tutto il necessario al consumo (economia di sussistenza) e favorisce la formazione di un sistema economico chiuso, in cui gli scambi sono molto limitati. Carlo Magno fa coniare il denaro d' argento, garantito nel suo valore dallo Stato, ma la circolazione monetaria è scarsa e nelle campagne domina il baratto. Carlo Magno raccoglie intorno a sé, come cortigiani e consiglieri, i principali uomini di cultura del- 1' epoca, sostiene i monasteri e fonda scuole per istruire e preparare la futura classe dirigente dell'Impero. Ad Aquisgrana è istituita la Scuola Palatina, dove sono istruiti i figli dei nobili della corte reale. VESCOVO-CONTE, p.179 FRAMMENTAZIONE POLITICA, pp. 178, 180-83 CAVALLERIA, pp. 183-86 • La divisione dell'Impero carolingio Dopo Carlo Magno l'Impero è retto dal figlio Ludovico il Pio (814-840), ma alla sua morte, dopo lunghe e sanguinose lotte, è diviso fra i suoi tre figli (spartizione di Verdun, 843): Lotario, re d'Italia e Lotaringia, cui spetta il titolo imperiale; Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, cui toccano rispettivamente i domini occidentali (Francia) e quelli orientali (Germania). Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico, riunifica per qualche tempo l'Impero, ma alla sua morte (888) la divisione diventa definitiva. Inizia a formarsi il Regno di Germania, diviso in cinque grandi ducati e con una monarchia elettiva. Il Regno di Francia prende avvio nel 987 con la dinastia dei Capetingi, che durerà fino al 1848, ma i grandi feudatari mantengono il loro potere, fino al XII secolo. L'Italia resta divisa in numerosi centri di potere rappresentati dalla Chiesa, dai Bizantini e da potenti feudatari. • Che cos'è il feudalesimo Si chiama feudalesimo il sistema politico e sociale che si consolida progressivamente nell'Europa del- 1' Alto Medioevo, quando esigenze militari e politiche spingono i sovrani a instaurare legami personali con i principali guerrieri, nobili ed ecclesiastici del proprio regno, in modo da ottenerne l' obbedienza e delegare loro funzioni amministrative. Il legame consiste in una promessa di fedeltà e servizio che il re riceve dai suoi sottoposti e che prende il nome di vassallaggio od omaggio. In cambio il re concede al vassallo l'usufrutto di un terreno chiamato beneficio o feudo, oltre a una serie di immunità, cioè privilegi, come battere moneta, amministrare la giustizia o essere esentati da obblighi fiscali e militari. I principali vassalli suddividono poi ulteriormente le terre loro assegnate per affidarle ai propri parenti e cavalieri. Il feudo, in linea di principio, deve essere restituito al re o al signore se il vassallo viene meno alle promesse, ma più spesso il vassallo tende a considerarlo un possesso stabile: lo testimoniano il capitolare di Quierzy (877) e la Costituzione dei feudi (1037), decreti con i quali l'Impero riconosce ai feudatari (i maggiori nel primo caso, i più piccoli nel secondo) il diritto di lasciare le terre in eredità ai loro discendenti. • Il ruolo della Chiesa nell'ordinamento feudale Gli imperatori scelgono come feudatari anche uomini di Chiesa, creando così la figura del vescovo-conte, che, non avendo figli, non può lasciare il feudo in eredità, e ne garantisce la res in questo modo la Chiesa, c ni considerevoli per effetto ricchezze da parte dei fede stioni politiche e d'interess la rispettabilità: si diffonde pravendita delle cariche ec • L'incastellament L'ordinamento feudale pr ne politica che, a tutti i li de i feudatari sempre pi Inoltre molti di essi, per attacchi, si costruiscono u va il particolarismo e det alcuni storici definiscono la quale ogni feudatario si no di un piccolo regno in castello si sviluppa il bor suoi sudditi. • La società e le i La società feudale ha una al vertice il re e i grandi f e cola nobiltà e infine il p parte da contadini, ridot (cioè legati al lavoro dell senza possibilità di allont stiere), che spesso sono sp ni facilmente represse d che contribuiscono ali' au dei feudi, occupano un po e contadini. Tra il X e l'XI secolo nas cavallo, figlio cadetto di diviene un professionista va a formare una vera e pr Il cavaliere riceve un'inve un codice d'onore che ha suo signore. • Le invasioni del IX-X secolo A partire dal IX secolo l'Europa è invest~t~ _da un'ondata di invasioni che portano alla defimt1va dissoluzione l'Impero carolingio. Protagonisti sono i Normanni, gli Ungari e i Saraceni. I Normanni ("uomini del Nord") sono un gruppo di popolazioni scandinave, divise tr~ Vichin: ghi e Vareghi. Nel IX secolo, mentre 1 Vareght penetrano nelle pianure russe, i Vichinghi a~taccano via fiume le città europee per saccheggiarle e, successivamente, si integrano nel sistem~ feudale insediandosi nella regione della Francia che da loro prende il nome di Normandia; conquistano poi il Regno d'Inghilterra con la vittoria nella battaglia di Hastings (1066) del normanno Guglielmo il Conquistatore contro l' anglosassone Aroldo II. Gli Ungari sono originari della Mongolia e verso il IX secolo migrano nell'Europa centrale, saccheggiando ferocemente le comunità indifese e isolate in Italia, Germania e Francia. Nel 997 si convertono al Cristianesimo e fondano in Pannonia il Regno d'Ungheria. I Saraceni sono pirati musulmani che, partendo dal Nord Africa e dalla Spagna, arrivano a minacciare le regioni costiere dell'Italia e della Francia e nell'827 conquistano la Sicilia. Nell'846 un gruppo di Saraceni arriva fino a Roma. Quando le loro basi alla foce del Garigliano (915) e in Provenza (972) vengono distrutte, le scorrerie saracene si esauriscono. • Le conseguenze economiche e sociali delle invasioni Le invasioni non hanno solo effetti negativi, ma anche conseguenze positive. Di fronte all'incapacità del potere regio di garantire la difesa del territorio, le città si fortificano e si organizzano, acquisendo maggiore autonomia. Il fenomeno dell'inurbamento (masse di persone che fuggono dalle campagne e si rifugiano nelle città, meglio protette) stimola la vita sociale ed economica del territorio, favorendone il dinamismo e creando i presupposti per lo sviluppo. Inoltre, la fuga dei contadini dalle campagne modifica i rapporti sociali, spezzando il secolare legame tra signori e servi della gleba. • Ottone I di Sassonia e la rinascita dell'Impero Per combattere gli Ungari i principi tedeschi si uniscono sotto la guida dei duchi di Sassonia. Dopo Enrico I, sale al potere il figlio Ottone I (936-973 ), che viene eletto re di Germania e scon~ figge gli Ungari a Lechfeld (955). Egli prog~tta d1 ricostituire il Sacro Romano Impero, acqmsendo il controllo dell'Italia e facendosi incoronare dal papa. Per contenere il potere dell'aristocrazia feudale laica, Ottone I cerca l'appoggio del clero tedesco attraverso la nomina di vescovi-conti. Infatti i vescovi, estranei alle lotte interne alla nobiltà tedesca e non potendo lasciare in eredità il feudo, si rivelano i vassalli più fedeli ed efficienti. In tal modo la gerarchia ecclesiastica diviene strumento del potere politico. Nel 962 Ottone I è incoronato imperatore dal papa e subito si assicura il controllo della Chiesa emanando il Privilegium Othonis, che gli dà il diritto di convalidare o meno l'elezione del papa. • I successori di Ottone I I successori di Ottone I fanno proprio l'ideale imperiale, rivolgendo però l'attenzione soprattutto all'Italia. Il figlio Ottone II (973-983) scende in Italia e afferma la sua autorità su Roma, ma è sconfitto dai Saraceni nel tentativo di conquistare l'Italia meridionale. Il nipote Ottone lii (983-1002), pio, colto e amante della classicità, intende ricostituire, con il sostegno del papa Silvestro II, un grande Impero romano e cristiano, sull'esempio di Costantino, ma il suo progetto fallisce per l'opposizione dei vescovi-conti tedeschi, offesi per il suo disprezzo verso ciò che non è romano o greco. Con Enrico II, ultimo imperatore di Sassonia, e poi Corrado II, della casa di Franconia (che emana la Constitutio de feudis, con cui riconosce l'ereditarietà dei feudi minori), e infine il figlio Enrico III, la Germania torna a essere il centro dell'Impero, ma gli imperatori sono costretti a cercare costantemente di tenere sotto controllo sia il papato sia le città e i feudatari dell'Italia settentrionale. • La cultura Presso la corte degli Ottoni operano lo storico Liutprando da Cremona e, soprattutto, Gerberto d' Aurillac, scienziato e filosofo, precettore del futuro imperatore Ottone III, infine papa con il nome di Silvestro II. Hanno grande diffusione le vite dei santi e degli eroi e la descrizione di eventi tanto meravigliosi quanto inventati, come La navigazione di san Brendano, considerata una delle fonti della Divina Commedia di Dante. OCEANO ATLANTICO o "' Mare del Nord M ED/TERRANEo Wt A R _ ____,.~--..,_ l'XI secolo, vengono fondati diversi nuovi ordini religiosi che si impegnano a portare un rinnovamento spirituale all'interno della Chiesa. Nel 910 a Cluny, nel Sud della Francia, sorge un monastero in cui viene adottata la Regola di san Benedetto. L'.ordine cluniacense si diffonde rapidamente e all'inizio del Xli secolo conta già diecimila monaci distribuiti tra Francia, Germania, Inghilterra, Italia e Spagna. La congregazione, organizzata in gruppi di abbazie, ottiene il privilegio di essere indipendente dalla giurisdizione vescovile. Nel 1098 a Cìteaux viene fondato l'ordine dei cistercensi, che, in polemica con le comunità cluniacensi ( di cui critica l'eccessiva ricchezza), decide di attenersi rigorosamente alla povertà e al lavoro manuale prescritti dalla Regola di san Benedetto. L'ORDINE CLUNIACENSE NEL X E Xl SECOLO 1059 A Salerno !Lewes! I monasteri direttamente dipendenti da Cluny Fleury Monasteri che hanno adottato la Regola di Cluny modificandola a livello locale Pavia Altri monasteri importanti BASSO MEDIOEVO 1075 Gregorio VII emana il Dictatus papae 1076 Enrico IV fa deporre papa Gregorio VII e quest'ultimo lo scomunica 1122 Firma del concordato di Worms 1208 1210 Innocenzo lii Innocenzo lii bandisce riconosce i una crociata francescani contro i catari __J _J 1229 Zoria di grande densità monastica cluniacense e cistercense Principali conventi Aree di diffusione dell'eresia catara/albigese Nasce l'Inquisizione opera la più importante scuola di medicina del Medioevo 1088 1098 Il sinodo di Sens proibisce la lettura dei testi di fisica e metafisica di Aristotele I 1084 e Brunone di Colonia a l'ordine dei certosini 1066 Guglielmo A Bologna Roberto di Molesme viene fondata fonda l'ordine dei la prima cistercensi università 1085 Guglielmo il 1098 il Conquistatore I Conquistatore fa I crociati invade I redigere il conquistano Tarso in l'Inghilterra Domesday Book Cilicia e Antiochia 1183 I Comuni dell'Italia firmano la pace di Costanza 1206 Gengis Khan, capo dei Mongoli 1206 I I Francesco di Assisi si converte e rinuncia a qualsiasi bene materiale 1208 1227 1263 I In Germania Muore Con Kublai Khan Pechino diventa imperatore Gengis diventa la capitale Ottone IV Khan dell'Impero mongolo Lo scontro tra papato e Impero per la conquista della supremazia -politica si concluderà con il tramonto del!' universalismo e l'affermazione delle monarchie nazionali. Da quel momento ogni comunità ecclesiale dovrà confrontarsi con il governo locale e i rapporti andranno, a seconda dei luoghi e dei tempi~ dalla piena collaborazione allo scontro frontale. Comunque, quasi sempre la Chiesa saprà trovare /orme di convivenza pacifica con le istituzioni laiche, che spesso diventeranno anzi il suo braccio secolare, come nel caso dell'Inquisizione. Per quanto riguarda l'Italia, già all'atto della formazione dello Stato italiano, nel 1861, l'allora Presidente del consiglio, Camilla Benso conte di Cavour, segui' una politica riassunta nel motto «Libera Chiesa in libero Stato». Ma quando nel 1870 Roma venne conquistata dalle truppe italiane (ricorderete la breccia di Porta Pia e tutte le vicende connesse), il papa si dichiarò prigioniero e invitò tutti i /edeli ad astenersi dalla vita politica. Solo nel 1929, con la firma dei Patti Lateranensi, questo periodo di sostanziale belligeranza tra Stato italiano e Chiesa /inz~ Alla fine della seconda guerra mondiale, il contenuto dei Patti Lateranensi venne poi recepito nella nuova carta fondamentale dello Stato italiano. Fu cosi' sancito un duplice principio: quello della libertà religiosa (art. 8) e quello dell'indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa Cattolica (art. 7). ~~ \ \ La decadenza della Chiesa Le alte cariche ecclesiastiche divennero addirittura oggetto di compravendita e furono consacrati vescovi che non conoscevano le nozioni più elementari della dottrina cristiana, alcuni perfino macchiati di gravi delitti o che mantenevano concubine. La Chiesa (come abbiamo visto nelle unità precedenti) era perfettamente integrata nel sistema di potere feudale. In particolare, l'alto clero ( vescovi e abati) da questa "integrazione" otteneva grandi vantaggi si~ eco~omici sia politi~i, ma c~n conseguenze assai gravi: una progressiva corruzione e una sua quasi completa sottomissione all'imperatore. Molte famiglie potenti creavano monasteri o chiese private, nominando a loro piacimento preti, frati e monache. Gli ecclesiastici che osavano opporsi a simili situazioni venivano costretti al silenzio o addirittura eliminati fisicamente. L'imperatore da parte sua eleggeva i vescovi e concedeva loro feudi senza neppure interpellare il papa. Il papato non era in grado d'intervenire corì'la fermezza che sarebbe stata necessaria. Come infatti abbiamo visto, nel IX e nel X secolo le grandi famiglie aristocratiche romane, in perenne lotL e fonti relative al periodo di crisi della Chiesa e dei movimenti di riforma sono numerosissime. Ogni città aveva cronisti che raccontavano dettagliatamente e in ordine cronologico i fatti più importanti della vita quotidiana e quindi il manifestarsi di ribellioni all'interno della Chiesa o, addirittura, di eresie veniva scrupolosamente registrato. Ma, oltre alle cronache, abbiamo importanti punti di riferimento negli atti ufficiali della Chiesa che prendeva via via posizione nei confronti di chi osava metterne in dubbio l'autorità e la moralità. Altra fonte importante sono le cronache redatte da ogni monastero: questi documenti sono molto interessanti perché non riguardano soltanto le questioni ecclesiastiche, ma riferiscono anche minuziosamente dei contatti con la popolazione, dei lavori eseguiti in campagna e dei rapporti con le autorità civili. Da questi atti, pertanto, si possono ricavare dei veri e propri squarci di vita quotidiana e si può così ricostruire una storia minore estremamente importante per spiegare il contesto in cui matureranno poi i grandi eventi. Sul problema della lotta per le investiture le fonti fondamentali sono gli stessi atti ufficiali dei vari imperatori e papi. ta tra loro, avevano eletto una serie di papi privi di autorevolezza, che dovevano soltanto fare gli interessi economici e politici della fazione da cui provemvano. L'azione dell'imperatore Enrico III, che tra il 1039 e il 1056 depose e nominò quattro papi (in successione: Clemente II, Damaso II, Leone IX e Vittore II), come del resto avevano fatto altri suoi predecessori, non era ovviamente disinteressata, ma fece riacquistare al papato una certa dignità. I papi indegni furono deposti d'autorità e dalla Germania vennero inviati a, Roma numerosi ecclesiastici con l'incarico d'intervenire sul comportamento degli alti vertici della Chiesa. ( L'esempio dei monaci di Cluny__ La reazione alla scandalosa situazione in cui versava la Chiesa venne innanzi tutto dai monaci. Per evitare le pesanti interferenze degli aristocratici e dei vescovi corrotti, molti monasteri cominciarono a ricercare una maggiore autonomia. Il primo promotore di tale rinnovamento fu il monastero di Cluny, in Borgogna, fondato nel 910 dal duca di Aquitania Guglielmo il Pio [ LETTURA P. 222]. Questo monastero riuscì ad avere una grande libertà d'azione perché fu sottratto a qualsiasi dipendenza dalle autorità civili e religiose locali e affidato alla custodia diretta del papa. I monaci cluniacensi proclamarono la necessità di tornare a un più rigoroso rispetto dei principi della religione cristiana e della Regola benedettina. La riforma cluniacense non criticava la ricchezza accumulata da una Chiesa inserita nel sistema feudale, ma aveva piuttosto l'obiettivo di riportare i monaci alla vita spirituale. Impose perciò ai monaci di abbandonare ogni occupazione mondana, politica o economica, per dedicarsi soprattutto con nuovo fervore alla preghiera e alla cura della liturgia. Furono i monaci di Cluny a diffondere in Europa la festa dei morti (che ancora oggi si celebra il 2 novembre) e a ribadire con forza la pratica della castità come necessaria per chi voleva svolgere funzioni di guida nella Chiesa. Il monastero di Cluny diventò così origine di una nuova spiritualità, una vera scuola di preghiera, e il suo esempio, anche se lentamente e con grande difficoltà, si irradiò in tutta Europa. Molti monasteri chiamarono gli abati di Cluny per imparare un nuovo stile di vita monastica, alcuni papi illuminati inviarono i monaci cluniacensi a riformare monasteri in cui la disciplina benedettina si era ormai perduta. Sull'esempio di Cluny furono riformati o fondati diversi monasteri che si unirono in una congregazione che faceva capo ali' abate di Cluny. Alla fine del X secolo, oltre 1000 centri religiosi ispirati al movimento cluniacense erano nati in tutta l'Europa occidentale. mente appartenere a un ordine religioso. L'abate veniva eletto dai monaci del convento e durava in carica per un numero definito di anni o addirittura, in alcuni casi, per tutta la vita: egli aveva piena autorità sui monaci e dirigeva in ogni aspetto sia la vita spirituale sia quella materiale della comunità religiosa. Sull'elezione dell'abate, in realtà, pesava molto il parere del vescovo locale, del grande feudatario della zona e, nel caso delle abbazie più importanti, addirittura dell'imperatore. L'abbazia di Cluny fu fondata nel 910 da Guglielmo, duca di Aquitania, e dall'abate Bernone di Baume che ne fu il primo rettore. La comunità si ispirava alla Regola benedettina e fin dall'inizio ebbe il privilegio di dipendere direttamente dal papa: il duca d'Aquitania, infatti, aveva donato il monastero e tutte le sue terre alla Santa Sede. Questo fatto liberò gli abati da qualsiasi interferenza nella loro opera da parte dei feudatari e dei vescovi locali e frenò il processo di mondanizzazione e di corruzione che nelle altre comunità era provocato dagli stretti rapporti con il mondo laico. Un movimento popolare di riforma: la pataria La scarsa autorevolezza di alcuni papi e il comportamento di molti vescovi e abati, preoccupati della gestione politica ed economica dei loro beni più che della propagazione della fede, suscitarono un forte desiderio di riforma anche nei semplici fedeli. Nacquero così movimenti popolari riformatori che proponevano un ritorno alla vita cristiana dei primi apostoli, alla povertà evangelica, e in alcuni casi assunsero toni radicali rifiutando totalmente il clero e l'istituzione ecclesiastica. Il rinnovamento religioso fu sostenuto soprattutto dagli abitanti delle città che, più evoluti e liberi di quelli delle campagne, vedevano nella riforma morale la possibilità di opporsi anche alle prepotenze della nobiltà e dell'alto clero. In molte città, gli abitanti arrivarono a ribellarsi apertamente contro gli ecclesiastici che conducevano una vita scandalosa, disertando le funzioni da loro celebrate e rifiutando i sacramenti. Le esigenze di riforma religiosa s'intrecciavano dunque con fermenti di ribellione popolare. A Milano e in altre città lombarde, intorno alla metà dell'XI secolo, nacque un movimento laico per la riforma della Chiesa. Il suo nome, pataria, deriva forse da "patarino", cioè straccione, termine dispregiativo con cui si sarebbe alluso alla composizione sociale del movimento. In realtà vi aderirono anche elementi di spicco della città, tanto che tra i fondatori, oltre al vescovo di Milano Ariberto, figura Anselmo da Baggio, che sarebbe poi diventato papa Alessandro Il. Bersaglio L'abbazia di Cluny divenne presto un formidabile centro d'irradiazione della religiosità cristiana e uno dei motori fondamentali della riforma della Chiesa, tanto che, dopo meno di due secoli dalla sua fondazione, si contavano in Europa circa 1450 conventi di monaci cluniacensi, tutti dipendenti direttamente da Roma e quindi sottratti al potere laico. La chiesa, uno dei più grandiosi edifici religiosi del Medioevo, venne fondata nel 1089 dall'abate Ugo e inizialmente ebbe una struttura romanica. La costruzione poi continuò fino al XIII secolo e vide una serie interminabile di aggiunte e di modifiche al progetto iniziale, tanto che, sul piano stilistico, si parla di Cluny I, II e III. Dopo continui saccheggi e distruzioni avvenuti tra il XIII e il XVI secolo, oggi non restano che alcune cappelle e un campanile, ma nel XII secolo la basilica era a cinque navate ed era lunga 140 metri e larga 3 5. Ben quattro campanili sorgevano a fianco della chiesa circondata da splendidi edifici come il palazzo dell'abate, il chiostro e la sacrestia. Una grande foresteria, inoltre, accoglieva i pellegrini. principale della pataria era il clero, che, secondo gli aderenti, viveva nel peccato e ignorava le Sacre Scritture. I patarini [ ooc.] consideravano nulli i sacramenti amministrati da questi religiosi e contestavano usanze assai diffuse come la simonia (la L'esempio dei patarini Un cronista del tempo, Arnolfo da Milano, riporta le parole con cui un capo patarino invita a condannare il clero milanese corrotto. Si tratta di un documento non solo religioso, ma anche politico, perché rivela la nascita di una nuova mentalità tra i cittadini, una nuova coscienza della propria autonomia e importanza. D a lungo tempo . siete sulla cattiva strada, non e' è vendita delle cariche ecclesiastiche). Favorirono la nascita di gruppi spontanei · che studiavano e commentavano la Bibbia e chiesero l'elezione diretta dei vescovi da parte del clero minore e del popolo, sull'esempio delle comunità cristiane primitive. Il movimento riformatore popolare fu in seguito anche un prezioso alleato dei papi riformatori nella loro lotta contro l'autonomia e la corruzione dell'alto clero. Movimento antifeudale e antimperiale - perché contrario alle ingerenze dell'imperatore nelle nomine ecclesiastiche locali - la pataria, in un certo senso, anticipò alcune delle istanze di rinnovamento politico e sociale che si sarebbero affermate con la nascita delle istituzioni comunali. I nuovi ordini: certosini e cistercensi Sulla via di un ritorno radicale alla Regola stabilita da san Benedetto, verso la fine dell'XI secolo nacquero due nuovi ordini monastici: i certosini e i cistercensi. Se la riforma cluniacense aveva voluto ristabilire il primato della preghiera, della prima parte del motto di san Benedetto Ora et labora, questi nuovi ordini vollero riformare la vita quotidiana del monaco anche negli aspetti più concreti ristabilendo i valori della povertà, dell'umiltà, della semplicità e del lavoro manuale. in voi traccia di verità. Divenuti tutti ciechi, scambiate le tenebre per la luce, poiché ciechi sono coloro che vi guidano. Come può un cieco condurre un altro cieco? Non cadono forse entrambi nella fossa? I più orrendi peccati della carne e anche l'eresia simoniaca sono diffusi tra i sacerdoti e gli altri ministri di Dio che quindi vanno allontanati perché sono nicolaiti [non osservano il celibato] e simoniaci. Guardatevi da costoro se sperate la salvezza dal Salvatore, non assistete alle loro funzioni religiose perché i loro sacrifici sono come sterco di cane e le loro chiese còme stalle ar ------- Nel 1084 Brunone di Colonia, maestro e canonico della cattedrale di Reims (1030-99), scelse la vita solitaria e di meditazione e fondò nel cuore delle Alpi, sul Massiccio della Grande-Chartreuse, una comunità di eremiti, la Certosa. Gli ideali professati dai certosini erano l'unione totale con Dio attraverso una vita contemplativa, il rifiuto del mondo e dei suoi beni, l'umiltà e la povertà. I monaci, che vivevano in solitudine in piccole celle una accanto all'altra, si ritrovavano regolarmente solo per la preghiera comune, e occasionalmente per magiare insieme o per colloqui stabiliti secondo una regola. Pochi anni dopo, nel 1098, Roberto di Molesme fondò a Oteaux (Cistercium, in latino), vicino a Digione, una comunità di preghiera e di lavoro. Vestiario, cibo, sostentamento dei monaci, organizzazione delle funzioni religiose, arredi e architettura delle chiese furono riformati a partire dal valore della povertà. L'ordine rinunciò alle rendite ecclesiastiche e alle rendite feudali. I monasteri vennero di solito fondati lontano dalle città, in campagna, e tutto ciò che serviva al monastero doveva essere prodotto dal lavoro dei monaci stessi; quello che avanzava doveva essere donato ai poveri. Col tempo il lavoro dei cistercensi diverrà un elemento fondamentale anche dello sviluppo dell'agricoltura occidentale nel corso del Medioevo. ' In un secolo, le abbazie dei cistercensi divennero cinquecento. L'ordine annoverò anche diversi uomini di cultura. Il più famoso fu Bernardo di Clairvaux (o Chiaravalle, 1090-1153 ), poi santificato, che appunto a Clairvaux, in Francia, fondò il principale monastero cistercense. Bernardo si dedicò alla riflessione e all'introspezione, ma fu anche un polemista e un perse~utore inesorabile degli eretici; stabilì inoltre norme di comportamento per i monaci considerate valide ancora oggi. Lo spirito di riforma all'interno della Chiesa Il movimento di riforma della Chiesa di Roma partì dunque dalla "periferia" delle istituzioni ecclesiastiche, cioè dai monasteri e da movimenti cittadini e popolari come la pataria. Lo spirito di riforma, però, conquistò presto anche alti prelati romani, che fecero proprie le tesi dei cluniacensi e dei patarini. Un gruppo di riformatori, tra cui Ildebrando di Soana (il futuro papa Gregorio VII), Pier Damiani e Ugo di Cluny, nell'XI secolo elaborarono le basi dottrinali della nuova posizione della Chiesa. Nel 1058 il cardinale Umberto di Silva Candida, un riformatore radicale, scrisse il trattato Contro i simoniaci, in cui (come i patarini) lanciava pesanti accuse contro gli ecclesiastici che compravano e vendevano le cariche [ ooc. P. 225] e dichiarava nulli i sacramenti da essi amministrati. Il brano - tratto dalla Vita del santo Giovanni Gualberto, scritto intorno al 1090 - mette in luce il clima di insofferenza creatosi nei confronti degli ecélesiastici indegni che compravano e vendevano oggetti sacri e cariche religiose (simoniaco. P urtroppo in quel monastero [di San Miniato] vi era allora un monaco scaltro e intrigante, di nome Uberto che ottenne col denaro il governo della comunità dal vescovo di Firenze, alla cui giurisdizione apparteneva il monastero. Il beato Giovanni, scoperta la cosa, uscì di nascosto dal monastero in compagnia d'un confratello che lo appoggiava e insieme andarono in città dal grande Teuzzo [un famoso eremita], il quale viveva recluso in una celletta dentro le mura di Firenze, presso il monastero della beata e sempre Vergine Maria e di lì dava a tutti salutari ammonimenti. Egli denunciava pubblicamente la simonia, che da lungo tempo aveva contagiato quasi tutto il clero. L'uomo di Dio Giovanni avvicinandolo gli disse: «Ti prego, padre mio, non negarmi il tuo santo consiglio nella grande incertezza in cui mi trovo! Temo molto di vivere sotto l'abate simoniaco e non so proprio come uscirne». Gli rispose il vecchio: «Mi fa tanto piacere quello che mi dici, ma non vedo quale consiglio darti. [ ... ] E se passi a un altro monastero di queste parti, mentre credi di sfuggire ai denti del leone non scamperai al morso del serpente!». E Giovanni: «Non lasciarmi, padre, senza un consiglio: pur di seguire la verità sono pronto a compiere qualunque cosa mi ordinerai». Il vecchio, vedendo la fede e la costanza di Giovanni, rallegrandosene gli disse: «Va' allora con il tuo compagno e nel pubblico mercato della città grida di fronte a tutti che il vescovo e l'abate sono simoniaci, poi scappa!». Fedele al suo suggerimento, andò sulla piazza del mercato in un giorno di grande affluenza e dichiarò simoniaci il vescovo e l'abate. Il fattcv suscitò in tutti un orrore raccapricciante, mentre molti gridavano: «Non lasciatelo scappare, ammazziamolo!». Ma alcuni dei suoi parenti, sot- &ù~ \J v fòHU\ L0 1 'J·tf~\J i la bo (-; Jnt;i Le tensioni fra Chiesa e lmper_o \ I il ?apa Leone I~ e~ patriarc~ di Costant~opoli e lo scisma d'Oriente f \ l.Dli 0 , I I: Micgele Cerulano si_ ~c~municarono re~iproca- '. . 7c t!J 'ìJ\.,%,4.;'J 1 ~\ 1\,1,\U) me~te re~d~ndo defimtiva una. separ~z10ne fr_a Nel 1049 11mperatore Enrico III fece nommare ! Chiese cnstiane che ancora oggi non e stata n - papa suo cugino Brunone, che prese e . composta. il nome di Leone IX (1002-54). Leo- _\l& Nel 1059 papa Niccolò II- per ne, però, si fece convalidare a Roma ~ liberare la Chiesa dal potere e acclamare dal popolo per sottoli- · dell'imperatore - emanò un neare l'autonomia della Chiesa dal po- decreto che attribuiva la fatere politico, ponendo così le premesse _,.., ·- coltà di eleggere il papa dello scontro fra papato e Impero: egli ri- esclusivamente al collegio vendicò infatti la superiorità della Chiesa dei cardinali [ DOC. P. 2261. di Roma e del papa su tutto il mondo cri- Dunque, quando nel 1073 stiano. diventò papa Ildebrando La rivendicazione di autonomia affermata di Soana con il nome di da Leone IX rispetto al potere imperiale e Gregorio VII, strenuo l'affermazione della centralità del ruolo sostenitore dell'assoluta audel papa nel governo della Chiesa, ina- tonomia del pontefice risprirono i rapporti già problematici fra spetto all'imperatore, erano Chiesa di Roma e patriarcato di Costan- _ ,___. maturate tutte le conditinopoli. zioni per trasformare i Nel 1054 la Chiesa bizantina si sepa- contrasti con l'Impero in rò definitivamente da quella romana; - --.;;..._ _ _ _ -'------~_., ooa lotta aperta. p g p d l'emanazione d'un decreto che stabiliva nuove modalità nell'elezione del pontefice, sottraendola al controllo della nobiltà romana e rendendola indipendente dall'ingerenza de/l'Impero. trovato degno, altrimenti lo si prenda da un'altra chiesa. Salvo restando il debito onore e la riverenza verso il nostro diletto figlio Enrico che è ora chiamato re e che si spera sarà con l'aiuto di Dio il futuro imperatore [ ... ]. Ma se qualcuno, contrariamente a questo nostro decreto promulgato in sinodo, verrà eletto o consacrato o insediato in trono attraverso la rivolta, la temerarietà o qualunque altro mezzo, sia da tutti creduto e considerato non Papa, ma Satana, non apostolo, ma apostata e con perpetua scomunica per autorità divina e dei santi apostoli Pietro e Paolo, insieme con i suoi istigatori, partigiani e seguaci, venga scacciato e respinto dalle porte della santa cristianità di Dio, come Anticristo, nemico e distruttore di tutta la Cristianità. da F. Gaeta - P. Villani, Documenti e testimonianze, Principato, Milano 1968 Gregorio VI I e il Dictatus papae Nel 1073, appena eletto, papa Gregorio VII aveva già mostrato la sua volontà riformatrice rinnovando i provvedimenti contro la simonia e il matrimonio degli ecclesiastici e rendendoli veramente esecutivi con pesanti pene per i trasgressori. Ma Gregorio VII aveva in mente un progetto ben più ampio: l'istituzione di uri sistema politico teocratico, cioè il controllo del papa non solo sull'intera organizzazione ecclesiastica ma anche sui poteri laici, e in primo luogo sull'imperatore. Per raggiungere questo obiettivo Gregorio dichiarò nulle tutte le cariche che i vescovi avevano otteIl Enrico IV assiste alla costruzione di una chiesa. Il gesto della mano destra simboleggia la sua approvazione. ' nuto dall'imperatore e, per sostenere questa sua iniziativa, emanò nel 1075 il Dictatus papae (Dettato del papa), un documento composto da 27 affermazioni che definivano le funzioni del papa e il ruolo della Chiesa di Roma [ ooc. P. 227]. Nel Dictatus Gregorio VII affermò innanzi tutto l' a~uta.supremazi-a-d-el-papa su tutti gli altri vescovi, l~ a .. fa_coltà di...eman.mJeggi e di applic~e, l'insindacabilità dei suoi gii:iaizi. -Nl'ììiipe- ~ato~e -~ di-cieto crn~ ò depOrrei v~- _§.C0Vl, tacoltà che spettava umcamente a:t"J'5ontefice, e l'imperatore stesso poteva essere scomunicato o addirittura deposto dal papa. Si delineava così una sorta di potere universale della Chiesa, alla quale tutti, religiosi e laici, dovevano obbedienza. Come molti altri riformatori del tempo, Gregorio VII era convinto che una delle cause principali dei mali della Chiesa fosse la subordinazione del clero all'imperatore. Il fatto di ricevere benefici e cariche ecclesiastiche da quest'ultimo legava il clero a chi l'aveva beneficato e, più in generale, al mondo terreno e ai valori materiali, distogliendolo dalla ru"issione spirituale. Ma l'iniziativa di Gregorio aveva anche effetti politici più generali: limitava fortemente l' autonomia del potere politico di qualunque sovrano e in particolare dell'imperatore, che da difensore della comunità cristiana finiva per apparire il semplice braccio militare della Chiesa. Lo scontro tra papa e imperatore L'imperatore Enrico IV, figlio di Enrico III, era succeduto al padre nel 1056, a sei anni di età. Nel 1065 fu dichiarato maggiorenne e si dedicò a restaurare l'autorità sovrana, insidiata ancora una volta dai feudatari ribelli, ma anche dalle case di Baviera e Sassonia, insorte contro l'imperatore. Nel 1075, quando Gregorio VII emanò il Dictatus papae, il momento era estremamente delicato\; .;;; ,.... r, · IV '2.-.;/ !11=FclìJ1Ac.,10"1 CHlf blc-u1 AP'(',l= i -pgr- .G.-0:tfCO . L-7t w r n,JM/\ i ui ()cc M-1'1\-S vjA,'. lMati-e-p-wnrìseèlìr ispettare la li- ,bertà delle elezion( e delle-o sacrazioni religiose, ~ - consèrvan-do solo la facoltà-ai inve ire.gli ecclesiastici del potére temp..9rale.-In cambio, Enrico V ottenne· che-i véséo.;l fossero obbligati a prestare ·giut:g~nt~ è deltà~ rnna, ma so o in quanto ctèpositari di è B fici m'àtoo~ ,oncessi loro dall'imperatore. Terminava così la lotta pe1;) e in titu , ,~ la netta separazi~ delle ~ ére d' ion i Chiesa e. Impero. Al pon e ice spetta-~l' { s{gnazio~ l'aneli? ~ del pa~ le, si o · ella consacra~ione religiosa; al · ovra é a dello scettro, slffibolo del po re tempo Vi fu però un'eccezione a tale gola: in G rma1i a, a consacrazione religiosa eguiva q ella temp , r ~ mperatore potev influire nella scelta del vescovo e presenzia alla cerimonia di consacraz · ne. Il concordato di Worms, pur risolven_do il problema delle investiture, lasciava aperto il conflitto tra Il testo del concordato di Worms Il documento firmato a Worms nel 1122 da papa Callisto Il e dall'imperatore Enrico V è composto da n nome della santa e indivisibile Trinità. Io, Enrico, per grazia di Dio augusto imperatore dei Romani, per amore di Dio e della Santa Chiesa Romana e del nostro papa Callisto e per la salvezza della mia anima cedo a Dio e ai suoi santi apostoli Piedue dichiarazioni separate (il privilegio dell'imperatore e il privilegio del pontefice) che regolano il problema delle investiture ecclesiastiche, riservate al papa, e della concessione dei privilegi temporali, facoltà de/l'imperatore. tro e Paolo e alla Santa Chiesa cattolica ogni investitura con anello e pastorale, e concedo che, in tutte le chiese esistenti nel mio Regno e nel mio Impero, vi siano elezioni canoniche e libere consacrazioni. Restituisco alla medesima Santa Chiesa Roma- Chiesa e Impero: per alcuni secoli queste due autorità si sarebbero affrontate ancora per conquistare il primato nel mondo cristiano. La diffusione dei movimenti ereticali I La riforma gregoriana aveva cercato di riportare ordine, coerenza e moralità all'interno della Chiesa imponendo una struttura ecclesiastica fortemente accentrata e monarchica, nella quale il papa era il supremo giudice e aveva l'ultima parola su ogni questione di fede, di morale e-di vita cristiana. La situazione di anarchia, che aveva consentito a gran parte dell'alto clero di agire ; con grande autonomia esibendo comportamenti spesso inaccettabili, era stata arginata cércando di restaurare l'autorità morale, politica e religiosa del papa. Ma l'affermarsi di i.in dominio temporale soggetto al pontefice, ormai al centro di una serie di importanti relazioni feudali che. gli consentivano di gestire un enorme potere politico, riaprì comunque la questione di una Chiesa coerente agli ideali del Vangelo. na i possedimenti e le regalie del beato Pietro, che le furono tolti dall'inizio di questa controversia fino a oggi, sia ai tempi di mio padre sia ai miei, e che io posseggo; darò fedelmente il mio aiuto perché vengano restituiti quelli che non ho. Ugualmente renderò, secondo il consiglio dei prìncipi e secondo giustizia, i possedimenti di tutte le altre chiese e dei prìncipi e degli altri chierici o laici, perduti in questa guerra e che sono in mia mano; per quelli che non lo sono, darò fedelmente il mio aiuto, sì che vengano restituiti. E assicuro, inoltre, una sincera pace al nostro papa Callisto e alla Santa Chiesa Romana e a tutti coloro che sono o sono stati dalla sua parte. Fedelmente darò il L'ansia di purezza e di ritorno alle origini del Cristianesimo generò anche movimenti religiosi - come quelli dei catari e dei valdesi - che si distaccarono volontariamente dalla Chiesa rifiutando le mio aiuto quando la Santa Chiesa Romana me lo chiederà, e le renderò debita giustizia se mi farà lagnanza. o, Callisto vescovo, servo dei servi di Dio, concedo a te, diletto figlio Enrico, per grazia di Dio augusto imperatore dei Romani, che abbian luogo alla tua presenza, senza simonia e senza alcuna violenza, le elezioni dei vescovi e degli abati di Germania che spettino al Regno; in modo che qualora dovesse sorgere qualche ragione di discordia tra le parti, secondo il consiglio e il parere del metropolita e dei comprovinciali, tu possa dar consenso e prestare aiuto alla parte più sana. L'eletto riceva da te le regalie per mezzo dello scettro e per esse esegua istituzioni ecclesiali e il ruolo che esse avevano come mediatori del rapporto fra uomo e Dio. Le risposte della Chiesa a questi movimenti riformatori radicali furono due. Alcuni furono riportati all'interno della comunità cristiana e, nonostante la radicalità delle contestazioni, riconosciuti dal papa e integrati nel sistema ecclesiastico; altri furono condannati soprattutto perché i loro contenuti teologici alteravano radicalmente la dottrina cristiana, furono dichiarati eretici perseguiti giudiziariamente o con le armi. I catari Tra i movimenti ereticali vi fu la setta dei catari (dal greco antico katharos, "puro") che ebbe come maggiori centri di diffusione la Francia meridionale, le Fiandre e la Lombardia. I catari non credevano nell'incarnazione di Cristo e rifiutavano i sacramenti. Si dividevano in perfetti e credenti, a seconda che avessero o meno ricevuto il battesimo spirituale. I primi praticavano il più totale ascetismo: si astenevano dal matrimonio e dalla procreazione, condannavano la proprietà privata e la guerra, rifiutavano determinati cibi, che consideravano impuri, giungendo fino alla morte per fame, gesto estremo di ricerca della completa purezza. La Chiesa si oppose duramente a questa eresia e, nel 1208, Innocenzo III bandì una vera e propria crociata contro i catari della Linguadoca (detti albigesi dal nome della città di Albi), cui parteciparono alti ecclesiastici e molti nobili francesi, ansiasi di impadronirsi delle terre e dei beni degli eretici. Intere città furono messe a ferro e a fuoco e decine di migliaia di persone furono massacrate. Valdo e i "poveri di Lione" Nel 1173 un ricco mercante, Pietro Valdo (o Valdesio), cominciò a predicare a Lione contro i poteri dei nobili e degli ecclesiastici, affermando la perfetta uguaglianza degli uomini davanti a Dio. Donò tutti i propri averi ai poveri e fondò una comunità che viveva di elemosine [ ooc. P. 231]. Valdo sosteneva che il sacerdozio doveva essere fondato su un merito effettivo, non sulla consacrazione esteriore, e soprattutto rivendicava per i laici il diritto di predicare. Nel 1184 Valdo fu dichiarato eretico, ma continuò la sua opera. I "poveri di Lione", com'erano chiamati i suoi seguaci, si diffusero in Germania, in Spagna, in Provenza e anche in Italia, in Lombardia e in Piemonte. Furono attaccati da due crociate, nel 1208 e nel 1487, e colpiti da violente persecuzioni ancora nel XVI e XVII secolo; soltanto nell'Ottocento i valdesi ottennero il riconoscimento da parte della Chiesa cattolica: oggi, in Italia, la comunità valdese conta circa ventimila fedeli. I frati domenicani Circa un secolo dopo i certosini e i cistercensi, sorsero due ordini religiosi di tipo diverso: gli ordini mendicanti dei domenicani e dei francescani. I loro membri (frati, non monaci) vivevano quasi esclusivamente di elemosine, rifiutando il principio del lavoro manuale come forma di vita monastica. Svolsero un'intensa attività di predicazione e di assistenza ai bisognosi ed ebbero una spiccata vocazione missionaria. Il fondatore dei domenicani fu lo spagnolo Domenico di Guzman, che nel 1215, durante un viaggio in Francia, ebbe l'idea di dedicarsi alla predicazione per convertire gli eretici. A Tolosa, nacque così l'ordine dei frati predicatori - questo il nome proprio dei domenicani - che venne riconosciuto dal papa l'anno seguente. Vivendo e operando nelle città, a stretto contatto con le grandi trasformazioni sociali e politiche, i domenicani produssero un radicale cambiamento nell'atteggiamento della Chiesa verso il mondo. Alla secolare condanna contro la ricchezza, sosti- - tuirono l'idea che qualsiasi lavoro, se svolto con correttezza e coscienza, era gradito a Dio e poteva procurare la salvezza dell'anima. In questo moLa Chiesa contro Valdo Questi due documenti, il primo del cistercense Goffredo di Auxerre (fine del Xli secolo) e il secondo di Stefano di Bourbon (dal Tractatus de diversis materiis praedicabilibus, metà del Xlii secolo), narrano le violente reazioni che Valdo e i "poveri di Lione" provocarono nell'ambiente ecclesiastico. L ione, prima sede [ vescovile] delle Gallie, ha creato nuovi apostoli, né si è vergognata di associar loro delle apostole. A demolire la vigna del Signore si son fatte avanti le piccole volpi, persone disprezzabili e proprio indegne, che usurpano l'ufficio della predicazione pur essendo del tutto o quasi illetterate, ma ancor più prive dello Spirito. [ ... ] Hanno attraversato città e villaggi sotto il pretesto della povertà e la scusa della predicazione, vivendo impudentemente di pane altrui senza lavorare con le proprie mani. [ .. .] L'iniziatore, detto Valdesio dal luogo di nascita, abiurò tale setta, convinto da ragioni manifeste della propria sacrilega presundo, vennero giustificate dalla Chiesa le nuove attività dei mercanti e dei banchieri e venne accettato il principio del profitto. I frati francescani L'ordine dei frati minori francescani venne fondato da Francesco Bernardone, figlio di un ricco mercante di tessuti di Assisi. Dopo aver condotto la vita mondana di tutti i giovani figli di ricchi, nel 1206 Francesco si convertì improvvisamente, rinunciando a qualsiasi bene materiale: l'episodio di Francesco, che sulla piazza di Assisi, davanti a una folla numerosa, si spoglia dei suoi abiti restando nudo, simbolo vivente della povertà assoluta, è immortalato negli affreschi di Giotto, nella basilica di Assisi. Insieme con pochi compagni, conquistati dalla sua fede, diede origine a una piccola comunità che aveva come Regola la completa povertà e si sostentava con elemosine e umili lavori. Il messaggio della comunità di Francesco era chiaro: una ricerca di purezza in un mondo, compreso quello ecclesiastico, dedito ai piaceri e al lusso. zione, nel Concilio di Lione [ ... ]. [Ma in seguito] non ha cessato di raccogliere e di disseminare discepoli, tra i quali non mancano anche misere donnicciuole cariche di peccati che penetrano nelle case altrui, curiose e chiacchierone, sfrontate, malvagie, impudenti, come quelle due fra loro che, per un quinquennio nelle schiere di quei nefandi, avevano aggredito con le peggiori offese il venerabile vescovo della città di Clermont [. .. ]. Bestemmiando in modo turpe, esse lanciavano in faccia al vescovo i loro vizi e pubblicamente proclamavano: «Dopo la predicazione ogni giorno più lautamente mangiavamo, ci sceglievamo quasi ogm notte nuovi amanti, trascorrevamo il tempo senza essere sottoposte ad alcuno, senza preoccupazioni, senza impegni di lavoro, senza pericoli, in mezzo ai quali invece ora, ancelle di signori, quotidianamente rischiamo di morire e, misere, soggiaciamo a innumerevoli affanni». Q uesti [Valdo], venduto ogm suo bene, in disprezzo del mondo, come fosse fango distribuiva il suo denaro ai poveri: e usurpò l'ufficio degli apostoli ed ebbe la presunzione di predicare i Vangeli e le cose che aveva imparato a memoria per strade e Nel 1210, il papa Innocenzo III concesse ai francescani un riconoscimento ufficiale, anche se il loro atteggiamento radicale preoccupava notevolmente la Chiesa. Il successo dei francescani superò ogni aspettativa e il papato cercò di incanalare e regolare il confuso agitarsi di ideali, spesso in- - •rn;;~ .. , ·~ ~~ .. "'0''''"...,.."1' .. .-v ~ •nq1- ~v - mti - ~ ~tut~ s;Cltll t1t~m tnc:ditcciinik · tf.1_;~ ·: · ::gp~mitmil·finilnlilcntl+iuriy m~~ -· ·furci:n,"._1rrfettW-i1~11n.~ - -.l~ J --~nn~nts L1rib., -pt!d~ [.l,.cnf' "-.!I. . m~,ft\~gtltl!5~1~1.qu.1 tiio__, -~1.t !tnctio:fitt !lllg,t; m~dio ,o ffe1wrgmni.a'.-~Jnn fft,1r.m Nostro Signore Gesù Cristo che dice «Se vuoi esser perfetto, vendi tutto e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni, e seguimi» [. .. ]. TI. I fratelli, poi, quelli che promisero obbedienza, abbiano un'unica tunica, con il cappuccio, e un'altra senza se occorre, e cingolo [corda, a guisa di cintura] e le brache. E tutti i fratelli siano vestiti di vesti vili e possano rappezzarle con pezzi di sacco od altro con la benedizione di Dio. E anche se saranno detti ipocriti non cessino di fare il bene, e non cerchino vesti preziose in questo mondo per poter avere un vestito nel regno dei cieli. [. .. ] VII. Tutti i fratelli, in qualunque luogo e presso chiunque si trovino a servire e a lavorare, non siano mai economi o cantinieri, né dirigano le case dei loro padroni, né accettino ufficio che sia di scandalo o faccia danno alla loro anima: ma siano minori e soggetti a tutti quelli che sono nella medesima casa. E i fratelli che sanno lavorare lavorino ed esercitino l'arte che conoscono, purché non sia contraria alla salvezza dell'anima loro. E possano per il lavoro ricevere il necessario, escluso il denaro e, se ci sarà bisogno, vadano questuando come gli altri poveri. Si guardino i fratelli, dovunque siano, negli eremi o altrove, di appropriarsi di qualche luogo e di vietarlo ad altri. E chiunque venga a loro, amico o nemico, ladro o assassino, terpretati in modo personale e al limite dell' eresia, che emergeva tra i frati. Francesco esitò a lungo prima di accettare la stesura di una Regola, convinto che il misticismo che animava il movimento sarebbe uscito mortificato da qualsiasi vincolo. Poi, consapevole che un rifiuto avrebbe portato l'ordine allo scioglimento, accettò e nel 1223 fu promulgata la Regola francescana: l'ordine usciva dallo spontaneismo per entrare nell'ufficialità [ ooc.1. Dopo la morte di Francesco, nel 1226, subito proclamato santo, l'ordine fu travagliato al suo interno dalle lotte tra spirituali e conventuali. I primi esigevano il rispetto letterale dell'insegnamento di Francesco, i secondi erano disposti a un certo compromesso con il mondo, quindi ad accettare lasciti e a dedicarsi allo studio. Nel 1263 i conventuali ebbero il sopravvento, con l'appoggio del papato, e gli spirituali dovettero uscire dal- 1' ordine; molti di essi confluirono in gruppi eretici (vedi p. 381). D In questa miniatura del XIV secolo è rappresentato san Francesco che porge il saio a santa Chiara. sia accolto benignamente. E cerchino di non mostrarsi tristi, accigliati o ipocriti, ma bensì lieti nel Signore, ilari e opportunamente gentili. VIII. Perciò nessun fratello, dovunque sia o vada, accetti denari neppure per causa di vesti, libri o compenso di lavoro, in nessun caso, salvo per manifesto bisogno di fratelli malati. E se in qualche luogo troveremo denari non curiamoli più della polvere che calpestiamo. [. . .] IX. Tutti i fratelli cerchino di seguire umiltà e povertà di Nostro Signore Gesù Cristo e ricordino che niente altro ci occorre a questo mondo, come dice l'Apostolo: «Avendo il cibo e da coprirci, stiamo di questo contenti». E devono rallegrarsi quando vivono tra persone miserabili e disprezzate, tra poveri, deboli, malati, lebbrosi e mendicanti. E se ci sarà bisogno vadano per elemosina e non si vergognino, perché il Nostro Signore Gesù Cristo, figlio di Dio onnipotente, posò la sua testa su una pietra durissima, né se ne vergognò [. .. ]. XIV. Quando i fratelli vanno per il mondo non portino seco per via né sacco, né valigia, né pane, né denaro, né bastone. E in qualunque casa entrino, dicano prima di tutto: «Pace a questa casa». Non resistano al male, ma a chi percuoterà loro una guancia, offrano l'altra: e non si oppongano a chi vorrà levare loro la veste o la tonaca. • SOCIETÀ, ISTITUZIONI, CULTURA Le origini dello scontro fra Chiesa e Impero È ora utile riprendere gli elementi dello scontro fra il papa e l'imperatore. Alcune questioni fondamentali si erano delineate fin dal momento in cui il Cristianesimo si era diffuso nell'Impero romano ed erano emerse con chiarezza, dopo leprime persecuzioni, quando gli imperatori avevano compreso che l'appoggio dei cristiani poteva essere determinante nella gestione del potere. Con l'editto di Tessalonica poi, promulgato da Teodosio nel 380, il Cristianesimo era diventato religione di Stato. Dopo la caduta dell'Impero romano la Chiesa rimase a lungo l'unica istituzione diffusa in modo capillare sul territorio, soprattutto in Italia. Nel periodo tardoantico, a fronte dell'assenza dell'lmpero bizantino, il potere e il prestigio della Chiesa crebbero senza interferenze, conquistando spazi di intervento sempre più ampi. Anche per questo il rapporto tra Chiesa e Impero fu uno dei fattori cruciali dell'universo medievale, riproponendo ogni volta alcune questioni: fino a che punto, e in base a quale principio, la Chiesa, custode dei valori spirituali e religiosi, poteva e doveva compromettersi con le questioni di ordine politico? D'altro canto, era giusto che l'Impero estendesse la sua autorità fino a condizionare dall'interno la vita della Chiesa? Il rafforzamento dell'Impero attuato dalla casa di Sassonia e la tutela sul pontefice imposta dagli imperatori generarono enormi contrasti. La questione su quale dei due poteri dovesse prevalere sull'altro avrebbe attraversato tutto il periodo del Basso Medioevo e della prima età moderna. La questione delle investiture Il conflitto tra papato e Impero si giocò su due piani: da un lato, divenne indispensabile bilanciare due poteri che rivendicavano ciascuno il proprio carattere universale; dall'altro, la Chiesa si trovava a dover armonizzare al proprio interno due istanze destinate comunque a convivere, cioè il carisma e l'istituzione. Il carisma rimandava agli ideali evangelici di povertà, libertà e pace; l'istituzione riguardava, invece, la struttura del tutto "politica" che la comunità cristiana si era data nel corso dei secoli: con un capo e una gerarchia, con delle leggi e persino uno Stato. Sul piano politico, numerosi studiosi furono incaricati di elaborare teorie sempre più convincenti, in grado di risolvere la spinosa questione del rapporto tra papato e Impero. Il punto di vista dei pontefici, che sostenevano la superiorità del potere spirituale [ ooc.1, era comprensibile alla luce della mentalità di quel tempo, e gli europei medievali non rimanevano scandalizzati dal vedere che il pontefice faceva di tutto· per afferdiventata famosa. Il pontefice vi afferma senza mezzi termini che il potere spirituale è superiore a quello de/l'imperatore e che quindi la sola autorità legittimata a reggere il mondo è quella del vicario di Dio. di trascinare i sacerdoti del Signore sulle loro stesse orme, non possono che essere paragonati al diavolo, re di tutti i figli della superbia, che tentò addirittura µ Pontefice Sommo, il Capo dei sacerdoti, il Figlio dell' Altissimo, al quale promise tutti i regni della terra dicendogli: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai.» (Mt. 4, 9). Chi potrebbe mettere in dubbio che i sacerdoti di Cristo debbano essere considerati padri e maestri dei re, dei principi e di tutti i fedeli? Ma sarebbe follia miserabile se un figlio o un discepolo tentasse di sottomettere il padre o il maestro e di esercitare il proprio potere su chi ha l'autorità di legare o sciogliere nel regno dei cieli. Ogni re cristiano, quando giunge alla fine della sua vita, richiede umilmente e devotamente l'opera del sacerdote, per poter salire dalle tenebre alla luce e comparire di fronte a Dio sciolto dai vincoli dei suoi peccati. Ma chi, giunto in punto di morte, implorò mai per la salvezza della sua anima l'aiuto di un re della terra? Quale re o imperatore, p·er l'ufficio che ricopre, può con il santo battesimo strappare un cristiano al potere del diavolo, farlo annoverare tra i figli di Dio e fortificarlo con il sacro crisma? E, per quanto riguarda il sacramento fondamentale della religione cristiana, quale re può con le sue parole consacrare il corpo e il sangue del Signore? A chi di loro è stato dato il potere di legare e sciogliere in cielo e in terra? Da questi esempi si comprende chiaramente la grandezza del potere sacerdotale. E ancora: chi di loro ha il potere di ordinare un chierico, o quanto meno di deporlo per una colpa? Negli ordini ecclesiastici il potere di deporre è superiore a quello di ordinare. I vescovi, infatti, possono ordinare altri vescovi, ma non possono assolutamente deporli senza l'autorizzazione della sede apostolica. Chi allora potrebbe essere così superficiale e saccente da dubitare della superiorità dei sacerdoti sui sovrani? E se poi i re devono essere giudicati dai sacerdoti per i loro peccati, chi può giudicarli meglio del pontefice romano? 1/1 Questa miniatura del Xlii secolo sintetizza i rapporti fra il papa e l'imperatore. Al centro, sulla destra, il papa riceve da san Pietro una chiave, simbolo del suo potere spirituale sull'umanità; a sinistra il sovrano impugna la spada e lo scettro, simboli del potere politico terreno. In alto sono rappresentati i vassalli dell'imperatore, ciascuno nel suo castello. In basso il papa e l'imperatore, seduti sul medesimo trono, si abbracciano: è dalla loro concordia che deriva il bene dei loro sudditi. mare la propria autorità sull'imperatore. Tutti, del resto, erano convinti che l'anima, già proiettata nella sfera del divino e dell'eterno, fosse superiore al corpo, che invece doveva sottostare alle leggi della natura ed era destinato alla morte. Dunque, nulla di strano se colui che si occupava delle cose dell'anima, il papa, si dichiarava superiore a colui che doveva regolare le cose della vita terrena: l'imperatore. Al di là delle questioni di principio vi erano poi questioni pratiche che avevano un peso enorme sulla vita sociale e politica dell'Europa medievale. Di fronte a vescovi che erano contemporaneamente anche conti, e quindi esercitavano un potere politico oltre che religioso, si poneva il problema di stabilire chi tra il pontefice e l'imperato- re dovesse avere la facoltà di eleggerli, cioè di investirli. L'uomo che diventava, per esempio, vescovo-conte di Trento, doveva acquisire automaticamente il titolo di conte perché il papa lo nominava vescovo di quella città, oppure doveva diventare vescovo perché l'imperatore lo designava 1 a essere conte? E, in definitiva, a chi spettava la scelta dell'individuo da investire? L'organizzazione sociale ed economica La struttura della società medievale è di tipo piramidale, con l'aggravante che i sudditi devono rispondere non solo agli ordini delle autorità laiche, ma anche a quelli delle autorità ecclesiastiche. La loro condizione peggiorerà quando scoppierà apertamente il conflitto tra papato e Impero: le comunità verranno coinvolte in lotte anche sanguinose e soffriranno della continua situazio- . ne di incertezza politica e di confusione sul piano istituzionale. Ciononostante la società di questo periodo è ricca di fermenti che preludono senza dubbio a una richiesta di maggiore autonomia dei sudditi verso le autorità e annunciano la nascita del fenomeno dei Comuni. Questi fermenti sono soprattutto riscontrabili nell'ambito religioso. Intere comunità trovano l'ardire e la forza di ribellarsi contro gli ecclesiastici corrotti e di criticare apertamente anche il comportamento dei feudatari e perfino dell'imperatore. Il commercio sta lentamente riprendendosi e questo porta una continua circolazione di informazioni e di idee nuove che smuovono la situazione. Si sta creando una classe intermedia tra i nobili e i lavoratori, la classe della borghesia, che nel Basso Medioevo assumerà le redini dell'economia e sarà l'elemento trainante della rinascenza dell'Europa sul piano sociale, economico e anche politico. L'economia di questo periodo rimane essenzialmente un'economia agricola e, in molti luoghi, di pura sopravvivenza, ma nelle campagne viene bloccato il continuo avanzare delle selve e si ampliano gli spazi dedicati ali' agricoltura. ~ D Mo conda agrico inseg tecnic siste campi sono che a nicam La nascita dell'Inquisizione medievale Nel 1229, durante il concilio di Tolosa, in Francia, fu usata per la prima volta la parola Inquisizione. Il termine deriva dal latino inquirere, che significa "indagare", e infatti l'Inquisizione fu uno speciale tribunale ecclesiastico inçaricato di reprimere l'eresia. I fedeli che venivano a conoscenza di un qualunque comportamento religioso non conforme alla dottrina o alla morale cristiana, di stregonerie, di sacrilegi, di convegni religiosi segreti o non autorizzati, e quant'altro, avevano non solo la facoltà mal' obbligo di denunciarlo, pena l'essere considerati corresponsabili. Ed è facile immaginare a quali arbitrii e abusi potesse dar luogo questa facoltà. I presunti eretici erano sottoposti a un'indagine durante la quale era ammessa la tortura come mezzo di persuasione a confessare [ E:Bl Gli sviluppi successivi Già con Innocenzo III (1198-1216) si passò da un sistema giuridico che istruiva processi basandosi su precise accuse a un sistema che consentiva al- 1' autorità ecclesiastica di procedere d'ufficio incarcerando chiunque risultasse anche vagamente sospettato. Questa procedura, ovviamente, permise una repressione veloce ed efficace di qualsiasi movimento eretico o, comunque, eterodosso, ma provocò anche la morte o la rovina di un numero altissimo di innocenti. Gregorio IX ( 1227 -41) nel 1231 attribuì poteri quasi illimitati a un prete, Conrad di Marbourg, il 1 quale divenne tristemente famoso per la sua violenza. Nel 1233 Gregorio IX rese ufficiale l'istituto della Sacra Inquisizione, i cui compiti furono affidati ai domenicani. Un altro inquisitore famoso per la sua crudeltà fu Robert le Petit, soprannominato le Bougre, il losco. La sua carriera culminò con il famoso eccidio del monte Saint-Aimé, dove il 13 maggio 1239 furono bruciate sul rogo 183 persone. Un altro sviluppo giuridico importante si ebbe nel 1252, quando Innocenzo IV, con la bolla Ad extirpanda, affermò che la tortura «serve a portare alla luce la verità». Le procedure del tribunale dell'Inquisizione Vediamo ora alcune delle procedure adottate dal sistema dell'Inquisizione. Se l'eretico si denunciava spontaneamente rice- _veva, di solito, pene lievi: l'autodenuncia doveva avvenire entro un periodo preciso (in genere, non B isogna considerare che nel Medioevo la giustizia, anche quella civile, si basava di non giungere mai a versare il sangue o a mutilare. legare il presunto reo a un cavalletto con canapi che si avvolgevano intorno al corpo e alle estremità; accorciando la lunghezza delle corde il carnefice le faceva penetrare nel corpo del torturato); sul terrore che doveva incutere la pena. Quindi, l'uso della tortura costituiva una prassi diffusissima, per nulla scandalosa o immorale agli occhi della gente del tempo, e altrettanto normali apparivano le atroci sofferenze o la morte inflitte in pubblico ai condannati. I metodi dell'ln_quisizione, dunque, erano tutt'altro che fuori del comune e l'Inquisizione stessa era considerata lo strumento legittimo con cui la Chiesa difendeva se stessa e l'ortodossia religiosa, elemento irrinunciabile dell'ordine civile. I tribunali dell'Inquisizione, però, prescrivevano, almeno formalmente, Alcune categorie di persone erano, comunque, esentate dalla tortura: in particolare, i nobili, i militari e gli ecclesiastici. In questi casi la loro parola d'onore doveva essere creduta senza esitazioni. Altri esentati erano i bambini, i vecchi, le donne incinte e le puerpere. Chiunque poteva chiedere una visita medica e, se il medico era d'accordo, la tortura non veniva applicata. I più comuni sistemi di tortura erano: - i tratti di corda (l'inquisito, con le mani legate dietro la schiena, veniva sollevato più volte in aria con un sistema di carrucole e poi fatto cadere); - il cavalletto (che consisteva nel - il fuoco (si ungevano i piedi dell'imputato per poi avvicinarli a una fonte di calore); - le cannette (si stringevano con appositi strumenti le dita giunte del tormentato); - la veglia (si impediva al torturato, legato a un sedile, di dormire per un periodo che poteva arrivare a quasi due giorni); - la toca (era un procedimento più complicato: la vittima veniva immobilizzata su un telaio inclinato, costretta a spalancare la boe- oltre un mese dall'arresto), detto "periodo di grazia". Quando l'imputato aveva lasciato passare questo termine, proclamando la sua innocenza, veniva messo a confronto con testimoni e poi affidato alle autorità civili. La detenzione durava per un tempo indeterminato, che dipendeva dal comportamento del presunto reo. Per ottenere una confessione o un'abiura poteva essere applicata la tortura, uno strumento processuale che veniva regolarmente usato anche nei processi diversi da quelli dell'Inquisizione. Il processo terminava con il rito dell' autodafè (" atto di fede"), una cerimonia solenne con messa, predica e lettura delle sentenze. Questo rito doveva dimostrare la potenza, ma anche la misericordia, dell'Inquisizione, che si sforzava di riportare le anime smarrite sulla strada della verità. Le sentenze erano di vario tipo: con l'abiura, cioè la rinuncia esplicita ai comportamenti tenuti prima dell'arresto, si aveva, di solito, l'assoluzione, oppure poteva essere comminata una pena deten- , tiva o di morte. Nel1 caso della pena di morte, il condannato veniva bruciato vivo o impiccato. Il rogo veniva imposto anche a condannati già morti e in questo caso si faceva bruciare il cadavere. Era ammesso anche l'appello al papa e, in qualche raro caso, il pontefice corresse la sentenza dei giudici e, addirittura, destituì quelli più severi. Nei casi più lievi la sentenza prevedeva un pellegrinaggio, riscattabile con il versamentq di elemosine. 1\1 In questo affresco di Andrea di Bonaiuto (XIV secolo) san Domenico cerca di persuadere gli eretici e di riportarli sulla strada della corretta dottrina cristiana. ca nella quale veniva introdotto un panno che costringeva il torturato a inghiottire tutta l'acqua che veniva versata lentamente. Nel 1260 una bolla di Alessandro IV stabilì i rapporti tra eresia e stregoneria e definì tutte le categorie dei sortilegi. Ecco alcuni capi d'accusa: - rinnegano Dio, lo bestemmiano e adorano il diavolo; - consacrano a Satana i loro bambini nel ventre materno e spesso glieli sacrificano; - promettono a Satana di attirare al suo servizio tutti coloro che potranno; - giurano nel nome del demonio e se ne vantano; - non rispettano alcuna legge; - uccidono le persone, le fanno bollire e le mangiano; si nutrono anche della carne degli impiccati; - fanno morire la gente con veleni e sortilegi; - fanno morire il bestiame; - fanno perire i frutti e causare la sterilità. Il sospetto o la sospetta venivano preventivamente visitati da un medico che aveva il compito di accertare se esistevano i sintomi di possessione del demonio. Alcuni di questi sintomi erano: - il paziente non può dire in quale parte del corpo sente il dolore, anche se è molto malato; - emette sospiri tristi e pietosi senza alcuna causa legittima; - perde l'appetito e vomita la carne mangiata; se ha lo stomaco contratto e chiuso o se gli sembra di averci dentro qualcosa di pesante; - sente calori pungenti e altri spasimi acuti nella regione del cuore, tanto che gli sembra che qualcosa lo roda e lo smembri a pezzi; - suda leggermente, anche durante la notte, quando il tempo e l'aria sono molto freddi; - si sente ebete e dice sciocchezze, oppure sia preso da malinconia. Se guarda storto. Se gli sembra di vedere qualche fantasma. Sulla base della diagnosi, si procedeva al processo oppure si liberava l'arrestato. Le nuove comunità urbane che si svilupparono nel corso del Basso Medioevo ebbero inizialmente una popolazione modesta, spesso non più di qualche migliaio di abitanti. Ma presto, molte persone si riversarono in città dalla campagna: soprattutto servi della gleba sfuggiti alla schiavitù, ma anche signori e guerrieri. !.:inurbamento di persone appartenenti a classi sociali diverse mise in circolazione nuove idee, progetti e attività, stimolò una maggiore mobilità sociale e favori' l'intraprendenza economica. Le città divennero cosi' centri di propulsione dei commerci, degli scambi mercantili e delle attività artigiane. Le cinte murarie che proteggevano i centri urbani andarono via via allargando il loro perimetro, mentre all'interno ogni spazio libero veniva occupato da abitazioni~ addossate l'una al!' altra. Ma sorsero anche palazzi e spesso, soprattutto in Italia, abitazioni private a forma di torre, che svettavano sulla città come simboli del!' orgoglio di un casato illustre, o che si era conquistato la ricchezza con le sue attività economiche. Lo sviluppo delle città, avviato durante il Medioevo, non si è più arrestato; con la Rivoluzione industriale il numero degli abitanti delle città ha superato quello delle campagne. Oggi è molto dii/uso il fenomeno delle megalopoli~ ovvero intere regioni urbanizzate formate dalla connessione di più aree metropolitane caratterizzate da intensi legami territoriali e funzionali. Secondo studi recenti, nei prossimi decenni più dell'80% della popolazione vivrà in aree densamente urbanizzate. L'assetto politico europeo Nei primi decenni dell'XI secolo l'Europa non aveva ancora raggiunto un assetto politico stabile. É\ ra caratterizzata, infatti, dal frazionamento politico e territoriale provocato dal sistema feudale e / i grandi Stati nazionali, che sarebbero stati i pro- \\'~agonisti della storia dell'Europa moderna, erano \m corso di formazione o non esistevano affatto. I re di Francia dovevano ancora combattere una lunga lotta contro i poteri feudali prima di riuscire a imporre la propria autorità. Nelle isole britanniche era appena iniziato il processo di unificazione fra il Regno di Inghilterra e quello di Scozia. La penisola iberica era divisa fra la parte sottomessa agli Arabi e alcuni piccoli regni cristiani nel Nord che, fin dall'XI secolo, avviarono una serie di guerre di liberazione: la cosiddetta Reconquista. r\L'ltalia risultava frazionata, in parte legata alla Germania e all'Impero, in parte controllata dallo LStato della Chiesa, in parte, nell'Italia meridionale, sottoposta al dominio dei Normanni. Nell'Impero degli Ottoni la presenza di gerarchie ecclesiastiche, con ampi compiti di governo e di giurisdizione, aveva acceso un conflitto che aveva generàto la cosiddetta lotta per le investiture. Le linee diretti dell'es ansione e opea Parallelamente a processi di risveglio economico, sociale e culturale, nonostante le frammentazioni e le lotte intestine, l'Europa cristiana manifestò P er ricostruire questo periodo le fonti sono numerose e di diversa natura. Per l'aspetto letterario spiccano fra tutti alcuni scrittori che con le loro opere hanno segnato un'epoca e hanno poi fornito temi che sono stati sviluppati anche dalle letterature successive, fino ai nostri giorni. Verso l'XI e il Xl I secolo le leggende celtiche confluiscono nella corrente della cultura francese ed europea e cominciano a perdere la loro più evidente connotazione mitica e pagana per trasformarsi in romanzi di cavalleria. Così, per esempio, le antiche leggende sul re Artù diventano fatti storici, reali; gli autori, infatti, trasformano l'ambientazione storica, sociale e psicologica delle loro opere e l'aggiornano alla vita e ai gusti del proprio pubblico medievale. Il principale artefice di questa trasformazione fu Goffredo di Monmouth con la sua Historia Regum Britanniae, apparsa in Inghilterra nel 1135 con l'intento di fornire un resoconto scritto della storia della Britannia dai tempi antichi alla conquista sassone. Goffredo si pres~nta quindi come uno storico, e il suo Artù, che per la prima voi- luoghi La prima crociata, guidata da Roberto di Normandia, Goffredo di Buglione, Baldovino di Fiandra, Raimondo di Tolosa, Boemondo di Taranto, espugna Gerusalemme il 15 luglio 1099. Vengono poi creati quattro fragili domini cristiani: la Contea di Edessa, il Regno di Gerusalemme, il Principato di Antiochia, la Contea di Tripoli. La seconda crociata, guidata dall'imperatore Corrado lii e dal re di Francia Luigi VII viene sconfitta dai musulmani perché, a causa delle rivalità politiche fra i due sovrani, i due eserciti cristiani affrontano separatamente i musulmani. La terza crociata, guidata dall'imAila peratore Federico Barbarossa e alla quale partecipano il re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e il re di Francia Filippo Il Augusto, si propone invano di liberare Gerusalemme che era stata riconquistata dai musulmani di Saladino. Con la quarta crociata i principi cristiani conquistano Costantinopoli e BA SSO ME DI OEVO 1150 1202 Viene bandita la quarta crociata, che conquista Bisanzio 1202 In Italia viene introdotto l'uso delle cifre arabe 1212 Gli Arabi vengono sconfitti nella battaglia di Las Navas de Tolosa 1217 Una grave carestia colpisce l'Europa 1228 Francesco d'Assisi viene dichiarato ~ 89 -- In Inghilterra sale I al trono Riccardo Cuor di Leone 1270 Parte l'ottava crociata, al comando di Luigi IX La Reconquista della Spagna La Spagna era stata invasa dagli Arabi nell'VIII secolo, ma la zona settentrionale era sempre rimasta nelle mani dei cristiani. In questa regione della penisola iberica si erano formati con il tempo i piccoli Regni delle Asturie, di Le6n, di Aragona e di Castiglia, che via via si erano ingranditi a spese degli Arabi. Il tentativo di riconquista, la Reconquista della Spagna, aveva avuto inizio subito dopo l'occupazione araba e, per secoli, si erano verificate incursioni al Sud con ruberie e scarestarono a lungo, fermi nelle loro posizioni e tagliati fuori dal mondo carolingio dalla barriera frapposta ai passi occidentali dei Pirenei dalle tribù basche - quelle stesse che, alla fine dell'VIII secolo, avevano sconfitto l'esercito franco a Roncisvalle. Il lento addomesticamento delle tribù selvagge, che furono civilizzate e cristianizzate a un tempo, stabilì dei collegamenti fra la Gallia, da una parte, e il Le6n, le Asturie e i monti della Navarra e dell'Aragona dall'altra. Ne fu simbolo l'inizio e il rapido successo dei pellegrinaggi a San Giacomo di Compostella nell'uhimo terzo del X secolo. Lungo le strade che conducevano all'estremità della Galizia giunsero sempre più numerosi prelati, signori dei principati aquitani con il loro seguito di ecclesiastici e guerrieri, e gente del popolo. Il passaggio delle comitive di pellegrini, la maggior parte dei quali si erano procurati del denaro ipotecando la propria terra o prelevando una parte del proprio tesoro per consacrarla a Dio, agì da stimolo per i numerosi luoghi di sosta di questi pii itinerari. Fra coloro che viaggiavano verso Compostella, i membri dell'aristocrazia laica, la ramucce; la situazione, tuttavia, non si era modificata molto [ LETTURA]. La grande svolta si ebbe quando giunsero in Spagna numerosi monaci dell'ordine cluniacense che con la loro infiammata predicazione trasformarono la Reconquista · in una gue, di,-religiQ.ne, in una guerra santa. Nel 1063 poi papa Alessandro II concesse l'indulgenza plenaria a tutti coloro che avessero partecipato alla guerra contro gli infedeli. Le tappe fondamentali della Reconquista furono le seguenti. Nel 1085 il re Alfonso VI di Castiglia entrò trionfalmente in Toledo, al centro della Spagna, e successivamente occupò la regione tra i fiumi Duero e Tago. Nel 1118 cadde Saragozza, che divenne la capitale del Regno di Aragona. Nel 1139 la sconfitta degli Arabi a Ourique portò alla nascita del Portogallo. Il--12.ll è la data decisiva: la coalizione dei re di Castiglia, di Aragona e di Navarra contro il califfo di C6rdoba portò alla vittoria nella battaglia di Las Navas de Tolosa. Successivamente verranno conquistate anche le Baleari e gli Arabi si ridurranno al Regno di Granada. Il ripopolamento della Spagna La Reconquista della ' Spagna si accompagnò a un sistematico ripopolamepJo dei suoi territori. I --·- una nuova capacità espansiva sul piano politico e militare. Verso la fine dell'XI secolo, infatti, si invertì completamente il movimento di invasioni che, fino ad allora, aveva caratterizzato lo scenario europeo. Furono gli occidentali a muovere verso sud e verso est. L'espansione avvenne principalmente a spese del mondo islamico: i musulmani furono cacciati dalla Spagna (sebbene non del tutto) e dalla Sicilia, e la liberazione della Terra Santa divenne l'obiettivo di imponenti spedizioni oltremare: le crociate. Anche l'Europa orientale fu interessata da un moto espansivo: nell'XI e XII secolo, grandi masse di popolazioni germaniche, stanziate lungo il fiume Elba, si spinsero verso est, alla ricerca di nuove terre nelle grandi pianure orientali del continente. Era dai tempi dell'Impero romano che ciò non accadeva. Carlo Magno e poi gli Ottoni avevano cercato di ricomporre l'estrema frammentazione politica d.el continente, ma rispetto alle invasioni che minacciavano l'Europa (Arabi, Normanni, Ungari) l'atteggiamento era stato difensivo: si trattava di bloccare l'avanzata di questi popoli. L'Europa, insomma, non aveva avuto forze sufficienti per gestire le lotte di potere al suo interno e allo stesso tempo proiettarsi all'esterno. A partire, invece, dall'XI e XII secolo, prese forma una tendenza all'espansione che avrebbe portato gli europei a diventare dominatori di gran parte del mondo. La ricerca di nuovi merca · La rinascita economica spingeva gli europei alla conquista di nuove rotte marittime e di nuovi mercati. L'Impero bizantino, al contrario, aveva imboccato la strada di una lenta ma inarrestabile decadenza; quindi non fu alleato dell'Occidente nella lotta antimusulmana (se non per il solo Medio Oriente e per un breve periodo), anzi ne subì l'aggressività politica ed economica. In Spagna, e ancor più in Terra Santa, lo scontro con i musulmani assunse inevitabilmente i toni di una guerra di religione, di una lotta contro l'"infedele", che si mescolava con le vere ragioni, quelle di conquista economica e politica che, con pochissime eccezioni, spinsero i re e i principi europei all'impegno militare. ta appare dalla nascita alla morte, perde molti dei tratti sovrumani e soprannaturali per assumere quel- 1 li del grande guerriero e re medievale, una sorta di Carlo Magno britannico. La Historia ebbe un'immediata popolarità e certo fornì il canovaccio su cui furono poi tessute opere letterarie più sofisticate. Ricordiamo Chrétien de Troyes, che scrisse romanzi d'ambiente bretone e soprattutto la storia, rimasta incompiuta, di Parsifal (il cavaliere che dedicò la sua vita, secondo la leggenda, àlla ricerca del Sacro Graal, il calice dove venne raccolto il sangue di Gesù Cristo), Wolfram von Eschenbach, che continuò il racconto su Parsifal di Chrétien de Troyes, e il grande ciclo di romanzi e poemi dedicati ai cavalieri della Tavola Rotonda. Da ricordare anche Goffredo di Strasburgo, che raccontò il drammatico amore di Tristano e Isotta. Per l'aspetto architettonico parlano da sole le grandi cattedrali, sia romaniche che gotiche, erette in tutta Europa in questo periodo. Le crociate, poi, sono state raccontate da numerosi storici, sia cristiani che arabi. n ·aspetto non secondario della spinta europea ali' espansione furono, nel XII e XIII secolo, le prime scoperte geografiche e i grandi viaggi in paesi sempre più lontani, intrapresi sia da missionari, per diffondere il Cristianesimo, sia da uomini mossi dal desiderio di avventura e da interessi economici. All'inizio del Trecento furono scoperte le isole Canarie, che inaugurarono la grande stagione di esplorazione atlantica da parte di Portoghesi e Spagnoli. Del resto, i mercanti cristiani avevano già cominciato a muoversi lungo i litorali dell'Africa settentrionale, penetrando anche nel deserto del Sahara. Un interesse e un fascino particolare suscitava la Cina, pressoché sconosciuta agli europei. Si sapeva che era un paese enorme, dominato dalla mitica figura del Gran Khan, un paese che si supponeva ricco e raffinato, come testimoniavano i preziosi manufatti (porcellane, sete) che da lì giungevano in Europa. La famiglia Polo in Cina #/ Fra il 1261 e il 1269 i fratelli veneziani Matteo e Niccolò Polo riuscirono a raggiungere la Cina, percorrendo le antichissime vie carovaniere della seta e delle spezie, e vi si fermarono a lungo. Nel 1271 ripresero la via dell'Oriente e dopo tre anni raggiunsero di nuovo la Cina, questa volta assieme al giovane figlio di Niccolò, Marco. Questi servì onorevolmente il Gran Khan per parecchi anni, svolgendo funzioni di ambasciatore e di funzionario statale e rivestendo per tre anni l'incarico di governatore della città di Yangchow [ DOC. P. 247]. Nel 1295 tornò a Venezia, ma nel 1298 Marco cadde prigioniero dei genovesi, tradizionali nemici della città lagunare, e in carcere dettò una sorta di brogliaccio di viaggio a un compagno di prigionia, che lo trascrisse nel francese del tempo. Quest'opera, Il Milione ( che era il soprannome della famiglia Polo, derivato da un loro antenato), ebbe una grande importanza per la conoscenza del lontano Oriente e contribuì a segnare l'inizio di una nuova epoca: quella in cui l'uomo europeo, spogliatosi delle paure dell'Alto Medioevo, si affacciava al mondo esterno con sguardo curioso e indagatore, con il piglio del conquistatore sicuro dei propri mezzi. Il Marco Polo tratta l'acquisto di perle e di turchesi con Kubilay Khan nella valle del Yalong. musulmani, chiamati moriscos, vennero relegati iJ ghetti, assieme agli ebrei, e dovettero pagare ~ / partic_o~are tributo. In_g~nerale pr~valse uno_ sp}' rito d1 mtolleranza e d1 v10lenza umta a fanatismo I e i cavalieri che avevano partecipato alla Reconquista portarono in Spagna le strutture del mondo feudale, provocando un deciso arretramento della cultura e della civiltà di quei luoghi. Anche i commerci e le attività produttive stimolati costantemente dagli Arabi vennero meno e la cui vocazione era di combattere, e i loro fratelli chierici, che non avevano affatto dimenticato come si brandiva una spada, misero anche il sostegno della loro potenza militare a disposizione dei capi locali. Da decenni costoro combattevano contro gli infedeli, e le fasi alterne di successi e rovesci li conducevano talvolta, al di là della terra di nessuno che costituiva la frontiera, in quelle regioni prospere e piene di cose da rubare su cui si esercitava l'egemonia dell'Islam. Assistiti dai guerrieri giunti dall'altra parte dei Pirenei, essi poterono spingere fulminee incursioni nel territorio nemico, ritornando carichi di bottino. Ben presto riuscirono a imporre dei tributi ai principi musulmani, che il declino del califfato di C6rdoba aveva reso indipendenti, ma isolati l'uno dall'altro. Queste entrate regolari in moneta d'oro arricchirono nell'XI secolo tutti i sovrani cristiani di Spagna. Gli echi di questa guerra sempre più fortunata risonarono poi per lungo tempo nelle leggende epiche dell'Occidente e mantennero m vita un'affascinata nostalgia per quelle meravigliose spedizioni di saccheggio. Esse incanalarono verso i cns1 economica conseguente fu particolarmente grave. Dopo un periodo di lotte intestine, la situazione politica della penisola iberica si stabilizzò in questo modo: - a ovest si affermò il Regno del Portogallo; - al centro il Regno di Castiglia assorbì il Le6n; - a est il Regno di Aragona inglobò la Catalogna, dove sorgeva l'importante città di Barcellona, e il catalano divenne la lingua del regno; - il Regno di Navarra venne assimilato dalla Francia. piccoli Stati di montagna dei prigionieri, come gli schiavi musulmani che "abbaiavano come cani" ed erano scherniti dalle popolazioni del Limosino quando dei cavalieri pellegrini portarono simili curiosità al di là dei Pirenei, e i raffinati oggetti dell'artigianato mozarabico, di cui si conservano tuttora alcuni esemplari nei tesori delle chiese francesi. Per la Cristianità, questa guerra fu una fonte di metalli preziosi forse più abbondante delle miniere sassoni. Essa procurò argento, come quello che una banda di guerrieri vittoriosi raccolse sui cadaveri di un campo di battaglia e offrì all'abbazia di Cluny: se ne servì l'abate Odilone per decorare, nella prima metà dell'XI secolo, gli altari del santuario. Essa procurò oro, anche, e in tale abbondanza che cinquant'anni più tardi il re di Castiglia poté istituire in favore della comunità cluniacense un'enorme rendita annuale, stimata in moneta musulmana, che fu impiegata dall'abate Ugo per ricostruire, in grande stile, la chiesa abbaziale. da G. Duby, Le origini del!' ec;onomia europea, La terza, Roma-Bari 1975 Normanni che si insediarono al Centro e al Nord dell'isola. Qualche anno dopo la morte di Alfredo il Grande, il re di Danimarca Canuto il Grande (995 ca.- 1035) riuscì a formare un regno composto da Inghilterra, Norvegia e Danimarca, che però ebbe breve vita. La situazione si stabilizzò definitivamente verso la metà dell'XI secolo, quando Guglielmo di Normandia, re dei Danesi stanziati nella Francia del Nord, con la vittoria a Hastings nel 1066, si impadronì dell'intera Inghilterra, oltre che della corona inglese. La situazione dell'Italia meridionale Gli Arabi avevano conquistato la Sicilia sottraendola all'Impero bizantino nel IX secolo. Come in Spagna, anche qui la dominazione araba aveva introdotto nuove colture, in particolare gli agrumi e il cotone, realizzato imponenti opere d'irrigazione e innalzato splendidi monumenti, tanto che Palermo era una delle città più importanti del Mediterraneo. Nel resto dell'Italia meridionale, nell'XI secolo, sopravvivevano vecchi ducati longobardi (in Campania, Puglia e Calabria), possessi dell'Impero di Bisanzio, alcuni domini papali, e si erano affermate città libere come Amalfi. In tale situazione di frazionamento politico e, quindi, di intrinseca debolezza, all'inizio dell'XI secolo, cominciarono a operare piccoli gruppi di mercenari normanni, che si misero al servizio dei potenti locali. Tra questi, la famiglia Hauteville (Altavilla), che si inserì abilmente nel gioco delle rivalità tra Arabi di Sicilia, Bizantini di Puglia e di Calabria, principi longobardi, imperatori tedeschi e papato, riuscendo a ottenere il possesso della Contea di Melfi. La cqnquista normanna della Sicilia A Melfi, nel 1059, fu stipulato un accordo tra il papato e i Normanni: questi si impegnarono a giurare fedeltà al papa, dichiarandosi suoi vassalli e promettendo appoggio militare in caso di necessità, mentre il pontefice conferì a uno dei loro capi, Roberto il Guiscardo, che vuol dire "l'astuto", il titolo di duca delle Puglie, della Calabria e della Sicilia. Una volta legittimata la sua posizione, Roberto conquistò Bari, potente città bizantina, e subito dopo Salerno, un dominio longobardo. Suo fratello, Ruggero d' Altavi~, intraprese la conquista della Sicilia araba, che portò a termine nel 1091. Ruggero divenne conte di Sicilia e suo Marco Polo alla corte del Gran Khan Questo brano del Milione descrive la grande stima che Marco seppe guadagnarsi alla corte del Khan e come inviato nelle ,ì:1merose missioni ufficiali àffidit;zg/i nelle province di Shansi, Shensi e Szechwan, lungo i confini del Tibet e nella Birmania sétterìtr0nale. E siccome [Marco] ben conosceva, per averlo visto e udito più volte, come il Gran Khan, quando tornavano i messaggeri da lui inviati nelle varie parti del mondo e gli espone- / vano"!' ambasciata per cui erano stati spediti, se non sapevano dirgli altro sui paesi ov' erano stati, solesse chiamarli stolti e ignoranti e dire che assai più lo interessavano le novelle e i costumi e le usanze di quei remoti paesi che quello per cui li aveva mandati, ciò ben sapendo, quando andò in quella ambasceria, Marco fu attento a tutte le novità e a tutte le cose inusitate che incontrava, per poterle ridire al Gran Khan che molto le ebbe care, moltissime e svariate cose mirabili. Tornato che fu dalla sua ambasceria, Marco si presentò dinanzi al Gran Khan e gli riferì tutta la faccenda così bene e così saviamente che il Gran Khan e tutti quelli che lo udirono ne furono molto meravigliati, e si dicevano l'uno ali' altro: se questo giovane camperà, non può mancare di divenire uomo di gran senno e di gran valore. Ma perché andar per le lunghe? Fatto sì è che messer Marco rimase ben diciassette anni presso il Gran Khan e in tutto quel tempo non cessò di compiere ambascerie. Poiché vedendo con che abbondanza gli arrecava novelle di ogni paese e con che perizia portava a compimento tutti i negozi per cui era inviato, subito il Gran Khan a lui l'affidava. E messer Marco eseguiva egregiamente ogni incarico e sapeva raccontare molte novità e molte cose inusitate. E tanto piaceva al Gran Khan il comportamento di messer Marco che gli voleva molto bene; e lo trattava con tanto onore e lo teneva in tanta intimità che gli altri baroni ne erano molto dolenti. Or dunque, se messer Marco conobbe come L'espansione dei Normanni /\ I !;Normanni in lnghilte Nel IX e X secolo i Normanni furono pr~ g~ Dopo il crollo dell'Impero romano d'Occidente, si sti prima di frequenti scorrerie e poi di vere con- i era verificata in Inghilterra una massiccia infiltraquiste territoriali in Europa. In Normandia, agli zione di popolazioni germaniche, gli Angli e i Sasinizi del X secolo, nacque un ducato vassallo del- soni, che avevano formato sette la corona di Francia; e, proprio dalla Normandia regni, la cosiddetta eptarchia. partì, come vedremo, la conquista normanna del- All'inizio del IX secolo l'eptarl'lnghilterra. I Normanni svedesi, i Vareghi, navi- chia dovette coalizzarsi contro i gancio lungo il corso dei grandi fiumi, penetraro- Danesi e i Norvegesi che in nuno nelle pianure della Russia e costituirono i Prin- mero sempre più grande sbarcacipati di Novgorod, Smolensk e Kiev. Da qui, vano sulle coste inglesi. Per consempre seguendo il corso dei fiumi, entrarono in trastare i Normanni si formò una contatto con l'Impero d'Oriente e con gli Arabi, coalizione dei regni dell'Inghilarrivando anche a mettere Bisanzio sotto assedio terra meridionale sotto la guida per ben cinque volte dall'843 al 1043. di Alfredo il Grande, il primo re I Principati di Novgorod, di Smolensk e di Kiev inglese (871 -899). Alfredo diede costituirono il primo nucleo del futuro Stato rus- all'Inghilterra le prime leggi, istiso e diventarono centri di irradiazione della cul- tuì scuole e biblioteche e creò un tura e dell'arte bizantina in tutte le comunità dei circolo di intellettuali che con le Vareghi stanziati nelle pianure della Russia. Nel loro opere diedero inizio alla co- 989 iniziò la cristianizzazione del Principato di siddetta cultura anglosassone. Kiev e i principi adottarono nomi slavi al posto di Pur essendo un eccellente comquelli originari scandinavi. battente, non riuscì a fermare i L'espansione politica era spesso anticipata da una espansione economica, della quale era una logica conseguenza. Città come Milano, Firenze, Venezia che potevano disporre di una quantità straordinaria di capitali, e in cui fiorivano le attività commerciali e imprenditoriali, già da tempo controllavano la vita economica delle piccole città e delle campagne sulle quali poi, in seguito, esercitarono anche un potere politico. A favorire questa ricomposizione politica vi furono anche le numerose conflittualità locali. Analogamente a quanto accadeva nelle grandi città, anche nelle città più piccole e nei borghi lo scontro tra partiti assumeva caratteri assai violenti, tanto che i cittadini, pur di ottenere la pace, accettavano di perdere la loro autonomia comunale rimettendo i poteri al potente signore di una grande città. Mentre in molte aree dell'Europa la ricomposizione territoriale attuata dalle monarchie tendeva in genere ad avere dimensioni nazionali, in Italia la ricomposizione politica diede vita a piccoli Stati che ebbero al loro centro le città più importanti. Alcuni Comuni più ricchi e potenti riuscirono a estendere la loro egemonia su un territorio abbastanza vasto da raggiungere nel XIV secolo le dimensione di uno Stato regionale. L'aristocrazia del denaro Il commercio era, secondo i teologi, un'attività disonesta, anche se con l' awento della nuova società urbana si attenuarono i toni critici della Chiesa, che dovette riconoscere l'utilità di questa professione. I mercanti vendevano la merce a un prezzo maggiore di quello a cui l'avevano comperata, con un ampio margine di lucro. Nel XIII secolo i mercanti più ricchi costituivano l'élite dirigente delle città, ma l'aristocrazia trattava ancora con disprezzo questo patriziato urbano, non tanto in Italia, dove aristocrazia e plutocrazia si erano già mescolate, quanto nel resto d'Europa. Il commerciante cercò allora di emulare il nobile, investendo i propri risparmi nell' acquisto di proprietà fondiarie, unendosi in matti, monio con donne di estrazione aristocratica ma di modesta condizione economica, costruendo palazzi in pietra di grande bellezza, addobbando~ si riccamente e facendosi innalzare magnifici mo~ numenti funebri. Le comunità ebraiche videro accentuata la lor condizione di isolamento dopo il Concilio Latr! rano IV che, nel 1215, stabilì che gli ebrei dov' vano risiedere in abitazioni separate da quelle dei "gentili". Ma persecuzioni sistematiche e su vast scala erano cominciate da tempo, probabilmente con la prima crociata, quando nel 1096-97 gli ar, mati e le masse che si dirigevano in Terra Santa s· diedero alla caccia fanatica all'"infedele" lungo · loro cammino e fecero stragi di ebrei in Germani meridionale e in Europa orientale. Le stragi, par ticolarmente frequenti e feroci nel territorio rus so, dove si chiamarono pogrom, si intensificaron in tutta Europa ogni volta che la cristianità attra versava momenti di crisi. Spesso la motivazione religiosa non era che u fragile schermo al sistematico saccheggio degl averi degli ebrei che si erano arricchiti esercitan do l'usura, pratica considerata infamante per "gentili" e proibita ufficialmente dalla Chiesa ne 1179. La riscossione dei crediti presentava, peral tro, molte incognite perché spesso, .dopo aver prestato grosse somme a nobili o a sovrani, venivano scacciati senza potersi rivalere sui loro debitori, oppure disposizioni generali assolvevano i cristiani dagli obblighi contratti con gli ebrei. :• LA-SOCIETÀ E LE ISTITUZIONI Guelfi e ghibellini in Italia La storia dell'Italia dei Comuni è caratterizzata da frequenti e violentissime lotte fra partiti. La principale e più nota è quella tra guelfi e ghibellini. I termini "guelfo" e "ghibellino" sorsero in Germania al tempo delle contese per la successione imperiale (vedi p. 284). Anche in Italia, nel periodo in cui regnò l'imperatore Federico Barbarossa, si determinò questa divisione: singoli signori, Comuni, o fazioni interne ai Comuni furono ghibellini, cioè filoimperiali, altri furono guelfi, cioè filo papali. el XIII secolo la distinzione tra guelfi e ghibel- . i all'interno di ciascun Comune si sovrappose l complesso intreccio di interessi e di ambizioni ell' aristocrazia dominante, in particolare alle lote tra le grandi famiglie per il controllo del goerno cittadino. Spesso, la fazione che otteneva la upremazia si alleava con i Comuni dello stesso 'partito", appoggiandosi vicendevolmente nella oluzione di questioni territoriali contro i vicini, olitamente del partito avverso e, in ultimo, riceendo l'appoggio diretto o indiretto del papa opure dell'imperatore. n genere, comunque, sia i guelfi sia i ghibellini clifendevano l' autonomi9 comunale. noltre, costituivano schieramenti trasversali al- 'interno dei Comuni, cioè ognuno dei due comrendeva nobili, borghesi e parti del popolò. tanto, o non solo, di schieramenti definiti da contrapposte concezioni politiche e religiose, ma piuttosto di fazioni mosse da concreti interessi, da parentele, dalle varie clientele che gravitavano intorno alle famiglie più importanti; erano infatti assai frequenti i cambiamenti di fronte per cui una stessa famiglia passava più volte dall'una all'altra parte, a seconda delle circostanze e della convenienza. E spesso, di conseguenza, il dominio di un partito comportava l'espulsione dalla città degli esponenti dell'altro ( con l'esproprio dei loro beni), cioè fenomeni di epurazione degli avversari politici. La Signoria e la rkomposizion_e politica in Italia · Abbiamo già accennato al fatto che l'espansione delle città europee nel territorio circostante fu lenta e limitata, mentre il Comune italiano cominciò già in età èonsolare a imporre la sua egemonia sul contado, privando i signori rurali dei loro diritti di banno. L'influenza della città sulla campagna si affermò per motivi politici, militari ed economici. Assoggettando le terre che la circonda'vano, la città acquistava prestigio, era in grado di difendersi meglio da attacchi nemici, ma soprattutto si' ;ssicurava una fonte di approvvigionamento e, al tempo stesso, un mercato per i propri prodotti; infine, poteva controllare le vie di traffico terrestri e fluviali. tJ. Scuole monastiche .;. Scuole urbane L'organizzazione delle comunità universitarie Come già il Comune e le corporazioni di mercanti e artigiani si erano dati degli organi di autogoverno, così fecero anche queste nuove associazioni di insegnanti e di studenti. In Italia, per esempio, gli allievi eleggevano un rettore che governava la vita dell' universitas coadiuvato da un consiglio. n· rettore aveva il compito di de~idere i programmi di studio, il calendario e la tipologia degli esami, e anche di stabilire gli stipendi agli insegnanti e di infliggere punizioni più o meno severe a coloro che violavano lo statuto della comunità. I Comuni, soprattutto italiani, fecero ripetuti tentativi di estendere il proprio controllo alle corporazioni universitarie, ma non riuscirono a scalzare le prerogative e l'autonomia di queste associazioni, sostenute da provvedimenti imperiali e papali. Studenti e docenti, del resto, avevano anche un'altra arma per mantenere la loro indipendenza: minacciare il trasferimento in altra sede, cosa che avrebbe causato alla città una notevole perdita di prestigio e di guadagni. Gli studi universitari Per l'insegnamento di base, generalmente, il corso di studi prevedeva sei anni (dai quattordici ai venti circa), dedicati allo studio delle arti liberali; in seguito lo studente iniziava i corsi superiori, specializzandosi nel diritto canonico o in quello civile o in medicina, per i quali erano previsti altri sei anni, o in teologia, che aveva durata maggiore. Un allievo non frequentava quasi mai la stessa università per tutto il corso degli studi. Infatti seguiva il maestro nei suoi spostamenti, oppure si recava presso un doc~pte famoso in un'altra città, anche straniera, favorito dal fatto che il latino, la lingua ufficiale degli studi, era utilizzato ovunque. ortanti In breve tempo, alcuni centri universitari raggiunsero una notevole rinomanza, specializzandosi nello studio di una particolare materia. Bologna - ritenuta l'università più antica, fondata nel 1088 - fu un punto di riferimento per gli studi • LA CULTURA Dalle scuole monastiche a quelle pubbliche Fino all'XI secolo l'educazione veniva impartita presso i monasteri e, in misura minore, presso le sedi vescovili. Le scuole erano istituite prevalentemente per la formazione del clero, mentre sporadico era l'interesse dei laici per l'apprendimento. Le sottoscrizioni di documenti da parte di laici lasciano ipotizzare che l'alfabetizzazione fosse un poco più estesa di quanto non si credesse in passato; comunque coinvolgeva una ristretta minoranza e l'uso della scrittura e del latino rimase a lungo una prerogativa del · clero, dal momento he ogni produzione letteraria o dottrinale era di atrice ecclesiastica. corso degli studi era articolato nelle sette arti lierali: prevedeva in un primo tempo l'insegnaento del trivio, vale a dire la grammatica, la diaettica e la retorica, in seguito avveniva l'introduione ali' aritmetica, alla geometria, alla musica e al- ' astronomia, il cosiddetto quadrivio (vedi p. 74). Le nuove scuole comunali ell'XI secolo il corso di studi di tipo speculativo roposto nei monasteri non rispondeva più alla ecessità di un'istruzione pratica, legata allo sviuppo della nuova società urbana: i mercanti, per volgere la loro attività, avevano infatti bisogno di aper leggere e scrivere, di far di conto, di conocere almeno a grandi linee le norme del diritto che regolavano lo svolgimento dei traffici commerciali. Fiorirono quindi scuole private fondate da chierici che si misero al servizio delle famiglie borghesi per istruire i loro figli nei rudimenti del- 1' aritmetica, del diritto e del latino. In breve tempo, fu lo stesso Comune che fondò nuove scuole e ne stipendiò gli insegnanti; esso però esercitava anche un controllo sulle materie e sugli strumenti di apprendimento, indicando i libri da adottare e gli argomenti da trattare: erano nate così le prime scuole pubbliche. Le università Punti di riferimento per l'istruzione superiore rimasero le scuole cattedrali, che si moltiplicarono con il nuovo millennio. Queste scuole erano strettamente sorvegliate dall'autorità ecclesiastica, perché il permesso d'insegnamento era concesso dal vescovo; erano però male organizzate e non riuscivano a garantire una continuità del livello didattico, giacché i maestri celebri tendevano a spostarsi da una scuola all'altra con il' loro seguito di studenti. Proprio gli studenti e i docenti di queste scuole, ·seguendo l'esempio delle strutture corporative che si stavano affermando nelle città, nel XII secolo si organizzarono in gilde o, appunto, universitates. In Italia furono di solito gli allievi a prendere l'iniziativa, mentre in Francia furono i maestri che si unirono in corporazioni, con lo scopo di vedere riconosciuta, nell'ambito della vita urbana, una condizione di autonomia e di privilegio che li distinguesse dal resto della popolazione. to richiesti da allievi e maestri, dovevano essere disponibili in quantità maggiore che in passato e, per sveltire il processo di copiatura, il manoscritto veniva smembrato in fascicoli e affidato a un copista-studente che ne faceva più esemplari, venendo pagato dal proprietario del manoscritto per il suo lavoro. La condizione dello Ecco come Geoffrey Chaucer - scrittore inglese vissuto nella seconda metà del XIV secolo e autore dei Racconti di Canterbury (vedi p. 360) - descrive con piacevolezza e ironia la povera condizione di uno studente. A nche v'era uno studente di Oxford, che a lungo s'era affaticato con la logica; il suo cavallo era magro come il manico di un rastrello, e v'imprometto che grasso non era proprio neppur lui; guardava melanconico dall'occhio incavato; liso era il suo corto mantello del tutto, perché ancora non s'era procurato alcun benefizio, né tanto era mondano da trovare un impiego. Quanto a lui, gli era molI chierici va antes Con il proliferare in Europa delle univers1ta, si crea una figura particolare di studioso, il "chierico vagante". Bisogna tener presente che una laurea in una università prestigiosa richiedeva almeno quindici anni di studio e spesso nella stessa università to più caro d'avere in capo al letto una ventina di volumi intorno ad Aristotele e alla sua dottrina, di nero rilegati o di rosso, che non ricche robe, liuto o gaio salterello. Ma quantunque filosofo fosse, poco era l'oro nel suo scrigno; nondimeno quanto poteva procacciarsi dagli amici, in libri dispensava e in apprendere, e gran diligenza faceva a pregare per l'anima di quanti gli davano di che attendere alle scuole. Ogni cura e attenzione · dava allo studio; mai una parola sola pronunciava più del necessario, e quella diceva curando la forma e il rispetto, breve e pronto, d'alto intendimento; il suo discorso mirava alla virtù morale e non gli era meno gradito l'apprendere che non l'insegnare. giuridici nel solco di Imerio, illustre maestro bolognese di diritto. Parigi (1170) era nota, invece, per le facoltà di arti e soprattutto di teologia, che accolse grandi maestri e grandi discepoli, come Alberto Magno e Tommaso d'Aquino. Salerno fu eretta a università solo nel 1231, ma era il centro di una celebre scuola medica già dal X secolo [ BI]; in questo campo, mantenne a lungo la superiorità, sfruttando anche le conoscenze provenienti dal mondo arabo. Tra le altre università assumeranno grande rilievo anche Oxford (1167, il più antico ateneo inglese e tra i principali centri di speculazione teologica), Padova (1222), la spagnola Salamanca (1242), la francese Montpellier (1289), Pisa (1342) e la teesca Heidelberg (1386). La vita degli studenti All'interno dell'università si organizzarono anche delle associazioni di mutuo soccorso, i cui membri si raccolsero secondo criteri di provenienza: così a Parigi abbiamo le nationes (di Franchi, Normanni, Piccardi e Inglesi), e a Bologna i citramontani (Italiani) e gli ultramontani (gli stranieri). Nella loro condizione di stranieri e, generalmente, con scarsi mezzi economici [ DOC. P. 310], questi studenti avevano bisogno di luoghi dove dormire: si organizzarono così i primi collegi, spesso legati a istituti religiosi e a ospedali, dove trovavano un letto e un piccolo sussidio in cambio di qualche servizio. Una fonte di guadagno per gli studenti diventò la riproduzione dei manoscritti. I libri, infatti, molA Salerno, esisteva da secoli una scuola di medicina, non ancora assurta al randalla pratica e si affidava sostanzialmente al commento delle opere di filosofi e scienziati antichi, in particolar~ del greco' ArÌstoteÌe. I suoi docenti conoscevano perfettamente la medicina araba, ai tempi la più evoluta del mondo, e fin dal IX secolo affluivano a Salerno malati di tutta Europa, attratti dalla fama dei suoi medici e quindi dalla speranza di una sicura guarigione. al rango -di u no, per diven di studio d_i l go di università; ma famosa per il livello dei suoi studi. La sua caratteristica fondamentale era là sperimentazione diretta attraverso l'esame dei cadaveri, in un'~poca in cui lo studio rifuggiva tò'talmente Tra l'XI e il Xli secolo la scuola si liberò di tutti i docenti appartenenti al clero e divenne totalmente laica, iniziando una vasta produzione scritta in cui venivano copiati larghi tratti dell'opera di Galeno e di Ippocrate. Più tardi, la scuola assunse sue caratteristiche' originali, realizzando una felice sintesi tra la cultura medica bizantina, ebrea e araba. L'opera più importante è senza dubbio il Manuale di Chirurgia di Ruggero Frugardo, ma quella più famosa è il Fior sanitatis ("Fiore della salute"), una raccolta di consigli sull'alimentazione e sull'igiene, dettati dall'esperienza quotidiana, che sono ancora oggi citati. Nel 1240 Federico Il fissò il curriculum studi dei futuri medici di Salerno, facendo assurgere la scuola va concedere senza il parer salernitani e dimostrare d1 giovani e pi quella di Mo quelle di Pad queste scuoi obbligatoria ne di un corp produzione s alto. Cominci' molte teorie scientifica di documentata. La scuola sal sopravvisse fi inglobata nell pèrdendo la s ivina Commedia Alighieri troviamo la utta la cultura medie- ;li uomini di cultura olamento, producenesclusivamente agli te affida all'intellet- ', cioè il dovere morara e verità a chi non naturale disposizione ndere. A questo prognificative le parole sse nel canto XXVI da un insaziabile ,,s :i.omnr~~ ~1r1}l:m~ hiiin ·:"fini:~ .'t~ l\111ir.it>l'.m.1W1-1 :i tmmcol•11r-s•,-irormrmfolhandr niwgnr.1!'1,1 tniti'\'\1101: 1tr \•mu~ •mo ur11m f1110m1101,11,l1m•v ! ~ 11 i)J.:imt"\-'O'kt1r,1).ì1Jm'$1iè . . ·1,an,·,1-rctm. hat. .... n;a:.,.mt .. . ~r;~~~~o ;t:.1n1ft· :~-~ ilk>nt Plrt'~\~ (Jn:nairo 'Ff Uum t,tuìnn l'..lO/r..J alm-:-tqtt0,.'\.ui'u1;~wi\,11om l,1~nrn111&c.tliihfl-. ti,:r-,\(J Ulteriori contrasti con il papato e con i Comuni italiani Il conflitto con il papato riesplose violentissimo quando Federico II cercò di costituire un forte partito filoimperiale in Italia e mosse contro i Comuni dell'area centro-settentrionale, con l'obiettivo di riaffermare, anche qui, il proprio potere e di assoggettare tutta la penisola ali' autorità degli Svevi. Il papa rispose schierandosi dalla parte delle autonomie comunali. Nel 1237, a Cortenuova, nei pressi di Bergamo, con l'appoggio di Ezzelino da Romano e di altri signori ghibellini, Federico II sconfisse le forze dei Comuni riuniti nella nuova Lega Lombarda. Tuttavia Milano, Brescia e Alessandria continuarono a resistere, rinfocolando il fronte antimperiale. Nel 1238, Federico conferì al figlio naturale Enzo la corona di Sardegna, su cui il papa vantava diritti: Gregorio I.X l ~ ING~ ILTERRA 'i...~ Londra OCEANO ATLANTICO INGHILTERRA E FRANCIA DAL Xli AL XIV SECOLO __J Eredità paterna e materna 1 1 Altri territori conquistati di Enrico Il Plantageneto ---' tra il 1169 e il 1188 1 Dote della moglie ---' Eleonorad'Aquitania 1 Conquista del Regno ---' d'Inghilterra (1154) _ Confini del Regno di Francia nel Xli secolo _I Domini reali diretti alla morte di Luigi VII (1180) 1250 Muore l'imperatore Federico Il 1266 1282 Scoppia la guerra dei Vespri e al termine la Sicilia passa agli Aragonesi Mare del :--.."-."-."-.'t Conquiste di F ~ Augusto (1180 La situazione dell'Impero e della Chiesa Tra il XII e il XIII secolo il potere imperiale imboccò la sua fase discendente. L'opera pur energica dei due grandi imperatori della casa di Svevia, Federico I e Federico II, non valse a risollevarne le sorti. Dopo la morte di Federico II, l'autorità imperiale apparve anzi in piena decadenza, perché incapace di svolgere in modo autorevole quel ruolo di / governo universale cui si era ideologicamente sempre richiamata. Del resto, anche l'aspirazione del papato a un universalismo assoluto, spirituale e temporale insieme, aveva portato la Santa Sede a lasciarsi coinvolgere in una lotta politica non sempre vittoriosa e persino dannosa per il suo prestigio spirituale. Le conseguenze della fine dell'universalismo Mentre tramontava di fatto l'aspirazione a un unico organismo politico esteso a tutta la cristianità, le istituzioni politiche europee si trasformarono lentamente in forme nuove e particolari, che variarono a seconda dei luoghi. In alcune regioni, come in Germania e in Italia settentrionale, il desiderio di autonomia dei signori e delle città diede vita a un panorama politico unificato solo formalmente dalla debole istituzione politica dell'Impero, ma in realtà frammentato in piccoli principati e in numerose leghe cittadine. Altrove, l'aspirazione alla pace e alla sicurezza, o l'esigenza di una migliore difesa da nemici esterni, indussero al sacrificio delle autonomie e favorirono la costituzione di ampie regioni politicamente unitarie e soggette a un'unica superiore autorità, quella del sovrano. Fu questo il caso della Francia, della Spagna, dell'Inghilterra e dell'Italia -meridionale, dove alcune famiglie nobili istituirono monarchie che rivendicavano i propri diritti e i propri poteri. Spesso, tuttavia, le monarchie non erano ancora in grado di opporsi con la forza ai grandi e medi signori territoriali che contendevano loro il potere, e perciò cercarono di sottomettere questi stessi signori attraverso vincoli feudali, affermando in tal modo la propria superiorità. Con fine analogo, il re poteva concedere alle città alcune libertà e i documenti che definivano tali autonomie riconoscevano il diritto del monarca di elargirle. Infine, la monarchia cercava di esercitare un potere efficace e capillare mediante l'invio di funzionari fedeli nelle aree soggette direttamente all'autorità della corona. Poiché il sovrano non esercitava un controllo diretto su tutto il territorio, ma imponeva, comunque, una superiorità formale sull'anarchica nobiltà locale, soprattutto grazie all'istituto del feudo, si parla appunto di monarchie feudali. Il Regno degli Angioini nell'Italia meridionale Dopo la sconfitta di Manfredi nella battaglia di Benevento (1266) nell'Italia meridionale la dinastia sveva fu sostituita dalla dinastia francese degli Angiò. Il papa Clemente IV, che rivendicava la piena sovranità sul Regno di Sicilia, aveva infatti concesso a Carlo d'Anjou (italianizzato in Angiò), fratello del re di Francia e conte di Provenza, il titolo di re di Sicilia ( 1263). nobiltà siciliana per ottenerne l'appoggio durante il conflitto. E anche la nobiltà catalana, insediata nell'isola dopo la fine della guerra, benché ostile alla nobiltà locale, era pronta a far fronte comune con essa ogni volta che la monarchia rivendicava la propria sovranità. Il potere reale, dunque, fu per tutto il XIV secolo nelle mani delle grandi famiglie feudali. Nel 1412 la Sicilia perse la sua autonoma sovranità e divenne un viceregno del Regno d'Aragona. Nel 1435, dopo la morte di Giovanna II d'Angiò legittima sovrana del Regno di Napoli, e dopo un I periodi di crisi dinastica, si aprì una nuova fase di guerra fra Angioini e Aragonesi. Il conflitto si concluse nel 1442 con la vittoria degli Aragonesi e con la riunificazione dell'Italia meridionale sotto la sovranità di Alfonso, già re di Sicilia e di Aragona. L'unificazione non garantì, comunque, una maggiore solidità alla monarchia che continuò a essere ostaggio del particolarismo feudale della nobiltà meridionale. I Regni cri'stiani della penisola iberica La Reconquista cristiana della penisola iberica fu il frutto dell'iniziativa di numerosi signori locali, non di un movimento coordinato da un singolo principe; ciò impedì la coesione della popolazione cristiana intorno a un sovrano. Il territorio iberico era frammentato in una serie di piccoli Regni, derivati dai due nuclei originari della resistenza cristiana al dominio arabo: il Regno basco di Le6n, da cui si staccò nel 113 9 il Regno del Portogallo, e la Contea di Barcellona, di origine carolingia. Da questa si sviluppò il Regno di Navarra, quindi, agli inizi dell'XI secolo, sor- ' sero il Regno di Castiglia e quello di Aragona. La ì Navarra si ridusse a un piccolo Stato a cavallo dei I Pirenei; il Le6n passò per questioni dinastiche al sovrano di Castiglia già nel 103 7, anche se i due regni vennero formalmente unificati solo nel 1230. Il Regno del Portogallo proseguì la lotta contro gli Arabi e giunse rapidamente a confini vicini agli attuali; iniziò anche un'intensa attività commerciale e marinara, dedicandosi ai traffici con le Fiandre e con l'Inghilterra. Nel resto della penisola, Castiglia e Aragona emersero nettamente come i due Regni di maggiore estensione territoriale e importanza politica. L'espansione dei Regni di Castiglia e di Aragona Il Regno di Castiglia, costretto a espandersi anche a causa del suolo arido e improduttivo, accelerò la politica di conquista verso le opulente coste meridionali della penisola, ancora in mano ai Mori. Dalla Castiglia partì l'iniziativa della coalizione di Regni cristiani che, con l'appoggio di Innocenzo III, sconfissero gli Arabi a Las Navas de Tolosa (1212). E fu ancora la Castiglia che, nel trentennio successivo, scacciò gli Arabi dalla Murcia e dall'Andalusia, impadronendosi di C6rdoba (1236) e di Siviglia (1248). L'organizzazione dello Stato pontificio Il rafforzamento dell'autorità papale si fondò, inoltre, su una salda organizzazione giuridica. L'immensa e disordinata produzione di leggi ecclesiastiche venne razionalizzata e compendiata da esperti di diritto canonico, impegnati anche praticamente a sostegno della supremazia del papa per risolvere i molteplici problemi che i suoi interventi, in sfere sempre più ampie, ponevano di continuo. La curia romana, cioè la corte papale, trovò una nuova e più organica sistemazione burocratica intorno al collegio dei cardinali (il Sacro Collegio), i cui membri venivano scelti dal papa. A loro spet~ tarano l'elezione del pontefice e importanti funzioni di governo e di amministrazione della giusti- zia. Furono inoltre istituite una moderna cancelle ria e una camera che dirigeva l' amministrazion finanziaria, fondamentale per mantenere la com plessa burocrazia che le nuove strutture esigevan e per sostenere l'azione di rafforzamento territoriale e le iniziative politiche del papato. L'amministrazione finanziaria dello Stato pontificio L'amministrazione finanziaria fu riordinata e potenziata soprattutto allo scopo di stabilire chiaramente le entrate che spettavano alla Chiesa. Occorre infatti considerare che, nel XII secolo, i redditi del papato non erano ancora definiti e regolari. Oltre alle entrate derivanti dal "patrimonio" territoriale, c'erano oboli e censi versati da regni dipendenti dal papato, anche per vincoli di vassallaggio, oppure incassati a vario titolo da enti ecclesiastici e da vescovi; infine, c'erano le donazioni dei fedeli. Ora, invece, si stabilirono somme precise per la nomina di vescovi e abati; la decima, cioè la decima parte del raccolto di frumento versata come tributo per le crociate, divenne tendenzialmente un'imposta ordinaria, e nei secoli seguenti la Chiesa ne fece un uso sempre più ampio; gli atti della cancelleria furono redatti a pagamento. I papi inviarono propri funzionari a raccogliere le somme dovute o ne affidarono lariscossione, nelle varie parti d'Europa, a banchieri italiani, che strinsero con la Chiesa rapporti sempre più stretti e proficui. 1/1 I soldati di Filippo Il, re di Francia (a sinistra), mettono in fuga la cavalleria tedesca di Ottone IV di Brunswick (a destra, con le insegne dell'aquila imperiale). La battaglia di Bouvines (1214) Questa cronaca della battaglia di Bouvines (località delle Fiandre) è opera di Guglielmo il Bretone, uno dei cronisti ufficiali di Filippo Il. Quel giorno, il 27 /ug/io 1214, contro l'esercito di Filippo si schierò una coalizione formata da truppe imperiali, guidate dall'imperatore Ottone IV di Brunswick, del conte di Fiandra e di parecchi feudatari francesi ostili a Filippo. Giovanni Senzaterra finanziava questo schieramento, ma si trovava altrove: quasi contemporaneamente veniva sconfitto dai Francesi a La Roche-auxN el primo battaglione c'era frate Guerrino, l' eletto di Senlis [designato dal re in quel vescovado], tutto armato, non certo per combattere, ma per ammonire e per esortare i baroni e gli altri cavalieri a onorare Dio, il re e il reame, e a difendere se stessi. Mandò avanti centocinquanta sergenti a cavallo per dare inizio alla battaglia. Ma i Fiamminghi e i Germanici, che fremevano dalla voglia di combattere, grandemente si sdegnarono di essere sfidati da sergenti e non da cavalieri. Perciò non si degnarono di spostarsi, ma li attesero e li accolsero con acredine. [. .. ] Gualtiero di Ghistelle e Buridano, cavalieri di nobile prodezza [al servizio di Ottone], esortavano quelli del loro scaglione Inoltre, si fece promotore delle libertà dei Comuni per indebolire il potere della grande nobiltà feudale e ampliò notevolmente le terre del demanio regio sposando Isabella di Fiandra, che gli portò in dote l'Artois e il Vermandois. Ma soprattutto Filippo affrontò con durezza i potenti Plantageneti. Nel 1202 intentò contro il re d'Inghilterra Giovanni Senzaterra, figlio minore di Enrico II, un processo per fellonia che si concluse con la confisca di tutti i suoi feudi francesi, tranne l'Aquitania. Per rendere esecutiva la sentenza, Filippo intraprese una guerra contro gli Inglesi che si concluse con la conquista della Normandia, dell'Angiò e della Bretagna. La vittoria francese fu consolidata definitivamente nel 1214 dalla battaglia di Bouvines [ ooc.], che pose sotto il controllo della corona tutti i territori a settentrione della Loira [ LETTURA P. 348]. Questa battaglia segnò l'inizio dell'unificazione politica della Francia e ne condizionò in maniera determinante i futuri rapporti con l'Inghilterra. alla battaglia, rammentando loro la prodezza degli amici e degli avi. Quando ebbero disarcionato e abbattuto alcuni dei predetti sergenti, li lasciarono e si rivolsero al- 1' altra parte nemica per combattere contro i cavalieri. Si diressero contro di loro alcuni appartenenti al battaglione della Champagne, e li attaccarono con non minor valore che in precedenza. Spezzatesi le lance, sguainarono le spade e si scambiarono incredibili colpi. [ .. .] In quel punto e in quell'ora, così fervido e aspro era il combattimento dall'una e dall'altra parte ( durava già da tre ore), che Pallade, dea della guerra, volteggiava nel- 1' aria al di sopra dei combattenti come ancora ignorasse a chi avrebbe concesso la vittoria. Alla fine scaricò tutto il peso della battaglia su Ferrando [il conte di Fiandra] e sui suoi; Ferrando fu steso a terra e straziato da enormi ferite, fu preso e legato, insieme con molti dei suoi cavalieri. Non appena Ferrando fu preso, tutti i suoi partigiani, che si battevano in quel lato del campo, o fuggirono, o rimasero uccisi, o furono fatti prigionieri. Mentre Ferrando veniva così ridotto alla sconfitta, ritornò l'orifiamma di Saint-Denis [l'insegna del re di Francia] seguita dalle legioni dei Comuni [ .. .]. Le legioni comunali oltrepassarono tutti i battaglioni dei cavalieri e si misero davanti al re, proprio di fronte a Ottone e a quelli del suo battaglione. Ma costoro, cavalieri di grande ardimento, li La persona di Filippo, luogotenente delle potenze celesti, e l'orifiamma [è l'insegna dei Francesi], sacro oggetto tenuto davanti a lui per significare la presenza al suo fianco di san Dionigi, protettore del regno, costituiscono sullo scacchiere di Bouvines il centro eccezionale del campo dei bianchi [i "bianchi" sono i Francesi, rappresentanti del bene, i "neri" sono i Tedeschi, rappresentanti del male, secondo la visione di Guglielmo il Bretone]. Questo campo è riunito saldamente in un sol corpo da una vasta rete di relazioni ordinate gerarchicamente. Più stretti intorno al re di Francia, e come torri della sua difesa, si trovano gli uomini del suo lignaggio. Non certo il figlio primogenito, che in quel momento conduce in nome suo la guerra nel sud, né il cadetto, troppo giovane. Ma i due cugini germani, l'uno poco più anziano di lui, l'altro di poco più giovane: Roberto, conte di Dreux, Pietro di Courtenay, conte d'Auxerre [. .. ]. Anche un altro capetingio è presente: Eudes, duca dei Borgognoni, signore di uno dei cinque grandi principati regionali [...]. Il gruppo dei cavalieri riunito intorno allo stendardo con i gigli, e le cui cavalcature si stringono ai fianchi del cavallo regale, è formato dai più vecchi camerati di Filippo, amici di sempre, che ridono e bevono con lui, gente per la maggior parte della sua età. Figurano tra i combattenti due prelati della Santa Chiesa, armati come cavalieri. Il primo, vescovo di Beauvais, Filippo, frasedio di Tunisi nel corso dell'ottava crociata (1270) e fu canonizzato da Bonifacio VIII nel 1294. La conquista normanna de ll' Inghilterra In Inghilterra, la forza e la precocità con cui l'istituto monarchico venne consolidandosi furono in buona parte dovute a una peculiare mescolanza di istituzioni sassoni e normanne, che consentirono al sovrano di esercitare il controllo sull'isola. Sconfitti gli Anglosassoni ad Hastings (1066), Guglielmo I il Conquistatore conservò alcuni elementi del loro sistema di governo: per esempio, la suddivisione del territorio in contee, che facevano capo· a funzionari regi, gli sceriffi, l'insieme di corti che amministravano la giustizia a livello locale, diffuse su tutto il territorio e legate al potere centrale, il sistema d'imposizione fiscale e l'obbligo, per ogni villaggio, di fornire un certo numero di uomini per l'arruolamento. Al tempo stesso, Guglielmo introdusse in Inghiltello del conte di Dreux, per il quale l'impresa è una irresistibile tentazione di dar sfogo a vecchi rancori [. .. ]. Il secondo, frate Guerrino, "eletto" di Senlis, è designato per occupare questa sede episcopale, pur non essendo ancora consacrato. Tale dignità ricompensa un lungo servizio presso il re. [. .. ]. Guglielmo il Bretone nomina un solo sergente: Pietro della Tournelle (un fenomeno: non sembra essere di sangue nobile, e tuttavia è così prode che sarebbe degno di appartenere alla cavalleria), e un solo fante che, al contrario, ben rappresenta la sua condizione: la naturale bassezza d'animo lo porta a sfregiare vergognosamente con il coltello il volto del conte di Fiandra. Vediamo tuttavia gli appiedati ordinarsi in grandi masse, che però in un certo senso rappresentano delle persone: i Comuni. Si tratta di leghe che in qualche borgata e in alcuni gruppi di villaggi riuniscono gente del popolo intorno a determinati privilegi, il cui prezzo però è costituito da certi doveri; il re Filippo ne ha create alcune e ne ha confermate altre, attendendo in cambio da esse il servizio d'armi. Infatti in caso di pericolo, tutti gli uomini validi del gruppo comunale sono mobilitati. Per operazioni militari più lontane gli appartenenti ai Comuni debbono fornire un numero fisso di guerrieri, o una somma di denari, per assoldare chi li sostituisca. da G. Duby, La domenica di Bouvines (27 luglio 1214), trad. G. Vivanti, Einaudi, Torino 1977 terra l'istituto del vassallaggio, che già si era diffuso in Normandia: dopo aver riservato alla corona una larga parte dei territori conquistati, distribuì il rimanente ai cavalieri normanni che lo avevano seguito e li legò a sé con concessioni n anno dopo le Costituzioni, il sovrano procla- ò restrizioni in materia di diritti feudali con le ssisi di Clarendon inimicandosi così la nobiltà ·nglese. Poco dopo, Enrico fu costretto ad abrogare le più importanti disposizioni di Clarendon ripristinando di fatto le immunità ecclesiastiche. Durante gli ultimi anni di regno, Enrico dovette fronteggiare una grande rivolta di feudatari sostenuti da Luigi VII e guidati dai suoi stessi figli. Riccardo I Cuor di Leone e il conflitto con la Francia La monarchia inglese si indebolì notevolmente con i due figli di Enrico che, continuamente bisognosi di copertura finanziaria per le loro imprese, impoverirono il regno con l'imposizione di tasse straordinarie. Riccardo I, noto come Cuor di Leone (1189-99), iniziò il proprio regno organizzando una crociata in Terra Santa [ ooc.l; si distinse per il valore militare e occupò Cipro, ma non riuscì a conquistare Gerusalemme (dal 1187 di nuovo in mano ai musulmani). In patria, intanto, suo fratello minore Giovanni La figura di Riccardo Cuor di Leone Lo storico arabo Abu Shama ci descrive l'arrivo in Terra Santa di Riccardo Cuor di Leone, la cui figura cavalleresca ha ispirato la letteratura romantica inglese nonostante il palese fallimento della sua politica di sovrano. I 1 re d'Ing~terra era uomo assa1 potente fra loro, di gran coraggio e alto animo. Aveva combattuto grandi battaglie, e aveva uno speciale ardire in guerra. Inferiore al re di Francia per regno e per grado, gli era però superiore per ricchezza, e più famoso e prode in battaglia. Si sa di lui che, giunto all'isola di Cipro, non volle procedere oltre finché non fosse sua. L' assediò quindi e combatté, mentre il suo sovrano, raccolta gran gente, gli mosse contro e oppose strenua resistenza. [. .. ] Il sabato tredici giumada primo [8 giugno 1191] arrivò il re d'Inghilterra [in Palestina] dopo aver raggiunto un accordo col signore di Cipro ed essersi impadronito di quell'isola. Il suo arrivo fece un'enorme impressione: Senzaterra tramava per sottrargli la corona. Riccardo, di ritorno dalla crociata, sbarcò in Italia e, travestito da templare, cercò di raggiungere il suo alleato Enrico di Baviera; fu però riconosciuto e consegnato prigioniero all'imperatore Enrico VI (figlio del Barbarossa), che lo liberò nel 1194 dietro pagamento di un cospicuo riscatto. In Inghilterra, Riccardo si riconciliò con il fratello Giovanni, quindi ripartì subito per il continente impegnandosi nella guerra contro Filippo II Augusto, per difendere i possedimenti dei Plantageneti in territorio francese. arrivò con venucmque galere piene d'uomini, armi e apparecchi, e i Franchi dettero gran segni di gioia, tanto da accendere quella notte dei grandi fuochi nelle loro tende. Questi fuochi erano impressionanti, di proporzioni tali da dimostrare l'immenso loro apparecchio. I sovrani franchi ci avevano già da tempo annunciato il suo arrivo, e quelli di essi che con salvacondotto venivano a contatto con noi dicevano che quelli là stavano aspettando il suo arrivo per mettere in atto quanto progettavano, di stringere la città con nuovo vigore. Quel re era infatti uomo di consiglio ed esperienza, audacia ed energia; il suo arrivo fece un effetto di paura e ti- Enrico lii verso la monarchia parlamentare Il figlio di Giovanni Senzaterra, Enrico ID (1216- 72), riprese con esiti del tutto negativi la dispendiosa guerra contro la Francia. In Inghilterra riconfermò, quando non aveva che diciott'anni, la Magna charta, ma in seguito la sua politica fu ben diversa. Cercò di arginare le competenze della curia baronale, aumentando i poteri di un consiglio privato formato da membri di sua nomina. Questo tentativo, accompagnato dalle continue richieste finan- · ziarie, provocò una nuova insurrezione dei baroni guidati da Simone di Montfort ( conte di Evreux e di Leicester), i quali godevano anche dell'appoggio della piccola nobiltà e di importanti città. Enrico III dovette impegnarsi a rispettare gli Statuti di Oxford (1258), che prevedevano l'istituzione di un nuovo consiglio di quindici baroni, dotati di ampi poteri di controllo, del diritto di veto e della possibilità di intervenire nelle nomine dei consiglieri del re. Tre anni più tardi il sovrano ritrattò questa concessione, provocando una nuova ribellione armata, durante la quale Simone di Montfort chiamò per la prima volta a consiglio, a fianco della grande nobiltà, due cavalieri per ogni contea e due borghesi per ogni città. ,distruggere, per costruii re e per piantare», ed I inoltre per bocca di Isaia: «Sciogli i legami d~ ' empietà; sciogli i pesanti gravami», noi ci rifiutiamo di ignorare tanta malvagia presunzione, perché la Sede apostolica ne uscirebbe disonorata, i diritti regi dispersi, la nazione inglese coperta di vergogna, e l'intero progetto di crociata messo gravemente in pericolo. E poiché questo pericolo sarebbe imminente se le concessioni, estorte in tal maniera a un grande principe che ha preso la Croce, non fossero cancellate dall'autorità nostra anche se egli stesso dovesse preferire che esse siano mantenute. In nome di Dio onnipotente, Padre, Fi- · glio e Spirito Santo, e per l'autorità dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo e per autorità nostra, agendo per consiglio generale dei nostri confratelli, noi fermamente rigettiamo e condanniamo -questo accordo, e sotto minaccia di scomunica ordiniamo che il re non osi osservarlo e che i baroni e i loro complici non richiedano che sia osservato, e la Charta, con tutti gli impegni e garanzie che la Enrico riuscì a sconfiggere i ribelli nel 1265, ma il principio della rappresentanza delle contee e delle città si affermò. Naturalmente l'alta nobiltà conservò per secoli la supremazia nei consigli e negli organismi di rappresentanza che avevano diritto di parlare con il re e ne limitavano il potere. Tuttavia, il seme di una concezione più moderna era stato gettato e l'Inghilterra cominciò un'evoluzione in senso parlamentare. confermino o che ne risultino, noi dichiariamo nulla e priva di ogni validità per sempre. Perciò a nessun uomo sia lecito contravvenire a questo nostro documento di annullamento e proibizione, o osare di opporsi temerariamente ad esso. Se alcuno presumerà di tentarlo, sappia che incorrerà nell'ira di Dio onnipotente e dei ogni esportazione di denaro e metalli preziosi, privando di fatto il papato del consistente flusso di imposte che proveniva dalla Francia. Bonifacio dovette autorizzare Filippo a tassare il clero franese, in cambio dello sblocco dei proventi pontiici nel paese. Il Giubileo del 1300 Nel 1300 il papa indisse per la prima volta un Giubileo, concedendo l'indulgenza plenaria, cioè la remissione dei peccati, a tutti coloro che si fossero recati in pellegrinaggio a Roma. L'evento e be una risonanza grandiosa e divenne una sorta di celebrazione della potenza del papato: folle sterminate di pellegrini giunsero a Roma e si prostrarono ai piedi del pontefice, contribuendo ad avvalorare le dottrine teocratiche che Bonifacio tornava ad avanzare, sulla scorta di Gregorio VII e di Innocenzo III. Filippo il Bello, tuttavia, non si lasciò impressionare. Nel 1301 fece arrestare un vescovo francese, suscitando ovviamente l'ira di Bonifacio, che trasferì il contrasto sul piano dei princìpi e ribadì la subordinazione dell'autorità civile a quella religiosa con le due bolle Ausculta fili ( 13 O 1) e U nam Sanctam ( 13 02) [ DOC. P. 3 7 4]. Filippo il Bello e l'autonomia dell'autorità regia Filippo IV si appellò allora agli Stati generali di Francia, convocando per la prima volta le rappresentanze dei tre ordini della nazione, clero, nobiltà e terzo stato, che proclamarono l'origine divina dell'autorità regia e la sua autonomia rispetto al potere pontificio. Non solo: il re francese indirizzò accuse infamanti al papa (miscredenza, omicidio, simonia) inviando un contingente guidato da Guglielmo di Nogaret e da Sciarra Colonna che catturò Bonifacio VIII ad Anagni. La tradizione, sicuramente falsa, parla di uno schiaffo che in questa occasione Sciarra Colonna avrebbe inferto al papa. Comunque Bonifacio fu liberato da una sommossa popolare e rientrò a Roma, dove poco tempo dopo morì (1303 ). Il periodo avignonese del papato La scomparsa di Bonifacio VIII segnò la fine delle aspirazioni teocratiche della Chiesa: alla pretesa dei papi di governare tutto il mondo cristiano si opponevano ormai non solo l'imperatore, debole perché circondato da feudatari malfidi e pronti a ribellarsi, ma soprattutto i sovrani delle Il consolidamento dello Stato pontificio Il periodo avignonese segnò, per certi aspetti, un rafforzamento politico della Santa Sede. Il papato, anche per contrastare l'affermazione delle nuove monarchie nazionali, proseguì nel processo di accentramento e di controllo che trasformò la curia del XIV secolo in un apparato fortemente burocratizzato, con il quale governò in maniera più diretta ed efficiente la Chiesa. In questo periodo, i pontefici si riservarono di nominare, oltre ai vescovi e agli arcivescovi, anche i titolari dei benefici minori, tradizionalmente scelti dalle autorità ecclesiastiche locali o, in alcuni casi, dagli stessi laici; procedettero alla creazione della Sacra Rota, un tribunale istituito per dirimere le questioni ecclesiastiche; potenziarono la Cancelleria e riorganizzarono la Camera apostolica, una sorta di ministero delle finanze della Chiesa, fondamentale per affrontare le crescenti necessità economiche del papato ( dovute, non da ultimo, alle ingenti spese di corte). A queste necessità si sopperì con i proventi derivati dalle esazioni dello Stato pontificio, con la concessione e la conferma dei benefici e con nuove imposizioni fiscali a carico dei membri del clero. Le opposizioni in seno alla Chiesa L'azione politica accentratrice dei pontefici francesi sollevò opposizioni. Le chiese locali erano gravate da nuovi oneri fiscali e private dei loro tradizionali diritti. I sovrani e i principi non intendevano tollerare le continue intromissioni papali, che si traducevano nell'imposizione di nuove tasse da parte della Santa Sede, nell'aumento delle competenze dei tribunali ecclesiastici a danno di quelli laici, nella nomina diretta dei membri del clero locale da parte del pontefice. Ma l'evoluzione del papato verso una forma di governo monarchico e centralizzato, che subordinava la funzione spirituale alla ricostruzione politica e finanziaria della Chiesa, suscitò anche reazioni sul piano schiettamente religioso. Si manifestarono diffuse e vivaci esigenze di una religiosità più autentica, profonda, che si ispirasse ai valori originari del Vangelo. L'autorità papale non tollerò forme di disobbedienza che potevano indebolirla o limitarla e represse come eretica ogni manifestazione di autonomia religiosa. Lo scisma d'Occidente Le critiche alla burocratizzazione, alle ingerenze politiche e al rapace fiscalismo della Chiesa si acuirono quando le esortazioni levatesi da molte parti del mondo cristiano indussero finalmente il pontefice Gregorio XI ad abbandonare la tutela francese per far ritorno a Roma, nel gennaio del 13 77. Qui, i lunghi anni di assenza avevano favorito il prevalere delle ambizioni personali e lo scatenarsi di disordini che minavano l'autorità del papa; proprio mentre si preparava ad affrontare la difficile situazione, Gregorio XI morì. L'elezione del suo successore, Urbano VI (1378), fu contestata dai cardinali francesi, che nominarono un antipapa, Clemente VII. Si aprì in questo modo lo scisma d'Occidente, così chiamato per distinguerlo da quello d'Oriente, che aveva separato nel 1054 la Chiesa cattolica di Roma da quella ortodossa di Bisanzio. Clemente VII ritornò ad Avignone, sotto la protezione di Carlo V di Francia, e fu riconosciuto subito dopo dalla Scozia, dagli Angioini di Napoli, dai Regni di Castiglia, Aragona e Navarra; il pon - tefice romano. ebbe invece l'appoggio di quasi tutti gli Stati italiani, dell'Inghilterra, dell'Impero e dei Regni scandinavi. Le conseguenze dello scisma Maurice Keen descrive con precisione le conseguenze dello scisma all'interno della Chiesa e nei rapporti tra il potere religioso e quello temporale. T rent'anni di scisma avevano aggravato la profondità e la complessità dei due principali problemi che i padri dovevano affrontare al concilio, la restaurazione dell'unità e la riforma degli abusi nella Chiesa; avevano enormemente indebolito la solidarietà di quelle istituzioni che erano state in passato i sostegni più forti dell'unità ecclesiastica; avevano diviso non soltanto il clero secolare [. . .], ma anche gli ordini monastici [. .. ]. Gli effetti combinati dello scisma e della guerra dei Cento anni avevano inoltre indebolito l'internazionalismo delle comunità universitarie di studiosi. Gli antichi legami fra Oxford e Parigi, e fra Parigi e le università tedesche si erano spezzati, e il punto di vista degli studiosi si era fatto molto più individualistico. Gli effetti di tante crescenti divisioni nel mondo ecclesiastico si rifletterono nella procedura del concilio. Ai fini del voto i rappresentanti vennero organizzati in gruppi nazionali, inglesi, francesi, tedeschi e italiani. Sulle questioni decisive gli ordini, le università e perfino il collegio dei cardinali non poterono votare in quanto tali. [. .. ] Le divisioni nazionali erano diventate così importanti che il concilio non avrebbe avuto il potere, se lo avesse desiderato, di riportare il papato a quella supremazia nel governo Solo con il concilio di Costanza, nel 1417, si arrivò a eleggere un unico papa, Martino V. Lo scisma era così terminato [ LETTURA P. 376]. La Chiesa dopo il concilio di Costanza Tutte le vicende legate allo scisma, fino al concilio di Costanza e ali' elezione di Martino V nel 1417, minarono gravemente il prestigio e l'autorità della Chiesa. Al suo interno, proprio negli anni a cavallo tra i due secoli, si generò l'esigenza di una riforma capace di riportare l'ordine morale e la disciplina all'interno della Chiesa e soprattutto della curia pontificia. Molti teologi sostennero la necessità di ridurre il potere del papa a vantaggio del concidella Chiesa di cui aveva goduto prima dello scisma. [. .. ] I grandi ecclesiastici francesi, Giovanni Gerson, il cardinale Pietro d' Ailly e il cardinal Filastre, che ebbero un'influenza decisiva nei primi giorni di Costanza, erano tutti profondamente influenzati da Ockham, il cui insegnamento metteva in risalto la ragione umana in un modo che sembrava esigere più spazio per l' es pressione dell'opinione individuale di quanto fosse ammesso dal vecchio sistema. «La Chiesa non può essere separata dal suo sposo, Cristo», scrisse Gerson, «ma dal suo vicario sì: il concilio rappresenta tutta la Chiesa [ ... ], il papa soltanto la suprema autorità umana nella Chiesa». D' Ailly fu ancora più chiaro: ai suoi occhi tutta l'autorità terrena derivava in ultima istanza dalla comunità; egli si augurava di vedere nei cardinali i rappresentanti eletti delle province metropolitane della Chiesa, così da fare del sacro collegio una sorta di parlamento attorno al papa. La Chiesa universale dell'Occidente, quale emerse dal periodo dello scisma, era in realtà una confederazione di chiese nazionali in tutto tranne che nel nome. A darle esteriormente unità non era l'autorità del papa in quanto padre spirituale, ma la sua abilità diplomatica nel trattare con i poteri secolari. [. .. ] Il controllo sul governo e sull' amministrazione della Chiesa, che il papato aveva stabilito nel periodo avignonese e prima ancora, aveva indebolito a tal punto l' autonomia locale delle chiese provinciali, da rendere del tutto insufficiente la forza intrinseca a loro disposizione. Questo fece sì che, quando scoppiò lo scisma e due papi rivali si trovarono a dipendere lio, che doveva assumersi il compito di riformare la Chiesa. Tale dottrina, detta conciliarismo, ebbe però vita breve: dopo il concilio di Costanza, i pontefici affermarono di nuovo la loro supremazia sul concilio e rafforzarono ulteriormente la struttura monarchica della Chiesa. Una importante conseguenza dello scisma fu quella di aiutare il processo di formazione delle realtà nazionali, contrapposte all'universalismo dell'Impero. Nel concilio di Costanza, infatti, le votazioni non awennero più per capita singulorum, cioè per testa, ma per nationes. In questo modo, si neutralizzava la preponderanza dei prelati italiani e si proclamava l'esistenza di realtà nazionali all'interno della Chiesa [ LETTURA l Ma l'assenza di un progetto di riforma della Chiesa, in grado di risolvere il problema della crisi .morale in cui essa viveva ormai da secoli, fu causa scatenante, circa un secolo dopo, della Riforma protestante. Todi, la personalità più eminente dei francescani spirituali, dichiararono il papa decaduto, dal momento che la rinuncia alla carica di Celestino V era stata, secondo loro, illegittima e, con grande audacia, depositarono la loro denuncia addirittura sull'altare di Pietro. Per sei anni, i Colonna e i loro alleati furono perseguitati e i loro beni distrutti. La cittadina di Palestrina, loro roccaforte, fu assalita e conquistata e la famiglia Colonna, con tutti i discendenti diretti e indiretti, fu bandita per sempre dai territori dello Stato pontificio. Roma travolta dalle lotte della nobiltà Nel 1303, come abbiamo visto, Sciarra Colonna, con l'aiuto del re di Francia Filippo IV, imprigionò il papa che, poco dopo, morì. Con la morte di Bonifacio VIII, i Colonna pretesero dal nuovo papa Clemente V la restituzione dei beni e addirittura tutte le sentenze del vecchio papa vennero raschiate materialmente dai registri pontifici. Nel 1306 Stefano Colonna si alleò con gli Orsini contro i Caetani, ma, già nel 1309, Orsini e Colonna ricominciarono a scontrarsi, uccidendo o facendo prigionieri esponenti della famiglia avversa. Iniziò così per Roma un periodo di totale anarchia e il popolo assistette a continui episodi di violenza selvaggia tra le due grandi casate e le famiglie nobili minori che parteggiavano per l'una o l'altra fazione. Nel 1339 una grande sollevazione popolare portò al potere Stefano Colonna, considerato il solo capace di porre fine ali' anarchia. La richiesta ai Fiorentini del testo degli Ordinamenti di Giustizia per adattarli a Roma ispirò al grande poeta Francesco Petrarca la composizione della canzone Spirto gentil, che celebrava questo momento colmo di speranze. r., Gioacchino da Fiore in una miniatura del Xlii secolo. negava il dovere di pagare le decime ai signori feudali o ai vescovi e obbligava tutti a vivere solo del proprio lavoro. Dopo poco tempo, più di 4000 contadini e servi, fuggiti dalle zone dominate dai vescovi di Vercelli e di Novara, si unirono a lui entusiasticamente. Gli unici scritti che conosciamo di Dolcino sono tre lettere indirizzate ai suoi fedeli e che contengono i punti fondamentali della sua dottrina. In una di queste lettere era ripresa la profezia di Gioacchino da Fiore, che parlava di un'evoluzione della spiritualità umana. Secondo Dolcino, a un'era felice, che coincideva con l'Antico e il Nuovo Testamento, era succeduta un'era di degenerazione, rappresentata dall'opera dei papi sulla Terra. Entro tre anni, cioè entro il 1303, profetizzava che Bonifacio VIII sarebbe stato ucciso e, dopo di lui, avrebbe regnato un papa eletto direttamente da Dio e non dai cardinali che, con l'aiuto degli apostolici, avrebbe fatto trionfare lo spirito di Dio. Quando queste profezie non si avverarono, Dolcino scrisse un'altra lettera, proclamando, comunque, il loro prossimo adempimento. Intanto, contro di lui fu mobilitato un esercito di 7000 uomini e gli apostolici dovettero rifugiarsi nell'alta Valsesia, per sfuggire allo sterminio. Nel 1306, il papa Clemente V bandì contro questa setta una vera crociata: Dolcino e i suoi seguaci furono uccisi o imprigionati e le cronache dell' epoca descrivono le acque del fiume Carnasco, vicino a Biella, rosse del loro sangue. Dolcino e Margherita furono tenuti prigionieri per tre mesi a Biella e poi bruciati vivi nel 13 07. Gli spirituali francescani Abbiamo già accennato al fatto che, nell'ordine francescano, era emerso l'orientamento degli spirituali (vedi p. 232). Si trattava di un gruppo di frati che si opponevano alle deroghe attuate rispetto alla Regola originaria fissata da Francesco. Costoro volevano continuare a seguire la Regola sine glossa, come si diceva, ossia alla lettera, senza modifiche di sorta: il che implicava l'assoluta povertà e la rinuncia a qualsiasi privilegio e, di conseguenza, una posizione critica sia verso la maggioranza dell'ordine sia verso la corruzione mondana del papato. Alcuni spirituali, rifacendosi alla dottrina delle tre età della storia di Gioacchino da Fiore, pensavano che stesse per manifestarsi un Anticristo, identificabile con il pontefice, la vittoria contro il quale avrebbe segnato l'avvento definitivo dell' età dello Spirito. Nel 1323 papa Giovanni XXII dichiarò eretica la loro posizione. Nonostante la condanna, i dissidi continuarono all'interno dell'ordine e provocarono persecuzioni nei confronti dei più ostinati oppositori. Da Dante a Petrarca Dante rappresenta il cuhnine della cultura medievale, una cultura universale, che tende all'indagine su tutto lo scibile. La sua Divina Commedia è un esempio perfetto di ciò, dal momento che nel corpo poetico sono inserite a pieno titolo dissertazioni di astronomia, di cosmologia, di retorica, di storia, di matematica, di tutto il sapere, insomma, che un intellettuale medievale aveva assimilato nei suoi studi. Se Dante fu la perfetta sintesi della sapienza medievale, Petrarca rappresenta una nuova figura di intellettuale. Petrarca, diversamente da Dante, è un professionista della poesia e delle lettere: tutta la sua vita fu dedicata esclusivamente allo studio e alla produzione di poesie e di saggi. I suoi soggiorni all'estero o in Italia presso le corti più importanti, oltre a procurargli onori e fama, gli permisero di dedicarsi alla sua attività di letterato senza preoccupazioni economiche e tutte le sue scelte di vita ebbero come scopo il poter attendere al suo lavoro di letterato. Per questo motivo rifiutò incarichi anche importanti come ambasciatore o funzionario di corte. Un'altra differenza tra Dante e Petrarca sta nel fatto che, mentre Dante era strettamente legato alla vita e alla cultura del Comune, viveva le lotte politiche in prima fila e del Comune faceva il centro dei suoi interessi e della sua arte, Petrarca è l'esempio dell'intellettuale cosmopolita, non legato a una specifica realtà municipale. La vita di Petrarca Francesco Petrarca (Arezzo, 1304 - Arquà, 1374) era figlio di un fiorentino mandato in esilio e poi stabilitosi ad Avignone al seguito della corte pontificia. Francesco viaggiò per tutta Europa fino al 1327, anno in cui sembra abbia incontrato per la prima volta Laura, la donna che ispirerà la maggior parte della sua produzione poetica. Fino al 1353 soggiornò a Valchiusa, in Provenza, alle sorgenti del fiume Sorga. Durante questi anni viaggiò spesso in Italia, dove venne onorato per la sua attività di poeta e di studioso dell'antichità classica. Nel 1341 fu addirittura incoronato poeta in Campidoglio, a Roma, secondo il costume degli antichi Romani. Durante la peste nera del 1348 morì Laura e allora dopo qualche anno Petrarca si trasferì definitivamente in Italia. Soggiornò, sempre tra grandi onori, a Milano, Venezia e Padova e nel 13 7 4 morì nella sua casa di Arquà. Le opere di Petrarca Petrarca scrisse molte opere in prosa e poesia, quasi tutte in lingua latina ma il suo capolavoro è senza dubbio il Canzoniere, la raccolta della sua produzione poetica in volgare. Il Petrarca, pur ritenendo il latino degli antichi scrittori romani la lingua per eccellenza, non disprezzava certo il volgare. Come dice Salvatore Gugliehnino: «Nel volgare cercò di trasfondere quegli ideali di decoro formale, di compostezza che il latino classico per lui aveva realizzato: e scelse una lingua eletta, omogenea per lessico, per tono e stile, una lingua pura e assoluta, scevra cioè d'ogni crudezza realistica, lontana dall'uso quotidiano». Nel Canzoniere domina la figura di Laura e a lei è dedicata la maggior parte dei componimenti, ma in esso emerge anche, e soprattutto, il ritratto dell'uomo Petrarca, inquieto spirituahnente, tormentato dalle contraddizioni della vita, sempre teso a un ideale di perfezione interiore e consapevole dei limiti della natura umana. Il suo amore per Laura è un amore vero, terreno, anche se mai nutrito da fatti concreti e questa passione mai risolta costituirà il tormento della sua esistenza. Per quanto riguarda le opere di ispirazione politica e civile, le Lettere, Petrarca avverte che l'Impero è un'istituzione ormai superata; mentre l'imperatore era nella visione politica di Dante un elemento essenziale, per Petrarca questa istituzione è ormai incapace di garantire unità politica e pace. Se poi si passa alla seconda grande istituzione medievale, la Chiesa, l'idea di Petrarca è che sia un'istituzione spirituale e che, ritornando alle origini, debba rifiutare la gestione di qualunque potere politico. Petrarca, quindi, condivide in gran parte le idee di Marsilio da Padova, che nell' opera De/ensor pacis dichiara eretico e illegittimo il potere politico della Chiesa e afferma che pace e felicità non derivano dall'opera dell'imperatore, ma dalla volontà unita e dall'azione di cittadini illuminati. Nella celebre canzone politica Italia mia Petrarca mostra di avere a cuore il destino di tutta l'Italia, dilaniata. da lotte fratricide e spera che una monarchia possa unificare il paese garantendo pace e prosperità. ma nel 1348 Clemente VI riuscì a comprare l'intera città di Avignone per 80 000 fiorini. Da quel momento, Avignone, che era sempre stata una modesta cittadina, si trasformò letteralmente. Da tutto il mondo, ma soprattutto dall'Italia, giunse una folla di sacerdoti, frati, impiegati, nobili, mercanti e banchieri. Tutti i cardinali cominciarono a costruire il proprio palazzo e quindi vennero chiamati i migliori architetti, pittori e scultori dell'epoca. La popolazione, dopo circa vent'anni di permanenza dei papi, si decuplicò e sorsero decine di chiese, conventi, ospizi per i poveri e i pellegrini e ospedali. Inevitabilmente, la città divenne anche una irresistibile attrazione per avventurieri di ogni genere e un centro di vita mondana, sfarzosa e disordinata, tanto da far definire Avignone da Petrarca "l'empia Babilonia". la Avignone, Palazzo della cappella di Sai Giovannetti da Viterb D Avignone, Palazzo so principale del pala 11 11 Palazzo dei papi interno splendidi affr terbese Matteo Giova pontificia fin dal 1343. r., La pena riservata alle streghe dall'Inquisizione era la morte sul rogo, spesso preceduta da atroci torture per indurre la confessione dell'awenuto patto con il diavolo. Il Le streghe offrono a Satana un bambino (incisione del XVII secolo). denza di grandi calamità natur no un capro espiatorio, e le str te come una delle cause scaten la strega era vista dall' autorit confronti di Dio e una cospir l'ordine politico, sociale e mo Le streghe, o presunte tali, n cuna coscienza di questo loro isolati di aperta ribellione). N campagna e sulle montagne, no della comunità e il loro presunto, sconvolgeva l'imma siva e dedita alla cura della c alle streghe, dunque, divent modo per rendere le comunit nere gli ideali del comportam ti dalla società medievale. Dopo il Medioevo, si arrivò a ne tutti i possibili comportam di loro sia nei rapporti con il d punizioni da infliggere alle col testo, il Malleus Male/icaru ghe"), scritto da due frati do toris e J akob Sprenger, che c prio delirio antifemminile. principale di tutti i processi p nero fino al XVIII secolo. Il La ricerca e la conoscenza delle er un motivo sufficiente per essere accu La diffusione della peste in Europa Fin dai tempi più antichi, la peste era periodicamente comparsa in Europa. Rappresentava uno dei fattori che maggiormente influenzavano l' andamento demografico, non soltanto per l'altissimo tasso di mortalità della malattia, ma ancora di più per le conseguenze di medio periodo, come lo spopolamento delle zone più colpite, il calo della natalità, le crisi produttive, il blocco dei commerci ecc. Comparsa in Asia centrale nella prima metà del Trecento, una nuova pestilenza si diffuse verso Occidente seguendo le rotte commerciali: nel 1341 aveva raggiunto Samarcanda e nel 1346 la colonia genovese di Caffa (in Crimea). L'anno successivo una nave partita da Caffa diffuse il morbo negli scali di Costantinopoli e Messina. Da questi porti la peste si spostò di nuovo in Oriente, in Siria e in Egitto, ma si diffuse anche in Italia e, nei successivi tre anni, in tutta Europa, provocando una vera ecatombe. Nel 1348 risultavano colpiti i maggiori centri italiani e la sede papale di Avignone. Le cause della diffusione Le epidemie di peste venivano trasmesse all'uomo dal morso di alcune specie di pulci parassite di topi infetti. Il morso di una pulce causava la peste bubbonica, mentre la peste polmonare, una complicazione della prima, era trasmessa anche da persona a persona con la tosse o gli starnuti. Una delle cause della diffusione della peste era, ovviamente, la scarsa igiene e l'accumulo d'immondizia nelle città, che creavano l'ambiente ideale per la riproduzione dei ratti. Ed è evidente, se si seguono i percorsi di diffusione dell'epidemia, che i topi infetti si spostavano rapidamente, trasportati dalle navi lungo le rotte commerciali. Lo stesso discorso vale per i marinai e i mercanti, che si infettavano e trasmettevano il bacillo dove facevano scalo o una volta tornati a casa. Alla fine del Medioevo la geografia politica dell'Europa vide alcuni importanti mutamenti. Gli Inglesi furono definitivamente cacciati dalla Francia. Gli Asburgo, ottenuta la corona imperiale, s'impegnarono a consolidare i loro possedimenti occupando l'Austria, la Boemia e la Pannonia. Dominazione veneziana e genovese Venezia Genova Impero romano-germanico - Confini ~~ Territori degli ~ Hohenzollern lllliilil Territori dei Wettin 11111111 • T~rritori della corona .!.i.!JJl!.I d1 Boemia llllllill Territori degli Asburgo -- Unione di Kalmar Ducato di Borgogna (tra Francia e Impero) bi Ramo principale l!!!lliJ Ramo collaterale a Aree di influenza ~ Limiti nel 1475 Regno di Francia Confini :22] Domini della corona Situazione politica al 1450 OCEANO ATLANTICO 1337 1347 1354 Inizia la 1356 La Bolla d'oro regola l'elezione dell'imperatore 1378 1399 Cola di Rienzo fonda la Repubblica A Firenze Si afferma in si sollevano Inghilterra la dinastia i ciompi dei Lancaster con Scoppia in tutta Europa la peste nera che imperverserà fino al 1351 1353 1357 I 1377 Il papa invia in 111 cardinale Albornoz I papi I ltalia centrale fa approvare ritornano il cardinale le Costituzioni I da Avignone Albornoz e idiane a Roma Enrico IV 1399 1 Gian Galeazzo I Visconti arriva a possedere parte della I Toscana e dell'Umbria MAR chie europe } piano politico· a charta /ibertJtum a moderna ci~iltà ~'9, " -. 1t ,1·, ' ~/ ('I ori dell'Impero (Germania e Italia) perle frazionamento politico, in Spagna, rra le monarchie avviano un processo e politica che si eoncluderà in epoca agna la ricomposizione politica inizia ista (1085, occupazione di Toledo; ne di Siviglia). In Francia il consolidaarchia è opera di sovrani come Luigi VII po Il Augusto (1180-1223), Luigi IX utilizzano abilmente le istituzioni feura la monarchia si realizza con un per- : la concessione della Magna charta tuzione di un Parlamento nazionale il regno di Enrico lii (1216-72). 1154 Enrico Il Plantageneto re d'Inghilterra 1164 Enrico Il emana le Costituzioni di Clarendon Sintesi deffumtà l::il p. 411 , 1170 Napoli, Castel Novo: l'edificio fu fatto costruire da Carlo d'Angiò alla fine del Duecento. T189 Thomas Sale al trono Becket viene in Inghilterra assassinato Riccardo I Cuor di Leone romano, contribuirono a ridefinire la nozione di Stato, e i diritti e doveri del sovrano, e fecero i primi passi verso la formazione di una legislazione unitaria valida in tutto il regno. Fu potenziato anche l'apparato amministrativo, organizzando sezioni particolari della curia regia preposte ali' amministrazione delle finanze (la Corte dei Conti) e della giustizia (il Parlamento, termine che nel Regno di Francia indicava le corti di giustizia). Il legame fra la monarchia e i sudditi fu rafforzato anche da un allargamento della rappresentanza politica. In diverse occasioni in cui erano sul tappeto importanti problemi politici e finanziari Filippo convocò le assemblee dei notabili e gli Stati generali, nei quali sedevano i rappresentanti della nobiltà, del clero e dei ceti più eminenti delle città. Come abbiamo già detto (vedi p. 373), questa istituzione ebbe un ruolo importante nel conflitto che oppose Filippo IV al papa. La guerra dei Cent'anni Il processo di rafforzamento della monarchia francese subì una battuta di arresto quando nel 1328 il re Carlo IV morì senza lasciare eredi. Un'assemblea di nobili conferì allora la corona a Filippo di Valois, nipote di Filippo Iv, senza tenere conto delle regole della successione ereditaria. Contro questa designazione protestò il re d'Inghilterra Edoardo III che, essendo anch'egli imparentato con Filippo Iv, poteva vantare diritti sul trono di Francia. Di questa crisi politica e dinastica approfittarono alcune città e una parte della nobiltà francese (come Goffredo d'Harcourt, conte di Normandia) che si schierarono con il re d'Inghilterra. Scoppiò così un lunghissimo conflitto tra i due paesi, durato dal 1337 al 1453, la cosiddetta guerra dei Cent'anni. Con questa guerra vennero affrontati e risolti una volta per tutte gli intrecci territoriali e dinastici fra i due regni, apertisi tre secoli prima con la conquista normanna dell'Inghilterra e proseguiti al tempo di Giovanni Senzaterra e di Filippo II Augusto. Dopo alterne vicende, fra cui un lungo periodo di guerra civile, la riscossa francese nella guerra dei Cent'anni ebbe inizio nel 1429, quando una giovane contadina lorenese, Giovanna d'Arco, affermando di essere stata inviata da Dio per salvare la Francia, convinse il re Carlo VII a riprendere la guerra contro gli Inglesi e a liberare la città di Or- 11 11 re di Francia Filippo IV con i figli in una miniatura del XIV secolo. léans dall'assedio nemico. Fatta prigioniera dagli Inglesi, fu condannata per eresia e arsa viva. La sua morte non arrestò i Francesi che riuscirono a riconquistare territori che da secoli dipendevano dalla corona inglese (Bretagna, Normandia, Borgogna, Aquitania); nel 1453, al termine del secolare conflitto, gli Inglesi in territorio francese possedevano ormai solo il porto di Calais. n molti si sono affannati a cercare di individuare il luogo di nascita preciso e il vero nome di obin, il bandito che rubava ai ricchi prepotenti e donava ai poveri~ ma la convinzione degli torici è che Robin sia il prodotto della fantasia di anonimi autori di ballate. 'Nel 1230 appare er la prima volta un documento in cui si parla di un certo Robertus Hood e, nel uattrocento, la sua figura è già solidamente tratteggiata. Robin è un nobile che ha sperperato e sue sostanze ed è stato esiliato per debiti: si rifugia allora nella foresta di Sherwood, nei ressi di Nottingham, con i suoi seguaci e rapina i ricchi che si avventurano nella boscaglia. 'avventura di Robin si colora solo più tardi politicamente: nel racconto viene inserita la lotta antro gli esosi Normanni, che svenavano i poveri abitanti con le loro tasse. ra le molte ballate che cantano le gesta di Robin Hood, la più antica è Robin Hood and he Monk (Robin Hood e il monaco), ma la più compiuta e conosciuta è sicuramente A Gest f Robin Hode (Le avventure di Robin Rode), un lungo poema anonimo. sole due ore di treno da Londra troviamo Nottingham, capitale regionale delle East Midlands conosciuta ai più per le avventure di Robin Hood. Le prime notizie della città risalgono al 900. Il nome è di derivazione sassone come tutti i nomi che finiscono in "ham". Oggi è una città giovane e dinamica, con un bel centro storico che offre attrazioni davvero interessanti come il Nottingham Castle, che svetta su un roccione solcato da un labirinto di passaggi sotterranei. Fatto erigere da Guglielmo il Conquistatore nel 1068 subito dopo l'invasione normanna, fu la leggendaria dimora del perfido sceriffo di Nottingham. Ai piedi del castello, si trova il Trip to J erusalem (1189 ), la più antica locanda d'Inghilterra. Il suo nome deriva dalle crociate del XII e del XIII secolo. Nottingham ricorda Robin, le sue fughe e continue provocazioni allo sceriffo, che gli dava la caccia (non tutti sanno che ancora oggi esiste uno sceriffo a Nottingham). Nel 1996 lo sceriffo Roy Greensmith fece apporre questa lapide: «C'è bisogno di una coscienza sociale in questo paese. E se Robin Hood non è la personificazione della coscienza sociale, non so davvero cosa sia». Come si vede, i rapporti tra Robine le autorità sono cambiati. Mito o personaggio storico che sia, Robin Hood vive attualmente a Nottingham, nei nomi delle strade e dei luoghi. 1Dalla piazza principale, infatti, se si va verso il castello, si percorrono vie com~ Friar Lane ( via del frate) e Maid Marion Way (via Lady Marion). Sulla Casfze Road, proprio sotto le mura del castello, c'è la statua del mitico ladro intento a scocéare una freccia. Non dimentichiamo la Foresta di Sherwood, dove vive1:Ja Robin, oggi meta di moltissimi turisti che vogliono vedere la Grande Quercia, sulla quale Robin Hood viene spesso raffigurato mentre suona la lira. e on l'affermarsi delle monarchie feudali si formano le cancellerie e gli archivi di Stato che hanno il compito di conservare tutti gli atti legislativi e di governo. Questi uffici sono sehza dubbio la fonte più importante per ricostruire questo periodo storico, perché ci permettono di conoscere con assoluta precisione tutti gli eventi che hanno avuto rilevanza nella vita delle varie nazioni e nei rapporti tra di loro. Ma fonti altrettanto importanti sono documenti che definiremmo "privati". Si pensi agli atti delle società mercantili che indicano l'evolversi dei commerci, dei contatti con l'estero, i periodi di crisi e quelli di espansione. Anche gli atti delle parrocchie sono fonti molto interessanti: i parroci non si limitavano a redigere l'elenco dei nati e dei morti, ma aggiungevano anche commenti personali sui fatti più importanti che coinvolgevano la comunità. Accanto alla figura del cronista della vita del Comune (si pensi ai fratelli Giovanni e Matteo Villani di Firenze), compare poi la figura del cronista di corte che registra fedelmente la vita del sovrano e dei suoi cortigiani. forte nobiltà e delle ricche città della costa, che si organizzarono in assemblee rappresentative, le Cortes, riconosciute dal sovrano nel 1283. La situazione dell'Impero Con Rodolfo I (1273 -91), la corona imperiale passò alla famiglia degli Asburgo, grandi feudatari i cui domini originari coprivano la regione alpina della Svizzera. Nel 1278 conquistarono la zona dell'attuale Austria, che per sette secoli sarebbe rimasta il baricentro dei loro possedimenti e della loro potenza. Rodolfo I e poi il figlio Alberto (1291-1308) concentrarono l'interesse imperiale nell'area tedesca, ma in prevalenza curarono la fortuna della propria casata, consolidandone il dominio nelle regioni orientali dell'Impero (dall'Austria verso la Pannonia e la Boemia). Proprio per difendere la loro indipendenza dalla progressiva espansione degli Asburgo, subito dopo la morte di Rodolfo, nel 1291, alcune comunità svizzere si unirono in una lega (il Patto di Griitli), che sconfisse ripetutamente ( 1315, 13 86) la potente casata. Nella lotta antiasburgica, si inserisce la leggendaria figura di Guglielmo Teli, eroe nazionale svizzero. Progressivamente aderirono al patto giurato altre comunità valligiane e anche centri urbani quali Lucerna, Zurigo e Berna: intorno alla metà del Trecento, prese così forma la Confederazione svizzera che, nel 1389, ottenne un primo riconoscimento da parte degli Asburgo. L'imperatore Enrico VII Nel 1308 Enrico VII divenne imperatore grazie ali' appoggio decisivo di papa Clemente V. Enrico era un feudatario minore del Lussemburgo, ma dimostrò una notevole energia politica che lo indusse addirittura a tentare la restaurazione del potere imperiale in Italia. Approfittando della crisi della fazione guelfa, dovuta alla cattività avignonese dei papi e alla sconfitta angioina nella guerra dei Vespri, Enrico scese nella penisola nel 1310. Ma le speranze che suscitò in coloro che sostenevano la necessità di un potere civile sottratto all'influenza della Chiesa (come teorizzò Dante Alighieri nel suo trattato sulla monarchia) vennero ben presto deluse: scontratosi a Roma con le truppe angioine, Enrico VII fu costretto a ripiegare su Firenze, che assediò a lungo e inutilmente. 'raffigura Carlo d'Angiò mentre assedia la città di Messina duittà sventola il vessillo rosso-giallo degli Aragonesi, ancora oga della Catalogna. Sulla nave, invece, sventola il vessillo con il francese. o il Grande, in una miniatura del XIV secolo. La nuova monarchia angioina incontrò però in tutta l'Italia meridionale forti opposizioni. . Il tentativo di affermare la sovranità del re e di imporre l'istituzione di un efficiente e oneroso sistema fiscale generarono l'opposizione della nobiltà italiana meridionale. Il malcontento raggiunse il culmine nel 1282 quando scoppiò la cosiddetta guerra dei Vespri. La rivolta della nobiltà italiana assunse questo nome perché scoppiò a Palermo dopo il vespro del lunedì di Pasqua. L'insurrezione abilmente preparata e finanziata da Pietro III, re di Aragona, ebbe successo. La guerra durò vent'anni e nel 1302, con la pace di Caltabellotta, gli An- \ gioini furono costretti a riconoscere agli Aragonesi il possesso della Sicilia. La corona del nuovo Regno di Sicilia fu affidata a Federico d'Aragona, figlio di Pietro III. Il Regno fu riconosciuto dal papa Bonifacio VIII, che concesse agli Aragonesi anche la sovranità sulla Corsica e sulla Sardegna. L'Italia meridionale restava così divisa in due Regni: quello continentale, il Regno di Napoli, ancora sotto il dominio degli Angioini, e il Regno di Sicilia, affidato agli Aragonesi. Il Regno degli Aragonesi nell'Italia meridionale La sovranità della monarchia aragonese sulla Sicilia fu assai debole. Durante la guerra contro gli Angioini Pietro III era stato costretto a fare molte concessioni alla La figura di Cola di Rienzo Ecco come la figura di Cola di Rienzo e le sue vicissitudini prima della proclamazione della Repubblica romana appaiono nella colorita prosa della Cronica di un L o patre [di Cola di Rienzo] fu tavernaro, abbe nome Rienzi. La madre abbe nome Matalena, la quale visse de lavare panni ed acqua portare. Fu nato nello rione della Regola. Sio avitazio fu canto fiume, fra li mulinari, nella strada che vao alla Regola, dereto a San Tomao, sotto lo tempio delli Iudiei. Fu da soa ioventutine nutricato de latte de eloquenzia, buono gramatico, megliore rettorico, autorista buono. Deh, corno e quanto era veloce leitore! Molto usava Tito Livio, Seneca e Tulio e Valerio Massimo. Molto li delettava le magneficenzie de Iulio Cesari raccontare. Tutta die se speculava nelli intagli de marmo li quali iaccio intorno a Roma. Non era aitri che espacificazione generale dell'Italia, lanciando un appello a tutte le città e a tutti i signori della penisola affinché si riunissero in una grande assemblea generale. L'assemblea in effetti si tenne, con la partecipazione di parecchie città, e nonostante le stranezze e le megalomanie di Cola, la prospettiva di una vasta alleanza fra Stati italiani sembrò per un momento davvero delinearsi. Una congiura nobiliare, tuttavia, lo spodestò e lo costrinse alla fuga dopo sette mesi di tribunato. Il legato papale Egidio di Albornoz Per sedare le ribellioni popolari e dei signori feudali, i pontefici mandarono nei loro domini italiani dei legati. Uno di questi, il cardinale spagnolo Egidio di Albornoz, sottomise i signorotti della Romagna e delle Marche, recuperò l'Umbria e tolse Bologna ai Visconti, ristabilendo l'autorità pontificia su queste regioni. Al seguito del cardinale Albornoz ritornò a Roma, nel 1354, Cola di Rienzo. Riconciliatosi con il pontefice, non si presentò più come l'infervorato difensore della Repubblica e dell'Italia: era invece un rappresentante del governo pontificio, con il titolo di senatore, ma dopo pochi mesi fu ucciso in una sommossa. so, che sapesse leiere li antiqui pataffii. Tutte scritture antiche vulgarizzava. Queste figure de marmo iustamente interpretava. Deh, corno spesso diceva: «Dove sono questi buoni Romani? Dove ène loro somma iustizia? Pòterame trovare in tiempo che questi fussino!» Era bello omo e in sua vocca sempre riso appareva in qualche muodo fantastico. Questo fu notaro. Accadde che un sio frate fu occiso e non fu fatta vennetta de sia morte. Non lo potèo aiutare. Penzao lon~amano vennicare lo sangue de sio frate. Penzao longamente derizzare la cit~te de Roma male guidata. Per sio procaccio gìo [andò] in Avignone per imbasciatore a papa Chimento [Clemente VI] de parte delli tredici Buoni Uomini de Roma. La soa diceria fa sì avanzarana e bella che subito abbe 'namorato papa Chimento. Moito mira papa Chimento lo bello stile della lengua de Cola. Ciasche dìe vedere lo vole. Allora se destenne Cola e dice ca ili baroni de Roma so' derobatori de strade: essi consiento li omicidii, le robbarie, li adulterii, onne male; essi voco che Nel 1357 Albornoz emanò le cosiddette Costituzioni egidiane, una raccolta di norme che rimasero in vigore nello Stato pontificio, pur con diverse revisioni, fino al 1816. Nelle Costituzioni venivano regolati i rapporti fra il potere centrale della curia, le autonomie cittadine e i signori locali, che avevano ottenuto la carica di vicari pontifici. Erano inoltre presenti norme relative alla convocazione di parlamenti locali, con poteri consultivi in materia fiscale e militare. L'opera di Albornoz ebbe successo: rafforzò i poteri della curia gettando così le fondamenta di quello che poi sarebbe divenuto lo Stato pontificio. È difficile ricondurre queste rivolte a un'unica matrice, o a cause comuni ben identificabili. Certo, però, su tutte influì l'onda lunga della crisi aperta dalla terribile pestilenza che colpì l'Europa. Esasperati dalle carestie, dalla fame, dall' aumento dei prezzi, dai bassi salari, dal rapace fiscalismo delle monarchie, dai danni provocati dalle guerre, braccianti e lavoranti delle manifatture si lasciarono andare ad atti di violenza inusitata. La jac uerie francese La Francia, già indebolita dalla crisi dinastica e dall'entrata in guerra contro l'Inghilterra, visse un periodo di profondi disagi e turbolenze s9ciali. Nel 1356, un mercante di panni parigino, Etienne Marcel, assunse la guida della protesta dei ceti produttivi e mercantili contro la monarchia, chiedendo che gli Stati generali avessero effettivi poteri di controllo sul re e sul governo. L'anno seguente scoppiò nelle campagne francesi, a nord della regione parigina, una sollevazione antifeudale, la cosiddetta jacquerie, da "J acques Bonhomme", nomignolo con cui i nobili chiamaviolenze commesse dai contadini, anche se spesso sono cronache di parte nobiliare, quindi faziose. Quello che proponiamo è il racconto del francese Jean Froissart (1337-1404), autore delle importanti Chroniques. bili». Allora si misero insieme e se ne andarono, senza altro consiglio e senza armi, tranne che mazze ferrate e coltelli, nella casa di -un cavaliere che abitava lì vicino; entrarono a forza nella casa e uccisero il cavaliere, la moglie e i figli, grandi e piccoli, e bruciarono la casa. Poi andarono in un altro castello e fecero assai peggio, poiché presero il cavaliere e lo legarono ben stretto ad una trave, e in parecchi violentarono la moglie e la figlia sotto i suoi occhi; poi uccisero la moglie che era incinta, sua figlia e tutti i bambini, e poi il cavaliere tra grandi sofferenze, e bruciarono e demolirono il castello. Così fecero in parecchi castelli e case patrizie, e crebbero tanto di numero che furono ben presto in seimila. Dappertutto dove andavano il loro numero cresceva, perché tutti quelli che erano come loro li segmvano. [ ... ] E quei miserabili, riuniti in bande, senza capi e senza insegne, rubavano e bruciavano tutto, uccidevano tutti i nobili che trovavano, e violentavano tutte le dame e le pulzelle, senza pietà e senza scampo, come cani arrabbiati. Certo, vano i contadini [ DOC,]. La violenza dei contadini esplose improvvisa, frutto delle loro miserabili condizioni di vita aggravate dalle carestie e dalla peste. La sollevazione non durò che qualche settimana perché venne stroncata dall'esercito del re di Navarra, ma provocò saccheggi, stragi di nobimai ci fu tra i cristiani né tra i saraceni una furia pari a quella di questi disgraziati, perché chi più faceva del male o delle azioni vili, azioni che creatura umana non dovrebbe osar di pensare, immaginare o guardare, quello era il più apprezzato tra essi e il più prestigioso. [ ... ] Quando i gentiluomini delle zone di Beauvais e di Corbie, del Vermandois, del Valois, e delle terre dove questi malfattori confluivano, videro le loro case così distrutte ed i loro amici uccisi, chiesero soccorso ai loro amici di Fiandra, Hainaut, Brabante, Hesbave; e ne vennero subito da molte parti. Allora gli stranieri ed i gentiluomini del luogo si misero insieme. Cominciarono anche loro ad uccidere e fare a pezzi quei miserabili, senza pietà e senza scampo, e li impiccavano in massa agli alberi, dove li trovavano. Anche il re di Navarra ne sterminò in un giorno più di tremila, molto vicino a Clermont nel Beauvais. Ma si erano già tanto moltiplicati che se fossero stati tutti insieme sarebbero stati centomila. Quando si domandava loro perché facessero questo, rispondevano che non lo sapevano, ma che lo vedevano fare dagli altri, e così lo facevano anch'essi; e pensavano di dovere in tal modo distruggere tutti i gentiluomini ed i nobili del mondo, in modo che non ce ne potesse essere più nessuno. r.l La sepoltura delle vittime della peste in una miniatura veneta della seconda metà del XIV secolo. D'altra parte, la peste trovò in Europa un terreno fertile per la sua diffusione. La produzione agricola non era in grado di rispondere alla domanda dell'aumentata popolazione e divennero più frequenti gli episodi di carestia. La crescita demografica, che aveva caratterizzato l'Europa a partire dalla rinascita dopo il Mille, subì così un'inversione di tendenza proprio nei decenni iniziali del Trecento, prima che la peste giungesse in Europa. È verosimile èhe questa situazione abbia inciso non poco sulla propagazione della peste, perché la malattia incontrò vasti strati di popolazione con il fisico già debilitato dalla malnutrizione e quindi più vulnerabile. · I provvedimenti delle autorità politiche Di fronte all'imperversare della peste, i consigli comunali stabilirono alcune regole per evitare la diffusione del contagio in città, dove si rivelava micidiale e incontenibile. Per esempio, stabilirono che nessun abitante del contado dove si era manifestata la malattia, anche se apparentemente sano, potesse recarsi in città. E, ancora, ordinarono che nessun cittadino del contado potesse portare o far entrare in città panni usati, a qualunque impiego fossero destinati. I morti dovevano essere trasportati in casse di legno inchiodate, per impedire la diffusione delle esalazioni, ritenute contagiose, dai cadaveri; allo stesso scopo, si fissò pure la profondità delle fosse per la sepoltura. Nessuno dei parenti poteva accompagnare i defunti oltre la porta della chiesa, né farritorno alla casa dove aveva abitato il morto. Si puniva severamente lo sciacallaggio nelle case abbandonate, non solo come reato in sé ma in quanto mezzo di diffusione del morbo, e si barricavano porte e finestre delle abitazioni degli appestati lasciandoveli reclusi insieme ai loro parenti. Le città di mare chiusero i loro porti alle navi provenienti da località infette o sospette, e decretarono per loro la quarantena. Molte di queste precauzioni furono realizzabili finché il morbo ebbe una diffusione abbastanza limitata. Ma quando cominciò a infierire su decine di migliaia di persone in una città o in una regione la situazione non poté più essere controllata. Era impossibile interrompere tutti i contatti fra malati e sani e i monatti (cioè gli addetti al trasporto dei cadaveri) raccoglievano a centinaia i morti sulla pubblica via e li ammassavano in fosse comuni. Le persecuzioni contro i "diversi" Tra le reazioni alla grande pestilenza, come spesso accade nei momenti di grave crisi, vi fu quella di attribuirla a un "colpevole", un capro espiatorio da punire. Lo si individuò nella comunità dei "diversi" per eccellenza, diversi per la fede religiosa e per le abitudini di vita: gli ebrei. Le persecuzioni antigiudaiche, esplose già al tempo della prima crociata, furono violente in occasione della peste del Trecento. A Tolone, per esempio, nella notte fra il 13 e il 14 aprile 1348, la domenica delle Palme, il ghetto fu invaso, le case saccheggiate e molti ebrei massacrati nel sonno. In varie località della Provenza, vi furono molte altre aggressioni contro le comunità ebraiche con eccidi di massa. Lo stesso accadde in Catalogna, in particolare a Barcellona. La situazione drammatica di quegli anni offrì il destro alla repressione indiscriminata anche di altre categorie di "diversi". È il caso dei processi sommari per stregoneria, irì cui si accusarono e si condannarono uomini e, soprattutto, donne ritenuti responsabili di spargere il contagio con le loro arti diaboliche. La situazione di Firenze Nelle città, in particolare in quelle italiane, accadde più di una volta che i piccoli artigiani e i salariati protestassero contro i grandi mercanti-imprenditori avanzando la richiesta di partecipare alla vita politica. Significativo, in questo senso, fu soprattutto il cosiddetto tumulto dei ciompi, cioè i lavoratori della lana, scoppiato a Firenze nel 1378 [ DOC. P. 403). Nel corso del Trecento la storia di Firenze era stata complessa. Bonifacio VIII si era inserito nella loua fra bianchi e neri inviando in città come signore Carlo di Valois. Poi furono i Fiorentini, per difendersi dalla minaccia del signore di Lucca, Castruccio Castracani, a chiedere l'aiuto degli Angioini, affidando la Signoria a Roberto e Carlo d'Angiò (1316-28). Le difficoltà di una nuova guerra con Lucca li indussero a chiamare un altro signore nel 1342, Gualtieri di Brienne, che fu cacciato l'anno seguente da una sollevazione popolare: a questo punto, Firenze si diede un governo basato sui rappresentanti delle ventuno "arti" riconosciute. Tuttavia, cominciò un aspro confronto politico fra il ceto magnatizio della città, riunito nella potente parte guelfa, e il popolo minuto, appartenente alle arti minori o anche escluso dal sistema delle arti. Per un trentennio, i primi mantennero il predominio. Nel 1375 cominciò una guerra contro il papa di Avignone, Gregorio XI, i cui legati in Italia mostravano di voler espandere lo Stato pontificio in Toscana. Due anni dopo, come sappiamo, la SanIl La bottega di un sarto con i lavoranti all'opera in una miniatura del XIV secolo. ta Sede ritornò a Roma ma si aprì anche lo scisma d'Occidente che, di fatto, pose fine alla guerra. , Il tumulto dei ciompi In questo difficile contesto - Firenze aveva anche subìto dure ripercussioni dalla peste e dalla crisi economica che ne era seguita - emerse la protesta dei ciompi. Questi lavoratori, sottopagati e privi di una propria arte ( quindi del diritto di partecipare al governo), si sollevarono nel 1378 e imposero come gonfaloniere un proprio rappresentante, Michele di Landa. Vennero istituite tre nuove arti, tintori, farsettai e ciompi, alle quali fu riservato un terzo delle magistrature cittadine. Nel giro di un mese, però, la coalizione delle arti maggiori e minori domò l'insurrezione: Michele di Landa trovò un accordo con l'oligarchia cittadina, dandosi poi alla fuga; l'arte dei ciompi fu soppressa e a Firenze si delineò un regime di tipo oligarchico. La rivolta dei ciompi fallì essenzialmente perché fu un fenomeno isolato, incapace di coinvolgere la popolazione delle campagne e gran parte della popolazione urbana. Gli obiettivi dei rivoltosi, infatti, riguardavano quasi esclusivamente la loro categoria e contrastavano con gli interessi sia della grande sia della piccola borghesia delle arti minori. l'I Il re d'Inghilterra Enrico V in un ritratto del XV secolo. un'ambiguità di fondo. I sovrani le consultavano per avere sì un appoggio ma, in definitiva, l' obiettivo più importante era vedere riconosciuta la propria superiorità: le riunioni dei "grandi" al cospetto del re dovevano offrire una specie di conferma rituale dell'autorità regale, mostrare che essa era assolutamente incomparabile a qualunque altro potere. Per altro verso, però, tali assemblee diventarono centri della resistenza nobiliare alla corona. Nate per appoggiare e consolidare la monarchia, si sarebbero trasformate negli ultimi baluardi di ciò che ancora sopravviveva dei vecchi privilegi feudali, talvolta resistendo a oltranza agli sforzi accentratori e assolutistici dei re. Non a caso, con il rafforzamento definitivo delle monarchie, queste assemblee sarebbero state convocate sempre meno di frequente. I due rami del Parlamento inglese Nella prima metà del Trecento, il Parlamento inglese si divise in due camere: la Camera dei Lords o dei Pari, che accolse i baroni e l'alto clero; la Camera dei Comuni, che riunì le rappresentanze delle città, del basso clero e della nobiltà minore. Ali' approvazione del Parlamento furono sottoposte anche le norme che dovevano entrare a far parte del patrimonio legislativo del paese. Il tentativo di Riccardo II (13 77-99) di utilizzare le ribellioni dei contadini, scoppiate anche in Inghilterra durante la guerra dei Cent'anni, per ridimensionare il potere dei nobili fallì; dopo la sconfitta degli elementi popolari, il sovrano fu costretto a subire un nuovo controllo da parte del Parlamento. A Riccardo II, costretto ad abdicare dopo una nuova iniziativa antiparlamentare, succedettero Enrico IV ( 13 99-1413) ed Enrico V ( 1413- 22), della famiglia Lancaster. Con questa dinastia, i poteri del Parlamento subirono un ridimensionamento, perché i nuovi sovrani riuscirono a limitarne l'indipendenza usando l'arma della corruzione. Le rivolte politiche e sociali del secondo Trecento Ai processi di transizione verso un nuovo ordine politico che interessarono molte zone dell'Europa si accompagnarono, nella seconda metà del Trecento, rivolte popolari particolarmente significative, sia nelle città sia nelle campagne. Le conseguenze dello spopolamento causato . dalla este Nel 1351 si esaurì in Europa la prima e più forte ondata epidemica, definita la "peste nera" [ ooc.l I focolai non si spensero del tutto e l'infezione tornò a manifestarsi a intervalli irregolari nei decenni successivi (1360-63, 1369, 1374-75). Si stima che la popolazione dell'Europa - passata dai trentacinque-quaranta milioni di abitanti intorno al Mille ai settanta-ottanta circa di inizio Trecento - alla vigilia della prima epidemia di peste fosse discesa di qualche milione, a causa della crisi agricola, e che, tra il 1347 e il 1351, morirono fra FICA CAUSATA IN EUROPA DALLA PESTE NERA 11000000 21000 000 12 000 000 4 500 000 stre azioni inique, da giusta ira divina, con il proposito di emendarci, fu mandata sui mortali, cominciata alquanti anm prima nelle regioni dell'Oriente, dopo aver privato quelle d'innumerevole quantità di viventi, diffondendosi senza sosta da una regione all'altra, s'era luttuosamente estesa verso l'Occidente. E, senza che contro di essa valessero senno né provvedimenti umani (per cui la città fu ripulita da molte immondizie da magistrati istituiti a questo scopo, e vi fu vietato l'ingresso a tutti i malati, e furon dati consigli per preservar la salute) e neppure umili suppliche rivolte a Dio, da gente devota, non una volta, ma molte, in processioni ben ordinate o in altri modi, quasi al principio della primavera del- 1' anno predetto cominciò ABITANTI NEL 1350 8 000 000 14 000 000 8 000 000 3 000 000 a far vedere i suoi effetti in modo orribile e in maniera straordinaria. E non come aveva fatto in Oriente, dove per tutti coloro a cui usciva sangue dal naso era presagio evidente di morte inevitabile; ma nel suo primo insorgere, a maschi e f em - mine ugualmente, o all'inguine o sotto le ascelle, nascevano certi tumori, di cui alcuni crescevano come una mela comune, altri come un uovo, e alcuni più ed altri meno. La gente del volgo li chiamava gavòccioli. Di lì a poco il già detto gavòcciolo mortale cominciò a nascere e venire, dalle due parti del corpo sopraddette, m ogni sua parte, indistintamente; e poi ancora la manifestazione dell'infermità predetta cominciò a mutarsi in macchie nere e livide, che apparivano a molti i venticinque e i trenta milioni di europei. Il crollo demografico è testimoniato, in particolare, dai resoconti delle castellanie, i documenti fiscali nei quali venivano registrati anno dopo anno sia il numero dei "fuochi", cioè le unità familiari, sia l'entità dei "focaggi", cioè i proventi fiscali riscossi. Questi resoconti, redatti dai funzionari che dovevano procedere agli incassi, aiutano gli storici a delineare l'andamento della peste e le aree di maggiore o minore incidenza. La diminuzione drastica della popolazione colpì soprattutto le città sovraffollate, luogo ideale per la diffusione del contagio, ma non risparmiò le campagne. Naturalmente, il suo effetto si ripercosse in modo pesante anche sulle attività economiche. L'improvvisa scarsità di manodopera provocò il calo della produzione agricola e manifatturiera, l'abbandono delle terre coltivate e l'aumento dei salari, quindi la crescita dei costi di produzione e dei prezzi. I decenni seguenti alla grande pestilenza furono quindi un periodo di grave crisi economica, dalla quale l'Europa si risollevò con molta difficoltà. nelle braccia, e sulle cosce, ed in ogni altra parte del corpo, ad alcuni grandi e rade, ad altri minute e fitte. E come il gavòc- . ciolo era stato nei primi tempi (e continuava a essere) indizio certissimo di morte ventura, così lo . erano queste macchie, per tutti coloro a cui venivano. A curare queste infermità sembrava che non valesse né servisse a nulla né senno di medici né efficacia di medicine; anzi, o che non lo permettesse la na - tura del male o che l'ignoranza di quelli che prendevano a medicarlo (e, oltre gli uomini di scienza, il numero di costoro, uomini e donne che mai avevano avuto nozioni di medicina, era diventato grandissimo) non sapesse da che cosa nascesse e quindi non ne cavasse i dovuti rimedi, non solamente ne guarivano pochi, ma quasi tutti, entro il terzo giorno dalla comparsa dei sintomi sopraddetti, chi prima e chi dopo, e i più senza alcuna febbre o altro accidente, morivano. E questa pestilenza fu di forza maggiore, perché, non diversamente da quel che fa il fuoco con le cose secche o unte, quando gli siano molto avvicinate, da coloro che n'erano infetti si avventava, per i rapporti che avevano tra di loro, ai sani. Ed ebbe una caratteristica ancor peggiore: che non soltanto il parlare con gli infermi, e il frequentarli, comunicava ai sani l'infermità e la cagione di ugual morte; ma sembrava anche che il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi toccata o adoperata trasportasse con sé, nel toccatore. li, distruzÌoni di castelli. Étienne Marcel cercò di cavalcare il fenomeno e di estenderlo al resto del paese, ma morì assassinato. Da allora la parola jacquerie rimase a designare tutte le rivolte spontanee, mosse dall'oppressione e prive di programmi ideali. La rivolta contadina in In hilterra Nel 13 81 in Inghilterra si accese una violenta rivolta contadina. La causa immediata fu la reazione al tentativo di calmierare i salari e di aumentare ancora le tasse. Ma la rivolta, come abbiamo già ricordato, subì l'influenza delle dottrine di John Wycliffe e dei lollardi, traducendo in termini sociali il discorso essenzialmente teologico e religioso di Wycliffe. I disordini e le violenze che si verificarono in Inghilterra non furono molto diversi da quelli francesi di un ventennio prima, e anche qui la sanguinosa repressione fu concordemente sostenuta dai nobili e dai ceti borghesi. È però interessante notare che, rispetto a quella francese, l'insurrezione inglese mostrò una magJohn Ball chiama alla rivolta i contadini inglesi Nel documento che proponiamo - tratto dalle Chroniques del francese Jean Froissart (1337-1404) - sono riportate le parole di fohn Bali, uno dei capi della rivolta contadina inglese del 1381, che esprimono tutto lo sdegno per l'ostentazione dei ricchi e l'assoluta miseria dei poveri. È uso in Inghilterra, come m molti paesi, che i nobili abbiano grandi privilegi sui loro contadini e li tengano in servitù. [. .. ] Questi miserabili [. .. ] commcrnrono a sollevarsi, per la ragione, dicevano, che li si teneva in troppo pesante servitù; e che, all'inizio del mondo, non c'era stato nessun servo né ce ne poteva essere, a meno che non tradisse il suo signore, come Lucifero fece contro Dio; ma essi non erano di quella sorta, perché non erano né angeli né spiriti, ma uomini fatti allo stesso modo dei loro signori, e li si teneva come bestie: cosa che essi non volevano né potevano più sopportare, ma volevano essere uguali agli altri e, se aravano o facevano lavori agricoli per i loro signori, volevano per ciò ricevere un salario. A queste chiacchiere li aveva in passato iniziati e spinti un pazzo giore consapevolezza delle sue cause e dei suoi obiettivi [ ooc.1. Fu insomma, almeno in parte, un'insurrezione guidata da idee e da una visione politica globale. E infatti queste idee influenzarono altre regioni d'Europa: tra il 1378 e il 1385, movimenti insurrezionali serpeggiarono anche in Italia, Boemia, nelle Fiandre, in Linguadoca, in Germania e nella penisola iberica. prete inglese della Contea di Kent, che si chiamava J ohn Ball; per le sue folli parole era stato gettato in prigione più volte dall' arcivescovo di Canterbury. Infatti, questo J ohn Ball era solito, la domenica dopo la messa, quando tutti uscivano dalla cattedrale, mettersi sotto il portico, e lì predicava e raccoglieva il popolo intorno a sé, e diceva: «Buona gente, le cose non possono andar bene in Inghilterra né andranno bene finché le ricchezze non saranno messe in comune e non ci saranno più né nobili né contadini, e saremo tutti uguali. Perché quelli che chiamiamo signori sono più potenti di noi? A che cosa sono utili? Perché ci tengono in servitù? E se veniamo tutti da un solo padre e da una sola madre, Adamo ed Eva, in che cosa possono essi dire o dimostrare che sono migliori di noi, se non per -il fatto che ci fanno produrre col nostro lavoro quello che essi spendono? Sono vestiti di velluto e di giacche foderate di vaio e di petit-gris, e noi siamo vestiti di misero panno. Essi hanno i vini, le spezie e il pane buono, e noi abbiamo il fango, il grano scadente e la paglia, e beviamo acqua. Essi hanno dimore e bei castelli, e noi la fatica e il lavoro, la pioggia e il vento nei campi; e a noi, al nostro lavoro, è dovuto il rango che occupano. Siamo chiamati servi, e veniamo battuti, se non li serviamo con sollecitudi- sissima e ovvia, vista la quantità di luoghi di città e di campagna malsani ed endemicamente infestati da varie malattie. A quanti, impossibilitati alla fuga, rimanevano in città, si raccomandava di non avvicinarsi ai contagiati e nel caso, prima di entrare in camera del malato, di aprire porte e finestre in modo da cambiare l'aria, di lavarsi le mani, il naso, la faccia e la bocca con aceto e acqua rosata, e di tenere in bocca due chiodi di garofano. Qualcuno si ingegnò anche a ideare delle pasticche contro la pestilenza, a base di erbe o altre sostanze, ovviamente del tutto inefficaci. Alcuni medici, poi, incidevano i bubboni, cioè i rigonfiamenti delle ghiandole linfatiche provocati dalla peste, ma è chiaro che questo non costituiva un rimedio all'infezione, anzi, i ferri infetti contagiavano altre persone. Questo insieme di prescrizioni, seppure sortì qualche effetto, fu comunque ben poco rilevante di fronte alla violenza dell'epidemia. Del resto, la scienza medica impotente finiva spesso con lo sconfinare nella superstizione. Alcuni tra i più celebri medici dell'epoca ricorsero agli amuleti, cui erano attribuiti poteri protettivi: il terrore del contagio rendeva le persone disposte a credere a molte cose. • LA CULTURA Giovanni Boccaccio Giovanni Boccaccio ( Certaldo o Firenze, 1313 - Certaldo, 1375) era il figlio illegittimo di un mercante. In realtà, egli sosteneva di essere figlio nientemeno che della figlia del re di Francia o, comunque, di una illustre dama francese, ma questi racconti erano solo frutto della sua fantasia. Ancora giovinetto fu spedito dal padre a Napoli a lavorare nell'agenzia della Banca fiorentina dei Bardi e questo lavoro gli permise di conoscere una vasta gamma di tipologie umane che poi tratteggiò magistralmente nel Decameron, il suo capolavoro. A 27 anni dovette tornare a Firenze, in seguito alla crisi della Banca dei Bardi, ma nel frattempo aveva già cominciato a scrivere opere importanti e aveva conquistato una solida fama. Divenuto ambasciatore del Comune di Firenze, fu inviato ad Avignone dal papa Innocenzo VI e poi anche dall'imperatore in Germania. Negli ultimi anni della sua vita frequentò assiduamente Petrarca, che considerava suo maestro. Sospettato ingiustamente di congiura contro il governo di Firenze, si dedicò alla religione, alla meditazione e alla ste- Il tumulto dei ciompi m una cronaca del tempo In questo racconto di un cronista anonimo viene descritto il nascere del L a sera ne venia; el popolo si passò il ponte Rubaconte, con esso il confalone della giostizia, per accamparsi a San Giorgio. Aveva allora questo confalone Betto di Ciardo di Campo corbolino, riveditore, franco giovine e atante. Sendo a San Giorgio, non parve loro stare tanti forti. Allora si mossoro il detto confalone, e si isciesono giù al Ponte Vecchio e tennono su per Porta Santa Maria, e andaro retto al Canto alla Macina, e andaro al palagio di messere Stefano in Belletri e ivi s'accamparo, per quella sera. Po' venne la mattina, sì come piacque a Dio; e molti cittadini si vennono a proferere loro la notte, e d' essere con loro a ciò che volessono fare. Allora il popolo si mandò per tutte I' arti minute; e chi venne e chi no. Sendovi questa gente raunata, per numero di sette migliaia d'uomini d'arme, e' si diliberarono che s'andasse a fare di molto male. Piacque a Dio ch'un'acqua fu sì forte diluviata, che persona non poteva andare per via. Sì che si stette la brigata infino a terza' anzi che si movesse; poi diliberarono fra loro che s'andasse e sì si pigliasse il palagio del podestà; e così tumulto dei ciompi. Lo scrittore lascia intendere come all'inizio non vi fosse alcuna coscienza della propria situazione, ma solo disperazione e furore. Successivamente i ciompi si organizzeranno e formeranno una vera e propria struttura politica. mossoro d'accordo insieme, e si giunsoro al detto palagio del podestà, e si lo intorniarono. Allora la famiglia del podestà, eh' erano in sulla torre, si cominciano a gittare priete e verettoni al popolo ed agli artefici che v'erano. Allora cominciò il popolo a dire che, se nollo desse, ché poi non vorrebbono altro che carne di lui. Allora balestrieri si andaro in sullo campanile della Badia, e si saettavano a petto a que' del podestà; ma poco facie' loro, che co' sassi non lasciavano apressare niuno al palagio. Allora il popolo recaro deschi da tavernai, e si v' entraro sotto, e si gli posono alla porta del detto palagio, e si affocaro la porta con molte scope. Allora molti cittadini, vicini del podestà, si accennano al podestà co' cappucci che non gittassero più giù, e che, se volesse dare il palagio, che sarebbe salvo le persone. Allora rispose eh' era contento di dare loro il palagio, salva la camera del comune; ed e' risposono eh' erano contenti di così fare. E ne venne giuso ,colla sua famiglia, con gran paura, cheggendo merzede per Dio. Allora il popolo entrò dentro; ed e' si partì, sanza essergli fatto niuna villania. Giunsoro su nella torre; e 'n sulla torre fu posta una segnia d'arte di fabbri, cioè di tanagli [il gonfalone dei fabbri, che raffigurava delle tenaglie]. E tutte l' altre insegne dell'arti, grande e minute, vi furono poste a le finestre del podestà, con esso il confalone della giustizia, salvo che non vi fu quella dell'arte dalla lana. Sendo nel palagio detto, si gittaro fuori ciò che v'era, e si I' arsono, ogni scrittura che trovaro nel detto palagio. E quivi si posaro, tutto questo dì e tutta la notte, a onore di Dio; molta gente vi ste', ricchi e poveri, e ciascuno per guardare il suo gonfalone della sua arte. Sì si mosse il popolo la mattina, e si cavaro fuori il gonfalone della giustizia, del detto palagio, e si n' andaro a la Piazza de' signori, tutti armati, gridando: «Viva il popolo minuto». Allora l'aveva, il detto gonfalone, in mano Betto di Ciardo, riveditore. Allora gridò tutto il popolo a una: «ch'e signori fossono mandati a terra; e, se non volessono uscire, che sì e' s'andasse alle loro case». Allora si giunse in sulla Piazza uno Michele di Lando pettinatore, figliuolo di monna Simona, trecca dalle Stinche, sanza pezzo d'arme a lato o indosso; e sì fu preso, e postogli in mano il gonf alone della giustizia; ed e' lo prese per le mani, e per salvallo per lo popolo minuto. Allora si mandò a dire a' signori che iscombrassoro il palagio. Il palagio era ben fornito di ciò che bisognava; ma e', com'uomini paurosi, s1 ne' usciro fuori per lo migliore. Allora entrò suso tutto il popolo, con esso il gonfalone della giostizia; e si giunsoro suso, entrarono per tutte le camere, e si trovarono di molti capresti, i quali avien comperati per impiccare i poveri, eh' avevano rubati quando s'arse da prima; e si trovaro molte altre cose. Andonne suso nella torre molti giovani; e si sonarono tutte le campane, per vettoria eh' avevano auto il palagio, a onore di Dio. Po' si ordinarono di fare ciò che fosse di bisogno, per loro fortezza e francamento del popolo minuto. Allora si feceno e chiamaro signore e confaloniere di giostizia questo Michele di Lando, pettinatore, e fu signore due dì. Il dì detto, venne il detto Michele di Lando in su la ringhiera, con tutte le trombe e suoni del comune, e vennoro con lui gli otto della guerra, e molti altri cittadini; e sì si parlamentò del buono confaloniere di giostizia; e che Dio gli desse onore e vettoria; e che pigliasse l'uficio sì come confaloniere di giostizia. Ritornossi in palagio con gran trionfo; chi voleva niuna cosa di • LA SOCIETÀ E LE ISTITUZIONI Lo stato dei ceti La volontà, da parte dei sovrani europei, di costituire saldi organismi, unitari e omogenei, su un'ampia base territoriale, dovette tener conto dell'influenza politica ed economica dei feudatari, degli ecclesiastici e della borghesia delle città. L'affermazione di un'autorità centrale, infatti, andava a discapito del potere accumulato col tempo, per consuetudine, da questi ceti e con essi si trovò a confrontarsi continuamente. Fra il XIII e il XIV secolo il rapporto tra il sovrano e le altre autorità tradizionalmente radicate nel suo territorio non smise di essere conflittuale. D' altra parte, fu proprio per garantirsi un reciproco riconoscimento che il rapporto tra potere centrale e potere locale assunse anche altri aspetti: in molti Stati d'Europa, nacquero assemblee a diverso titolo rappresentative, perché formate appunto da individui che rappresentavano le principali forze economiche, politiche e sociali del paese. Convocate dal re o riunitesi spontaneamente, tali assemblee assunsero denominazioni diverse nei singoli paesi: il Parlamento inglese si riunì una prima volta nel 1295 per volontà di Edoardo I; vennero poi le assemblee e gli Stati generali &ancesi e, infine, le Cortes spagnole e la Dieta imperiale in Germania. Questa trasformazione del sistema feudale è stata sottolineata da alcuni storici come passaggio dalla monarchia feudale allo stato dei ceti. I I La composizione e la funzione delle assemblee dei ceti I In un primo momento, il compito di questi organismi fu quello di esprimere al sovrano il consenso e l'appoggio dei vari ceti, o stati, che componevano il paese. La nobiltà e il clero anzitutto, ma in parte anche le aristocrazie cittadine e i grandi • 1- • • • • • • proprietap terrieri, poterono espmners1 m pruno luogo sulle questioni fiscali. Questo, infatti, era il principalé oggetto del contendere e alle assemblee spettava l'approvazione dei sussidi straordinari richiesti dal sovrano. In un secondo tempo, ma qui il processo fu ancora più complesso e contrastato, acquisirono talvolta qualche voce in capitolo sulle scelte politiche. Il Parlamento inglese accrebbe lentamente ma costantemente le sue prerogative. Sarebbe diventato, con il tempo, un centro di decisione e di gestione del potere autonomo dalla corona, fino a configurare la tipica diarchia inglese fra re e Parlamento, espressa dalla formula "il re (governa) in Parlamento". Ma il caso inglese fu un'eccezione. Nel resto d'Europa, le assemblee rappresentative dei "grandi" del paese furono caratterizzate da La peste e la religione Il terrore generato dall'epidemia di peste suscitò impressionanti fenomeni di fanatismo religioso. Il più vistoso fu quello dei flagellanti, gruppi di centinaia di persone che vagavano da una città all'altra della Germania percuotendosi pubblicamente. A queste e altre forme penitenziali, che avevano lo scopo di placare l'ira divina (nell'immaginazione popolare vera causa della pestilenza), partecipavano o assistevano grandi folle. Ma processioni come quelle dei flagellanti risultavano, al contrario di ciò che si prefiggevano, uno dei veicoli più efficaci di diffusione della malattia. I flagellanti ebbero un seguito popolare enorme e finirono addirittura per arrogarsi poteri ecclesiastici, per esempio impartendo i sacramenti durante le loro cerimonie; rivolsero inoltre dure accuse contro il clero corrotto. Per questo, la Chiesa li accusò di eresia e fece in modo che fossero dispersi con la forza. Processioni e riti si moltiplicarono ovunque, con il fine di chiedere la protezione o il perdono di Dio e dei santi patroni delle città. In genere tutto l'ambito della religiosità popolare, comprese le superstizioni, le sopravvivenze di credenze pagane e i riti magici ricevettero un forte impulso. La scienza e la peste: i rimedi della medicina La scienza medica del tempo non disponeva di alcun mezzo terapeutico in grado di combattere efficacemente la peste. Alcuni medici cercarono di trovare la maniera per prevenire il contagio, ma dai risultati cui giunsero possiamo capire a quale punto fossero le conoscenze mediche. Secondo il medico bolognese Tommaso Del Garbo, che visse l'epidemia del 1348, il primo e più sicuro rimedio era quello di fuggire dal luogo infestato e recarsi dove l'aria "fosse più sana". L'attenzione per l"' aria", sia da parte dei medici sia nel senso comune del tempo, era del resto diffu- Alcuni famosi umanisti In questo periodo nasce in parecchi stati dell'Italia una forma di mecenatismo, simile a quella dei tempì di Augusto, che stimola e incoraggia gli studiosi alla ricerca e alla produzione di opere. Centri importanti diventano Firenze, per la generosità di Cosimo e Lorenzo de' Medici, Ferrara con gli Estensi, Milano con i Visconti e poi gli Sforza, Mantova con i Gonzaga e Napoli con gli Aragonesi. Anche Roma vede rifiorire il culto della classicità attraverso il mecenatismo di papi come Niccolò V e Pio II. In queste città nascono Accademie, a imitazione dei Greci e di Platone, circoli di intellettuali dove si commentano le opere classiche e si discute delle grandi problematiche filosofiche. A Firenze si affermò Co luccio Salutati ( 13 31- 1406). Fu per trent'anni cancelliere della Repubblica fiorentina e fu amico di Petrarca e di Boccaccio. Compose numerosissime Epistole latine, sia pubbliche che private, che ebbero il grande merito di rinnovare lo stile cancelleresco, già irto di formule antiquate e barbare. Sempre a Firenze divenne famoso Poggio Bracciolini (1380-1459), il maggiore prosatore dell'Umanesimo latino, oltre che infaticabile ritrovatore di codici. Percorse la Svizzera, la Germania, la Francia e la stessa Inghilterra, frugando nelle biblioteche dei monasteri alla ricerca dei codici scritti dai monaci che contenevano le grandi opere degli antichi Greci e Latini. Trovò l'Institutio oratoria di Quintiliano e soprattutto il De rerum natura di Lucrezio, le Selve di Stazio e parecchie orazioni di Cicerone. Marsilio Ficino (1433-99) si è meritato un posto nella storia per aver tradotto in latino le opere di Platone e di Plotino. A Roma ricordiamo Lorenzo Valla (1407-57), che scrisse la famossima opera Della falsamente creduta donazione di Costantino, ove si dimostra che è priva di fondamento storico la leggenda che l'imperatore Costantino, guarito dalla lebbra da papa Silvestro, avrebbe a costui ceduto le terre del dominio temporale, ritirandosi a Bisanzio. A Napoli Giovanni Pontano (1426-1503) fu ritenuto il più grande poeta dell'Umanesimo latino. Divenne l'educatore, il ministro e il segretario di molta parte della dinastia aragonese e compose in latino opere di ogni genere, specialmente in poesia, ispirandosi a Catullo, agli elegiaci latini e a Ovidio. La fuga degli intellettuali da Costantinopoli Il 29 maggio 1453 le armate di Maometto II entrarono a Costantinopoli e sulle mura della città cadde combattendo coraggiosamente l'ultimo imperatore dell'Impero romano d'Oriente, Costantino XI Dragazès. Dalla città in fiamme, devastata da un saccheggio che durò tre interi giorni, fuggirono verso ovest molti studiosi, portando con sé le opere greche sulle quali avevano fino ad allora studiato. Approdarono quasi tutti sulle coste dell'Italia meridionale e si dispersero poi sul territorio italiano, accolti con ogni onore in tutte le corti e a Roma. Il Quattrocento vide a Messina una vera e propria fioritura culturale: la città seppe esprimere il più sura di opere erudite nella sua casa di Certaldo. Morì il 21 dicembre 1375 e volle che sulla sua tomba fosse messa questa lapide: Studium Juit alma poesis, "Sua passione fu la divina poesia". 1 l Decameron Il Decameron è una raccolta di cento novelle, scritte in volgare. Durante la peste del 1348 un gruppo composto di sette fanciulle e tre giovani si ritira in una villa in campagna. Qui passano il tempo tra canti, balli e giochi e al pomeriggio decidono di raccontare ogni giorno una novella ciascuno. Ogni giorno viene eletto un "re" che decide il tema della giornata e l'opera si snoda attraverso dieci giorni. La realtà rappresentata nelle novelle è quella della borghesia, che Boccaccio conosceva bene, con una particolare attenzione per i mercanti, visti come uno degli elementi propulsori della società. Uno dei temi fondamentali delle novelle è l'amore, visto anche nella sua fisicità, oltre che nella sua dimensione spirituale. Per questo suo rifarsi a una realtà concreta e vitale, Boccaccio viene spesso accostato all'inglese Geoffrey Chaucer (vedi p. 360). La nascita dell'Umanesimo Tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento nasce e si diffonde in Italia e in Europa una corrente di pensiero che viene chiamata Umanesimo. Questo nome deriva da studia humanitatis, espressione con cui Cicerone, il grande oratore, filosofo e uomo politico latino, definisce gli studi delle lettere che promuovono la formazione culturale e spirituale dell'uomo. Nel XV secolo, dunque, nasce un rinnovato culto dell'antichità classica che si accompagna a un nuovo fervore di vita spirituale e morale. Sul piano letterario la caratteristica fondamentale degli umanisti è l'imitazione dei modelli classici, così esclusiva che, nella prima metà del XV secolo, si rinuncia persino a scrivere in volgare per adottare il latino. Già poeti e scrittori come Petrarca e Boccaccio scrivevano poesie e interi poemi in latino, ma nel XV secolo esprimersi in latino diventa essenziale, dal momento che l'antichità classica è vista come l'espressione, in letteratura, dell' assoluta perfezione. Ma l'Umanesimo non si limitò alla scoperta dei testi latini e greci, copiati pazientemente durante il Medioevo dai monaci, e alla loro imitazione. La perfezione dell'età classica ispirò anche vere e proprie norme di vita, una nuova concezione dell'uomo e del suo ruolo nell'universo e nel mondo. Emerge, infatti, dalle opere degli umanisti la concezione dell'uomo come artefice del proprio destino, fuori di ogni trascendenza medievale e ascetica. ntare una risoruni periodi stoper il Decamententi ha anche ore uno spaccapo, in particodel XIV secoALLE VAGHE DONNE Nella "fotografia" che l'autore offre della società spiccano le donne. Prima di tutto, l'opera stessa è dedicata dallo scrittore alle "vaghe [belle] donne" che, afflitte dalle pene d'amore, erano costrette dalle regole sociali a trascorrere tristi giornate nelle loro camere, senza alcun intrattenimento o diversivo che potesse consolarle. Le donne, che mai fino ad allora erano state destinatarie di un'opera letteraria, rappresentano così il nuovo pubblico dell'età comunale, che chiedeva alla letteratura non solo messaggi edificanti, ma anche un piacevole intrattenimento. Lungo il XIV secolo, infatti, si era consolidata l'alfabetizzazione del ceto mercantile in concomitanza con l'istituzione delle scuole comunali. Le donne, che pure partecipavano in misura ridotta al processo di scolarizzazione, rappresentano nel Decameron proprio questo nuovo pubblico, non costituito solo da dotti e intellettuali, ma anche da quei mercanti e banchieri che gestivano la vita politica dei Comuni e in particolare di Firenze. Ancora alle donne l'autore si richiama quando immagina di doversi difendere dalle critiche di chi non condivideva la sua scelta di comporre cento novelle sugli infiniti casi umani, dai più nobili ai più bassi e volgari. A chi lo invitava a smettere di pensare alle vaghe donne e di tornare a occuparsi delle Muse (che rappresentavano il simbolo di una letteratura edificante e solenne), Boccaccio risponde che anche le Muse son donne, simili nel loro aspetto proprio alle donne del mondo, di quel mondo che rappresenta la sua fonte continua d'ispirazione. Nell'opera le donne entrano prepotentemente in scena. La galleria di personaggi, davvero vastissima, si connota per una notevole varietà di caratteri femminili, che, frutto certamente dell'immaginario, rispecchiano però anche le tipologie di donne reali. Il Lo scrittore fiorentino Giovanni Boccaccio in un affresco di Andrea del Castagno (1450 ca.). Lisabetta, Ghismunda, Simona e Griselda sono i nomi di alcune di queste eroine, l'una diversa dall'altra, ma accomunate dalla : passione sentimentale e protagoniste di · amori infelici. LISABETTA Lisabetta, in nome dell'amore, osa sfidare i fratelli che avevano ucciso il giovane Lorenzo, perché di condizione sociale inadeguata alla sorella. Quella della donna è una sfida, terribile e macabra: dissotterra il capo dell'amato e lo sistema in un vaso cui dedica amorevoli cure; una volta scoperta !dai fratelli, non teme di accusarli e di sfi- 1dare la legge che imponeva alle donne l'obbedienza e la sottomissione all'uomo. Cresciuta in una ricca famiglia di mercanlti di Messina, dove l'intraprendenza dove- ·va essere all'ordine del giorno, Lisabetta dimostra di avere assimilato pienamente la lezione. GHISMUNDA Identico è il destino della nobile e colta Ghismunda. Rimasta prematuramente vedova, viveva a Palermo nella dimora del padre Tancredi che, solo e vecchio, aveva riversato sulla figlia tutti i suoi affetti. Quando Tancredi scoprirà che questa ha µn amante, un giovane valletto della sua casa, non esiterà a eliminarlo, non per la differenza di rango, ma perché travolto da pn'insana gelosia a causa della quale arriverà persino a fargli strappare il cuore per donarlo alla figlia in una coppa d'oro. Inyece di abbandonarsi al pianto e alla di- ~perazione, Ghismunda si oppone al padre tiranno e proclama l'uguaglianza degli ~sseri umani di fronte alla passione e, con la scelta di togliersi la vita, compie l' estremo atto di libertà e autodeterminazione. JIMONA A queste donne di alto lignaggio ( Ghismunda) e di ricca condizione sociale (Lisabetta) si accosta l'umile Simona, una lai aiuola fiorentina che si guadagna da vivere lavorando duramènte; anche lei è vinta dalla passione dell'amore per Pasquino, un giovane di pari condizione sociale, anche lui lanaiuolo: giovane, innamorata, po- I grande pittore siciliano di tutti i tempi, Antonello da Messina, e fu tra i luoghi privilegiati di asilo in Italia per questi dotti bizantini. Tra di essi, il notissimo studioso Costantino Lascaris, che inaugurò a Messina una scuola di greco, frequentata anche da Pietro Bembo, come da altri dotti italiani, ricevendo, alla fine della sua vita, la cittadinanza messinese. Giovanni Argiropulo, invece, ebbe una cattedra allo Studio fiorentino. Suoi allievi furono Landino, Ficino, Poliziano e tradusse in latino le opere di Aristotele. Tra i grecisti più illustri che furono a Bologna emerge il cardinale Giovanni Bessarione (1402- 72), che ebbe una funzione importante nel tentativo di riavvicinare la Chiesa greca a quella latina. La sua biblioteca fu la base della formazione della grande biblioteca Marciana di Venezia. Svolse anche incarichi diplomatici per vari papi e fu premiato con la nomina a cardinale. Il ruolo degli intellettuali e studiosi bizantini in Italia Già prima del 1453, data della caduta di Costantinopoli, sotto l'assalto degli Arabi di Maometto II, alcuni studiosi bizantini erano giunti in Italia e avevano subito guadagnato una grande fama. In effetti, la cultura e le opere degli antichi Greci erano poco conosciute in Occidente. Durante tutto il Medioevo era rimasta l'impronta della civiltà latina e la conoscenza della lingua greca antica e dei suoi autori si era molto affievolita. Questi intellettuali ebbero il merito di portare in Italia i codici con le opere di Platone e di Aristotele, aprendo così grandi orizzonti culturali agli umanisti. Uno di questi studiosi fu Manuele Crisolora (1355-1415), il vero iniziatore dell'ellenismo in Italia. Fu chiamato da Coluccio Salutati a insegnare greco a Firenze e fece scuola ai principali umanisti, come il Niccoli, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini. Compose pure la prima grammatica greca a uso dei latini. Il più famoso di tutti, però, fu senza dubbio Giorgio Gemisto Pletone (1355-1450), da Mistra (l'antica Sparta), grande ammiratore di Platone. Era nato a Costantinopoli verso il 1355, da nobile famiglia ma poi, dopo varie vicissitudini, si era fermato a Mistra, a quel tempo capoluogo di un principato greco. Qui ricoprì anche cariche pubbliche e fondò una Scuola filosofica. Gemisto Pletone non si limitò a far conoscere le opere di Platone ma volle anche proporsi come un grande riformatore religioso. Promosse la restaurazione degli antichi dèi pagani e annunciò che «il mondo intero avrebbe avuto una sola e identica religione. [ ... ] Ed avendogli domandato io, se sarebbe stata la fede di Cristo o quella di Maometto, mi rispose: nessuna delle due, ma un'altra non dissimile da quella dei gentili» (questo episodio viene raccontato da un suo acerrimo avversario, Giorgio di Trebisonda). Un altro grande studioso bizantino fu Demetrio Calcondila, che, nato ad Atene nel 1424, si trasferì in Italia nel 1447 e insegnò greco a Perugia, Padova, Firenze e Milano, dove morì nel 1511; ebbe come discepoli il grande poeta Poliziano e i figli di Lorenzo de' Medici. Calcondila tradusse Galeno e Isocrate, ma soprattutto lasciò una grammatica greca (Erotemata, 1493 ), strutturata con uno schema originale di domande e risposte. • La decadenza della Chiesa Nell'Europa del IX-X secolo la Chiesa cristiana versa in una situazione di grave crisi: il papa è spesso soggetto all'influenza della potente nobiltà romana e il clero non è animato da vocazioni autentiche né preparato alla propria funzione. Con l'investitura dei vescovi-conti il fenomeno da un lato si attenua, perché gli imperatori nominano spesso personaggi degni e autorevoli, dall'altro si aggrava, perché il clero è coinvolto negli interessi e nelle lotte politiche, ed esposto a nuove occasioni di corruzione, come la simonia, cioè la vendita delle cariche ecclesiastiche. • Ordini religiosi e movimenti laici per la riforma Nel 910 viene fondato, con il monastero di Cluny, un ordine religioso che lotta contro la corruzione e si sforza di determinare un rinnovamento della Chiesa. Infatti è forte la protesta popolare contro lo scandalo del lusso e dell'immoralità degli ecclesiastici, dalla quale nascono movimenti laici di riforma, come la pataria, che contesta l'autorità religiosa e politica dei vescovi indegni. Alla fine dell'XI secolo nascono poi due nuovi ordini monastici, i certosini e i cistercensi, che richiamano i monaci ai valori della povertà, dell'umiltà e del lavoro manuale. Leone IX (1002-54) rivendica l'autonomia della Chiesa dal potere politico e la superiorità del papa e della Chiesa di Roma su tutto il mondo cristiano. Questo provoca nel 1054 lo scisma (separazione) da Roma della Chiesa bizantina, che ancora oggi permane. • Teocrazia e lotta per le investiture Papa Gregorio VII (1073-85) cerca di trasformare la Chiesa in una struttura coesa agli ordini del papa e ribadisce che alla sua autorità' devono essere sottomesse tutte le istituzioni, non solo religiose, ma anche civili, e lo stesso imperatore (teocrazia). Nel suo decreto del 1075, chiamato Dictatus papae, inoltre, rivendica al solo papato il potere di investire i vescovi-conti. Di fronte a ciò l'imperatore Enrico IV reagisce convocando a Worms un'assemblea di vescovi che depone il papa (1076). Questi, a sua volta, scomunica l'imperatore, privando il suo potere del fondamento di legittimità. Enrico IV, allora, si umilia di fronte al papa, attendendo il perdono per tre giorni, scalzo nella neve, a Canossa, ma poi, ristabilita la propria autorità, attacca Roma e assedia il papa, che viene salvato dai Normanni, suoi alleati (1084). La lotta per le investiture si conclude solo dopo la morte dei due principali contendenti, quando, nel 1122, Enrico V, figlio di Enrico IV, e papa Callisto II firmano il concordato di Worms, che di fatto assegna il diritto di nominare i vescovi-conti all'imperatore in Germania e al papa in Italia. • I movimenti eretici I movim~ti popolari per la riforma religiosa considerano l'affermazione di una Chiesa ricca e potente, secondo i princìpi della teocrazia, com~ un tradi-. mento delle loro speranze di rinnovaménto. Tra il XII e il XIII secolo questi movimenti contestano apertamente la dottrina e, soprattutto, le istituzioni ecclesiastiche, per cui vengono accusati e combattuti come eretici. I più radicali sono i catari (o albigesi) che rifiutano i sacramenti e tutti gli aspetti mondani della Chiesa, e si dedicano a severissime pratiche ascetiche; veng;no sterminati nel 1208 da una vera e propria crociata bandita da papa Innocenzo III: Sono perseguitati anche i seguaci di Pietro Valdo, chiamati "poveri di Lione" (o valdesi), che affermano la necessità della povertà per i veri cristiani e il diritto per i laici di predicare il Vangelo. • La duplice azione della Chiesa: Inquisizione e ordini mendicanti La Chiesa non solo lotta in armi contro le eresie, ma ne scoraggia la diffusione istituendo l' Inquisizione (tribunale ecclesiastico che ricerca e condanna i sosp~tti eretici). Cerca però anche di riavvicinarsi a umili ed emarginati attraverso l'azione di nuovi ordini, detti mendicanti perché votati a vivere di elemosine, in modo da riacquistare la fiducia di coloro che desiderano una Chiesa povera e santa: i &ancescani di Francesco d'Assisi e i domenicani di Domenico di Guzman, che predicano alle folle la dottrina cristiana e assistono i fedeli con la carità e la preghiera. m II fatto che Boccaccio, nel Decameron, dichiari di aver pensato alle donne come destinatarie ideali delle sue cento novelle testimonia che, nel Trecento, anche le donne avevano accesso alla cultura. vera, Simona è il prototipo, declinato al femminile, del popolo minuto della città di Firenze, dove il proletariato urbano · contava sulle forze, anzi sulle braccia, di molte donne. GRISELDA Accanto a loro tante altre donne di ogni categoria sociale. Chiude l'opera la nobiltà d'animo di Griselda, una contadina andata sposa al marchese di Saluzzo che, dopo averla presa in moglie, continuava a rinfacciarle la sua umile origine. Solo dopo tredici anni di violenze e di soprusi, Griselda, insuperabile esempio di moglie innamorata e paziente, viene infine accettata come moglie e signora. È la vittoria della tenacia femminile, una tenacia propria di chi è di umili origini, di chi si è formata alla vita con continue fatiche. Il Emilia, una delle donne protagoniste delle novelle di Boccaccio, rappresentata prima delle nozze. Il Griselda, la tenace protagonista dell'ultima novella del Decameron di Boccaccio. • L'origine dei Comuni Lo sviluppo economico e sociale determina una diffusa esigenza di affrancamento dai vincoli feudali e di autonomia economica e politica. Nelle campagne i contadini formano Comuni rurali collegandosi per porre qualche limite al potere del sig?-ore feudale. Le antiche città, sopravvissute grazie alla presenza del vescovo, rifioriscono, e nascono nuovi centri urbani. In molte città, nobili e borghesi maturano interessi comuni e si associano creando istituzioni di governo locali: si formano coniurationes (associazioni giurate) tra i cittadini più importanti, cui a volte i feudatari riconoscono dei privilegi. Il fenomeno, diffuso in quasi tutta l'Europa occidentale, si evolve quando queste associazioni si affermano come nuovi poteri cittadini, svincolati dalla tutela dei signori feudali e danno vita ai Comuni, guidati da magistratur~ collegiali e assemblee rappresentative. • Le città marinare italiane Alcune città italiane sul mare fungono da principali intermediarie negli scambi con l'Oriente. In principio l'iniziativa viene da Amalfi, libero Comune nell'839, la cui autonomia è interrotta nell'XI secolo dal dominio normanno. Pisa liberatasi dai marchesi di Toscana, partecipa ali~ crociate ed estende la propria egemonia sulle coste tirreniche, fino a quando la rivalità con Genova pone fin~ alle ~ue fortune. Genova eredita i domini pisam nel Tirreno e fonda basi e porti in Medio Oriente e nel mar Nero; alla fine del XIV secolo è sconfitt~ da Venezia, dopo un lungo confronto, e decade m _modo irreversibile. Venezia è una Repubblica gmdata da un doge scelto tra gli esponenti delle famiglie principali, di antica origine nobile ma ~edite al commercio; i suoi mercanti si spingono fmo all'Estremo Oriente, ma l'arrivo dei Turchi Ottomani e la scoperta dell'America (1492) danno inizio alla sua decadenza. • Federico I di Svevia e lo scontro con i Comuni Dopo la fine della dinastia di Franconia, una lunga lotta per la successione al trono imperiale si apre tra la casa di Baviera, i Welfen (da cui guelfi), e la casa di Svevia, gli Hohenstaufen, possessori del c_astello di Weiblingen (da cui ghibellini), che termma con l'ascesa al trono di Federico I di Svevia, detto il Barbarossa (1152), imparentato con entrambe le fazioni. Federico I interviene in soccorso al papa per abbattere il Comune popolare creato a Roma da Arnaldo da Brescia e si fa inco- (1155). Federico I afferma il principio dell'autorità imperiale sui Comuni italiani e sul papato nella Dieta di Roncaglia (1158) e viene scomunicato dal papa Alessandro III sostenuto dai Normanni e dai Comuni. La lotta,porta nel 1_1?2 alla 1istruzione di Milano, centro dell'opposizione ali Impero; per reazione decine di Comuni si alleano nella Lega Lombarda (1167). Questa nel 117 6 sconfigge le truppe imperiali a Legnano e costringe l'imperatore prima alla pace di Venezia ( 1177), poi alla pace di Costanza ( 1183) con la quale i .Comuni riconoscono formalmente' l'imperatore come loro signore, ma conservano pienamente la loro autonomia. Tramonta così il sogno del Barbarossa di ricostituire un Impero universale e cristiano. • Le istituzioni comunali Nel Comune inizialmente il potere esecutivo è attribuito · a una magistratura collegiale, formata dai consoli, eletta da un'assemblea (arengo) che detiene il potere legislativo. Lo scontro tra le fazioni nell' ~sse~bl~a è acceso: per evitare disordini spesso s1 _attr~bm~cono ampi poteri a consigli più ristretti o si affida temporaneamente il governo a un podestà, in genere forestiero perché sia al di sopra delle parti. Con il tempo aumentano la consistenza numerica e il peso politico del "popolo", cioè la borghesia dei commerci, dell'artigianato e delle professioni. Il "popolo" è rappresentato dalle arti o corporazioni (associazioni che riuniscono coloro che esercitano la stessa professione o mestiere) che ne difendono gli interessi, e in seguito assumon'o un n._iolo poli_tico. ~gni arte si organizza con propri ordinamenti, magistrature e milizie, che spesso si contrappongono nelle lotte cittadine alle forze dei magnati (i cittadini più ricchi e influenti, che detengono il potere), riuscendo a volte a rovesciarne il dominio e a instaurare un governo popolare. CROCIATE, pp. 251-55 ROTAZIONE TRIENNALE, p.259 NUOVI GENERI LETTERARI, pp. 262-63 • L'espansione dell'Europa Alla fase di sviluppo dell'XI-XIII secolo corrisponde una forte tendenza ali' espansione territoriale e politica: la nobiltà europea muove alla conquista di vasti territori sia verso l'Europa orientale slava, sia verso il Medio Oriente e la Spagna occupati dagli Arabi. Il fenomeno si deve alla nuova abbondanza di risorse umane e materiali rese disponibili dalla rinascita economica e demografica, ma alla sua base ci sono anche motivazioni religiose e politiche, frutto dell'influenza conquistata dalla Chiesa teocratica sulla società. Un altro aspetto dell'espansione europea è costituito dai grandi viaggi alla scoperta di terre lontane di missionari e mercanti, tra i quali sono celebri le spedizioni in Cina, tra il 1271 e il 1295, del veneziano Marco Polo, raccontate poi nel suo libro Il Milione. • La Reconquista della Spagna Tra la fine dell'XI e l'inizio del XIII secolo, i re iberici guidano i nobili di tutta Europa nella vittoriosa guerra contro i Mori di Spagna, ispirata dalla Chiesa, che prende il nome di Reconquista. Al tollerante e colto dominio arabo, con il suo sviluppo commerciale e la sua agricoltura specializzata, si sostituiscono Regni feudali economicamente e culturalmente arretrati, dai quali gli Arabi verranno espulsi per ragioni religiose. • L'espansione dei Normanni Dopo aver conquistato la Francia del Nord e l'Inghilterra (battaglia di Hastings, 1066) i Normanni attaccano e conquistano la Sicilia araba sotto la guida di Ruggero d'Altavilla (1091). Suo figlio Ruggero II unifica i feudi normanni creando un regno feudale amministrato da un'efficiente burocrazia. • Le crociate La conquista di Gerusalemme da parte dei Turchi Selgiuchidi provoca in Europa una forte reazione e papa Urbano II al concilio di Clermont (1095) incita i cristiani ad armarsi per liberare il sepolcro di Cristo, suscitando lo spirito della crociata. Dopo la disordinata e fallimentare crociata spontanea dei "pezzenti" guidati da Pietro l'Eremita, la crociata nobiliare del 1096, capeggiata da nobili normanni e francesi come Goffredo di Buglione, conquista la città santa dopo lotte sanguinose (1099), per poi fondare dei regni feudali, assai instabili a causa delle rivalità reciproche. Dopo la riconquista di Gerusalemme per man ( 1187), alla terza crociat sovrani europei. Con la quistata Bisanzio e si fo riente. Con le ultime du dette dal sovrano frances 1270, si esauriscono i te Terra Santa. • La società A partire dall'XI-XII se potere imperiale, combi nomia acquisita dai sig europea più sicurezza e nomiche che offrono ag lità e introducono una crescita della popolazio produzione agricola col nute tramite disboscam incolti. La diffusione di denti (aratro pesante) e più efficaci (rotazione tri tenere maggiori rendim coltivate. L'aumento de le città una rete di mere la società e offrono occas pria condizione econom do un'intensa migrazion tà e favorendo il riemer parse dal mondo medie medici, notai...) o lana (banchieri). • La cultura Alla rinascita economica mento culturale che vede e la nascita di nuovi gene valleresco, il romanzo "c fusione degli stili romani e un notevole rifiorire de nelle città la nascita di se zione delle figure professi struzione della borghesia • L'Impero da Federico I a Federico Il L'imperatore Federico I, detto il Barbarossa, esce sconfitto dalla lotta contro i Comuni e contro il papa Alessandro III, che nel III Concilio Lateranense ribadisce la sua indipendenza dall'Impero. Federico I riesce però ad assicurare alla sua casata il Regno di Sicilia, combinando il matrimonio del figlio, il futuro Enrico VI, con Costanza d' Altavilla, l'erede dell'ultimo re normanno. Salito al trono imperiale alla morte del padre (1190), Enrico VI riesce a domare le ribellioni dei feudatari tedeschi e a esercitare una grande influenza su tutta l'Italia, ponendo la stessa Roma sotto il suo controllo. Enrico VI muore a trentadue anni (1197) e lascia un figlio, il futuro Federico II, che a soli tre anni è proclamato re di Sicilia, e qui viene cresciuto dalla madre. Nel 1198 il guelfo Ottone di Brunswick è eletto re di Germania; seguono anni di lotte intestine, finché, sostenuto dal papa Innocenzo III, nel 1209 diventa imperatore. • Federico Il di Svevia e lo scontro con il papato Federico II a quattordici anni sposa Costanza d'Aragona, una donna più anziana di lui che lo fa entrare in contatto con la cultura europea. Federico II vive a Palermo in un clima di tolleranza, di apertura e ricco di stimoli; è un sovrano raffinato e colto, conosce i classici e l'arabo e si circonda di letterati e studiosi. Nel 1214, con la sconfitta di Ottone di Brunswick a Bouvines contro i Francesi, Federico II diviene re di Germania e, dopo la morte di Innocenzo III (1216), riunifica le corone dell'Impero e di Sicilia. Il nuovo papa Gregorio IX (1227 -41) riafferma l'idea teocratica e la superiorità della Chiesa sull'Impero: appoggia una nuova lega di Comuni italiani e attacca violentemente Federico II, che scomunica per non aver organizzato la sesta crociata in Terra Santa. L'imperatore tratta allora con il sultano d'Egitto e ottiene il possesso dei luoghi santi, ma non il perdono del papa, che lo accusa di collaborare con gli infedeli. • La sco.nfitta di Federico Il e la fine della dinastia sveva Tornato in Italia, Federico II ottiene la revoca della scomunica e cerca di creare un'alleanza filoimperiale nell'ItiÙia settentrionale per contrastare i Comuni, che sconfigge nel 123 7 a Cortenuova. Ma la resistenza dei Comuni, appoggiati dal nuovo papa Innocenzo IV, continua, e Federico II, sconfitto nel 1248 a Vittoria e nel 1249 a Fossalta, muore nel 1250 senza aver portato a termine il proprio progetto politico: fare dell'Italia e della Sicilia un Regno unito e forte dentro l'Impero. Alla sua morte, in Italia sale al potere il figlio Man- &edi, mentre l'altro figlio, Corrado, cerca di farsi eleggere imperatore. Corrado muore nel 1254 e Manfredi viene ucciso a Benevento nella battaglia contro Carlo d'Angiò, pretendente al trono di Sicilia (1265). Il nipote Corradino, battuto a Tagliacozzo, viene decapitato a Napoli nel 1268. • Le istituzioni, la società, la cultura I Nella concezione politica di Federico II il potere imperiale è lo strumento terreno della giustizia divina, cui ogni suddito è legato da un sacro vincolo di fedeltà. Tra Chiesa e Impero non dovrebbero sorgere conflitti, perché scopo di entrambi i poteri è la salvezza dell'umanità. Nel 1231 Federico II emana le Costituzioni di Melfi, che unificano la legislazione, accentrano il potere in mano al sovrano e proclamano l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. In campo economico Federico II favorisce il commercio, unificando pesi e misure, coniando monete d'oro garantite dallo Stato e ricostruendo la flotta. Su prodotti essenziali mette in atto una sorta di statalizzazione, ma abolisce le dogane interne e introduce nuove colture (cotone e canna da zucchero), facendo rifiorire l'agricoltura. In campo culturale Federico II è un grande mecenate e la sua corte diventa un vero e proprio laboratorio delle nuove istanze intellettuali. Fonda la Scuola di Capua, dove si insegna l'arte dello scrivere (ars dictandi), l'università di Napoli e la Scuola salernitana di medicina. Ma la manifestazione culturale più importante è la Scuola siciliana , formata da poeti che scrivono in siciliano e "inventano" il sonetto e la canzone. La scuola cessa di esistere con la morte di Federico II, ma la sua esperienza si trasferisce in Toscana e contribuisce alla nascita del "dolce stil novo". DANTE ALIGHIERI, pp. 312-13 SIGNORIE FEUDALI E URBANE, pp. 302-04 SCUOLE E UNIVERSITÀ, pp. 307-09 CHIERICI VAGANTES, pp. 310-11 • Guelfi e ghibellini in Italia La distinzione, nata in Germania, tra guelfi e ghibellini viene utilizzata in Italia per distinguere i sostenitori, rispettivamente, del papato e dell'Impero nella lotta tra i due poteri. Spesso, all'interno di un Comune, tra le fazioni rivali nate sulla base di interessi e clientele locali, e costituite da esponenti sia dei magnati sia del popolo, una si schiera tra i guelfi e l'altra tra i ghibellini. • Le oligarchie cittadine Le famiglie che ottengono posizioni di preminenza nelle città tendono a concentrare il potere nelle proprie mani, distribuendo le magistrature principali tra i loro componenti: si costituiscono così in alcune città i governi oligarchici. Per esempio a Venezia l'oligarchia dei mercanti, a partire dal 1297, esclude nuove immissioni alle più importanti magistrature e nel 1310 crea una nuova potentissima istituzione, il ·consiglio dei Dieci. A Firenze, alla fine del XIII secolo, prevalgono i guelfi, che a loro volta si dividono in bianchi (filoimperiali) e neri (filopapali); vincono i neri e formano un governo popolare che esclude i magnati dal governo, ma alla metà del XIV secolo la reazione dei magnati porta a un governo di tipo oligarchico. Alla vita politica dell'epoca partecipa Dante Alighieri ( 1265- 1321), guelfo di parte bianca, che ne scrive nella Divina Commedia. • Le Signorie L'instabilità politica dei governi comunali favorisce, in alcune città, il consolidarsi della supremazia di nobili e potenti signori feudali del contado (le campagne circostanti alle città), come Ezzelino III da Romano nel Veneto, i conti di Savoia in Piemonte, i Montefeltro nelle Marche: si formano così le prime Signorie feudali. In altre città, ma in epoca più tarda, le magistrature cittadine si concentrano in mano ai membri di una stessa famiglia, come i Visconti a Milano, gli Este a Ferrara, i Gonzaga a Mantova: nasce la Signoria urbana, dove il signore della città, esponente di una famiglia ricca e potente, governa svuotando di potere le istituzioni comunali e trasmettendo la carica ai propri discendenti. • La società comunale Nella società comunale c'è un'attenzione particolare ali' esibizione della ricchezza e della potenza: le famiglie dei notabili risiedono in eleganti palazzi e maturano sensibilità per le arti e la letteratora, mentre le autorità ci · realizzando luoghi d'inca mercati o le piazze su cui s munali. Acquisisce un rili mercante, che forma l' éli cerca di assimilarsi nei gu nobili, anche se questi lo sprezzandone le origini p ca l'emarginazione degli quartieri separati dal rest cesso loro di esercitare il bito ai cristiani come pec riodi di crisi economica delle loro case. • La cultura Nei Comuni lo sviluppo tecipazione alla vita poli la formazione di figure svolgere importanti funz necessario che i figli de aritmetica, diritto e lati ganizzano scuole pubblich esigenza diffusa. Nascon versità, libere associazio che si autogovernano ra ti, stabilendo regole e ob lievi, elaborando i progr studi. Queste istituzioni te tentativi di ingerenza munali, che vorrebbero a riescono a mantenere la p ciando di trasferirsi altro gio e risorse alla città. Gli spesso da una città all'alt tes) per seguire le lezioni vunque, godono di rispett se le loro condizioni econ costringono a cercare os dedicarsi all'insegnament per ricavare qualche guad • Il progetto teocratico di Innocenzo lii Papa Innocenzo III (1198-1216) sviluppa il disegno teocratico di Gregorio VII, impegnandosi in un'azione politica volta ad affermare la supremazia del papa anche sul piano temporale. Egli assume la tutela di Federico II e lo candida al trono imperiale; sostiene la Reconquista della Spagna contro gli Arabi; promuove la quarta crociata in Terra Santa; contrasta l'eresia catara in Provenza; infine, un anno prima di morire, convoca a Roma il Concilio Lateranense (1215) per riorganizzare la Chiesa e rafforzarne il controllo sulla politica europea. • La figura e l'opera di Bonifacio VIII La crescente partecipazione della Chiesa alle questioni temporali provoca la reazione di chi vorrebbe una Chiesa attenta solo alle questioni spirituali. Questa istanza pare affermarsi con l'ascesa al papato di Celestino V (1294), un umile eremita, scelto perché ritenuto facilmente manovrabile e poi costretto ad abdicare da manovre politiche che portano ali' elezione di Bonifacio VIII (1294- 1303 ), membro della potente famiglia romana dei Caetani. Spregiudicato e abile politico, Bonifacio VIII attacca la famiglia rivale dei Colonna, costringendoli a riparare in Francia; reprime le proteste degli spirituali francescani; s'intromette nelle vicende di Firenze e nella lotta tra Angioini e Aragonesi nell'Italia meridionale. Inoltre, per riaffermare l' autorità papale sul mondo cristiano e raccogliere offerte, indice nel 1300 il Giubileo, promettendo ai fedeli il perdono dei peccati in cambio di un pellegrinaggio a Roma. • Il contrasto tra il papa e il re di Francia Bonifacio VIII entra in contrasto con il re di Francia Filippo IV il Bello per la decisione del sovrano di tassare il clero e impedire alla Chiesa francese d'inviare tributi a Roma. Il papa riafferma il suo potere sulla Chiesa come unico e superiore a quello di ogni re con la bolla Unom Sonctom (1302), ma Filippo IV convoca un'assemblea di rappresentanti dei ceti sociali del regno, gli Stati generali, che ribadisce l'investitura divina e l'autonomia del potere regio. Filippo IV, inoltre, accusa il papa di gravi colpe e nel 1302 lo fa catturare; l'anno dopo Bonifacio VIII muore. • La "cattività avignonese" e lo scisma d'Occidente L'affermazione delle monarchie nazionali tende a indebolire il potere del papato. Clemente V (1305- 1314), successore di Bonifacio VIII, è un cardinale francese che, cedendo alle pressioni di Filippo il Bello, trasferisce la corte papale ad Avignone, dove risiederà fino al 13 77, subendo costantemente l'influenza della monarchia francese, ma consolidando le finanze e l'apparato burocratico della Chiesa. Le critiche a questa secolarizzazione della Chiesa èonvincono papa Gregorio XI a tornare a Roma, ma i cardinali francesi reagiscono nominando un antipapa (1378): si apre così lo scisma d'Occidente, che durerà fino al concilio di Costanza (1417). • I movimenti pauperistici Contro la secolarizzazione nascono anche movimenti di protesta accomunati dall'ideale pauperistico di una Chiesa spirituale, povera e vicina agli umili. Tra di essi i gioachimiti, seguaci di Gioacchino da Fiore, e gli spirituali francescani, che ritengono di non dover possedere beni terreni e criticano il lusso e la corruzione della Chiesa; sono tutti dichiarati eretici e combattuti con una violenta repressione. Un movimento più radicale è quello degli apostolici di frate Dolcino, nemici di ogni gerarchia sociale, talvolta violenti e fautori di una sorta di comunismp evangelico, che vengono sterminati nel 1307. In Inghilterra prende vita il movimento dei lollardi, guidati dal teologo francescano John Wycliffe (1320-84), che non riconosce l'autorità né la funzione della Chiesa e sostiene la necessità di un rapporto diretto tra l'uomo e Dio, non mediato dal clero, basato sulla lettura personale della Bibbia, che viene perciò tradotta in inglese. I lollardi animano nel 1381 una grande rivolta contadina e, nonostapte la dura repressione, sopravvivono e continuano a influenzare i movimenti religiosi successivi. ' • La cultura Con Francesco Petrarca (1304-74), poeta e saggista, nasce una nuova figura di intellettuale, cosmopolita e totalmente dedito allo studio. Il suo capolavoro è il Canzoniere, la raccolta della sua produzione poetica, scritto in volgare, ma importanti sono anche i suoi saggi e poemetti in latino, e le sue Lettere. STATO PONTIFICIO, pp. 341.-45 COSTITUZIONI DI CLARENDON, pp.350,354 MAGNA CHARTA LIBERTATUM, pp. 352, 355-57 • La fine dell'idea di Impero universale Morto Federico II l'Impero entra in una grave crisi, perché incapace di svolgere il suo ruolo di governo universale. In Italia e in Germania si assiste alla formazione di piccoli principati e leghe cittadine, mentre in altre regioni europee l'aspirazione alla pace e alla sicurezza porta alla formazione di Stati unitari. • La Sicilia e l'Italia meridionale Nel 1282 i nobili siciliani si ribellano agli Angiò facendo intervenire Pietro III, re d'Aragona. La guerra dura vent'anni e alla fine la corona di Sicilia viene affidata a Federico d'Aragona, figlio di Pietro III. Il Regno di Napoli resta così agli Angioini, mentre gli Aragonesi regnano in Sicilia e nel 1442 riusciranno a unificare sotto il proprio potere tutta l'Italia meridionale. • La penisola iberica Viene raggiunta una relativa unità tra i Regni iberici cristiani nella lotta per la Reconquista dei territori occupati dagli Arabi, che vengono sconfitti a Las Navas de Tolosa (1212). Si affermano quindi il Regno di Castiglia, che si espande nelle regioni centrali, e i Regni di Aragona e di Portogallo, che si sviluppano sulle coste e si aprono ai traffici marittimi. • I domini pontifici Sui territori dello Stato pontificio il papato rafforza il proprio controllo: accentra il potere togliendolo ai signori locali; riforma l'elezione del papa, affidandola al collegio dei cardinali; riordina i codici legislativi e gli uffici finanziari che amministrano tributi e offerte. • La Francia Nella Francia feudale la grande frammentazione è lentamente superata dal rafforzamento della monarchia capetingia, che allarga i propri domini e crea con Luigi VII (1137-80) una prima rete di funzionari regi, esautorando in parte i feudatari. Il potere dei Capetingi viene però minacciato dalle nozze tra l'inglese Enrico Plantageneto (il futuro re Enrico II) e la francese Eleonora d' Aquitania: in tal modo il sovrano inglese diventa anche feudatario del re di Francia, ponendo le basi di un conflitto secolare. Filippo II Augusto (1180- Francia, combatte gli Ingle sconfiggendoli a Bouvines ni del regno. Luigi IX, d rafforza il prestigio della fama di equità, indice due e ristabilisce la pace con g • L'ln hilterra Il Regno d'Inghilterra na stings ( 1066) dei Norma quistatore su Angli e Sas l'ordine amministrativo e il sistema politico feudal do e accentrato. Per or · 1085 viene iniziata la Book, il più antico catast to il Medioevo. È un' op ga minuziosamente tutti nomi dei proprietari, le dite relative, garantendo trate fiscali regolari. Enrico II (1154-89), pr· Plantageneti, consolida 1 nistrativo e, con le Costit sottomette il clero ingle vocando la reazione Becket, poi misteriosam Sotto Riccardo I, detto il regno è indebolito d Giovanni, detto Senzater di sfruttare l'assenza e la pegnato nella terza croci vanni Senzaterra prose Francesi, ma Giovanni (1214) da Filippo II. App za del sovrano, i nobili in mare la Magna charta I/ber mita i poteri del re, vine materia tributaria e mili un'assemblea di venticin Il figlio di Giovanni, Enri riaffermare l'autorità regi re un consiglio di quindic no due cavalieri per ogn per ogni città: si manifest brionale di monarchia pa Atlante Storico DeAgostini LO STRUMENTO IDEALE PER APPROFONDIRE LO STUDIO DELLA STORIA L'Atlante Storico racconta, attraverso molteplici chiavi di lettura, la successione degli eventi e le imprese dei grandi protagonisti, dalla preistoria ai giorni nostri. artografia di altissimo livello qualitativo, l'enciclopedia storica, ento carte storiche, i dati economico-sociali e le informazioni ressioni artistiche nelle varie epoche rendono questo volume indispensabile per lo studio e per la didattica. e di tavole cronologiche, l'indice delle località e dei personaggi consentono di ripercorrere le tappe salienti della storia. L'Atlante Storico e disponibile anche nella versione con il CD ... 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Scoppia la guerra dei Cent'anni, così chiamata perché dura dal 1337 al 1453, che si conclude con la cacciata degli Inglesi dal territorio francese. • I Regni di Castiglia e d'Aragona La relativa unità interna raggiunta dai Regni iberici durante la Reconquista viene meno a guerra conclusa: in Castiglia la nobiltà feudale recupera i poteri tradizionali, mentre in Aragona il re è costretto a riconoscere le Cortes, assemblee rappresentative dei nobili e delle città. • L'Impero Gli ultimi fallimentari tentativi di restaurare la potenza imperiale, scendendo in Italia e facendosi incoronare dal papa, sono di Enrico VII ( 13 08-13) e Ludovico il Bavaro (1314-47). Poi l'Impero diventa un insieme di principati, senza un vero potere centrale. Nel 1356, con la Bolla d'oro, il titolo imperiale diventa elettivo. • I territori pontifici Durante la "cattività avignonese", a Roma l'assenza del papa genera disordini, lasciando spazio al tentativo repubblicano del popolano Cola di Rienzo (1347), fino all'intervento restauratore del cardinale Egidio di Albornoz ( 13 54). • La peste e le rivolte politiche e sociali A partire dal 1348 l'Europa è sconvolta dalla peste, venuta dall'Oriente e trasmessa dalle pulci dei topi. I medici non sono in grado di curarla e le misure preventive disposte dall'autorità sono poco efficaci. Il calo demografico è dovunque gravissimo: muore circa un terzo della popolazione europea, provocando una pesante crisi economico-sociale. L'aggravarsi della condizione contadina e altri fattori come le guerre provocano grandi rivolte popolari. In Francia, nel 1356, i mercanti parigini si scontrano con il re, chiedendo effettivi poteri politici per gli Stati generali. Nel 1357 divampa, rapida e sanguinosa, un'insurrez· tadini, la cosiddetta jacqueri to dalla fame, che viene re Anche in Inghilterra, nel 13 ta contadina, alla quale per no John Wycliffe, ispiratore lardi, dà una base teorica e quali il rovesciamento dell' le. A Firenze, nel 1378, gli ciompi, si ribellano e chie per partecipare al govern successo iniziale, il tumult si forma un governo oliga • Le istituzioni e l Le monarchie nazionali, · e in Inghilterra, si rafforz teri tradizionali (nobili, ni ... ), ma favoriscono la c rappresentative, che i re consultivi per l' approvaz· della loro politica. In Fra lo talvolta sembrano in g lo di controllo politico, Parlamento diventa con · peso della monarchia; a 1295, nel XIV secolo si di la dei Lords e quella dei In Italia, grazie al mecen cune città, sorgono le ac lettuali che studiano e co siche; sono gli umanisti, concezione dell'uomo, vis prio destino. Giovanni Boccaccio ( 1313- una raccolta di cento no che rappresenta mirabilm della borghesia del tempo corona, rapporti fino a quel momento basati su consuetudini che non sempre venivano rispettate. La Magna charta era espressione degli interessi di un gruppo di aristocratici che rivendicavano privilegi, ma, nonostante questo, essa produsse conseguenze che andavano ben oltre i calcoli ed i baroni, abbiamo di nostra libera volontà garantito e confermato con una nostra carta la libertà delle elezioni ecclesiastiche - diritto della più grande importanza per la Chiesa - ed abbiamo inoltre ottenuto che ciò fosse confermato da Papa Innocenzo III. La quale libertà noi osserveremo in perpetuo e talmente vorremo che sia fatto dai nostri eredi. Abbiamo anche accordato a tutti gli uomini liberi del nostro regno, per noi ed i nostri eredi in perpetuo, tutte le libertà specificate qui sotto, per essere possedute e conservate da essi e dai loro eredi come provenienti da noi e dai nostri successori in perpetuo. Il riscatto 2, Venendo a morte un conte, un barone, o altra persona che possegga delle terre direttamente per concessione della corona, in cambio del "servizio di cavaliere", il suo erede - se è maggiorenne - potrà avere la sua eredità solo su pagamento della antica misura del "riscatto". [Era una sorta di tassa di successione. Questo articolo mirava a fissare i vari di chi l'aveva caldeggiata: aprì la strada a una più generale applicazione dei princìpi che la ispiravano, come la limitazione dei poteri del sovrano secondo la legge o la necessità del consenso dei sudditi per rendere operativi alcuni provvedimenti. tipi di "riscatto" secondo il possedimento, sottraendoli ali' arbitrio reale]. Ciò è a dire che l'erede o gli eredi di un conte pagheranno cento sterline per l'intero possedimento del conte, l'erede o gli eredi di un cavaliere cento scellini al massimo per il "feudo di cavaliere"; e ogni uomo che deve di meno pagherà di meno, secondo l'antico uso delle proprietà ereditarie. 3. Ma se l'erede di tale persona è un minorenne, quando raggiunge la maggior età deve avere l'eredità senza pagare "riscatto". Sui debiti 9. Né noi né i nostri balivi [funzionari al servizio dello sceriffo della contea] . ci impadroniremo delle terre e delle rendite di chiunque per debiti, finché i beni mobili del debitore saranno sufficienti a pagare il suo debito. Non sarà chiesta soddisfazione ai garanti del debitore fintantoché egli stesso sarà in grado di pagare. Se il debitore non potrà pagare per mancanza di mezzi, i suoi garanti saranno tenuti a far ciò. Se essi lo vorranno potranno impadronirsi delle terre e delle rendite del debitore fino a che riavranno indietro la somma che hanno sborsato per lui, a meno che il debitore non, riesca a dimostrare di aver già soddisfatto i suoi garanti. Delle tasse 12, Nessuno scutagium [somma che si pagava al posto dell'obbligo di fornire al re un certo numero di cavalieri] od auxilium [imposta straordinaria in casi di emergenza] sarà imposto nel nostro regno se non per comune consenso, a meno che ciò non sia per il riscatto della nostra persona, per la nomina a cavaliere del nostro figlio maggiore e [una sola volta] per il matrimonio della nostra figlia maggiore. Per tali fini sarà imposto solo un ragionevole auxilium, lo stesso vale per gli auxilia della città di Londra. Libertà alle città 13. La città di Londra godrà di tutte le sue antiche libertà e libere consuetudini, sia per terra che per acqua. Noi vogliamo anche che tutte le altre città grandi e piccole, i borghi ed i porti, godano di tutte \ Enrico II flil scomunicato e per conservare il potere, nel 1172, si recò a Roma scalzo e con il saio del penitente. Ben presto Thomas Becket divenne simbolo della resistenza cattolica all'assolutismo politico; per questo motivo, nel 1535, dopo che la Chiesa d'Inghilterra si era staccata da quella di Roma, il sovrano Enrico VIII fece smantellare la tomba del santo, proibì il suo culto e gli intentò un processo postumo, nel quale fu giudicato colpevole di alto tradimento. ì Il culto del santo Thomas Becket Thomas Becket fu sepolto nella cattedrale di Canterbury e ben presto si sparse la voce che il sangue del martire aveva poteri miracolosi. I pellegrini cominciarono ad affluire a migliaia e fiorirono racconti e leggende di miracoli operati dal santo. I pellegrini elessero la cattedrale di Canterbury a luogo di pellegrinaggio alla pari di Roma o di Santiago de Compostela, creando una nuova serie di attività economiche legate ai souvenir e ai servizi di ospitalità. La posizione della città, punto di transito tra Londra e l'Europa, garantì la prosperità della cattedrale e della città in generale. I venditori ambulanti si posizionarono dovunque. Si vendevano cartelle con il sangue di Becket e medaglie con la testa del santo. Successivamente, nel 1220, le spoglie di san Tommaso furono spostate in un nuovo sacrario dietro l'altare maggiore, nel quale venne esposto su una piattaforma rialzata. La Magna charta libertatum Giovanni Senzaterra dopo la sconfitta di Bouvines nel 1214 (non aveva partecipato direttamente alla spedizione contro i Francesi, ma l'aveva finanziata), perse definitivamente quasi tutti i territori che possedeva sul suolo francese. Il suo potere e la sua autorevolezza erano già stati profondamente ridimensionati dal conflitto con il papa Innocenzo III che l'aveva scomunicato. In seguito a ciò dovette accettare un umiliante atto di sottomissione: fu costretto a rinunciare al Regno di Inghilterra e di Irlanda per vederselo poi riconsegnare dal papa come beneficio feudale. 'La sconfitta e l'umiliazione subita ebbero un effetto disastroso sull'autorità della monarchia e favorirono la formazione di un'alleanza fra vescovi e baroni che progettarono una rivolta. Il 17 maggio 1215 i baroni marciarono con le truppe su Londra, che aprì loro le porte. Il 15 giugno il re e i baroni si incontrarono e il 19 giugno fu compilato il testo definitivo della Magna charta [ ooc. P. 356]. Per opera dell'arcivescovo di Canterbury, Stefan Langton, le richieste dei baroni furono trasformate in una sorta di dichiarazione di diritti riguardante tutto il popolo. La Magna charta fu perfezionata e confermata nel 1225 dal successore di Giovanni, Enrico III. I princìpi della Magna charta La Magna charta poneva dei limiti al potere regio. Il sovrano, infatti, riconosceva i privilegi dei baroni e del clero, le libertà e le antiche consuetudini della città di Londra e di altri centri urbani. Una questione fondamentale era quella dei tributi: il re prometteva di non esigere altre imposte senza il comune consenso del regno. I potenti d'Inghilterra, in altre parole, ottenevano per iscritto il diritto di contrattare con il re le forme e la quantità della tassazione. Il re ammetteva, inoltre, di lasciarsi coadiuvare e condizionare nell'esercizio del potere da una curia di baroni composta da venticinque membri. La Magna charta affermava l'appartenenza di tutti gli abitanti, qualsiasi rango sociale avessero, alla nazione inglese e, di conseguenza, l' eguaglianza di tutti dinanzi alla legge. Una norma stabiliva che in ogni processo era necessaria la presenza di una giuria e non del solo giudice, spesso fedele esecutore degli ordini del re. All'inizio la giuria comparve solo nei processi a nobili o ecclesiastici ed era composta di pari grado dell'accusato, ma successivamente la garanzia venne estesa a tutti. Un altro principio fondamentale fu quello dell' habeas corpus (significa letteralmente "che tu abbia il tuo corpo libero"), cioè la tutela dell'inviolabilità personale e il conseguente diritto di ogni arrestato di conoscere la causa del suo arresto e venne anche abolita la facoltà del re di ordinare arresti a suo arbitrio. Per quanto riguarda gli articoli della Magna charta che si occupano del settore giudiziario si può subito osservare che ancora oggi alcuni princìpi affermati in quella sede sono alla base dei procedimenti di giustizia di tutto il mondo occidentale. Le novelle di Geoffre Chaucer poeta inglese Geoffrey Chaucer (1340 ca.-1400) asce in una famiglia di ricchi mercanti di vino he serve la reale casa inglese. Grazie alle relazioi della sua famiglia Chaucer è educato a corte, prima come paggio di Giovanni di Gaunt, poi come valletto del re, e partecipa anche alla guerra dei Cent'anni. Nel 1372-73 Chaucer è in Italia al fine di raccogliere prestiti per il re d'Inghilterra, da investire nell'acquisto di armi per la guerra. Durante questi suoi viaggi Chaucer ha anche la possibilità di studiare le opere dei tre grandi trecentisti italiani: Dante, Petrarca e Boccaccio. Tornato in patria, ricopre importanti incarichi, fino a quando la salita al trono di Enrico IV, figlio di Giovanni di Gaunt, suo grande sostenitore, gli permette di ritirarsi in una casa del Westminster, dove muore il 25 ottobre del 1400. Lo sguardo di Chaucer è quello di un uomo venuto in contatto con una grande varietà umana e con gran parte delle classi sociali dell'epoca. È un profondo conoscitore del suo tempo, ma mantiene sempre un certo distacco dalla società. Il suo capolavoro è rappresentato da I racconti di Canterbury (The Canterbury tales). È una raccolta incompiuta di racconti in versi endecasillabi. L' opera ci è arrivata in nove frammenti: abbiamo 21 racconti completi e tre incompleti. I racconti sono compresi in una cornice-pretesto, introdotta da un prologo generale che narra come un gruppo di pellegrini di varia estrazione sociale si incontrino in una taverna sul Tamigi, con l'intenzione di compiere un pellegrinaggio alla tomba di Thomas Becket a Canterbury. Dopo cena l'oste si impegna ad accompagnare i pellegrini e, per ingannare il tempo del viaggio, propone loro di narrare quattro storie ciascuno, due ali' andata e due al ritorno. Sarà lui stesso a giudicare quale sarà il racconto più bello. Dopo la presentazione dei pellegrini, più un canonico e uno scudiero che si aggregano per via, hanno inizio i racconti. 1:1 Thomas Becket rappresentato in una vetrata della cattedrale di Canterbury. rrt:: l 1YTcUTu-c v u- · ,- colo r amv1 a ael mercante comincia a essere 1 vista come un lavoro necessario e perciò leciel X-XI secolo la figura del mercante godeva ! to. In varie regioni d'Europa si organizzano i una pessima fama. La Chiesa iscriveva la ! importanti fiere [ LETTURA]. Il mercante diventa ercatura tra i mestieri "non grati a Dio", tra l una delle figure di rilievo della società e quello e professioni impure e disoneste, perché era l italiano si impone come dominatore indiscusso asata sul lucro. I nobili, allineati sulle posizio- j del commercio europeo. La proverbiale abilità i della Chiesa, disprezzavano i mercanti [ LET· i e astuzia degli italiani viene sottolineata nel TURA P. 359] e li consideravano dei perico~osi l diario di un commercia~te ~~gl~se, che a, pr~- le loro libertà e libere consuetudini. Multe e ammende 20. Per una piccola trasgressione un uomo libero non potrà essere multato che con la dovuta proporzione; similmente dovrà essere per una trasgressione grave, senza però arrivar mai a privare completamente colui dei mezzi di sussistenza. Parimenti ai mercanti sarà risparmiata la loro mercanzia ed agli agricoltori i loro utensili. Nessuna di queste ammende sarà imposta se non dopo la testimonianza giurata degli uomini probi del vicinato sulla trasgressione. 21. I conti ed i baroni non potranno essere colpiti da ammenda che da parte dei loro pari, e solo in proporzione alla trasgressione. 22. Gli uomini di chiesa saranno multati del proprio secondo gli stessi princìpi suesposti per i laici, senza tener conto dei benefici ecclesiastici. Sulle unità di misura 35. Vi dovrà essere una sola misura di vino, birra e frumento in tutto il regno; e cioè il "quarter" londinese. Vi dovrà anche essere un'unica altezza per qualsiasi tipo di stoffa, cioè di due "eli", tra una cimosa e l'altra. La stessa uniformità di misura dovrà esservi per i pesi. Sulla giustizia 38. Nessun balivo potrà portare in giudizio un uomo col solo sostegno della propria affermazione, senza produrre dei testimoni attendibili che ne provino la veridicità. 39. Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, privato dei suoi diritti o dei suoi possedimenti, messo fuori legge, esiliato o altrimenti rimosso dalla sua posizione, né noi useremo la forza nei suoi confronti o domanderemo a ciò altre persone, se non per giudizio legale dei suoi pari e per la legge del territorio. 40. Noi non venderemo, né differiremo, né rifiuteremo ad alcuno il diritto o la giustizia. Sulla libertà di movimento nel paese 41. Tutti i mercanti potranno entrare o uscire dall'Inghilterra illesi e senza timore, soggiornarvi e viaggiarvi sia per terra che per acqua per scopi commerciali, senza che possa essere loro imposta alcuna esazione indebita, secondo le antiche e buone consuetudini. Questo però non varrà in tempo di guerra per coloro che appartengono a un paese nostro nemico. Trovandosi tali mercanti nel nostro territorio allo scoppio della guerra, saranno trattenuti, senza alcun danno alle loro persone ed alle loro mercanzie, finché noi ed il nostro primo giudice non avremo appreso in quale modo vengano trattati i nostri mercanti che si trovino nel paese in guerra con noi. Se i nostri sono ben trattati, altrettanto bene lo saranno da n01 quelli del nemico. 42. In futuro ogni uomo - purché rimanga a noi ligio - potrà lasciare il nostro regno o farvi ritorno sen - za danno o timore, per terra o per acqua, fuorché per un breve periodo in tempo di guerra, per il comune vantaggio del reame. Le persone che sono state imprigionate o messe fuori legge secondo le leggi del paese, le persone appartenenti ad un paese in guerra con noi, ed infine i mercanti - con i quali ci si regolerà come è stato detto sopra - sono esclusi da quanto stabilito in questo paragrafo. Sui mercenari 51. Non appena la pace sarà restaurata allontaneremo dal nostro regno tutti i cavalieri, sergenti e balestrieri stranieri, e tutte le truppe mercenarie che sono arrivate - con gran danno del paese - con i loro cavalli e le loro armi. Sull'equità dei processi 52. Ogni uomo che sia stato da noi privato delle terre, dei castelli, delle libertà o dei diritti, senza il legale giudizio dei suoi pari, ritornerà immediatamente in possesso di quanto perduto. I casi controversi saranno decisi dal giudizio dei venticinque baroni cui fa riferimento più sotto. Tuttavia, nel caso che un uomo sia stato privato di qualcosa senza il giudizio legale dei suoi pari, da parte di nostro padre Re Enrico o di nostro fratello Re Riccardo e nel caso inoltre che quanto a lui tolto si trovi in nostr possesso o nelle mani persone sotto la nost garanzia, noi dovrem avere - a meno che processo non abbia avut inizio od un'inchiesta no sia stata aperta per nostr ordine, prima che noi facessimo crociati - un proroga della durat usualmente concessa crociati. Al nostro ritorn dalla crociata - ovvero al l'atto della nostra rin un eia ad essa - sarà resa pie namente ed immediata mente giustizia. Elezione dei rappresen tanti dei baroni 61. Poiché noi abbiam fatto tutte queste conces sioni per Dio, per un mi glior ordinamento del no stro regno e per sanare 1 discordia che è sorta tr noi ed i nostri baroni, poiché noi desideriam che esse siano godut perpetuamente nella lor interezza, accordiamo a baroni le seguenti garan zie: • I baroni eleggerann venticinque loro rappre sentanti allo scopo d mantenere e far osservar con tutte le loro forze 1 pace e le libertà che son state loro accordate confermate con quest carta. • Se noi, il nostro prim giudice, i nostri ufficiali chiunque altro dei nostr· funzionari offenderem in qualsiasi modo un uo mo o trasgrediremo alcu no dei presenti articoli, la cosa viene a conoscen za di quattro dei venticin que baroni suddetti, co storo si presenteranno ella Spagna fu e di Elvira, anV secolo a. C. e emirato auto- 1232 divenne nel 1492, entrò Castiglia. Nodate ai musulominazione fua serie di percreto di espulazione araba, · da fra le città a da sempre la sintesi delle culture cattolica, araba ed ebraica. Oggi vanta ancora la più importante eredità architettonica musulmana in Europa e una delle principali attrazioni dell'intero continente: l' Alhambra. L'ALHAMBRA L'Alhambra è uno dei massimi capolavori dell'arte e dell'architettura islamica ed è di una bellezza incredibile. Molto è stato scritto sul palazzo-fortezza e i suoi giardini, ma nulla può preparare il turista alla sua magnificenza. IJ Granada, l'Athambra: uno scorcio del colonnato che circonda il Patio del Los Leones (Cortile dei Leoni). Il Granada: una veduta della fortezza dell'Alhambra. Il Granada, l'Alhambra: il Palacio Nazaries, residenza dell'imperatore Carlo V. Il rapporto tra i mercanti e i nobili Aron }. Gurevic descrive l'aspirazione dei mercanti a entrare a far parte dell'élite cittadina. Per ottenere questo, erano frequenti i matrimoni di figlie di mercanti con nobili senza quattrini ma con un grande nome e soprattutto era indispensabile la costruzione di un'abitazione che fosse l'immagine palese della ricchezza e del potere raggiunti e un tenore di vita lussuoso fino all'esagerazione e all'eccentricità. G li "uomini nuovi", fattisi avanti nell'attività commerciale e finanziaria, si distinguevano per l'energia, lo spirito d'iniziativa, la prontezza, ma anche la sfrontatezza, l' egoismo, l'atteggiamento disinvolto nei confronti di tutte le norme patriarcali del tempo. Il possesso della sola ricchezza mobiliare non assicurava però stima e prestigio nella società feudale. Ecco un caso caratteristico per intendere il disprezzo con il quale i nobili trattavano il vertice agiato urbano. Quando in una città tedesca un membro del Consiglio cittadino si permise delle osservazioni critiche nei confronti di un cavaliere influente, costui esclamò: «Anche se il padrone e i porci si trovano sotto lo stesso tetto, continuano a non aver nulla in comune». Come quando un borghese di Ravensburg cercò in una lettera di "dare del tu" a un cavaliere allo 1 l Domesday Book: il primo catasto medievale Il Domesday Book (letteralmente "Libro del giorno del giudizio") è il più antico catasto del Regno inglese e il primo in assoluto di tutto il Medioevo. Per "catasto" s'intende la registrazione di tutti gli appezzamenti di terreno e di tutte le case con i nomi dei rispettivi proprietari e con la loro esatta collocazione nel territorio. Quest'opera gigantesca fu ordinata da Guglielmo il Conquistatore e il censimento fu indetto nel 1085. I funzionari reali vennero inviati in ogni contea con una lista di domande che dovevano essere rivolte ai responsabili di ogni cantone, di ogni distretto e di ogni villaggio. Ogni funzionario indiceva un'assemblea generastesso modo di come il cavaliere faceva con lui, costui lo mise al suo posto ricordandogli la propria antica nobiltà, mentre il suo corrispondente non era altro che un borghese e un mercante. Andasse pure in birreria e s'informasse sui carichi in arrivo da Alessandria e Barcellona, ma non s1 mettesse a provare la sua origine! In Italia il confine tra la nobiltà e il patriziato era se non caduto, almeno eroso, mentre in Germania non lo era ancora. È comprensibile, perciò, che il patriziato urbano aspirasse ad attenuare le barriere di ceto che lo separavano dall' aristocrazia. A una parte dei mercanti la strada "verso l'alto" veniva aperta dal- 1' acquisto di vaste proprietà terriere e dai matrimoni misti cui ricorrevano i cavalieri impoveriti, che desideravano rimettere in sesto gli affari attraverso il matrimonio con le figlie di mercanti abbienti. A qualche cittadino riusciva anche di acquistare la dignità cavalleresca. Caratteristica dei mercanti-patrizi è l'aspirazione a vivere nel lusso. Per elevare il proprio prestigio e fare impressione sulla società, essi si costruiscono case di pietra e palazzi cinti da torri. Gli edifici tardo-gotici del patriziato della Germania meridionale e i palazzi rinascimen tali dei mercanti italiani avrebbero potuto suscitare l'invidia dell'aristocrazia. Alle finestre delle case patrizie compaiono i vetri, le stanze sono riccamente arredate, le pareti vengono ornate di arazzi. Seguendo l'esempio della nobiltà, i mercanti si danno alla caccia, lo "sport dei nobili". Con l'aristocrazia essi rivaleggiano nelle vesti e negli ornamenti, nonché nelle cerimonie funebri che allestiscono con la massima pompa. Sui loro sepolcri vengono innalzati lussuosi mole della contea e rivolgeva le domande ai capi delle comunità. Le risposte venivano date sotto giuramento e tutti i presenti ali' assemblea potevano intervenire e ampliare, correggere o smentire le notizie fornite. In questo modo, per ogni contea, si ottennero indicazioni sul nome dei possedimenti, su quello del loro proprietario e su quello dei proprietari precedenti, sull'estensione dei terreni, sulle colture praticate e sul valore dei beni. Tutte queste notizie venivano riordinate in ogni contea e poi trasmesse alla tesoreria reale che provvedeva a ordinarle, a classificarle e a trascriverle nel Domesday Book. Il volume fu redatto per avere una precisa indicazione di tutti i diritti feudali che spettavano al re e quindi per garantire una regolare entrata fiscale. e donne, ma in arito che scrin a una donna di una signora della ricca borghesia mercantile. L'autore del libro era un uomo attorno ai sessant'anni e la moglie ne aveva circa quindici. Nel Medioevo non ci si scandalizzava per questa differenza d'età, dal momento che i matrimoni a un certo livello sociale venivano quasi sempre combinati. Il libro è diviso in tre parti: nella prima si tratta della religione e dei doveri morali, nella seconda della gestione domestica e nella terza, lasciata incompleta, di giochi e divertimenti. Ogni aspetto della vita matrimoniale viene analizzato e per ogni momento della giornata sono fissate minute regole di comportamento. Tutto passa sotto la lente di ingrandimento del- 1' autore: in che modo deve vestirsi una moglie, come deve parlare, come deve cucinare, perfino come deve lottare contro le pulci o coltivare il giardino. L'AMORE CONIUGALE Diciamo subito che l'opera offre un quadro non consueto della vita matrimoniale dell'epoca. All'inizio, infatti, le considerazioni sul ruolo della moglie sono in perf etta sintonia con la concezione medievale del matrimonio: l'amore della moglie verso il marito viene paragonato alla fedeltà degli animali domestici verso il loro padrone: «Vedi bene che gli animali domestici, un levriero, un mastino, o un cane più piccolo, sia per strada che a tavola o a letto, sempre stanno vicino alla persona da cui ricevono il cibo, e si allontanano dagli altri, verso i quali sono scontrosi e feroci; e se il cane si trova lontano dal padrone, il suo cuore e i suoi occhi lo cercano sempre; e anche quando il padrone lo frusta e gli tira dei sassi, il cane gli va dietro, scodinzolando e sdraiandosi davanti a lui, e cerca di impietosirlo, e lo segue per fiumi e per boschi, negli agguati e nelle battaglie. Considerato tutto questo, per una migliore e più forte ragione le donne, alle quali Dio ha dato una coscienza e che sono ragionevoli, debbono avere un perfetto e riverente amore per i loro mariti; e quindi io ti prego di avere il massimo affetto e la massima intimità con tuo marito, chiunque esso sia». Più avanti, però, l'autore del libro, abbandonando gli stereotipi medievali e cedendo a un moto di profondo affetto per la moglie, fa una descrizione del perfetto rapporto matrimoniale che contraddice l'immagine avvilente di una donna sottomessa al marito e a qualsiasi suo volere: «Nel nome di Dio - dice - io credo che quando due persone buone e onorate sono marito e moglie, ogni altro affetto sparisca, distrutto e dimenticato, tranne l'unico affetto dell'uno per l'altro. E mi sembra che, quando essi siano l'uno insieme ali' altro, debbano guardarsi l'un l'altro più di quanto guardano gli altri, debbano abbracciarsi e tenersi stretti e non parlare voIl Un gruppo di giovani donne gioca a palle di neve (particolare di un affresco del Castello del Buon Consiglio di Trento). Chaucer nei Racconti rappresenta tutto il mondò contemporaneo. A comporre il grande quadro intervengono le più diverse sfumature, dal patetico all'umoristico, dal giocoso al tragico, dal licenzioso al religioso. A Chaucer non interessano le speculazioni metafisiche e colloca il suo poema in una dimensione terrena e quotidiana. In questo modo Chaucer riesce a tracciare una grandiosa sintesi della vita del suo tempo in chiave realistico-borghese. Ecco l'inizio del prologo dei Racconti di Canterbury: Quando Aprile con le sue dolci piogge ha penetrato fino alla radice la siccità di Marzo, / impregnando ogni vena di quell'umore che ha la virtù di dar vita ai fiori, { quando anche Zeffiro col suo dolce /iato r ha rianimato per ogni bosco e ogni brughiera i teneri germogli; e il nuovo sole ha percorso metà del suo cammino in Ariete, e cantano melodiosi gli uccelletti che dormono tutta la notte a occhi aperti (tanto li punge in cuore la natura), la gente allora è presa dal desiderio di mettersi in pellegrinaggio e d'andare per contrade forestiere alla ricerca di lontani santuari variamente notz; e fin dalle più remote parti d'ogni contea d'Inghilterra molti si recano specialmente a Canterbury, a visitare quel santo martire benedetto che li ha soccorsi quando erano malati. La politica secondo Giovanni di Salisbury Il filosofo inglese Giovanni di Salisbury (1110-80) studiò in Francia, dove frequentò le migliori scuole dell'epoca (fra cui quella di Abelardo). Tornato in patria, si mise a servizio degli arcivescovi di Canterbury e fu testimone della drammatica vicenda di Becket (vedi p. 354). Giovanni di Salisbury affronta nella sua opera maggiore, il Policratus, il tema della legittimità del potere del sovrano e quindi del rapporto fra l'autorità religiosa e quella politica. È interessante notare come il filosofo inglese ponga come fondamento di una società politica, e del potere che la governa, un accordo fra le parti, fra popolo governato e sovrano. Tra re e sudditi esiste quindi una relazione che ha una reciprocità e che è fondata sulla legge. I sudditi hanno perciò il diritto di mettere in discussione l'esercizio del potere del sovrano valutando la sua conformità alla legge. Secondo Giovanni fonte di tutti i poteri è Dio e quindi anche il potere politico deriva da lui. Ma proprio per questo è necessario che l'esercizio del potere sia conforme a leggi naturali di cui Dio è fondamento e garanzia. «Vi sono dei precetti- dice Giovanni - che hanno stabile necessità, che sono legittimi presso tutti i popoli e che non possono, in alcun modo, essere imptJnemente sciolti». Anche il sovrano è tenuto a obbedire a queste norme, e se non le segue il suo esercizio del potere diventa illegittimo. «Tra un tiranno e un re - affe~ma Giovanni- c'è un'unica capitale differenza: che. il re obbedisce alla legge e governa il popolo con i suoi editti rendendosi conto di esistere solo per la sua utilità». L'esistenza di leggi oggettive ed eterne consente dunque ai sudditi di distinguere tra un legittimo sovrano e un tiranno. Ma non solo perché secondo Giovanni «uccidere un tiranno non solo è lecito, ma è anche equo e giusto». lo, il papato, coinvolto nella politie a strutturarsi come un potere ostruire un proprio Stato nell'Italia sso tempo si oppone al tentativo archie europee di imporre la loro ori sempre più vasti e considerare lero come sudditi. Il coinvolgimenelle vicende politiche dell'Europa tto periodo della "cattività avignopoi il periodo dello scisma (1378- i Costanza (1417) è un primo tenriforma moralizzatrice della Chiesa i fedeli e dei movimenti religiosi Sintesi dell'un1 tà B p. 418 J Francia meridionale, Avignone: una veduta del Palazzo dei papi dalle rive del fiume Rodano. 1294 Viene eletto papa Celestino V. Viene eletto papa Bonifacio VIII 1296 Bonifacio VIII si scontra con Filippo IV il Bello 1294 Dante Alighieri scrive la Vita Nova 1300 1305 Viene eletto papa, sotto pressione del re di Francia, un vescovo france 1309 Il papa si trasferisce ad Avign •.•..•...•.•..••••••.••.••••••••••••••••••.••••••••.....••.•.......•....•.•......•...........•.........•....••..••...... Austera e affascinante, ricca di decorazioni in stile arabo di una bellezza sconvolgente, riporta il visitatore al tempo dei Mori, che ebbero in Granada il loro ultimo avamposto in Europa. Alcazaba, la fortezza musulmana dell'Alhambra, risale all'XI-XII secolo e le sue torri offrono uno splendido panorama sulla città. Il Palacio Nazaries è celebre per l'intricato sultano, situat dei giardini, co vasche di acqu stupende visu giare nel vecch · cìn, cuore della Case bianche, le piazzette eh giardini rigogli gono i loro pro poetico. C'è poi il Sacr con le caratteri sto quartiere è che se molti lo genze dei turist D Granada, l'Alha Il Granada, una v piano il quartiere Il Giubileo è l'anno della remissione dei peccati e delle pene per i peccati. È anche l'anno della solidarietà, della speranza e della penitenza sacramentale. Il Giubileo, detto anche Anno Santo, può essere ordinario o straordinario. Le origini del Giubileo risalgono al!' Antico Testamento. Nel capitolo XXV del Levitico, in/att~ il popolo ebraico viene incoraggiato a far suonare il corno Gobel) ogni quarantanove anni per richiamare Gobil) la gente di tutto il paese, dichiarando santo il cinquantesimo anno e proclamando la remissione G obal) dei debiti di tutti gli abitanti. In/atti: secondo l'Antico Testamento, il Giubileo portava con sé la liberazione generale da una condizione di miseria, sofferenza ed emargz'nazione. , Il Cristianesimo ha attribuito al Giubileo ebraico un significato diverso. E infatti un perdono generale, un'indulgenza aperta a tutti~ che il papa concede sotto determinate condizioni ai fedeli. È quindi fondato sul valore delle indulgenze e sul potere che la Chiesa ha di elargirle. In tutta la storia della Chiesa sono stati celebrati 26 Giubilei. Il primo Anno Santo viene proclamato da papa Bonifacio VIII con la bolla Antiquorum habet, del 22 febbraio 1300, festa della Cattedra di San Pietro. • f !.L' ~CCONTÒ STORICO Il progetto teocratico di Innocenzo 111 Quando Costanza d'Altavilla morì (1198), la tutela del giovanissimo figlio Federico venne assunta da Innocenzo III, divenuto papa in quello stesso anno. In base agli accordi di Melfi (1059), Federico in quanto re di Sicilia era feudatario del pontefice; questi estese in tal modo il suo controllo anche sulle regioni meridionali della penisola. Sviluppando la dottrina teocratica di Gregorio VII, il nuovo pontefice ribadì la supremazia della dignità papale. «Essa - sosteneva - governa le anime, rispetto a quella regia, a cui sono sottomessi N el XIV secolo viene pubblicata l'opera del francese Jean Froissart (1337-1404) dal titolo Croniques. È una imponente raccolta di cronache, aneddoti, fatti minuti e descrizioni di fondamentali eventi storici; in essa Froissart racconta il flagello della "peste nera", ma anche le rivolte della jacquerie francese e dei contadini inglesi. Questa enorme mole di materiale ha fornito agli storici preziose informazioni per ricostruire le vicende dell'intero secolo. Ma sull'evento più importante, la diffusione della "peste nera", esistono numerose altre testimonianze storiche. Il cronista siciliano Matteo di Piazza è stato il testimone del primo diffondersi del morbo in Italia. Avevano attraccato a Messina dodici navi genovesi che venivano dall'Oriente e che portavano a bordo marinai malati. Il cronista annota diligentemente il fenomeno dell'improvviso decesso di molti messinesi e attribuisce questi fatti a una punizione di Dio. Troviamo echi della peste perfino nelle fiabe norvegesi dell'epoca: la malattia è rappresentata da una vecchia che gira con un rastrello e una scopa. Quando usa il rastrello qualcuno si salva, quando usa la scopa, invece, muoiono tutti. Come vedremo, il poeta e scrittore Giovanni Boccaccio scrisse una mirabile prefazione al Decameron in cui descrisse la situazione in Firenze durante l'infuriare del terribile morbo. Sempre a Firenze morì di peste il cronista Giovanni Villani; ne continuò l'opera il fratello Matteo, descrivendo con grande efficacia le conseguenze in città provocate dall'epidemia. Il cronista senese Agnolo di Tura perse ben cinque figli, ma riuscì a conservare la lucidità necessaria per consegnare ai posteri una eronaca fedele e dettagliata di questo terribile morbo. La figura, però, più dotata di indipendenza di giudizio e obiettività è quella del cronista Konrad von Megenberg. Contro le dicerie correnti, per esempio, che attribuivano agli ebrei la colpa del contagio, argomenta che «gli ebrei a Vienna sono più numerosi che in alcun'altra città tedesca, che anche qui vi moiono in COSÌ grande quantità da dover ampliare il loro cimitero: è quindi assurdo pensare che fossero stati proprio loro a provocare il male». Fonti molto interessanti sono le relazioni dei medici, che non si limitano alla conta dei morti, ma descrivono anche gli effetti del morbo e propongono i rimedi più diversi. Un'altra fonte ricca di informazioni è costituita dai verbali dei processi istituiti contro le persone che si pensava fossero colpevoli della diffusione del morbo, soprattutto gli ebrei. lentieri o scambiarsi gesti se non fra di loro. E quando sono separati, debbano pensare l'uno ali' altro e dire dentro di sé: "Quando lo rivedrò, farò questo e questo, o gli dirò quest'altro, o lo pregherò di fare questo o quello". E tutto il loro particolare piacere, il loro principale desiderio e la t loro perfetta gioia sarà di far piacere e di obbedire l'uno ali' altro, se si vogliono bene». E ancora: «Se le donne - dice - non fossero buone e i loro consigli buoni e utili, il nostro Signore Iddio del cielo non le avrebbe mai create, né le avrebbe chiamate "aiuto" dell'uomo, ma piuttosto castigo dell'uomo». IL BUON COMPORTAMENTO Il prezioso libretto scandisce anche minuiJ ziosamente i momenti della giornata tipo di una signora dell'alta borghesia. Certo, la giovane moglie )?.On aveva tempo di annoiarsi. Si alzava poco dopo l'alba, si lavava la faccia e le mani, diceva le orazioni e poi andava in chiesa accompagnata dalla governante, con gli occhi sempre bassi e un atteggiamento composto. Dopo la messa, seguiva il lavoro dei servi e riceveva l'amministratore. Se era in campagna, andava a controllare il lavoro dei pastori, dei vaccari e controllava i registri del fattore. Verso le dieci del mattino veniva servito il pranzo, che la giovane moglie aveva concordato e preparato con la cuoca. Il pomeriggio era dedicato allo svago: la signora riceveva le mogli di altri ricchi mercanti, oppure si dedicava al giardinaggio, alla caccia con il falcone o faceva lunghe passeggiate a cavallo. Più tardi, seguendo un rituale antico, sedeva tra le serve per filare la lana o ricamare o rammendare e smacchiare le vesti che dovevano durare moltissimi anni. Al ritorno del padrone, dopo il lavoro, tutta la casa si mobilitava per la li in questo affresc " rate un gruppo di d< tengono a ceti socia senta con grande pr ed eleganti abiti di 1 che una rassegna di Ad abiti con stoffe t petono ritmicament cena e al tramon che le porte foss niugi andavano : Il ritratto che ei dunque, quello tiene ormai a u Comuni, della 1, ricca e forte poli mezzi. universitatis conditor, che può essere tradotto con Come il fondatore dell'universo. /I titolo veniva ricavato sempre dalle prime parole della lettera, che naturalmente era scritta in latino. 11 contenuto della lettera è molto importante perché può essere considerato come presiedere al giorno e la più piccola per presiedere alla notte, così egli ha stabilito nel firmamento della Chiesa universale, espresil manifesto del disegno teocratico di Innocenzo lii. È un documento in cui il papa, senza mezzi termini, riafferma in modo netto la supremazia del potere spirituale su quello temporale e quindi il diritto del papato a esercitare un potere assoluto nei confronti del mondo. sa dal nome del cielo, due grandi dignità: la maggi~- re a presiedere - per così dire - ai giorni cioè alle anime, e la minore a preLa straordinaria attività svolta da Innocenzo III e il prestigio enormemente accresciuto della Chiesa trovarono una conclusione solenne nel grande Concilio Lateranense convocato a Roma nel 1215, con la partecipazione di prelati e di rappr~- sentanti di principi e sovrani d'Europa. In esso, dopo la condanna solenne dei catari e dei valdesi, si decisero nuove misure di repressione per le eresie; si stabilirono anche più severe regole di comportamento per i membri del clero, la cui vita dissipata alimentava lo scontento e favoriva la diffusione dei movimenti ereticali; si decise inoltre di allestire una nuova spedizione in Terra Santa, per riscattare l'insuccesso della quarta crociata. Innocenzo III si spense nel 1216, al culmine del suo trionfo. I movimenti chiedono il ritorno della Chiesa alla povertà La crescente partecipazione della Chiesa alle questioni temporali aveva immerso il papato in un clima di mondanità, distraendolo dal suo ruolo, e in parte dalla sua autorità, di guida spirituale dell'universo cristiano. In particolare, le scelte compiute da papi come Gregorio VII (1073-85) e Innocenzo III (1198-1216) - che avevano teorizzato e lottato per affermare la superiorità del potere ontificio su quello imperiale - avevano fatto del apa un sovrano fra gli altri sovrani, con uno Stasiedere alle notti cioè ai corpi. Esse sono l'autorità pontificia e il potere regio. Così, come la luna riceve la sua luce dal sole e per tale ragione è inferiore a lui per quantità e qualità, dimensione ed effetti, similmente il potere regio deriva dall'autorità papale lo splendore della propria dignità e quanto più è con essa a contatto, di tanto maggior luce si adorna, e quanto più ne è distante tanto meno acquista in splendore. Ambedue questi poteri hanno avuto collocata la sede del loro primato in Italia, il qual paese quindi ottenne la precedenza su ogni altro per divina disposizione. E perciò, se pure noi dobbiamo estendere l'attenzione della nostra provvidenza a tutte le province, tuttavia dobbiamo con particolare e paterna sollecitudine provvedere all'Italia, dove furono poste le fondamenta della relig10ne cristiana e dove l'eccellenza del sacerdozio e della dignità si esalta ' con la supremazia della Santa Sede. 11 n papa Innocenzo lii riceve i rappresentanti del movimento degli umiliati, ordine ispirato ai princìpi di povertà della Chie- \ sa primitiva (manoscritto del XV secolo). to territoriale da difendere, con una diplomazia ramificata che tesseva alleanze politiche e promuoveva guerre, con il problema di assicurarsi introiti fiscali sempre maggiori. Questo coinvolgimento della Chiesa negli affari politici non mancò di suscitare perplessità e critiche tra i fedeli. Tutta la storia della Chiesa nel Medioevo fu caratterizzata dalla presenza di predicatori, ordini, tendenze di pensiero, movimenti ortodossi o ereticali che si richiamavano a un'impostazione "spiritualista" del messaggio cristiano e della vita religiosa, con diversi gradi di radicalità e di critica verso le gerarchie ecclesiastiche. A maggior ragione, proprio nei difficili anni della fine del XIII secolo, queste voci che predicavano il ritorno allo spirito degli apostoli e alla pratica della povertà evangelica ripresero vigore. Celestino V, il papa del "gran rifiuto" La corrente degli spirituali francescani (vedi p. 381) difendeva le istanze di povertà della Chiesa, di rinuncia ai beni materiali e al potere. Per qualche mese sembrò che questa tendenza avesse il sopravvento nella Chiesa, quando, nel 1294, fu elevato al soglio pontificio Pietro da Morrone, che assunse il nome di Celestino V. Il nuovo pontefice era un anziano eremita, un uomo di fede profonda e dalla moralità ineccepibile, anzi, m odore di santità. Naturalmente, anche la sua elezione dipese da ragioni politiche e da sottili equilibri diplomatici. Dopo due anni di trattative inconcludenti nel conclave, infatti, fu Carlo II d'Angiò a far pendere l'ago a favore del pio Celestino, pensando, come in effetti avvenne, di poterlo facilmente controllare e di fargli nominare diversi cardinali francesi di suo gradimento. Celestino rimase disgustato dall'ambiente della curia e si ritrovò coinvolto in trame di potere cui era del tutto impreparato, oltre che contrario. Così, dopo soli cinque mesi, decise di ritornare alla vita eremitica e di abdicare: un caso a tutt'oggi unico nella storia della Chiesa, che infranse le speranze di coloro che vedevano in lui la promessa di un rinnovamento. Dante Alighieri, che nella sua vita aveva sempre partecipato con passione alla politica e aveva sempre stigmatizzato la corruzione della Chiesa, nella Divina Commedia tratta molto severamente Celestino V: lo colloca nell' Antinferno, tra gli ignavi. La controversa figura di Bonifacio VIII Al "papa angelico" succedette il cardinale Benedetto Caetani, con il nome di Bonifacio VIII (1294-1303). I Caetani erano entrati da non molto nel novero delle più potenti famiglie romane e Benedetto aveva scalato posizioni nella curia grazie alla sua azione di diplomatico della Santa Sede. Era dunque un uomo molto abile, di notevole esperienza e spregiudicato in ogni genere d'intrigo politico. Bonifacio VIII represse le proteste dei francescani spirituali, che continuarono le loro agitazioni con l'appoggio dei Colonna, famiglia rivale dei Caetani. Nei confronti dei Colonna, allora, il nuovo pontefice prese provvedimenti radicali: fece attaccare e distruggere Palestrina e altre loro roccaforti, costringendoli a riparare in Francia. Insomma Bonifacio VIII, dopo la parentesi di Celestino V, riprese e portò al culmine la politica temporale del papato e la difesa degli interessi della propria famiglia, suscitando lo sdegno di molti oppositori. Jacopone da Todi, il francescano spirituale e grande poeta, lo definì addirittura «il messaggero dell'Anticristo». La politica di Bonifacio VIII Per soccorrere i suoi due maggiori alleati, il Regno angioino e Firenze (che sperava di inglobare nello Stato della Chiesa), Bonifacio VIII intervenne nei contrasti tra Angioini e Aragonesi. Egli era stato eletto durante la guerra dei Vespri, che contrapponeva appunto le due casate in Italia meridionale; Bonifacio prese la parte dei primi, mentre i Colonna appoggiavano gli Aragonesi, questi ultimi propose, invano, la Sardegna in cambio della Sicilia. Successivamente, affidò a Carlo di Valois, fratello del re di Francia, il compito di pacificare i guelfi di Firenze, divisi in bianchi e neri. In realtà, sia il papa sia il principe francese erano da tempo in trattative con Corso Donati, capo dei neri, e appoggiavano completamente questi ultimi, consentendo loro di mandare in esilio gli avversari, tra cui Dante Alighieri. Si andava però profilando la rottura dell'alleanza fra il papato e il re di Francia. La lotta tra Bonifacio VIII e Filippo IV di Francia Nel 1296 Bonifacio VIII vietò ai sovrani europei di tassare il clero senza la preventiva approvazione da parte dell'autorità pontificia. Il provvedimento era rivolto contro i re d'Inghilterra e di Francia, i quali, in guerra fra loro e quindi bisognosi di denaro, avevano leso il privilegio dell'esenzione fiscale del clero. Ma mentre il re inglese obbedì, Filippo IV il Bello (1285- 1314) replicò con un decteto ingegnoso: bloccò I papi nel Xlii secolo - lnnocenzoV - AdrianoV lfl;ff:EI Onorio IV ifi};t;fEI Niccolò IV